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Percorsi didattici Il Futurismo nel territorio bresciano ... - Vie dell'Arte

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Fondazione<br />

<strong>Il</strong> Vittoriale degli Italiani<br />

Gardone Riviera<br />

Musei Civici<br />

d’Arte Storia e Scienze<br />

di Brescia<br />

Fondazione<br />

Ugo Da Como<br />

Lonato<br />

Le vie dell’arte<br />

<strong>Percorsi</strong> <strong>didattici</strong><br />

<strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>:<br />

simbolo, astrazione, modernità


Con il contributo di<br />

regione<br />

usp<br />

comunità bresciana<br />

Regione Lombardia<br />

Culture, Identità e Autonomie della Lombardia<br />

Rappresentanti istituzioni museali:<br />

Giordano Bruno Guerri - Fondazione <strong>Il</strong> Vittoriale degli Italiani<br />

Elena Lucchesi Ragni - Musei Civici di Arte e Storia di Brescia<br />

Antonio Spada - Fondazione Ugo Da Como<br />

Coordinatore del progetto “Le vie dell’arte”<br />

Giovanna Ciccarelli - Consigliere d’Amministrazione <strong>Il</strong> Vittoriale degli Italiani<br />

Coordinatore tecnico<br />

Elena Zanini - Didattica museale: <strong>Il</strong> Vittoriale degli Italiani<br />

Referenti del progetto per i singoli musei<br />

Elena Zanini - <strong>Il</strong> Vittoriale degli Italiani<br />

Angela Bersotti - Musei Civici di Arte e Storia di Brescia<br />

Stefano Lusardi con Roberta Valbusa - Casa-museo-biblioteca di Ugo Da Como<br />

Referente del progetto per l’USP di Brescia<br />

Elisabetta Conti<br />

Realizzazione editoriale<br />

Marco Serra Tarantola editore<br />

isbn 978-88-95839-85-1<br />

www.tarantola.it<br />

editore@tarantola.it<br />

Finito di stampare <strong>nel</strong> maggio 2010<br />

da Color Art, Rodengo Saiano, Brescia<br />

Sommario<br />

5 Presentazioni istituzionali<br />

14 Relazioni degli esperti<br />

ai corsi di aggiornamento<br />

Giordano Bruno Guerri<br />

D’Annunzio e Marinetti. L’arte al potere<br />

Valerio Terraroli<br />

<strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> come arte d’avanguardia<br />

Ennio Ferraglio<br />

L’editoria in epoca futurista<br />

Melania Gazzotti<br />

Grafica e libro in epoca futurista<br />

Elena Lucchesi Ragni<br />

Romolo Romani e i futuristi<br />

<strong>nel</strong>le collezioni bresciane<br />

Angela Bersotti<br />

Attività didattiche correlate alla mostra<br />

sul <strong>Futurismo</strong><br />

<strong>Percorsi</strong> <strong>didattici</strong><br />

Fondazione <strong>Il</strong> Vittoriale degli Italiani”<br />

57 Progetto 1: Fragori e acrobazie<br />

Scuola Primaria “A. Lozzia” - Gardone Riviera<br />

75 Progetto 2: Meglio convien credere<br />

al corpo che all’anima<br />

Scuola Secondaria di I grado “Giovanni XXIII”<br />

- Gardone Riviera<br />

85 Progetto 3: <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong>: “La Velocità”<br />

Istituto Tecnico commerciale e per Geometri<br />

“Battisti” - Salò<br />

97 Progetto 4: D’Annunzio e Marinetti<br />

andata e Ritorno<br />

Liceo Scientifico “Copernico” - Brescia<br />

121 Progetto 5: L’uomo del novecento e l’orizzonte<br />

tecnologico: il destino dell’uomo macchina<br />

Liceo Scientifico “Fermi” - Salò<br />

Santa Giulia, Museo della Città<br />

140 Progetto 6: E lasciateci divertire!<br />

Scuola primaria “G. Mameli” - Brescia<br />

155 Progetto 7: Alla ricerca dei futuristi<br />

Scuola Secondaria di I grado “Lana Fermi”<br />

- Brescia<br />

177 Progetto 8: <strong>Il</strong> futurismo, la guerra, la politica:<br />

un approccio storico e artistico<br />

Liceo Classico “Arnaldo” - Brescia<br />

Fondazione Ugo da Como<br />

196 Progetto 9: <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong>.<br />

“Composizioni dinamiche”<br />

Scuola Secondaria di I grado “Tarello” - Lonato<br />

204 Progetto 10: Uccidiamo il chiaro di luna<br />

Liceo Pedagogico e Linguistico “Paola di Rosa”<br />

- Lonato


<strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>: simbolo astrazione modernità<br />

Progetto di un percorso didattico de Le vie dell’arte<br />

<strong>Il</strong> progetto <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>: simbolo astrazione modernità è nato con l’intento di far conoscere il<br />

grande patrimonio artistico e culturale presente <strong>nel</strong>la zona di Brescia e del Garda <strong>bresciano</strong> utilizzando come punto<br />

di partenza le raccolte del Vittoriale degli Italiani di Gardone Riviera, del Museo di Santa Giulia di Brescia e della<br />

Fondazione Ugo Da Como di Lonato, enti museali uniti dal protocollo d’intesa “Le vie dell’arte” per una valorizzazione<br />

e promozione comune delle proprie particolari articolate realtà.<br />

<strong>Il</strong> progetto fonda le sue basi su lavori già svolti dai tre musei attraverso una lunga esperienza di collaborazione con<br />

le scuole <strong>nel</strong> corso degli a.s. 2004-2008. Sono stati infatti realizzati in tale periodo, per le <strong>Vie</strong> dell’Arte, i progetti<br />

<strong>Percorsi</strong> <strong>didattici</strong> sulla Vittoria e Sulle orme dei collezionisti quest’ultimo proposto dal Ministero dell’Istruzione.<br />

Le <strong>Vie</strong> dell’Arte attivano, anche in questa occasione, la collaborazione fra le tre istituzioni museali ed il mondo della<br />

scuola, di conseguenza anche il progetto <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>: simbolo astrazione modernità, come<br />

i precedenti, gode del patrocinio e della supervisione dell’Ufficio Scolastico Provinciale di Brescia e del contributo<br />

della Regione Lombardia e della Fondazione della Comunità Bresciana.<br />

È un progetto biennale – anni scolastici 2008/2009 e 2009/2010 – che ha individuato appunto <strong>nel</strong> <strong>Futurismo</strong> il<br />

tema del nuovo percorso didattico, in considerazione del centenario della pubblicazione del Manifesto Futurista di<br />

Filippo Tommaso Marinetti che anche Brescia ha voluto commemorare con una serie di manifestazioni.<br />

Nella prima fase (a.s. 2008/2009) sono stati realizzati corsi di approfondimento tenuti <strong>nel</strong>l’Auditorium di Santa Giulia<br />

da autorevoli relatori di cui vengono pubblicati gli interventi in questo volume, interventi che hanno analizzato il<br />

<strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> contesto generale storico-artistico dell’epoca e <strong>nel</strong> rapporto con gli artisti bresciani<br />

I corsi hanno visto la partecipazione di numeroso pubblico di appassionati e di insegnanti di scuole di ogni ordine<br />

e grado. È stato inoltre organizzato, inizio anno scolastico 2009/2010, un ulteriore corso di approfondimento per<br />

docenti sulla conoscenza dei linguaggi espressivi del <strong>Futurismo</strong>, con l’allestimento di una mostra – selezione di<br />

15 dipinti – opere di Romolo Romani e di artisti del “Secondo <strong>Futurismo</strong>”, di proprietà dei Musei Civici di Brescia:<br />

obiettivo quello di promuovere una collezione mai precedentemente fruita dalle scuole.<br />

Nella seconda fase i protagonisti sono stati soprattutto gli studenti delle varie scuole di Brescia e del <strong>territorio</strong><br />

Gardesano – n. 11 Istituti dalle Primarie alle Superiori – che <strong>nel</strong> corso dell’anno scolastico si sono impegnati nei<br />

laboratori <strong>didattici</strong> interdisciplinari su vari aspetti specifici di uno o più musei delle <strong>Vie</strong> dell’Arte.<br />

Studenti ed insegnanti sono quindi i veri protagonisti di questa proposta che unisce la ricerca storica a momenti<br />

pratici di riscoperta di un <strong>Futurismo</strong> poco noto <strong>nel</strong> mondo scolastico.<br />

Da “d’Annunzio a Marinetti”, dalla “Velocità” al “Destino dell’uomo macchina”, dalle “Composizioni dinamiche” alla<br />

“Ricerca dei futuristi”, fino ad “Uccidere il chiaro di luna” con “Fragori ed acrobazie”, solo alcuni tra i tanti argomenti<br />

futuristi trattati con spirito d’inventiva dalle scuole coinvolte in questa “avventura” da cui traspare l’entusiasmo dei<br />

ragazzi che vi hanno partecipato.<br />

Questo volume, che raccoglie quindi i <strong>Percorsi</strong> <strong>didattici</strong> sul <strong>Futurismo</strong>, potrà essere strumento metodologico per altre<br />

scuole che intendono individuare e realizzare itinerari orientati alla conoscenza dei musei e del loro <strong>territorio</strong>.<br />

