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Approccio diagnostico e terapeutico alla degenerazione maculare ...

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<strong>Approccio</strong> <strong>diagnostico</strong> e <strong>terapeutico</strong> <strong>alla</strong> <strong>degenerazione</strong> <strong>maculare</strong> senile (AMD)<br />

Chiara de Waure, Giuseppe La Torre, Walter Ricciardi<br />

<strong>Approccio</strong> <strong>diagnostico</strong> ed end-point nello studio<br />

del treatment outcome<br />

L’approccio <strong>diagnostico</strong> <strong>alla</strong> AMD prevede la<br />

valutazione dell’acuità visiva, l’esame del fundus<br />

oculare e la fluorangiografia (FA) e la tomografia a<br />

coerenza ottica (OCT) per la diagnosi definitiva e<br />

la caratterizzazione delle lesioni [1]. In alcuni casi,<br />

l’effettuazione di un test preliminare, il test di<br />

Amsler, consente una rapida individuazione di un<br />

problema <strong>maculare</strong> da sottoporre a successivo<br />

approfondimento <strong>diagnostico</strong>. Il test di Amsler,<br />

proprio in virtù della sua semplicità di esecuzione,<br />

viene anche utilizzato nel follow up del<br />

trattamento poiché permette allo stesso paziente<br />

di rilevare facilmente cambiamenti del visus. A<br />

completamento dell’iter <strong>diagnostico</strong> è prevista<br />

anche la valutazione della sensibilità al contrasto.<br />

Di seguito verranno descritti i dettagli di tali fasi<br />

diagnostiche.<br />

Acuità visiva<br />

In base al tipo di stimoli visivi usati possiamo<br />

riconoscere almeno quattro tipi fondamentali di<br />

acuità visiva [2]:<br />

1)l’acutezza di visibilità nella quale si tratta di<br />

accertare o escludere la presenza di un oggetto;<br />

2)l’acutezza di risoluzione nella quale si tratta di<br />

percepire i dettagli di un oggetto;<br />

3)l’acutezza di localizzazione nella quale si valuta<br />

la localizzazione spaziale relativa di due oggetti;<br />

4)l’acutezza di ricognizione o morfoscopica nella<br />

quale si vanno a riconoscere le caratteristiche o<br />

la forma di un oggetto.<br />

L’acutezza visiva di risoluzione è il reciproco<br />

dell’angolo minimo di risoluzione, espresso in<br />

minuti primi, cioè sessantesimi di grado; l’angolo<br />

minimo di risoluzione (Minimal Angle of<br />

Resolution, MAR) è la più piccola distanza<br />

angolare <strong>alla</strong> quale due punti o due linee possono<br />

essere ancora percepiti come distinti [2].<br />

L’acuità visiva è rilevata con gli ottotipi,<br />

strumenti che possono essere raggruppati in<br />

diverse categorie a seconda che impieghino le<br />

lettere dell’alfabeto (come la tabella di Snellen o<br />

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l’ottotipo ETDRS) o i numeri, i simboli (E di<br />

diverso tipo - Albini, Snellen, Tumbling, Pgluger -, C<br />

landolt) o le griglie e le scacchiere [2].<br />

Le lettere maiuscole dell’alfabeto sono gli<br />

elementi più diffusamente impiegati negli ottotipi.<br />

L’acutezza visiva misurata con le lettere<br />

rappresenta l’acuità di ricognizione, la quale si<br />

fonda, oltre che sull’acutezza di visibilità, di<br />

risoluzione, e di localizzazione, anche sul<br />

concorso di altri fattori di carattere percettivo e<br />

cognitivo. Le serie di lettere più usate sono le<br />

lettere di SLOAN (S O C D K V R H N Z) e le lettere<br />

definite dalle norme BS 4724 (D E H N F P R U V<br />

Z) [2].<br />

Alcuni ottotipi sfruttano le mire, ossia dei<br />

simboli che non sono disegnati con la forma e<br />

l’originalità dei caratteri di stampa, ma secondo un<br />

criterio ben preciso per risultare inscritte in una<br />

griglia 5x5 o 4x5. Le mire ottotipiche più<br />

comunemente impiegate si rifanno a figure<br />

astratte e sono gli Anelli o C di Landolt e le E di<br />

Snellen o Albini [2].<br />

Gli Anelli o C di Landolt sono mire di risoluzione<br />

comuni, considerate di riferimento nelle norme<br />

standardizzate. Gli anelli vengono presentati in 4 o<br />

8 orientamenti e sono tali da non presentare i<br />

difetti tipici delle lettere, pur risultando difficili da<br />

impiegare nei bambini per problemi di<br />

comprensione [2].<br />

La E di Snellen o di Albini costituiscono una mira<br />

a forma di E posizionata con vari orientamenti e<br />

rappresentano una buona soluzione intermedia<br />

tra la praticità dell’alfabeto e l’attendibilità di mire<br />

di risoluzione. Questo tipo di figura è utilizzabile<br />

anche con bambini non scolarizzati poiché è<br />

sufficiente dare loro un modello e chiedere di<br />

posizionarlo come la figura. Il principale problema<br />

conseguente all’uso di tali ottotipi è che l’acuità<br />

risulta leggermente sovrastimata [2].<br />

Le tavole ottotipiche di più comune impiego<br />

sono, comunque, la tabella classica di Snellen e<br />

l’ottotipo ETDRS; nel contesto italiano, nonostante<br />

la migliore accuratezza dell’ottotipo ETDRS, le<br />

tavole Snellen continuano a essere<br />

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frequentemente impiegate.<br />

