Percorsi didattici Il Futurismo nel territorio bresciano ... - Vie dell'Arte
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Valerio Terraroli<br />
E poi si arriva al polimaterico; è uno degli ultimi esiti della cultura del secondo <strong>Futurismo</strong>. Questa<br />
è un’opera di Prampolini del 1936 ed è un bozzetto per la decorazione della sala d’attesa di un<br />
aeroporto; il visitatore si sarebbe trovato sulla testa questa composizione che in realtà non è scultura,<br />
non è pittura, non è mosaico, non è vetrata, è appunto polimaterica perché fatta di legno di sughero,<br />
filo elettrico, sagoma di legno, sagoma di acciaio, fili, ed è praticamente il movimento di un aereo che<br />
si compenetra con la terra in forme astratte. Questa polimatericità, cioè l’andare a prendere l’oggetto<br />
o il materiale del quotidiano e farlo diventare oggetto d’arte, l’aveva inventato Marcel Duchamp e<br />
quindi di nuovo vedete quanto i futuristi siano immersi <strong>nel</strong>la circolarità della cultura europea.<br />
Per finire vi mostro questo oggetto che è diciamo il punto nodale, secondo me, del discorso<br />
futurista cioè l’idea, il grande sogno dell’opera d’arte totale che era il grande obiettivo della<br />
cultura del Modernismo internazionale, la grande utopia di fine Ottocento, inizi Novecento. Si era<br />
convinti che con la tecnologia, con la scienza, con la crescita esponenziale positiva dell’umanità, si<br />
sarebbe arrivati a un’umanità perfetta. Poi questo non è successo per le infinite contraddizioni del<br />
nostro mondo, dell’economia, della politica, anche della cultura, due guerre mondiali, l’olocausto,<br />
il terrorismo contemporaneo ha cambiato il secolo. Ma il grande sogno è rimasto, i futuristi<br />
l’avevano sposato in pieno, anche loro, e già il manifesto di Marinetti lo diceva con parole violente<br />
“vogliamo cambiare il mondo”, il mondo deve essere diverso, il mondo deve essere totalizzante,<br />
l’arte deve essere totalizzante.<br />
E infatti <strong>nel</strong> 1914 Balla aveva progettato, poi non fu mai realizzato perché allora era tecnologicamente<br />
irrealizzabile è sarà realizzato solo negli anni Novanta sui progetti dell’artista, una scenografia teatrale<br />
visibile oggi in esposizione a palazzo Reale a Milano, legata a una musica di Stravinskij intitolata<br />
Fuochi d’artificio. Era un’esperienza totalizzante perché lo spettatore, dentro questo piccolo teatro,<br />
percepisce suoni, musica, ritmi, vede luci che si accendono e si spengono, che modificano le forme<br />
di un paesaggio assolutamente onirico e geometrizzante, in un ritmo cadenzato che dura circa 20<br />
minuti. È una esperienza totalizzante. In altre parole è come se, secondo le teorie wagneriane prese<br />
di peso dall’Ottocento, cioè le teorie del coinvolgimento del pubblico dentro l’opera d’arte totale,<br />
Balla avesse dato vita a questo sogno. E quale poteva essere il titolo più adatto a un futurista: Fuochi<br />
d’artificio, cioè qualcosa di assolutamente esplosivo, inaspettato, che crea stupore e crea bellezza.<br />
Ennio Ferraglio<br />
L’editoria periodica futurista ed uno sguardo alla realtà bresciana<br />
La storia del <strong>Futurismo</strong> <strong>bresciano</strong> si articola in gran parte attorno alla figura di Filippo<br />
Tommaso Marinetti e alle sue “apparizioni” in città più che attorno ad autori che abbiano<br />
interpretato genuinamente, <strong>nel</strong> contesto locale, le istanze propugnate, lungo buona parte<br />
dell’arco della prima metà del XX secolo, dai fautori della modernità e dello svecchiamento<br />
della tradizione culturale. Marinetti, dopo aver saggiato le reazioni del pubblico (con un<br />
occhio, però, anche a quel che dicevano i giornali) all’indomani di una delle non frequenti<br />