5 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

dott.ssa Giovanna Ciccarelli<br />

Consigliere d’amministrazione del Vittoriale<br />

Coordinatrice del progetto


L’Ufficio Scolastico Provinciale di Brescia anche quest’anno patrocina con convinzione l’importante progetto Le <strong>Vie</strong><br />

dell’Arte, ritenendolo tra le attività più significative realizzate per mettere in contatto il mondo della scuola con le realtà<br />

territoriali museali, per suscitare nei giovani il desiderio di avvicinarsi sempre più ai luoghi di raccolta di collezioni<br />

importanti, per costruire occasioni di conoscenza diretta e di studio del nostro patrimonio artistico e culturale e momenti<br />

di confronto ed approfondimento interdisciplinare.<br />

Si è parlato molto di <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong>l’anno scolastico 2009-2010, in tutta Italia, in occasione del centenario della nascita<br />

del movimento, avvenuta <strong>nel</strong> 1909 con la pubblicazione del Manifesto di Marinetti, pubblicato su Le Figaro e prima<br />

ancora presentato a Milano.<br />

Ma anche di norma <strong>nel</strong> curricolo scolastico si studiano, dal punto di vista letterario, autori quali Marinetti, Govoni,<br />

Palazzeschi e, dal punto di vista artistico, Balla, Boccioni e Romolo Romani, che forse è meno conosciuto ma fortemente<br />

presente <strong>nel</strong> nostro museo cittadino.<br />

<strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> potrebbe apparire movimento da affrontare con attenzione ed interesse proprio oggi, in una società che<br />

sembra riproporre diversi fermenti e sensibilità che sembrerebbero ripresentare il fenomeno <strong>Futurismo</strong> di nuovo vicino,<br />

di nuovo un grido.<br />

Marinetti diceva che bisogna distruggere la sintassi, togliere l’aggettivo, togliere il verbo, togliere la punteggiatura ed<br />

arrivare ad un maximum di disordine. Per più aspetti a questo sembrano a<strong>nel</strong>are oggi molti ragazzi, <strong>nel</strong> comportamento<br />

e <strong>nel</strong>l’uso dei linguaggi.<br />

E tuttavia, ad evitare superficialità e confusioni indebite, non si può e non si deve tralasciare di inquadrare correttamente<br />

il <strong>Futurismo</strong> in un periodo storico ben definito, il primo Novecento, con i necessari collegamenti ad una Scapigliatura<br />

milanese, che già lanciava qualche messaggio in questa direzione, ed al clima sociale, artistico e culturale in cui maturò<br />

e si espresse.<br />

<strong>Il</strong> corso di formazione organizzato per gli insegnanti ed aperto alla città ha sicuramente permesso di approfondire i temi<br />

propri del <strong>Futurismo</strong> ed i lavori che ne sono scaturiti, realizzati e presentati dalle scuole, sono di significativo spessore<br />

culturale ed interessanti per gli aspetti metodologici, atti a rendere il movimento comprensibile ai ragazzi attraverso<br />

la lettura delle opere conservate nei tre musei, i cui Enti, promotori del progetto, apprezziamo e ringraziamo per<br />

l’attenzione formativa espressa e la proficua sinergia realizzata <strong>nel</strong>l’azione.<br />

Maria Rosa Raimondi<br />

Dirigente USP<br />

Sulle vie della ricerca, della conoscenza e del bello<br />

6 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 7 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

<strong>Il</strong> Vittoriale degli Italiani e Le vie dell’Arte hanno una lunga e fruttuosa esperienza di scambio e di lavoro con le<br />

scuole. Scambio e lavoro, dico, perché non si tratta di una pedissequa esercitazione scolastica, ma di un’esperienza<br />

vivificante per tutti i soggetti coinvolti.<br />

Lo dimostra il lavoro compiuto negli ultimi due anni con il tema – attualissimo eppure di solito trascurato – del<br />

futurismo. I corsi di approfondimento, tenuti da specialisti, hanno coinvolto docenti e allievi, studiosi e pubblico. I<br />

laboratori <strong>didattici</strong> interdisciplinari, svolti da undici Istituti, hanno visto gli studenti del Bresciano e del Gardesano<br />

sviluppare autonomamente i temi proposti: con applicazione, creatività e passione, come si vede dai lavori presenti<br />

in questo volume.<br />

Sono particolarmente lieto che sia stato così ben elaborato il tema da me proposto, “D’Annunzio e Marinetti”,<br />

segno che è stato colto uno degli aspetti meno studiati e conosciuti del futurismo: ovvero i legami intellettuali,<br />

profondamente innovativi, che unirono due uomini per altri versi tanto diversi e lontani.<br />

È la prova, ce ne fosse ancora bisogno, che il Vittoriale è un organismo vivo, capace di stimolare ragazzi e adulti<br />

sulla via della ricerca, della conoscenza e del bello: sulle <strong>Vie</strong> dell’Arte.<br />

Giordano Bruno Guerri<br />

Presidente del Vittoriale degli Italiani


COMUNE DI BRESCIA<br />

Assessorato alle Attività Culturali<br />

Con la sua infrazione clamorosa delle regole, la contestazione programmatica al passatismo, le straordinarie<br />

invenzioni – tutte deflagranti creatività – il <strong>Futurismo</strong>, proto-movimento della modernità e avanguardia italiana alla<br />

quale tutto il mondo dell’arte rinnovata attinse, ha polarizzato l’attenzione di numerosi studenti coinvolti <strong>nel</strong> progetto<br />

“Le vie dell’arte”. <strong>Il</strong> movimento, del quale è stato recentemente celebrato il centenario, è stato inserito come tappa<br />

dell’anno di questa meritoria iniziativa, che unisce tre istituzioni di grande vaglia, situate <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>: <strong>Il</strong><br />

Vittoriale, Santa Giulia e La Fondazione da Como.<br />

E proprio percorrendo queste vie, i ragazzi si sono trovati al cospetto di proposte estremamente coinvolgenti,<br />

modulate attorno al patrimonio conservato nei nostri musei e attraverso convegni, lezioni e mostre. Ottimi sono<br />

stati i risultati, come dimostra il livello qualitativo e contenutistico di questa pubblicazione, curata da Giovanna<br />

Ciccarelli, consigliere d’amministrazione del Vittoriale e coordinatrice del progetto. Le proposte hanno fatto leva<br />

sul coinvolgimento emotivo dei ragazzi per giungere rapidamente a un livello di conoscenza, di approfondimento,<br />

nonché di diretta di manipolazione di materiali-tipo di origine futurista.<br />

<strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong>, del resto, dimostra di parlare ai ragazzi con un’efficacia dirompente, per quanto siano trascorsi<br />

ormai più di cent’anni dalla pubblicazione del manifesto marinettiano, utilizzando un linguaggio di contestazione<br />

d’ogni modello assestato che finisce per essere, sotto il profilo della psicologia dei ragazzi, un esercizio destruens<br />

fondamentale: la cancellazione temporanea del passato, la contestazione dell’universo degli adulti è un modello<br />

cruciale – per quanto rimanga compreso, civilmente, entro termini che non esiteremmo a definire fisiologici – un<br />

passaggio fondamentale per crescere. <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong>, a differenza di altri movimenti che pure ebbero una straordinaria<br />

vitalità e una grande importanza <strong>nel</strong>l’ambito dello sviluppo dell’avanguardia novecentesca giunsero più ad una<br />

distruzione assoluta, una cancellazione del palinsesto, lasciando alle generazioni successive il compito di completare<br />

l’opera, mentre il movimento marinettiano riuscì, dopo aver cancellato, a ricostruire.<br />

<strong>Il</strong> percorso si è mosso comunque <strong>nel</strong>l’ambito di una corretta storicizzazione del fenomeno. Con gli insegnanti, i<br />

ragazzi sono stati in grado di cogliere quanto il giovanilismo portato alle estreme conseguenze, senza che esso si<br />

confronti con la tradizione, produca elementi negativi per la società. <strong>Il</strong> sogno di far coincidere il nuovo mondo quasi<br />

esclusivamente con il progresso tecnologico portò – e non solo per le suggestioni futuriste, ma per la logica del<br />

mercato – ad un mutamento profondo sotto il profilo antropologico e ambientale; quanto il controllo dei mezzi di<br />

produzione risulta, di fatto, uno degli elementi che contribuirono alla nascita delle dittature e del comunismo e alla<br />

Seconda guerra mondiale.<br />

Non si è voluto pertanto compiere, in questo ambito, un lettura apologetica di un movimento. Ma si è giunti a<br />

collocarlo, grazie ai materiali offerti dai musei e agli incontri con gli specialisti, in una giusta dimensione che ha<br />

sottolineato l’andamento ciclico della storia: costruzione, minaccia di distruzione, sintesi di assestamento.<br />