La tabella di Snellen (Figura 1) è stampata con<br />

11 linee di acutezza e impiega le 9 lettere C, D, E,<br />

F, L, O, P, T, Z [3]. La prima linea consiste in una<br />

grande lettera E mentre, in ogni ulteriore linea, le<br />

lettere aumentano in numero e diminuiscono in<br />

dimensione. L’ultima linea che può essere letta<br />

restituisce l'acutezza visiva in quell'occhio. In ogni<br />

riga, l’ampiezza delle linee che compongono le<br />

lettere sottende un angolo di un minuto di arco a<br />

una specifica distanza: essa è pari a 60 m per la<br />

lettera nella prima riga, 36 m per la seconda e via<br />

via decrescente fino all’ultima riga. L’acuità visiva<br />

è espressa come rapporto tra un numeratore che<br />

indica la distanza <strong>alla</strong> quale solitamente il test<br />

viene condotto (6 m in Europa, 20 piedi in USA) e<br />

un denominatore che si riferisce <strong>alla</strong> grandezza<br />

delle lettere dell’ultima riga chiaramente<br />

distinguibile, misurata come distanza <strong>alla</strong> quale,<br />

comunemente, tale lettera riesce a essere letta [4].<br />

Tra i limiti di questo ottotipo ritroviamo il tipo<br />

di progressione che, secondo la formula di Snellen,<br />

è matematica o geometrica e la presenza di un<br />

diverso numero di lettere per riga che determina<br />

un affollamento incostante [4].<br />

Figura 1. Tavola di Snellen.<br />

Gli ottotipi di ricognizione ETDRS (Early<br />

Treatment for Diabetic Retinopathy Study) (Figura<br />

2) utilizzano le lettere SLOAN: ogni linea contiene<br />

cinque lettere di uguale difficoltà visiva [2]. Esso<br />

può essere fornito in schede di 62x64 cm e viene<br />

utilizzato con il proprio dispositivo di retro<br />

illuminazione, anche se esistono schede che<br />

possono essere illuminate frontalmente. Il test<br />

viene eseguito a una distanza variabile di 1, 2 o 4<br />

metri, con tavola di conversione Snellen per<br />

S 1 2 C A P I T O L O 2<br />

equivalente acuità fino a 6 metri [2]. Essi<br />

consentono uno scoring lettera per lettera<br />

piuttosto che riga per riga, come nei classici<br />

ottotipi di ricognizione, e, quindi, misurazioni più<br />

accurate e ripetibili. Proprio per tale ragione gli<br />

ottotipi ETDRS sono comunemente impiegati<br />

nella valutazione del treatment outcome<br />

nell’ambito degli studi clinici [3]. La rilevazione<br />

dell’acuità visiva con ETDRS consente di definire<br />

quante lettere il paziente ha perso o guadagnato<br />

nel corso del trattamento.<br />

I test di acuità visiva sono fondamentali per<br />

valutare:<br />

1.numero di lettere mantenute o perse rispetto al<br />

baseline;<br />

2.numero di lettere guadagnate rispetto al<br />

baseline;<br />

3.acuità visiva media;<br />

4.cambiamento medio dell’acuità visiva.<br />

Figura 2. Ottotipo ETDRS.<br />

Test di Amsler<br />

Il test di Amsler (Figura 3) è un semplice test<br />

che consente di sospettare precocemente l’AMD,<br />

ma che viene anche impiegato nel follow up del<br />

trattamento come precocemente indicativo di<br />

eventuali peggioramenti del visus. L’esame si<br />

esegue utilizzando un quadrilatero quadrettato,<br />

posto <strong>alla</strong> distanza di 30 cm, e la correzione per<br />

lettura. Dopo aver coperto con la mano un occhio,<br />

il paziente deve fissare con l’occhio scoperto il<br />

punto nero centrale del reticolo. Se le linee<br />

appaiono ondulate, deformate o discontinue o se<br />

il paziente constata una modifica della loro<br />

percezione rispetto all’ultima volta in cui il test è<br />

stato eseguito è necessario eseguire ulteriori<br />

indagini al fine di diagnosticare la presenza o il


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peggioramento della <strong>degenerazione</strong> <strong>maculare</strong> [5].<br />

Figura 3. Test di Amsler.<br />

Fluorangiografia<br />

La fluorangiografia è, insieme all’OCT, l’esame<br />

<strong>diagnostico</strong> fondamentale nella <strong>degenerazione</strong><br />

<strong>maculare</strong> legata all’età. La fluorangiografia viene<br />

effettuata iniettando una sostanza fluorescente <strong>alla</strong><br />

luce blu (fluoresceina) capace di impregnare la<br />

membrana neovascolare e, quindi, di evidenziare<br />

aree di neovascolarizzazione che possono essere<br />

chiaramente localizzabili (neovascolarizzazione<br />

classica), oppure mal definite e solo sospettabili<br />

(neovascolarizzazione occulta) [1]. Le lesioni<br />

possono essere classificate in base <strong>alla</strong> loro<br />

localizzazione in extrafoveali (distanza d<strong>alla</strong> fovea<br />

maggiore di 200 µm), in iuxtafoveali (distanza<br />

inferiore ai 200 µm) e in subfoveali quando<br />

coinvolgono la fovea [6]. Secondo la classificazione<br />

di Gass, le lesioni sono distinte in tipo I e II a seconda<br />

che la crescita vascolare avvenga al di sotto o al di<br />

sopra dell’epitelio pigmentato retinico [7]. In<br />

fluorangiografia le lesioni di tipo 1 sono definite<br />

come occulte e le lesioni di tipo 2 classiche; le lesioni<br />

classiche subfoveali sono state ulteriormente<br />

suddivise in classiche, prevalentemente classiche e<br />

minimamente classiche qualora la componente<br />

classica sia pari al 100%, interessi più del 50%<br />

dell’intera lesione o meno del 50% rispettivamente<br />

[6].<br />

In presenza di neovascolarizzazione occulta si può<br />

anche eseguire un esame angiografico con colorante<br />

fluorescente all’infrarosso (verde di indocianina) in<br />

grado di evidenziare circa il 60-70% dei neovasi<br />

occulti [1]. L'angiografia con verde di indocianina<br />

(ICGA), introdotta nel 1992, può anche facilitare il<br />

riconoscimento di manifestazioni particolari del<br />

processo neovascolare nell'ambito della<br />

<strong>degenerazione</strong> <strong>maculare</strong>, quali la vasculopatia<br />