“serate futuriste” bresciane della prima metà del secolo, aveva potuto individuare, <strong>nel</strong><br />
contesto culturale cittadino una qualche inclinazione latente verso il rinnovamento delle<br />
istanze culturali. Già il fatto stesso che le serate fossero costruite attorno alla figura di<br />
Marinetti, alla sua i<strong>nel</strong>udibile presenza – costituita al tempo stesso da fisicità dirompente,<br />
energia vitale e una sorta di misticismo della velocità e della macchina – e ai riferimenti<br />
culturali “filtrati” in un’ottica tutto sommato estranea al tessuto culturale locale, lasciano<br />
ben intendere quali fossero le difficoltà per gli esponenti del movimento ad affermarsi<br />
stabilmente. Specchio più o meno fedele di questa realtà sono le cronache riportate sui<br />
giornali, <strong>nel</strong>le quali vengono raccontate le serate futuriste, ma anche la produzione di articoli<br />
e recensioni di opere, edizioni, mostre connesse più o meno strettamente con il <strong>Futurismo</strong><br />
italiano.<br />
Se si concentra l’attenzione sull’editoria italiana <strong>nel</strong> periodo futurista – con un limite<br />
cronologico convenzionale coincidente con la fine della seconda guerra mondiale – gli<br />
spunti di ricerca sono molteplici e di grande interesse. Per quanto riguarda la produzione<br />
periodica di giornali e riviste, va detto che al di fuori del normale binario rappresentato<br />
dalle vere e proprie riviste futuriste, cioè nate come espressione di un movimento editoriale<br />
genuinamente futurista, troviamo una produzione ricchissima, vasta per nomi e per interventi<br />
che fanno riferimento a questo movimento. Si tratta di una produzione che sceglie un<br />
metodo espressivo tradizionale e “normale” per spiegare un fenomeno che le persone<br />
vivevano come un momento di rottura, di vera rivoluzione copernicana della visione culturale<br />
della realtà, facendo però ricorso a strumenti, tecniche e parole ormai consolidate <strong>nel</strong>la<br />
tradizione della critica letteraria, della saggistica e del giornalismo.<br />
All’interno di testi di critica letteraria non futurista è possibile rinvenire aspetti legati, ad<br />
esempio, alle manifestazioni artistiche di arti visive o sceniche, sia testi a commento di opere<br />
di poesia, di musica o di narrativa di autori futuristi. Molti interventi si trovano, per esempio,<br />
<strong>nel</strong>le pagine della Fiera letteraria, che ospitò fra l’altro l’edizione delle lettere di guerra di<br />
Boccioni; su L’Italia letteraria comparvero articoli di Azari sulla “vita simultanea futurista” e<br />
molto altro.<br />
<strong>Il</strong> caso <strong>bresciano</strong> è singolare. Anche se non propriamente futurista, Brescia non fu città<br />
inerte e insensibile al fenomeno. Del resto, molti elementi paralleli contribuivano a costituire<br />
una sorta di substrato, di humus culturale ed ideologico, di tessuto fertile per la diffusione<br />
del verbo futurista. Brescia è da sempre una città a forte vocazione industriale, con una<br />
dimestichezza secolare nei confronti delle macchine, del metallo e del fuoco, del rombo dei<br />
motori e delle fabbriche. È anche la città del primo circuito aereo della storia dell’aviazione<br />
italiana: a Montichiari, dall’8 al 20 settembre 1909, si ritrovarono, fra molti appassionati<br />
e temerari pionieri dell’aviazione, anche Kafka, Brod e D’Annunzio; e per una delle<br />
inaspettate coincidenze di cui la Storia è munifica dispensatrice, il 1909 è anche l’anno della<br />
pubblicazione del Manifesto del <strong>Futurismo</strong>.<br />
La prima presenza “pubblica” di Marinetti a Brescia risale al 2 gennaio 1914, in occasione<br />
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