Leggere a tanta distanza un movimento che appare ancora a noi emotivamente così vicino ha contribuito a porre le<br />

basi per una comprensione più vasta del fenomeno novecentesco e delle contraddizioni delle quali, in parte, siamo<br />

ancora prigionieri.<br />

Andrea Arcai<br />

Assessore alla Cultura e alla Pubblica Istruzione<br />

del Comune di Brescia<br />

8 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 9 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Anche quest’anno la casa-museo del Senatore Ugo Da Como ha ospitato una serie di incontri riservati alle scuole.<br />

Doverosamente l’argomento prescelto da Le <strong>Vie</strong> dell’Arte, a cent’anni dalla pubblicazione del Manifesto di Filippo<br />

Tommaso Marinetti, è stato il <strong>Futurismo</strong>: movimento culturale che esalta la modernità, la tecnologia, il dinamismo in<br />

senso ampio.<br />

Valutare la figura di Ugo Da Como e la sua opera in rapporto al tempo in cui visse ha costituito per gli alunni delle<br />

scuole lonatesi una ragione in più per interrogarsi sul rapporto tra presente e passato.<br />

Credo che il pregio dei progetti formulati da Le <strong>Vie</strong> dell’Arte sia quello di istituire un confronto tra i musei che vi<br />

fanno parte, sollecitando un dibattito critico anche tra i giovanissimi studenti.<br />

Quando si prende atto che Ugo Da Como (1869-1941) fu esattamente contemporaneo di Gabriele D’Annunzio<br />

(1863-1938), balza immediatamente all’occhio la differenza che evidenzia quanto peso ebbe la tradizione – e<br />

il passato – per la maggior parte dei rappresentanti della classe politica dirigente italiana di cui Ugo Da Como<br />

senz’altro è un esponente molto significativo. D’Annunzio cavalcò perfettamente la propria contemporaneità,<br />

riuscendo in qualche caso a precorrere i tempi. Entrambi però compresero l’importanza della memoria e<br />

desiderarono lasciare una testimonianza tangibile della loro vita. Nelle loro case rivive quindi l’atmosfera di un’epoca<br />

singolarmente in bilico tra passatismo e modernismo.<br />

Questi sono i tempi che hanno caratterizzato le riflessioni e i lavori della terza classe della Scuola Statale Secondaria<br />

di Primo Grado “Camillo Tarello” e della quarta classe del Liceo Paritario “Paola di Rosa” di Lonato, dando vita ad<br />

una serie di elaborati che dimostrano quando sia servito lo stimolo delle <strong>Vie</strong> dell’Arte, anche quest’anno.<br />

Sfogliare il resoconto dell’attività didattica di un intero anno scolastico dedicato al <strong>Futurismo</strong> conforta e invita a<br />

proseguire verso altri progetti comuni, <strong>nel</strong>la certezza che la presa di coscienza dell’eredità lasciata da menti elette,<br />

<strong>nel</strong> passato, pensando soprattutto alle giovani generazioni, costituisce la garanzia per un futuro migliore.<br />

Antonio Spada<br />

Direttore Generale della Fondazione Ugo Da Como


<strong>Il</strong> Corso di approfondimento “<strong>Il</strong> futurismo <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>: simbolo, astrazione, modernità” è risultato un<br />

percorso ampio, ricco e variegato intorno al tema futurista.<br />

Esiste peraltro una bibliografia sterminata relativa al <strong>Futurismo</strong> perché è stato, a detta di Terraroli, l’ultimo grande<br />

fenomeno di cultura italiana che ha influenzato la cultura europea e non solo ed ha avuto vita lunga rispetto ad altri<br />

episodi di avanguardia.<br />

<strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> si esterna <strong>nel</strong> 1909 quando Marinetti pubblica il suo Manifesto sul giornale francese “Le Figaro”.<br />

<strong>Il</strong> primo <strong>Futurismo</strong>, soggiunge Terraroli, ha un affermarsi veloce, violento e rivoluzionario, mentre il secondo<br />

<strong>Futurismo</strong> si avvicina con maggiore capillarità alla coscienza comune ed alla vita politica quotidiana.<br />

<strong>Il</strong> tratto violento dell’operazione artistica, la matericità è tutta futurista, come pure l’interesse per la luce che vediamo<br />

in Boccioni e Balla. Quest’ultimo per rendere il senso del movimento <strong>nel</strong>la pittura inserisce anche le nuove tecniche<br />

del linguaggio del cinema.<br />

Nel suo Manifesto Marinetti incita al movimento e alla velocità, punti di approdo della nuova arte, moderna<br />

in contrapposizione con il passato che è immobile e dall’esempio della “Città che sale” di Boccioni si trae la<br />

contrapposizione tra la fissità dell’antico, la campagna, divorata, <strong>nel</strong>la periferia di Milano, dai cantieri e dalle nuove<br />

industrie. D’altra parte anche l’automobile, da poco inventata, e la motocicletta divengono i novelli simboli della<br />

velocità e della modernità.<br />

Marinetti crea anche un nuovo sistema di comunicazione e diviene subito uno dei primi grandi comunicatori dell’età<br />

moderna.<br />

<strong>Il</strong> Manifesto della pittura futurista viene pubblicato su Le Figaro <strong>nel</strong> 1910 ed è firmato da Boccioni, Carrà, Severini e<br />

anche da Romolo Romani, <strong>bresciano</strong>.<br />

La Prima mostra internazionale dei futuristi si presenta a Parigi <strong>nel</strong> 1912.<br />

Fortunato Depero è, a giudizio di Terraroli, il miglior esempio del secondo <strong>Futurismo</strong> perché riesce ad unire suono,<br />

recitazione, racconto, scrittura e anche grafica in una compiuta opera d’arte.<br />

L’aereo diviene per il secondo <strong>Futurismo</strong> il modo migliore per guardare il mondo dall’alto, in una dimensione<br />

planetaria tutta nuova che porta <strong>nel</strong> 1915, poco prima dell’inizio della Prima Guerra Mondiale, alla pubblicazione del<br />

Manifesto della ricostruzione futurista dell’universo, sottoscritto da Balla e Depero, significativa azione ricostruttiva<br />

dopo il grido marinettiano “vogliamo cambiare il mondo”, ma in modo totalizzante.<br />

Ma d’altronde sappiamo che i futuristi andavano in cerca della provocazione, per innovare. Secondo Giordano Bruno<br />

Guerri cercavano i fischi, il lancio di verdura da parte del pubblico, presente ai loro spettacoli, per spezzare gli<br />

schemi borghesi della cultura dell’epoca e trovare nuove vie.<br />

Marinetti dedica tutta la sua vita al movimento futurista ed è un grande modernizzatore, un genio rivoluzionario, che<br />

cambia radicalmente la cultura <strong>nel</strong>la quale è cresciuto.<br />

Marinetti è stato ignorato per il suo legame con il Fascismo, ma è anacronistico giudicare un uomo vissuto 100 anni<br />

fa, in una tanto diversa realtà storica. Sostanzialmente, per Guerri, è stato un anarchico, impegnato contro le Leggi<br />

Razziali e deciso <strong>nel</strong> far liberare tanti antifascisti dal carcere o dal confino.<br />

<strong>Vie</strong>ne anche chiarito da Guerri l’equivoco per cui Marinetti, <strong>nel</strong> Manifesto, si dice indichi con disprezzo la donna.<br />

<strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> in realtà è stato il primo movimento artistico ad accogliere molte donne scrittrici, pittrici, scultrici,<br />

ballerine e la stessa moglie di Marinetti, Benedetta Cappa, era un’ottima pittrice e scrittrice futurista.<br />

Marinetti, contrariamente all’accusa, presenta una donna nuova, libera, che abbia parità politica e salariale con<br />

l’uomo.<br />

Del rapporto Marinetti e d’Annunzio Guerri mette in luce i punti di contatto tra i due: entrambi interventisti, grandi<br />

comunicatori di massa, uniti anche <strong>nel</strong> momento della conquista di Fiume, <strong>nel</strong> 1919, quando d’Annunzio compie<br />

questa grande impresa e Marinetti accorre a Fiume per condividere la vittoria<br />

Guerri ricorda, poi, che al Vittoriale esiste una scultura di Marinetti, donata a D’Annunzio il 10 febbraio del 1938 in<br />

10 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 11 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

occasione di una visita al Vate: si tratta di un’opera che rappresenta due leve di un bimotore Caproni, in significanza<br />

del fatto che loro due erano i motori della nuova Italia.<br />

Sono forse stati i due personaggi che più hanno influenzato, almeno <strong>nel</strong>la prima metà del secolo, la loro epoca, la<br />

conoscenza dell’Italia <strong>nel</strong> mondo e che hanno in qualche modo portato l’arte al potere.<br />