coroideale polipoide e la proliferazione angiomatosa<br />

retinica [1].<br />

Nell’ambito dello studio del treatment outcome, la<br />

fluorangiografia consente, insieme all’OCT, di<br />

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caratterizzare le lesioni e di valutare la loro<br />

progressione.<br />

OCT (Optical Coherence Tomography)<br />

La tomografia a coerenza ottica, o OCT (Optical<br />

Coherence Tomography), è una tecnica di imaging<br />

non invasiva che fornisce immagini ad alta<br />

risoluzione di sezioni della retina umana [8]. La<br />

tecnica sfrutta una misurazione ottica, chiamata<br />

interferometria a bassa coerenza, il cui principio di<br />

funzionamento è simile a quello dell'ecografia,<br />

differenziandosene per il fatto di sfruttare la<br />

riflessione di onde luminose da parte delle diverse<br />

strutture oculari piuttosto che la riflessione delle<br />

onde acustiche. Tale tecnica consente la<br />

misurazione di strutture a distanze dell'ordine di 10<br />

µm, contro i 100-150 degli ultrasuoni [8]. Con<br />

l'OCT si proietta sulla retina un fascio di lunghezza<br />

d'onda di 820 nm, generato da un diodo<br />

superluminescente, e si confrontano i tempi di<br />

propagazione dell'eco della luce riflessa d<strong>alla</strong> retina<br />

con quelli relativi allo stesso fascio di luce riflesso<br />

da uno specchio di riferimento posto a distanza<br />

nota. L'interferometro OCT rileva elettronicamente,<br />

raccoglie, elabora e memorizza gli schemi di ritardo<br />

dell'eco provenienti d<strong>alla</strong> retina; i tomogrammi<br />

vengono quindi visualizzati in tempo reale<br />

utilizzando una scala in falsi colori che rappresenta<br />

il grado di reflettività dei tessuti posti a diversa<br />

profondità (colori scuri (blu e nero): zone a minima<br />

reflettività ottica; colori chiari (rosso e bianco):<br />

zone molto riflettenti) e memorizzati per la<br />

successiva elaborazione [8].<br />

L'OCT è quindi un esame semplice, rapido, non<br />

invasivo e altamente riproducibile.<br />

Dal punto di vista qualitativo, su ogni scansione si<br />

può effettuare un'analisi della morfologia e del<br />

grado di reflettività degli strati retinici. Per quanto<br />

riguarda la valutazione quantitativa, lo strumento<br />

permette di misurare lo spessore della retina.<br />

Nell'AMD essudativa l'OCT può essere associato<br />

agli esami angiografici per avere ulteriori<br />

informazioni sulle caratteristiche strutturali della<br />

membrana neovascolare, sulla sua localizzazione e<br />

sulla presenza di attività essudativa [6]. L'OCT fa<br />

rilevare eventuali distacchi dell’epitelio<br />

pigmentato, associati <strong>alla</strong> neovascolarizzazione, ed<br />

è particolarmente utile nel follow-up dopo terapia,<br />

per confermare o no l'attività essudativa di una<br />

lesione, quando la fluorangiografia lascia dubbi, e<br />

per porre quindi le indicazioni a un ritrattamento<br />

[8].<br />

Nell’ambito dello studio del treatment outcome,<br />

l’OCT consente, insieme <strong>alla</strong> fluorangiografia, di<br />

caratterizzare le lesioni e di valutare la loro<br />

progressione.<br />

C A P I T O L O 2 S 1 3


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Sensibilità al contrasto<br />