Elena Lucchesi Ragni ci parla proprio di arte futurista attraversando le opere e i disegni del futurista <strong>bresciano</strong><br />

Romolo Romani, presenti nei Civici Musei d’Arte e Storia di Brescia.<br />

Romani firma il primo Manifesto dei pittori futuristi insieme ad altri, però si ritira subito dopo.<br />

Ragni ricorda che proprio Marinetti lo apprezza da subito e gli chiede di partecipare, di essere il grafico, insieme ad<br />

altri, della rivista “Poesia” da lui diretta.<br />

Romani declina la propria arte sempre analizzando il volto e le emozioni, e questi due centri di interesse rimarranno<br />

essenziali durante tutto il suo viaggio pittorico che si muove all’interno di due ben definite correnti, una più astratta<br />

ed una più vicina all’interesse psicoanalitico delle figure.<br />

<strong>Il</strong> pittore muore <strong>nel</strong> 1916 a Brescia, muore in uno stato depressivo. La sua arte rivela ancora oggi la continua<br />

attenzione all’anima profonda delle cose.<br />

Ennio Ferraglio tratta il grande tema relativo all’editoria futurista spiegando come il libro sia lo specchio prediletto<br />

della cultura di una società e quindi dando ragione dell’interessantissimo censimento bibliografico fatto di tutto ciò<br />

che di futurista c’è <strong>nel</strong>la Biblioteca Civica di Brescia.<br />

Marinetti risulta essere un autore molto presente <strong>nel</strong>l’ambito della critica letteraria, scrive per molte riviste e tale<br />

scelta di produzione, in gran parte di carattere periodico, è fatta per rivolgersi ad un pubblico vasto e veicolare così,<br />

con articoli e manifesti, la cultura futurista.<br />

Nei giornali, quotidiani o riviste mensili locali si accenna anche alle serate futuriste, al Teatro Sociale, dove si<br />

assiste allo “Smarrimento del pubblico”, che non è altro che il titolo eloquente di un articolo di Marinetti della “Fiera<br />

letteraria”.<br />

La produzione editoriale futurista nei diversi ambiti della poesia, della musica, del teatro, della narrativa opera scelte<br />

stilistiche, lessicali, morfologiche innovative e scelte grafiche che divengono piacere visivo ed intellettuale.<br />

Quanto la grafica sia importante all’interno dei libri futuristi ce lo suggerisce Melania Gazzotti e in tal modo la<br />

scrittura diventa un forte e persuasivo strumento di comunicazione.<br />

Marinetti vuole una rivoluzione anche dal punto di vista tipografico attraverso la tecnica del colore e dei diversi<br />

caratteri (alternanza di lettere maiuscole e minuscole, grassetti e corsivi). Molti pittori iniziano a lavorare per la<br />

grafica o lo studio di copertine di romanzi e opere futuriste: uno per tutti Bruno Munari.<br />

Angela Bersotti, allieva di Munari, propone infine alle scuole dei percorsi laboratoriali di ispirazione futurista di<br />

scomposizione del colore, di studio dell’opera di Depero e giochi grafici di ricomposizione e accostamento di parole.<br />

Tutti i testi che seguono sono la trascrizione delle registrazioni effettuate <strong>nel</strong> corso di aggiornamento per gli<br />

insegnanti.<br />

Elisabetta Conti


Relazioni degli esperti<br />

ai corsi di aggiornamento<br />

Le vie dell’arte<br />

Tutti i testi delle relazioni provengono dalla trascrizione delle registrazioni effettuate durante il corso.


Giordano Bruno Guerri<br />

D’Annunzio e Marinetti. L’arte al potere<br />

Marinetti è stato un grande e straordinario modernizzatore: un vero rivoluzionario che è riuscito<br />

<strong>nel</strong>l’intento di “strappare” la cultura del suo tempo come si strappa un ciuffo d’erba per sventolarne<br />

le radici al sole, per affermare che tutto deve cambiare.<br />

Marinetti ha fatto ciò e, incredibilmente, lo ha fatto da solo: il <strong>Futurismo</strong> nasce e vive prima<br />

interamente <strong>nel</strong>la sua testa per diventare poi un movimento d’avanguardia conosciuto in tutto il<br />

mondo. Quando il 20 febbraio 1909 pubblica il famoso Manifesto su Le Figaro e afferma che i<br />

futuristi sono l’avanguardia del mondo, in quel momento, esiste un solo futurista, lui e nessun altro.<br />

Prima di Le Figaro il Manifesto era stato pubblicato su alcune testate giornalistiche italiane – La<br />

Gazzetta dell’Emilia, <strong>Il</strong> Giorno di Roma, <strong>Il</strong> Giornale di Napoli – senza suscitare alcuna reazione <strong>nel</strong><br />

nostro Paese. A quell’epoca la cultura italiana era molto provinciale e questo è un altro dei grandi<br />

meriti attribuibile a Marinetti: averla sprovincializzata e averla portata d’improvviso dal ghetto <strong>nel</strong><br />

quale si trovava alla ribalta mondiale, all’avanguardia.<br />

È giusto affermare che il <strong>Futurismo</strong> è stato, dopo il Rinascimento, il più importante movimento<br />

culturale italiano. Nel lasso di tempo tra il Rinascimento e il <strong>Futurismo</strong> l’Italia ha, infatti, prodotto<br />

grandi geni isolati in tutte la arti, ma non un movimento capace di influenzare il resto del mondo: tutti<br />

i grandi movimenti moderni come l’<strong>Il</strong>luminismo, il Romanticismo ecc. hanno avuto origini al fuori di<br />

nostri confini.<br />

Nel giro di due anni il movimento portò alla ribalta grandissimi pittori che, vivendo isolati e privi di un<br />

inquadramento e un orientamento ideale e artistico, Marinetti condusse <strong>nel</strong>l’alveo del movimento<br />

attraverso i suoi manifesti e le sue idee: così nacque il grande Boccioni che tutti conoscono,<br />

arrivarono Balla, Carrà e dietro di loro verranno i Sant’Elia, i Palazzeschi e decine e decine di altri<br />

artisti. Marinetti dedicò al <strong>Futurismo</strong> tutta la vita e tutte le sue risorse fino a morire poverissimo<br />

lasciando però in eredità alla sua famiglia una collezione d’arte di grandissima importanza e valore.<br />

Perché ancora oggi non viene riconosciuta la grandezza di questo personaggio? Perché <strong>nel</strong>l’anno del<br />

centenario le molte mostre futuriste, i vari pranzi futuristi, gli spettacoli futuristi, le musiche futuriste<br />

hanno cercato di ignorare Filippo Tommaso Marinetti?<br />

Marinetti viene ancora oggi ignorato per il suo legame con il Fascismo anche se non si può negare in<br />

quel momento c’erano motivazioni e ideali per aderirvi: fra questi l’amore patrio, di cui il Fascismo era<br />

promotore e difensore, e non da ultimo il tentativo tutto marinettiano di rendere il Fascismo futurista<br />

mentre la storia ci insegna che avvenne il contrario.<br />

Altresì non è più possibile oggi – ed è profondamente ingiusto – giudicare un uomo vissuto cento<br />

anni fa con gli odierni metri di valutazione: tra l’inizio del Novecento e i giorni nostri c’è un enorme<br />

salto culturale che mette in condizioni tutti noi di giudicare in modo diverso. Oggi si rimprovera<br />

a Marinetti la celebre frase del Manifesto “la guerra sola igiene del mondo”, ma è necessario<br />

considerare che cento anni fa non si era vissuta l’esperienza delle due guerre mondiali che hanno<br />

segnato crudelmente e indelebilmente Novecento, che l’hanno straziato di morte, di lutti, di dolori,<br />

di conseguenze di cui ancora oggi si pagano gli effetti. Analogamente il problema razziale: oggi si<br />

sa cosa è stato l’olocausto, i sei milioni di morti, le camere a gas, i campi di concentramento e si<br />

ha giustamente orrore per ogni ipotesi anche vaga di distinzione razziale, di razzismo; com’è stato<br />

possibile che gli italiani – un popolo umano, caldo, per nulla fanatico, generoso, abituato a mescolarsi<br />

– abbiano accettato le leggi razziali così facilmente? Proprio perché non c’era la coscienza di quello<br />

che sarebbe potuto accadere: giudicare quindi gli italiani del ’38 che accettarono senza ribellarsi le<br />

leggi razziali, significa compiere un falso storico, un errore di prospettiva perché loro non potevano<br />

giudicare con i nostri stessi strumenti e con la nostra stessa sensibilità.<br />

D’Annunzio e Marinetti. L’arte al potere<br />

Marinetti, persona eccezionale, fu uno dei pochissimi intellettuali italiani, e certamente il più<br />

importante tra i fascisti, che si batté contro le leggi razziali; lo fece apertamente, in un modo<br />

coraggioso e nobile e questo gli deve essere riconosciuto. Marinetti, sostanzialmente anarchico, fece<br />

anche liberare dal carcere e dal confino decine di antifascisti. Si batté perché in Italia non avvenisse<br />

quello che era già avvenuto <strong>nel</strong> ’37 in Germania, quando Hitler si scagliò contro l’arte degenerata.<br />

Degenerata era, secondo i nazisti, tutta quell’arte che non era riconducibile al realismo e cioè il<br />

<strong>Futurismo</strong>, il Cubismo, il Surrealismo, il Dadaismo, l’Astrattismo, in altre parole tutta l’arte moderna<br />

che noi amiamo. Marinetti si oppose con tutte le sue forze, con tutta la sua organizzazione, con tutti<br />

i suoi uomini a questa campagna denigratoria, che senza il suo intervento sicuramente si sarebbe<br />

affermata anche in Italia; riuscì a fermarla e lo fece con quella straordinaria generosità che gli era<br />

tipica: prese a dichiarare futuristi, ponendoli sotto le sue ali protettive, tutti gli artisti, architetti, scrittori,<br />

che futuristi non erano, ma che sarebbero stati considerati nemici dal realismo permettendo loro di<br />

continuare a lavorare, a produrre bellezza nuova.<br />

Tornando alla guerra, non deve scandalizzare se Marinetti <strong>nel</strong> 1909 dichiara che la guerra è la sola<br />

igiene del mondo. Al tempo era un filone di pensiero irrazionalista che percorreva tutta l’Europa:<br />

all’epoca in Italia vivevano grandi intellettuali – Prezzolini, Papini, i vociani, Soffici, i nazionalisti,<br />

D’Annunzio stesso – favorevoli alla guerra, così come in Europa favorevoli alla guerra c’erano intere<br />

correnti di pensiero e intellettuali, anche insospettabili, come Thomas Mann.<br />

All’epoca il mondo, e l’Europa in particolare, ormai era arrivato a un groviglio politico, militare e<br />

economico che non poteva non sfociare in un conflitto mondiale. La guerra non fu provocata dagli<br />

intellettuali favorevoli alla guerra, la guerra non sarebbe scoppiata nemmeno se tutti i Marinetti del<br />

mondo avessero gridato “vogliamo la guerra”: furono gli Stati, i politici, i militari a volerla, mentre gli<br />

intellettuali si limitarono a sostenerla. Per Marinetti, per D’Annunzio, per molti intellettuali e per gli<br />

italiani in genere quella fu e doveva essere la quarta guerra d’indipendenza, non la prima guerra<br />

mondiale. Doveva essere la guerra che permetteva di completare l’unità d’Italia, di riprendersi Trento<br />

e Trieste, di fare la grande Italia unita. Viste in questa prospettiva molte cose cambiano: come noi<br />

giudichiamo necessario il Risorgimento anche se comportò guerre e morti, allo stesso modo la<br />

guerra del 1915-18 è servita a completare la tanto sospirata, necessaria e giusta unità d’Italia.<br />

Quando <strong>nel</strong> 1918 Marinetti pubblicò il Manifesto politico futurista, manifesto di una modernità<br />

straordinaria, propose addirittura lo scioglimento dell’esercito di leva a vantaggio di un esercito di<br />

professionisti s<strong>nel</strong>lo e incaricato unicamente della difesa dei confini. Marinetti <strong>nel</strong> 1918 prospettava<br />

un mondo di pace, di tolleranza, di ricchezza, di benessere per tutti.<br />

La figura di Marinetti dunque è complessa, sfaccettata, non la si può inchiodare a uno stereotipo,<br />

come spesso è stato fatto.<br />

L’altro grande equivoco da sciogliere su Marinetti è quello relativo al presunto disprezzo della donna<br />

contenuto <strong>nel</strong> Manifesto. <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> fu il primo movimento artistico a accogliere decine di donne:<br />

scrittrici, pittrici, scultrici, ballerine. Fu dunque un movimento al femminile oltre che femminista; la<br />

stessa moglie di Marinetti, Benedetta Cappa, era un’ottima pittrice e una scrittrice futurista. Marinetti<br />

<strong>nel</strong> Manifesto disprezza la donna ritratta da Fogazzaro, la donna angelo del focolare, dedita alla<br />

cura dei bambini, del marito e alle sole faccende domestiche. La donna disprezzata da Marinetti è<br />

anche la donna degli svenimenti, dei profumi, dei languori, dei tradimenti, descritta nei romanzi di<br />

D’Annunzio.<br />

Marinetti, al contrario, vuole una donna libera: questa è la sua grande scoperta, la sua grande<br />

conquista, la sua grande offerta. Per la donna Marinetti vuole non solo la parità politica, cioè il diritto<br />

di eleggere e di essere eletti (con oltre trent’anni di anticipo sull’effettivo voto alle donne), vuole<br />

la parità salariale (peraltro non ancora raggiunta); e vuole soprattutto che la donna possa essere<br />

intimamente, socialmente, personalmente libera di agire, di comportarsi al di fuori degli schemi che<br />

racchiudevano e che racchiudono ancora oggi il mondo femminile per cui dalla donna si pretendono<br />

comportamenti necessariamente diversi da quelli di un maschio. Ecco, in questo senso fu ancora una<br />

volta un anticipatore e un grande rivoluzionario.<br />

D’Annunzio e Marinetti sono due personaggi estremamente vicini.<br />

Al Vittoriale è esposta una scultura che Marinetti fece e donò a D’Annunzio il 10 febbraio del 1938,<br />

cioè venti giorni prima della morte del poeta, in occasione di una delle ultime visite. La scultura è un<br />

14 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 15 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>


Giordano Bruno Guerri<br />

doppio comando di un bimotore Caproni il cui significato è molto chiaro: rappresenta simbolicamente<br />

Marinetti e d’Annunzio, i due motori di un’Italia intellettualmente nuova, un’Italia che aveva in loro gli<br />

innovatori del rapporto arte-politica, arte-società, arte-vita.<br />

D’Annunzio, il primo a utilizzare la parola “intellettuale” <strong>nel</strong> senso in cui oggi lo si intende: l’intellettuale<br />

di intervento, l’intellettuale che si occupa di politica, che scrive libri, che scrive sui giornali, che va in<br />

televisione, che si occupa di tutto, che non sta sempre chiuso <strong>nel</strong> suo studio a produrre i propri lavori<br />

ma interviene continuamente <strong>nel</strong>la vita sociale e politica.<br />

Marinetti portò all’ennesima potenza questa caratterista tracciata da D’Annunzio; Marinetti intervenne<br />

su tutto: c’è persino un manifesto sulla matematica futurista. L’unica materia di cui non si occupò fu<br />

la storia perché la storia doveva essere dimenticata. Si trattava naturalmente di una sua provocazione<br />

come quella sui musei; Marinetti non voleva infatti distruggere i musei, ma diceva “andiamoci una<br />

volta all’anno come si fa il giorno dei morti nei cimiteri”.<br />

D’Annunzio e Marinetti erano destinati a diventare amici; l’inizio non poteva essere che di<br />

contrasto e di ostilità: prima di tutto perché il più giovane Marinetti, doveva attaccare il mito del<br />

Poeta-Vate, l’uomo più illustre delle lettere in Italia. E Marinetti condusse questo attacco con una<br />

violenza tremenda: due dei primi libri che scrisse, erano contro D’Annunzio; lo attaccava perché<br />

rappresentava il passato, ma capendo benissimo che D’Annunzio era un innovatore; a vent’anni<br />

Marinetti partì da Milano per andare in Abruzzo e assistere alla campagna elettorale di D’Annunzio<br />

candidato al Parlamento. Da quell’esperienza Marinetti imparò molto sulla tecnica oratoria<br />

dannunziana, anche se non riuscì mai a raggiungerne i vertici a causa del suo vocabolario di<br />

maggiore rottura rispetto a quello più classico e aulico di D’Annunzio, che così riusciva a fascinare le<br />

folle.<br />

Quando <strong>nel</strong> 1920 D’Annunzio pubblicò il Notturno, Marinetti ebbe la soddisfazione di riconoscere<br />

in questa opera tratti di paroliberismo, cosa che in effetti lo stesso D’Annunzio in alcune lettere<br />

ammise; il fatto che il grande letterato che aveva fatto della forma il suo modello accettasse alcune<br />

rotture della sintassi del linguaggio proposte da Marinetti, fu una vittoria magnifica per l’ideatore del<br />

<strong>Futurismo</strong>.<br />

Non bisogna inoltre dimenticare la grande influenza che Marinetti ebbe su tutta la poesia successiva:<br />

si può non amare o trovare semplicemente divertenti componimenti come Zang Tumb Tumb, ma<br />

senza quel tipo di poesia, senza quella rottura del linguaggio, non sarebbe stata possibile la poesia di<br />

Ungaretti e di tutto l’ermetismo.<br />

D’Annunzio e Marinetti entrambi interventisti, entrambi volontari partecipano alla Prima Guerra<br />