La determinazione della sensibilità al contrasto<br />

prevede che il paziente legga dei caratteri in color<br />

nero-grigio via via più sfumato su uno sfondo con<br />

illuminazione omogenea [9]. Essa misura la<br />

capacità del sistema visivo di apprezzare il<br />

contrasto fotometrico, cioè la differenza di<br />

luminosità che presentano due zone adiacenti e si<br />

misura come rapporto tra la differenza di<br />

luminosità di due aree e la loro somma (metodo<br />

CIE) definito anche come contrasto di Michelson<br />

o di modulazione [9].<br />

I test più frequentemente utilizzati per misurare<br />

la sensibilità al contrasto sono il Vision Contrast<br />

Test System (VCTS), o la sua versione evoluta, il<br />

Functional Acuity Contrast Test (FACT), e il Pelli-<br />

Robson (PR) [4].<br />

La tavola di Pelli-Robson determina la sensibilità<br />

al contrasto impiegando lettere di dimensioni<br />

identiche il cui contrasto varia di riga in riga<br />

(Figura 4) [10].<br />

Il test di contrasto dell’acuità funzionale<br />

(FACT®) (Figura 5), sviluppato da Arthur P.<br />

Ginsburg, permette spesso di determinare la<br />

perdita precoce di capacità visiva offrendo una<br />

misurazione più sensibile rispetto al test di acuità<br />

di Snellen [10,11]. Il FACT valuta efficacemente la<br />

capacità visiva su una gamma di dimensione e<br />

contrasto che simula verosimilmente l'ambiente<br />

normale. Esso testa la capacità del soggetto di<br />

rilevare la presenza e l’orientamento del reticolo<br />

in ciascuna delle 9 celle delle 5 righe di cui la<br />

scheda si compone. Si chiede al paziente di<br />

indicare l’orientamento dell’ultimo reticolo<br />

visualizzato per ciascuna riga e si graficano i<br />

risultati in una curva di sensibilità al contrasto che<br />

consente la determinazione della soglia di<br />

contrato [10,11].<br />

Con tali test si va a valutare il cambiamento<br />

Figura 4. Tavola di Pelli-Robson.<br />

S 1 4 C A P I T O L O 2<br />

medio della soglia di contrasto nei pazienti affetti<br />

da AMD.<br />

Revisione dei trattamenti disponibili ad oggi per<br />

la maculopatia degenerativa legata all’età<br />

Attualmente le terapie a disposizione per l’AMD<br />

neovascolare sono la fotocoagulazione laser, la<br />

terapia fotodinamica con verteepporrfina (PDT-V) e i<br />

farmaci antiangiogenici [1,12].<br />

Fotocoagulazione laser<br />

Fino a pochi anni fa l’unica terapia disponibile,<br />

diretta esclusivamente nei confronti della<br />

<strong>degenerazione</strong> <strong>maculare</strong> di tipo umido, era la<br />

fotocoagulazione laser, una terapia consistente<br />

nella distruzione dell’area della macula coinvolta<br />

d<strong>alla</strong> presenza della proliferazione fibrovascolare<br />

[12]. Tale tipo di trattamento non era peraltro<br />

applicabile in tutti i pazienti in quanto indicato<br />

nei casi di vascolarizzazione in sedi anatomiche<br />

distanti d<strong>alla</strong> fovea (extrafoveali) [12].<br />

La fotocoagulazione laser dei neovasi determina<br />

anche la distruzione dei fotorecettori della zona<br />

irradiata; ne consegue uno scotoma,<br />

corrispondente <strong>alla</strong> cicatrice retinica che si viene<br />

a formare in conseguenza al trattamento [12]. Tale<br />

trattamento è stato indagato dal Macular<br />

Photocoagulation Study, un trial clinico<br />

multicentrico e randomizzato, condotto negli anni<br />

ottanta. Lo studio ha dimostrato che, a 5 anni, una<br />

diminuzione dell’acuità visiva di 6 linee o più<br />

aveva interessato il 46% dei trattati e il 64% dei<br />

pazienti non trattati affetti da neovascola<br />

rizzazione coroideale (CNV) extrafoveale [13]; un<br />

grave deterioramento visivo, corrispondente<br />

sempre <strong>alla</strong> perdita di 6 o più linee, aveva invece<br />

colpito il 52% dei trattati e il 61% dei non trattati<br />

con CNV iuxtafoveale [14]. Nei pazienti con<br />

lesioni subfoveali, al primo trattamento con<br />

Figura 5. FACT.


fotocoagulazione laser e a 4 anni di follow up, il<br />

22% degli occhi trattati rispetto al 47% degli occhi<br />

non trattati avevano perso 6 o più linee di acuità<br />

visiva [15]. Attualmente questo tipo di trattamento<br />

è, comunque, scarsamente impiegato, in virtù del<br />

fatto che la maggior parte delle lesioni<br />

neovascolari dell’AMD sono subfoveali.<br />

Terapia fotodinamica con verteporfina (PDT-V)<br />

La terapia fotodinamica con verteporfina (PDT-<br />

V) ha rappresentato un grosso passo avanti nel<br />

trattamento dei processi neovascolari sottoretinici<br />

maculari ed è una tecnica minimamente invasiva<br />

che viene eseguita in ambito ambulatoriale.<br />

Questa terapia, introdotta <strong>alla</strong> fine degli anni '90,<br />

ha ampliato notevolmente le possibilità di cura<br />

per pazienti non altrimenti trattabili con il laser<br />

convenzionale ed è ancora oggi indicata in alcuni<br />

casi di <strong>degenerazione</strong> <strong>maculare</strong> di tipo<br />

neovascolare [16].<br />

Essa viene eseguita con raggi laser di lunghezza<br />

d’onda e potenza ridotte (lunghezza d’onda di 689<br />

± 3nm), senza applicazione di calore, dopo aver<br />

provveduto all’iniezione endovena di una<br />

sostanza colorante e fotosensibilizzante, la<br />

verteporfina (Visudyne®) <strong>alla</strong> dose di 6 mg/m 2 di<br />

superficie corporea [12]. Una caratteristica<br />

importante della verteporfina è la sua selettività<br />

per i neovasi della coroide che gli consente di<br />

agire sulla lesione neovascolare senza danneggiare<br />

la neuroretina sovrastante [16]. In seguito<br />

all'infusione endovenosa, la sostanza si accumula,<br />

infatti, selettivamente a livello delle cellule<br />

endoteliali dei neovasi grazie <strong>alla</strong> sua liposolubilità<br />

e viene successivamente attivata dal laser a diodi<br />

[14]. Una volta attivata, la sostanza determina un<br />

danno ossidativo alle cellule endoteliali con<br />

conseguente attivazione della trombosi e<br />

occlusione vascolare. Nella maggior parte dei casi,<br />

tuttavia, l’occlusione è transitoria, per cui è<br />

indispensabile ripetere la PDT-V ogni 3 mesi circa<br />

[12]. Il trattamento PDT-V, somministrato ogni 3<br />

mesi, si è dimostrato sicuro ed efficace nei<br />

seguenti studi: Treatment of Age-Related Macular<br />

Degeneration with Photodynamic Therapy (TAP)<br />

Investigation [17], Verteporfin in Photodynamic<br />

Therapy (VIP) Trials [18] e Visudyne in Minimally<br />

Classic (VIM) AMD Trial [19].<br />

Il TAP è uno studio multicentrico, condotto in<br />

22 centri europei e americani, che ha arruolato<br />

complessivamente 609 persone con CNV<br />

subfoveale prevalentemente e minimamente<br />

classica e occulta, randomizzate a ricevere la PDT-<br />

V rispetto al placebo in rapporto 2:1. Lo studio ha<br />

dimostrato che il 53% dei soggetti trattati, rispetto<br />

al 38% dei non trattati, aveva perso meno di 15<br />

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lettere a 2 anni. Nei soggetti con lesioni<br />

prevalentemente classiche, rispettivamente il 59%<br />

e il 31% dei pazienti aveva perso meno di 15<br />

lettere [17].<br />

Il trial VIP si è occupato dei pazienti con CNV<br />

occulta senza componente classica. I risultati a<br />

due anni hanno dimostrato che il 54% dei pazienti<br />

trattati, in confronto al 67% del gruppo placebo,<br />

aveva subito una diminuzione dell’acuità visiva<br />

uguale o superiore alle 15 lettere [18].<br />

Nel trial VIM [19] sono stati inclusi pazienti con<br />

CNV minimamente classica che sono stati<br />

assegnati casualmente a tre gruppi (PDT-V con<br />

fluenza standard, PDT-V con fluenza ridotta e<br />

placebo). A due anni la proporzione di pazienti<br />

che aveva perso almeno 15 lettere è risultata pari<br />

al 26%, tra coloro trattati con PDT-V a fluenza<br />

ridotta, al 53%, tra coloro trattati con fluenza<br />

standard, e al 62%, tra i controlli.<br />

La verteporfina è l’unico farmaco approvato nel<br />

2000 d<strong>alla</strong> Food and Drug Administration (FDA) e<br />

d<strong>alla</strong> Agenzia Europea di Valutazione dei<br />

Medicinali (EMEA) per la terapia fotodinamica<br />

oculare, ed è stata la prima molecola approvata<br />

per il trattamento della CNV subfoveale<br />

secondaria ad AMD. In Europa il trattamento PDT-<br />

V è approvato per la terapia delle lesioni<br />

subfoveali prevalentemente classiche [12].<br />

Inibitori del Vascular Endothelial Growth Factor<br />

(VEGF)<br />

Il processo dell'angiogenesi è regolato da un<br />

complesso insieme di fattori angiogenici e<br />

antiangiogenici. L'ipossia e determinate<br />

condizioni infiammatorie possono liberare fattori<br />

angiogenici quali il VEGF, molecola di cui esistono<br />

quattro isoforme in grado di legare tre diversi<br />

recettori che sono stati ritrovati ad alte<br />

concentrazioni sulle cellule endoteliali oculari. A<br />

livello retinico le cellule in grado di liberare il<br />

VEGF sono quelle che formano la parete dei<br />

capillari (CE, periciti, e cellule muscolari lisce);<br />

l’azione del VEGF si esplica poi sia a livello<br />

retinico sia a livello irideo, previa diffusione verso<br />

il segmento anteriore.<br />

La terapia antiangiogenica dovrebbe mirare a<br />

eliminare lo stimolo che causa la liberazione dei<br />

fattori angiogenici. Un primo approccio<br />

farmacologico è volto al blocco dei fattori<br />

angiogenici come accade con i farmaci anti-VEGF,<br />

che bloccano appunto l’azione del VEGF; un<br />

secondo approccio può essere rappresentato<br />

dall'inibizione della proliferazione delle cellule<br />

endoteliali, raggiungibile con l'inibizione o delle<br />

proteine di adesione delle cellule endoteliali, le<br />

integrine, o di quelle della matrice extracellulare<br />

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I T A L I A N J O U R N A L O F P U B L I C H E A L T H<br />

[20]. Un terzo approccio prevede invece la<br />

riattivazione dei fattori locali antiangiogenici<br />

preesistenti [20].<br />

Il trattamento antiangiogenico si caratterizza<br />

per essere un trattamento a lungo termine, della<br />

durata di mesi o anni, non esente da effetti<br />

collaterali, anche sistemici. La somministrazione<br />

dei farmaci antiangiogenici per il trattamento<br />

della AMD avviene per iniezione intravitreale con<br />

una riduzione degli effetti collaterali sistemici. I<br />

farmaci antiangiogenici oggi disponibili<br />

comprendono: pegaptanib, bevacizumab e<br />

ranibizumab.<br />

Pegaptanib (Macugen®)<br />

Pegaptanib è un aptamero, cioè un piccolo<br />

frammento di RNA sintetico che, legandosi al<br />

VEGF 165, ne impedisce il legame con il proprio<br />

recettore bloccando la conseguente formazione di<br />

vasi anomali e l’aumento della permeabilità<br />

vascolare [21]. Esso viene somministrato tramite<br />

iniezione intravitreale (0,3 mg) ogni 6 settimane<br />

per almeno due anni, previa anestesia locale.<br />

Il pegaptanib sodium è stato il primo agente<br />

anti-VEGF disponibile per uso oculare e anche il<br />

primo aptamero <strong>terapeutico</strong> approvato d<strong>alla</strong> FDA<br />