Mondiale: ma mentre all’“arcaico” D’Annunzio toccò una guerra spettacolare e modernissima fatta<br />

con siluri, aerei, proclami, azioni mirabolanti nei cieli di <strong>Vie</strong>nna, al futurista Marinetti spettò una bieca<br />

guerra in trincea, fatta con strumenti ormai superati quali le bombarde. Entrambi, però, trovarono il<br />

modo di distinguersi e di coprirsi di gloria, per essere pronti, una volta firmata la pace a conquistare<br />

il potere. Qui però dovettero misurarsi con un uomo politico enormemente più abile di loro, Benito<br />

Mussolini.<br />

Benito Mussolini in seguito affermerà che il Fascismo non sarebbe esistito senza il <strong>Futurismo</strong>, e che il<br />

dannunzianesimo e Fiume furono la spinta senza la quale il Fascismo non si sarebbe mai affermato:<br />

mentiva sapendo di mentire. <strong>Il</strong> Fascismo sarebbe comunque nato e si sarebbe imposto anche senza<br />

dannunzianesimo e senza <strong>Futurismo</strong>. <strong>Il</strong> Fascismo nacque, infatti, e si impose per tutta una serie di<br />

concause: innanzitutto la guerra con i problemi dei reduci, i problemi sollevati dalla rivoluzione russa<br />

con le ricadute sul movimento operaio di tutto il mondo, la reazione degli agrari, la debolezza e gli<br />

errori della classe dirigente liberale. Non da ultimo il Fascismo nacque e si impose grazie all’abilità<br />

politica di Mussolini.<br />

È dunque assolutamente sbagliato cercare le radici del Fascismo in D’Annunzio e Marinetti;<br />

il Fascismo, e Mussolini in particolare, adottarono questa cosiddetta “falsa primogenitura”<br />

semplicemente perché il movimento fascista non aveva radici culturali, non aveva una matrice<br />

culturale. Prese quindi a prestito le sue radici dove le trovava, per attestarsi poi <strong>nel</strong>la posizione<br />

più classica dell’idealismo gentiliano. Mussolini si guardò bene dal fare un Fascismo futurista o<br />

un Fascismo dannunziano, fece un Fascismo concreto basato sul culto dello stato che è proprio<br />

dell’idealismo gentiliano.<br />

D’Annunzio e Marinetti. L’arte al potere<br />

Tornando a D’Annunzio e Marinetti, <strong>nel</strong> 1919 il poeta abruzzese compì la straordinaria impresa che<br />

sgomentò tutto il mondo: la conquista di Fiume. Alla testa di poche migliaia di uomini, con un colpo<br />

di mano, ma senza sparare un colpo d’armi, conquistò una città che i trattati di pace non volevano<br />

assegnare all’Italia e che invece lui e molti altri consideravano a tutti gli effetti italiana. Sin dall’inizio si<br />

capì che D’Annunzio avrebbe fatto di Fiume quella che lui chiamò una “città di vita”, un esperimento<br />

rivoluzionario.<br />

Fiume rappresenta un nodo della storia non solo d’Italia ma del Novecento: da un lato, infatti, è la<br />

tentazione della guerra continua, la guerra permanente, la sfida alle Società delle Nazioni di allora,<br />

allo Stato italiano di allora, ma dall’altro è una città che aspira a una pace universale. D’Annunzio<br />

<strong>nel</strong>la città adriatica fondò un movimento, la Lega di Fiume, il cui scopo era riunire i rappresentanti<br />

di tutti i popoli oppressi. D’Annunzio inoltre donò a Fiume una costituzione, la Carta del Carnaro,<br />

che era una delle più moderne e avanzate costituzioni scritte fino a quel momento, e anche bella<br />

sotto l’aspetto estetico e letterario. D’Annunzio fece di Fiume una città dove praticamente tutto era<br />

permesso: i costumi sessuali, l’uso di droghe di cui allora probabilmente non si conoscevano i danni<br />

(la cocaina non fu proibita in Italia se non dal 1928). D’Annunzio fece di Fiume la città in cui l’arte e la<br />

fantasia erano al potere, la città dove un poeta era al comando. Lo si vide da molti fatti: per sostenere<br />

la città accerchiata da un embargo D’Annunzio inventò un ufficio falsi che forniva documenti ai suoi<br />

“pirati” il cui compito era dirottare navi cariche di grano, di armi, di materiali preziosi per portarli<br />

in città. E tutto questo era condotto con un estro e una fantasia tipici del letterato, del letterato<br />

avventuriero come era D’Annunzio e in fondo com’era anche Marinetti.<br />

Infatti, Marinetti è tra i primi a accorrere a Fiume per condividere questa vittoria e se possibile<br />

condizionarla. È anche vero che i due non avrebbero potuto convivere <strong>nel</strong>la stessa città, né tanto<br />

meno condividerne il potere, sia per la personalità di entrambi ma anche per un motivo più<br />

concretamente politico: Marinetti era antimonarchico, D’Annunzio era monarchico, tanto è vero che<br />

chiamò il governo di Fiume non Repubblica di Fiume ma Reggenza, a significare la sua sostanziale<br />

apertura verso la monarchia. Marinetti fu quindi invitato a allontanarsi da Fiume insieme ai suoi<br />

uomini, ma il legame tra i due rimase intatto e si rafforzò <strong>nel</strong> corso degli anni: lo testimoniano i<br />

moltissimi telegrammi, anche affettuosi, che si scambiarono e che ancora oggi sono conservati al<br />

Vittoriale, fino a quella ultima visita del 1938.<br />

Per concludere, D’Annunzio e Marinetti sono i più clamorosi e fra i più importanti intellettuali del<br />

Novecento italiano, quelli che hanno maggiormente influenzato – almeno <strong>nel</strong>la prima metà del secolo<br />

– la loro epoca, e di conseguenza anche la nostra.<br />

16 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 17 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>


Valerio Terraroli<br />

<strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> come arte d’avanguardia<br />

L’argomento che trattiamo è un argomento molto complesso e inoltre, quest’anno, anno del<br />

centenario, si discute e si dibatte ancora di più sul problema <strong>Futurismo</strong>, cosa sia stato, cosa avrebbe<br />

potuto essere, che caratteristiche ha avuto, chi era Marinetti, se non ci fosse stato Marinetti e così via.<br />

In effetti noi avremo quest’anno un surplus di discorsi e di iniziative dedicati al <strong>Futurismo</strong>, uno di quei<br />

movimenti che gode di una bibliografia sterminata: si è detto di tutto e il contrario di tutto, e ancora<br />

oggi gli studiosi sono divisi sull’interpretazione del fenomeno.<br />

Non entro <strong>nel</strong> merito delle questioni strettamente filologiche, ma volevo anticipare qual è uno dei<br />

problemi di fondo che caratterizza la questione <strong>Futurismo</strong>. Ed è questa: il <strong>Futurismo</strong> è stato l’ultimo<br />

grande fenomeno di cultura italiana che abbia avuto un’influenza fondamentale sulla cultura europea<br />

e non solo europea. Dopo il <strong>Futurismo</strong> questa forte presenza della cultura italiana è venuta meno<br />

anche perché l’asse dello sviluppo della cultura artistica si è spostato prima a Parigi e poi negli Stati<br />

Uniti.<br />

Questo fenomeno non nasce casualmente e anche alcuni studiosi che si sono specializzati su questo<br />

argomento, cito per tutti Ester Coen, hanno chiarito che in realtà il <strong>Futurismo</strong> è il prodotto chiaro ed<br />

evidente di una situazione culturale molto più ampia che prende le proprie mosse ben prima della<br />

nascita e dello sviluppo del <strong>Futurismo</strong> stesso, e cioè intorno agli anni novanta dell’Ottocento. Si tratta<br />

del problema di cosa sia stato il modernismo internazionale da cui partirò per tentare di definire delle<br />

linee di sviluppo del problema.<br />

<strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong>, in realtà, ha avuto una vita lunga rispetto agli altri fenomeni dell’avanguardia, ad<br />

esempio rispetto ai Fauves che sono durati pochi mesi, o il Cubismo che è durato un po’ più a lungo,<br />

gli espressionisti certo di più, i dadaisti hanno costituito un evento temporalmente circoscritto, i<br />

futuristi hanno avuto una vita più lunga, ma lunga in che senso?<br />

In effetti c’è tutto un gruppo di studiosi, numeroso e folto, che sostiene che il <strong>Futurismo</strong> sia da<br />

considerare in un segmento temporale molto breve, dal 1909, data della pubblicazione del Manifesto<br />

in Le Figaro in Francia da parte di Marinetti, al 1915, cioè con l’entrata in guerra dell’Italia e con la<br />

morte di Boccioni e Sant’Elia.<br />

C’è un altro segmento della critica, che quest’anno ha preso più respiro perché quasi tutte le<br />

mostre considerano proprio questa parte, che considera il cosiddetto secondo <strong>Futurismo</strong> come un<br />

proseguimento del fenomeno fino alla fine della seconda guerra mondiale.<br />

Certo si tratta di un <strong>Futurismo</strong> diverso, senza dubbio alcuni personaggi sono quelli degli inizi, altri<br />

sono delle new entry. Certamente esso si pone altri obiettivi rispetto al Manifesto marinettiano perché<br />

va detto che quel tipo di meccanismo che portò Marinetti a stilare i punti famosi del Manifesto, in<br />

realtà sono, ancora negli anni Venti e negli anni Trenta, il supporto fondamentale del ragionamento.<br />