nel dicembre del 2004 [22]. La sicurezza e<br />

l’efficacia del trattamento sono state valutate da 2<br />

trial multicentrici, randomizzati, controllati e in<br />

doppio cieco (VISION) che hanno reclutato 1186<br />

pazienti affetti da CNV prevalentemente e<br />

minimamente classica e occulta in 117 centri di<br />

tutto il mondo [23, 24]. I risultati pubblicati dopo<br />

12 mesi di terapia hanno evidenziato che circa il<br />

70% dei pazienti trattati con pegaptanib (70% con<br />

0,3 mg, 71% con 1 mg e 65% con 3 mg) aveva<br />

manifestato un calo visivo inferiore a 15 lettere, in<br />

confronto al 55% dei controlli [23]. A 102<br />

settimane il 59% dei soggetti trattati aveva perso<br />

meno di 15 lettere rispetto al 45% dei soggetti<br />

trattati con placebo [24]. Sulla base di questi<br />

risultati e della scarsità di eventi avversi, il<br />

pegaptanib sodium è stato approvato per il<br />

trattamento di tutti i tipi di CNV secondaria ad<br />

AMD.<br />

Bevacizumab (Avastin®)<br />

Bevacizumab è un anticorpo monoclonale<br />

umanizzato anti-VEGF, prodotto mediante la<br />

tecnica del DNA ricombinante [21]. Il farmaco è<br />

stato approvato d<strong>alla</strong> FDA per il trattamento del<br />

cancro del colon metastatico nel 2004 e il suo<br />

utilizzo intravitreale nella AMD è oggi off-label. Al<br />

momento i risultati disponibili sull’efficacia del<br />

farmaco si basano su osservazioni aneddotiche e<br />

su dati preliminari di studi di limitata numerosità.<br />

S 1 6 C A P I T O L O 2<br />

Le possibili applicazioni del bevacizumab al di<br />

fuori del campo oncologico riguardano la terapia<br />

delle degenerazioni maculari di tipo neovascolare<br />

e delle malattie vascolari della retina caratterizzate<br />

da una marcata componente edematosa ed<br />

essudativa, come la retinopatia diabetica e<br />

l’occlusione della vena centrale della retina.<br />

La terapia della AMD prevede l’iniezione<br />

intraoculare della sostanza che, diffondendo nel<br />

corpo vitreo e nello spessore della retina, giunge a<br />

contatto con la CNV dove esercita i seguenti<br />

effetti [25]: inibizione della crescita e<br />

dell’estensione del processo neovascolare,<br />

regressione della neovascolarizzazione,<br />

stabilizzazione delle membrane endoteliali e<br />

decremento del grado di permeabilità nel<br />

microcircolo della CNV, riduzione dell’intensità di<br />

diffusione delle molecole proteiche e lipidiche<br />

negli spazi extravascolari e diminuzione<br />

dell’edema e normalizzazione dello spessore<br />

retinico <strong>maculare</strong> centrale.<br />

Ranibizumab (Lucentis®)<br />

Ranibizumab (RhuFab V2; Lucentis) è un<br />

frammento umanizzato, nello specifico la catena<br />

kappa, dell’anticorpo monoclonale IgG 1 diretto<br />

contro il VEGF [21], destinato all’uso intravitreale.<br />

Ranibizumab lega e blocca tutte le forme di<br />

VEGF (VEGF165, VEGF121 e VEGF110),<br />

prevenendo così il legame del VEGF ai suoi<br />

recettori VEGFR-1 e VEGFR-2 e, di conseguenza, la<br />

proliferazione delle cellule endoteliali, la<br />

neovascolarizzazione e l’aumento della<br />

permeabilità vasale [26]. Rispetto al suo<br />

precursore bevacizumab, ranibizumab è una<br />

molecola più piccola con raggio e peso<br />

molecolare inferiore (48 kD), caratteristiche che<br />

giustificano la maggior capacità di penetrare tutti<br />

gli strati della retina e, quindi, di diffondere nello<br />

spazio sottoretinico dopo somministrazione<br />

intravitreale. Ciò massimizza l’effetto inibitorio nei<br />

confronti del VEGF nella retina minimizzando,<br />

però, l’inibizione sistemica del VEGF [27].<br />

Le più importanti evidenze scientifiche circa<br />

l’efficacia di ranibizumab derivano da tre trial<br />

clinici: lo studio MARINA (Minimally<br />

classic/occult trial of the Anti-VEGF antibody<br />

Ranibizumab In the treatment of Neovascular<br />

AMD) [28], lo studio ANCHOR (ANti-VEGF<br />

Antibody for the Treatment of Predominantly<br />

Classic CHORoidal Neovascularization in AMD)<br />

[29] e lo studio PIER (Phase IIIb, Multicenter,<br />

Randomized, Double-Masked, Sham Injection-<br />

Controlled Study of the Efficacy and Safety of<br />

Ranibizumab in Subjects with Subfoveal<br />

Choroidal Neovasularization with or without


I T A L I A N J O U R N A L O F P U B L I C H E A L T H<br />

Classic CNV Secondary to Age-Related Macular<br />

Degeneration) [30].<br />

Lo studio MARINA [28], condotto su 716<br />

pazienti con AMD e CNV minimamente classica o<br />

occulta randomizzati a ricevere o trattamento con<br />

0,3 o 0,5 mg/mese di ranibizumab intravitreale o<br />

placebo, ha dimostrato che, a 2 anni, il 92% e il<br />

90% dei pazienti con AMD essudativa, trattati<br />

rispettivamente con 0,3 mg e 0,5 mg di<br />

ranibizumab, aveva un’acuità visiva migliorata o<br />

stabile (perdita minore di 15 lettere), rispetto al<br />

52,9% dei pazienti trattati con placebo. Il<br />

trattamento si è inoltre dimostrato in grado di far<br />

guadagnare un numero di lettere uguale o<br />

superiore a 15 in circa il 25% e il 33% dei soggetti<br />

trattati con 0,3 mg e 0,5 mg di ranibizumab<br />

rispetto al 5% del gruppo di controllo.<br />

Lo studio ANCHOR, che ha considerato soggetti<br />

con AMD e CNV prevalentemente classica [29], a<br />

24 mesi ha riportato che il 90% e l’89,9% dei<br />

pazienti che avevano ricevuto, rispettivamente,<br />

0,3 mg e 0,5 mg di ranibizumab avevano perso<br />

meno di 15 lettere contro il 65,7% di coloro<br />

trattati con PDT-V. Inoltre il 34,3% e il 41% dei<br />

soggetti trattati con 0,3 o con 0,5 mg di<br />

ranibizumab avevano guadagnato più di 15 lettere<br />

rispetto al 6,3% di coloro trattati con PDT-V.<br />

Lo studio PIER [30], condotto su 184 pazienti<br />

con AMD e CNV di tutti i tipi, randomizzati a<br />

ricevere 0,3 mg o 0,5 mg di ranibizumab<br />

intravitreale o una sham injection ogni mese, per i<br />

primi 3 mesi, e, successivamente, ogni 3 mesi per<br />

2 anni, ha dimostrato che, a 12 mesi, l’83,3% e il<br />

90,2% dei pazienti trattati con ranibizumab (0,3 e<br />

0,5 mg rispettivamente) avevano perso meno di<br />

15 lettere rispetto al 49,2% del gruppo di<br />

controllo; l’11,7% e il 13,1% dei pazienti trattati<br />

Tabella 1. Protocolli di trattamento. Tempistica e indagini prescritte per il controllo del trattamento.<br />

JPH - Year 7, Volume 6, Number 2, Suppl. 3, 2009<br />

con 0,3 mg e 0,5 mg di ranibizumab avevano<br />

guadagnato 15 o più lettere rispetto al 9,5% dei<br />

pazienti trattati con sham.<br />

Maggiori dettagli sugli studi di efficacia del<br />

ranibizumab verranno comunque descritti nel<br />

capitolo successivo.<br />

Nel 2006 e nel 2007, rispettivamente la FDA e la<br />

EMEA hanno approvato l’utilizzo di questo<br />

farmaco per la terapia dell’AMD neovascolare,<br />

sulla base dei dati prodotti d<strong>alla</strong> ricerca scientifica<br />

[31].<br />

Compliance al trattamento<br />

La compliance al trattamento costituisce un<br />

elemento che potrebbe potenzialmente<br />

influenzare l’efficacia delle terapie descritte. Essa<br />

dipende sia da aspetti legati alle modalità di<br />

somministrazione del farmaco e alle precauzioni e<br />

indicazioni da seguire prima, durante e dopo lo<br />

svolgimento del trattamento, sia da aspetti più<br />

strettamente correlati al paziente, di tipo<br />

comportamentale e caratteriale.<br />

Per la fotocoagulazione laser, gli elementi che<br />

potrebbero influenzare la compliance sono<br />

relativamente pochi. Infatti, il trattamento è<br />

eseguito a livello ambulatoriale, previa dilatazione<br />

pupillare e anestesia oculare con collirio, e ha una<br />

durata di 15-20 minuti. Il trattamento è poco<br />

doloroso e, nella maggioranza dei casi, è<br />

immediatamente possibile riprendere le attività<br />

quotidiane già dal giorno dopo. Le cure locali<br />

post-operatorie si limitano all’instillazione di<br />

gocce anti-infiammatorie [32].<br />

Nella terapia fotodinamica, in considerazione<br />

della natura fotosensibile della verteporfina,<br />

occorre che il paziente eviti l’esposizione <strong>alla</strong> luce<br />

solare diretta o <strong>alla</strong> luce artificiale intensa per 24-<br />

C A P I T O L O 2 S 1 7


JPH - Year 7, Volume 6, Number 2, Suppl. 3, 2009<br />

I T A L I A N J O U R N A L O F P U B L I C H E A L T H<br />

48 ore dopo il trattamento [33].<br />

Per quello che riguarda i farmaci<br />

antiangiogenici, l’elemento più importante nella<br />

determinazione della compliance è l’iniezione<br />

intravitreale, previa anestesia locale mediante o il<br />

solo utilizzo di colliri anestetici o un’iniezione<br />

peribulbare o retrobulbare. Altri potenziali fattori<br />

che potrebbero influenzare la compliance sono le<br />

prescrizioni post-operatorie: il paziente deve,<br />

infatti, instillare nell’occhio gocce antibiotiche e<br />

aver cura di non esercitare forti pressioni<br />

meccaniche sull’occhio operato, non fare sforzi<br />

fisici eccessivi e non utilizzare macchinari o<br />

strumenti pericolosi [34].<br />

La compliance si è comunque dimostrata buona<br />

nello studio MARINA in cui, a 24 mesi, l’89% dei<br />

pazienti trattati e l’80% di coloro che avevano<br />

ricevuto il placebo si sono resi disponibili <strong>alla</strong><br />

valutazione clinica.<br />

Altri elementi da considerare nella valutazione<br />

della compliance sono i controlli periodici a cui il<br />

paziente deve sottoporsi nel corso del<br />

trattamento. Riportiamo a tal proposito, in Tabella<br />

1, la frequenza e la tipologia degli stessi per<br />

ciascun tipo di trattamento [6].<br />

La compliance è influenzata anche dai possibili<br />

effetti avversi della terapia.<br />

Effetti avversi<br />

Per quanto riguarda la fotocoagulazione laser, i<br />

principali eventi avversi sono rappresentati da<br />

alterazioni del campo visivo e d<strong>alla</strong> riduzione<br />

dell’acuità visiva [34]. Altre complicazioni meno<br />

gravi e frequenti comprendono le cheratiti, le<br />

infezioni corneo-congiuntivali, la midriasi<br />

prolungata, crisi di glaucoma acuto [34].<br />

Relativamente <strong>alla</strong> PDT-V, i possibili effetti<br />

collaterali sono infrequenti e attribuibili in parte<br />

<strong>alla</strong> procedura di fotocoagulazione e in parte <strong>alla</strong><br />