Qual è la discrepanza, la diversità rispetto all’esordio?<br />

<strong>Il</strong> primo <strong>Futurismo</strong> non si pose il problema del rapporto con la quotidianità, con la vita reale, con la<br />

diffusione del linguaggio futurista <strong>nel</strong>la collettività.<br />

Fu un’esplosione veloce, violenta, <strong>nel</strong>lo stesso Manifesto le dichiarazioni tendevano più che<br />

a costruire a distruggere, proprio per rompere un meccanismo che ormai era considerato<br />

insopportabile: la stratificazione secolare della cultura dell’arte, dei meccanismi di comportamento e<br />

quant’altro.<br />

<strong>Il</strong> secondo <strong>Futurismo</strong> si pose invece il problema di entrare capillarmente all’interno della quotidianità,<br />

<strong>nel</strong>la coscienza comune, ed entrò in rapporti stretti anche con le situazioni politiche in cui viveva; da<br />

qui nasce il problema del rapporto con il Fascismo, rapporto ampiamente dibattuto e la questione è<br />

ancora aperta e andrebbe ulteriormente approfondita.<br />

Molti punti sono ancora oscuri del rapporto tra il Fascismo degli anni Venti e la figura di Marinetti,<br />

<strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> come arte d’avanguardia<br />

tra il Fascismo degli anni Trenta e la figura ad esempio di Fillia, di Tato, di Prampolini, di quei futuristi<br />

della seconda generazione che in realtà intesero piegare il linguaggio futurista a valori ideologici, a<br />

valori di messaggio legati alla fenomenologia politica.<br />

Quello che resta del <strong>Futurismo</strong> è in realtà un’eredità importante che ha influenzato fenomeni culturali<br />

ed artistici in tutta Europa e che in qualche modo riemerge per certi aspetti anche <strong>nel</strong>l’arte europea e<br />

non solo europea degli anni Cinquanta e Sessanta; questa è la motivazione per la quale chi visiterà la<br />

mostra a Milano troverà l’inizio dedicato agli scapigliati, cioè all’esordio del <strong>Futurismo</strong>, e alla fine Burri<br />

e Fontana.<br />

Perché ci sono Burri e Fontana? Perché in qualche modo (a parte che Burri ebbe consuetudine<br />

con i futuristi che ormai erano anziani, ad esempio con Balla) l’idea della polimatericità, della<br />

gestualità, l’idea della violenza <strong>nel</strong>l’operazione artistica, l’idea dello straniamento dello spettatore<br />

rispetto all’oggetto che guarda, è una eredità futurista. E allora in questo senso possiamo dire che il<br />

<strong>Futurismo</strong> ha una sua attualità oggi, al di là della sua attualità storica e culturale, proprio per queste<br />

valenze che vengono messe il evidenza, che passano il testimone al futuro.<br />

Dicevo poi che l’altra questione è dove nasca o come possa nascere il problema <strong>Futurismo</strong>;<br />

certamente diciamo che il punto di partenza è il discorso modernista e proprio per darvi un esempio<br />

di questo problema vi propongo un’immagine che è in realtà un fotomontaggio del 1931 di uno dei<br />

1200 futuristi italiani, perché in realtà i sei futuristi dell’inizio erano un manipolo ristretto, anzi all’inizio<br />

era solo Marinetti il futurista, ma con la pubblicazione del Manifesto <strong>nel</strong> 1909, poi quello della pittura<br />

del 1910 e quello della scultura del 1911, ci fu un proliferare in Italia di artisti che si dichiararono<br />

futuristi e che sottoscrissero i manifesti e tra questi anche vari fotografi. L’autore dell’immagine è un<br />

fotografo torinese, Gramaglia, che <strong>nel</strong> 1931 propone questo fotomontaggio interessante e spiritoso,<br />

che da l’idea di come lo spirito futurista venga vissuto negli anni Trenta.<br />

Quello che vedete è in realtà <strong>nel</strong>la parte centrale una cronofotografia, un fotogramma ripetuto<br />

che rappresenta un operaio in una fabbrica alla catena di montaggio mentre <strong>nel</strong>la parte inferiore<br />

compare palazzo Madama, che è quanto di più stratificato storicamente a Torino si possa vedere.<br />

Quindi questo operaio che si muove diventa una specie di missile che come una bomba attraversa<br />

palazzo Madama e lo rompe, lo frantuma. Quale immagine più significativa poteva esserci del nuovo<br />

che distrugge il vecchio? Quindi con una scelta non di continuità con il passato, ma di cesura con il<br />

passato.<br />

Questo è importante perché tante volte si tende, soprattutto quando si parla di arte contemporanea, a<br />

cercare di creare delle continuità con l’arte antica, ma uno dei caratteri dell’arte contemporanea, che<br />

è anche la sua ragion d’essere, sta <strong>nel</strong>la frattura definitiva del rapporto verso il passato. Questo non<br />

vuol dire che non ne tenga conto, perché certamente la cultura, le conoscenze, la stratificazione di<br />

generazioni è un portato che ognuno ha dentro di sé, ma non c’è una continuità in senso darwiniano,<br />

c’è una frattura di cui bisogna sempre tenere conto e credo che sia importante farlo capire anche<br />

alle giovani generazioni proprio perché il Novecento segna per tanti aspetti, non solo per l’arte, questa<br />

separazione rispetto ai secoli precedenti.<br />

Notate che il titolo del fotomontaggio non è <strong>Futurismo</strong> ma Modernismo; questo vuol dire che anche<br />

un artista futurista ritiene che la parola che può dare il senso reale di questa immagine non sia<br />

l’abusato termine <strong>Futurismo</strong> (siamo <strong>nel</strong> 1931 e quindi era già stato usato troppe volte), ma il termine<br />

modernità.<br />

La modernità è la capacità di leggere il contemporaneo, l’operaio che lavora, l’operaio della fabbrica<br />

che distrugge il passato e quindi tutto quello che è una stratificazione considerata obsoleta.<br />

Certo che questo tipo di operazione è un’operazione violenta che si giustifica con le parole di<br />

Marinetti del Manifesto del 1909.<br />

Ma come è nato quel movimento?<br />

Esso prendeva le mosse da un fenomeno artistico squisitamente italiano, ma con radici<br />

esplicitamente europee, che è il movimento del Divisionismo.<br />

In realtà anche il Divisionismo è un frutto di un albero molto più ampio, con radici profonde, con<br />

ramificazioni europee che è il grande albero del Simbolismo, della cultura simbolista che ha<br />

caratterizzato l’Europa e l’Italia <strong>nel</strong>l’ultimo ventennio del 1800 e di cui D’Annunzio era uno dei grandi<br />

alfieri.<br />

18 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 19 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>


Valerio Terraroli<br />

Cosa proponeva il Simbolismo? Una lettura alternativa alla cultura positivista, alla cultura del realismo<br />

che l’Ottocento aveva portato con sè e che apre la strada a dei mondi che non sono quelli della<br />

realtà fenomenica, ma dell’onirico, dell’incubo, della fantasia, del sogno, cioè tutto quello che non<br />

appartiene al nostro quotidiano razionale, ma che compete al mondo dell’irrazionale che si stava<br />

scoprendo proprio in quei decenni: e ovviamente la mente va agli studi di Sigmund Freud.<br />

All’interno di questo schema più generale, dentro la grande temperie che è il Simbolismo, ci sono<br />

delle ramificazioni diverse. Penso a Munch da un lato e Van Gogh dall’altro, tanto per fare dei nomi di<br />

riferimento e di facile memorizzazione. Artisti che esprimono il senso dell’incubo, il valore esistenziale,<br />

lo straniamento, ma in essi c’è anche il vigore della pittura come valore di espressione, la violenza<br />

del gesto; allora tutto questo va inserito in un fenomeno, che è un fenomeno di più ampio spettro dal<br />

punto di vista non soltanto culturale, ma diciamo tecnologico, anche urbanistico, che è quello del<br />