somministrazione del farmaco. Relativamente agli<br />

effetti collaterali di primo tipo essi comprendono:<br />

visione anomala o ridotta (di solito transitoria),<br />

modificazioni del campo visivo ed emorragie<br />

all’interno dell’occhio [33]. Dall’atro lato, la<br />

cefalea, le variazioni della pressione sanguigna, le<br />

lombalgie durante l’infusione, le vertigini, il<br />

prurito, la nausea, le sincopi, le aritmie, le reazioni<br />

di ipersensibilità e le reazioni nel sito di iniezione<br />

possono risultare d<strong>alla</strong> somministrazione del<br />

farmaco [33].<br />

Gli effetti avversi da farmaci antiangiogenici si<br />

espletano sia a carico delle strutture oculari sia a<br />

livello sistemico. Le complicanze oculari, riferite<br />

<strong>alla</strong> procedura di iniezione, si distinguono in<br />

preoperatorie, intraoperatorie e postoperatorie<br />

[34]. Le complicanze preoperatorie (legate<br />

S 1 8 C A P I T O L O 2<br />

all'anestesia con iniezione) comprendono la<br />

perforazione del bulbo oculare, con o senza<br />

iniezione di anestetico nel bulbo oculare, la<br />

lesione del nervo ottico, l’emorragia palpebrale<br />

e/o perioculare e/o retrobulbare e la lesione dei<br />

muscoli dell'occhio [34]. Tra le complicanze<br />

intraoperatorie annoveriamo la lacerazione della<br />

congiuntiva, la lesione del cristallino, l’emorragia<br />

vitreale e l’emorragia coroideale [34]. Le<br />

complicanze postoperatorie sono invece<br />

rappresentate d<strong>alla</strong> lacerazione della retina e/o<br />

distacco retinico, dal distacco di coroide,<br />

dall’infezione oculare, dalle alterazioni della<br />

macula, dall’emorragia retinica e/o vitreale, d<strong>alla</strong><br />

proliferazione vitreoretinica, d<strong>alla</strong> cataratta, d<strong>alla</strong><br />

rottura sclerale/scleromalacia, dall’ipertono, d<strong>alla</strong><br />

riduzione transitoria o permanente della<br />

pressione oculare, d<strong>alla</strong> riduzione dell'acuità<br />

visiva, dai difetti del campo visivo, dallo strabismo<br />

e/o la diplopia, dalle miodesopsie, d<strong>alla</strong> ptosi,<br />

dall’atrofia del nervo ottico e dal glaucoma [34].<br />

Accanto a tale lista di effetti collaterali, comunque<br />

rari, sono da considerare anche quelli sistemici<br />

correlati <strong>alla</strong> somministrazione del farmaco e<br />

descritti nel capitolo relativo agli aspetti<br />

organizzativi al quale, quindi, si rimanda per un<br />

approfondimento.<br />

Conclusioni<br />

Nell’ambito dell’approccio <strong>diagnostico</strong> <strong>alla</strong><br />

AMD, gli ottotipi per la rilevazione dell’acuità<br />

visiva e la fluorangiografia/OCT costituiscono gli<br />

strumenti fondamentali. Dal punto di vista della<br />

valutazione dell’efficacia dei trattamenti<br />

disponibili per la AMD, uno degli end-point di<br />

primaria importanza è proprio l’acuità visiva,<br />

rilevata con le tavole ETDRS; anche la<br />

caratterizzazione delle lesioni e la valutazione<br />

della loro progressione tramite fluorangi<br />

ografia/OCT costituiscono un importante aspetto<br />

dello studio del treatment outcome. Le terapie a<br />

disposizione per la AMD neovascolare<br />

comprendono la fotocoagulazione laser, la terapia<br />

fotodinamica con verteporfina (PDT-V) e i farmaci<br />

antiangiogenici. La fotocoagulazione laser riveste<br />

oggi un ruolo ormai marginale, mentre la terapia<br />

fotodinamica, eseguita con la somministrazione<br />

endovena di una sostanza fotosensibilizzante, la<br />

verteporfina, seguita dall’impiego di raggi laser di<br />

lunghezza d’onda e potenza ridotte, trova ancora<br />

indicazione in alcuni casi caratterizzati da lesioni<br />

neovascolari subfoveali prevalentemente<br />

classiche. Tra i farmaci antiangiogenici<br />

annoveriamo il pegaptanib, il bevacizumab e il<br />

ranibizumab. Il pegaptanib sodium è stato il primo<br />

agente anti-VEGF disponibile per uso oculare; la


usa efficacia è stata dimostrata dallo studio VISION<br />

i cui risultati a 2 anni hanno mostrato che il 59%<br />

dei soggetti trattati aveva perso meno di 15 lettere<br />

rispetto al 45% dei soggetti trattati con placebo. Il<br />

bevacizumab è un anticorpo monoclonale<br />

approvato d<strong>alla</strong> FDA per il trattamento del cancro<br />

del colon metastatico, il cui utilizzo intravitreale è<br />

oggi off-label. Ranibizumab è un frammento<br />

umanizzato dell’anticorpo monoclonale IgG 1<br />

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Five-year results from randomized clinical trials. Macular<br />

Photocoagulation Study Group. Arch Ophthalmol<br />

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15) Macular Photocoagulation Study Group. Laser<br />

JPH - Year 7, Volume 6, Number 2, Suppl. 3, 2009<br />

I T A L I A N J O U R N A L O F P U B L I C H E A L T H<br />

anti-VEGF destinato all’uso intravitreale; la sua<br />

efficacia è stata provata da tre diversi trial clinici<br />

randomizzati (MARINA, PIER, ANCHOR) in base ai<br />

quali è stato possibile stimare che una perdita in<br />

acuità visiva inferiore a 15 lettere ha interessato<br />

circa il 90% dei soggetti trattati con ranibizumab<br />

contro il 50% dei soggetti trattati con placebo e il<br />

66% dei soggetti trattati con terapia fotodinamica.<br />

photocoagulation of subfoveal neovascular lesions of agerelated<br />

macular degeneration. Updated findings from two<br />

clinical trials. Macular Photocoagulation Study Group. Arch<br />

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Verteporfin therapy of subfoveal choroidal neovascularization<br />

in age-related macular degeneration: two-year results of a<br />

randomized clinical trial including lesions with occult with no<br />

classic choroidal neovascularization--verteporfin in<br />

photodynamic therapy report 2. Am J Ophthalmol<br />

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C A P I T O L O 2 S 1 9


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[Ultimo accesso maggio 2009].

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