Modernismo Internazionale che prende l’avvio proprio negli anni ottanta dell’Ottocento. Pensate a<br />

cosa è stata l’Exposition Universelle di Parigi del 1889, quella della Tour Eiffel, dove in qualche modo<br />

si ponevano le basi del mondo moderno.<br />

Torniamo ai divisionisti. Quello che vedete è la parte centrale di un trittico di Gaetano Previati dei primi<br />

anni del Novecento che rappresenta il Carro del sole. Noi cosa vediamo? In questo dipinto vediamo<br />

un tema classico, cioè un tema mitologico che ha avuto enorme fortuna iconografica <strong>nel</strong> passato<br />

e che viene rappresentato però in un modo totalmente diverso dalla tradizione. È vero che c’è il<br />

carro, vediamo ovviamente la figura dell’auriga, dei cavalli solari che si muovono <strong>nel</strong>l’aria, ma tutta la<br />

composizione è come vista attraverso una deformazione fatta di linee ondulate, di un ritmo pittorico<br />

che conferisce più importanza al valore della materia e della luce che non al valore descrittivo del<br />

tema. In altre parole il pittore illustra un tema tradizionale, ma attraverso una modalità del tutto nuova<br />

e del tutto moderna.<br />

D’altra parte questo tipo di interesse per il movimento ritmico, per la luce, guarda caso entra<br />

prepotentemente <strong>nel</strong>la formazione dei pittori che poi chiameremo futuristi, per tutti Umberto Boccioni.<br />

Boccioni è il maestro in assoluto del <strong>Futurismo</strong>, insieme ovviamente a Giacomo Balla.<br />

Boccioni però ha una formazione di carattere divisionista; le sue armi le tempera in quella cultura<br />

dei primi anni del Novecento e un esempio abbastanza significativo di questo punto di vista è questa<br />

opera del 1909, Tre donne, che è praticamente uno studio del pittore della madre, la signora di<br />

sinistra, della sorella e di quella che all’epoca era la sua fidanzata che vengono messe in posa.<br />

La scelta del numero e la disposizione delle figure è legata all’iconografia accademica: sono tre<br />

le Parche, quindi una tradizione iconografica antica. Addirittura gli abiti che indossano queste<br />

donne non sono abiti moderni, ma è come se fossero vestite di clamidi antiche. Quindi non c’è<br />

apparentemente alcun aggiornamento al contemporaneo però che cosa succede, che ciò che risulta<br />

importante per Boccioni non è la rappresentazione simbolica delle figure o del loro valore allegorico,<br />

ma è lo studio della luce, di come essa entrando e penetrando <strong>nel</strong> colore della superficie pittorica,<br />

smangi la superficie e produca una visione <strong>nel</strong>lo spettatore, quindi una percezione del colore e della<br />

luce, assolutamente diversa dalla tradizione naturalistica. Basti pensare a questo elemento centrale;<br />

vedete questa specie di cascata di righe oblique, in realtà è un materializzarsi visivo dei raggi di luce<br />

che penetrano dalla finestra e che, vedete, incidono secondo una regola accademica sulla figura di<br />

fondo, mettendo in ombra la parte retrostante, materializzandosi però in una forma quasi astratta. In<br />

pratica siamo davanti al passaggio da una pittura che ancora tiene conto delle regole dello spazio,<br />

delle regole della descrizione naturalistica, ad una forma più astrattizzante cioè che tende, attraverso<br />

l’uso della luce, a svelare i movimenti e le compenetrazioni dei corpi.<br />

D’altra parte lo studio della luce è dominante: questo è un dipinto di Luigi Russolo, sempre del 1909<br />

(tutto si gioca in quegli anni, tra il 1909 e il 1912 come vedrete), che rappresenta un temporale,<br />

quindi in realtà un tema tradizionalmente ottocentesco, che si svolge in questo caso in un paesaggio<br />

urbano, ma poteva essere anche la campagna. Vorrei far notare che lo skyline della città non è quello<br />

della città antica, ma della città moderna che è fatta dagli opifici, dalle fabbriche, dalle ciminiere,<br />

dalle luci a gas che illuminano le strade, in questo caso si tratta di Milano, dove però in qualche<br />

modo la luce artificiale, la presenza umana si attenua dando invece uno spazio gigantesco a una<br />

forza della natura che è il lampo che esplode e che <strong>nel</strong> suo esplicitarsi trasforma tutto quello che ha<br />

intorno, quindi l’acqua, le nubi ecc, in frammenti di pittura che piovono sulla città. Quindi, in qualche<br />

<strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> come arte d’avanguardia<br />

modo, anche la nuvola, anche la città sembrano smangiarsi, sembrano perdersi per dar vita a una<br />

lettura di superficie estremamente vivace, estremamente sensibile. Questa sensibilità si lega al tema<br />

fondamentale della cultura futurista e cioè il tema del movimento.<br />

Ricordo che una delle frasi che aprono il Manifesto stilato da Marinetti è proprio l’incitare alla velocità<br />

e al movimento come valore fondamentale dell’arte moderna, dell’arte nuova. Perché velocità e<br />

movimento?<br />

Perché naturalmente il passato è immobile, perché il passato è stratificato e quindi se noi vogliamo<br />

fare i moderni inevitabilmente dobbiamo scegliere l’alternativa alla staticità che è appunto la velocità.<br />

Cosa c’è di più veloce ai tempi di Marinetti?<br />

La macchina, l’automobile che è stata da poco inventata, la motocicletta, e l’automobile da corsa, la<br />

mitica frase “la bellezza di un’automobile da corsa che corre sulla linea della mitraglia” cioè la velocità<br />

e il rumore di un colpo di mitragliatore, non è esaltazione della macchina da corsa come esaltazione<br />

di uno status symbol sociale, ma è proprio l’idea che la macchina, che è un prodotto dell’uomo, un<br />

prodotto meccanico, assuma <strong>nel</strong> suo movimento attraverso lo spazio il compito di essere vessillifera<br />

della modernità, tanto quanto la Nike di Samotracia era vessillifera dei valori classici. È per quello<br />

che egli afferma perentopriamente che la macchina da corsa in velocità è più bella della Vittoria<br />

di Samotracia. Badate bene che Marinetti non è uno sciocco, non è un ignorante e apprezzava<br />

moltissimo l’arte classica, quindi non è il disprezzo di un ignorante, è il disprezzo di un intellettuale<br />

che dice che è ora di finirla di credere che la bellezza sia commisurabile ai valori della classicità<br />

perché noi non siamo più la classicità. Noi siamo un’altra cosa, volenti o nolenti, possiamo anche non<br />

essere felici di essere così, ma certamente noi non siamo il modo antico ed è quindi inutile che ci<br />

crogioliamo <strong>nel</strong>la bellezza dell’antichità perché non è la nostra arte. La nostra arte è la macchina, è<br />

l’industria, la velocità, la guerra, la violenza ecc.<br />

Proprio sulla scorta di questa dichiarazione volevo anche indicare un altro elemento: Marinetti<br />

inventa un sistema di comunicazione, che poi è quello che usiamo oggi fondamentalmente; lui è<br />

stato uno dei primi grandi comunicatori dell’età moderna e in questo senso anche il rapporto con<br />

D’Annunzio è interessante, perché Marinetti scrisse questo Manifesto tra l’ottobre e il dicembre<br />

del 1908 in lingua italiana.<br />

Egli era nato ad Alessandria d’Egitto, la lingua francese era praticamente la sua lingua madre,<br />

nonostante la sua famiglia fosse italiana, aveva vissuto a Parigi e viveva tra Parigi e Milano quindi in<br />

realtà aveva una vita internazionale, aveva una visione internazionale, ma lui a Milano scrive questo<br />

Manifesto in lingua italiana e lo manda tra la metà e la fine di gennaio del 1909 a quasi tutte le<br />

redazioni dei giornali locali italiani perché i nazionali naturalmente non gli davano credito. In realtà<br />

i giornali non pubblicarono il manifesto, tranne uno, La Gazzetta dell’Emilia che il 5 febbraio 1909<br />

pubblica sulla prima pagina il Manifesto in italiano. Poi altri giornali danno dei trafiletti brevissimi, di<br />

tre righe, dicendo che era arrivata quella cosa in redazione, ma non gli davano credito.<br />

La pubblicazione del 5 gennaio è passata <strong>nel</strong> dimenticatoio e Marinetti capisce che in Italia la sua<br />

posizione, la sua proposta, non funziona e quindi decide di tradurla in francese e di proporla a Le<br />

Figaro; era molto amico, attraverso rapporti famigliari, del direttore de Le Figaro il quale gli da lo<br />

spazio domenicale e il 20 febbraio viene pubblicato il Manifesto.<br />

Pubblicare a Parigi significa dare un credito e un’importanza a questa dichiarazione di guerra<br />

dell’arte italiana assolutamente meravigliosa, eccezionale, e questo tipo di impatto si riversa poi sulla<br />

cultura italiana.<br />

Infatti, subito a ridosso della pubblicazione, alcuni artisti che si muovevano intorno a Marinetti si<br />

riuniscono a casa sua, in via Senato, ed è divertente pensare che Marinetti riceva Boccioni, riceva<br />

Carlo Carrà, Luigi Russolo, Giacomo Balla che era stato maestro di Boccioni, in un salottino turco,<br />

di gusto quindi totalmente antifuturista, dove praticamente si avviano delle serate, degli incontri<br />

di discussione durante i quali questi pittori cercano di trasferire il messaggio e i valori fondanti del<br />

Manifesto del <strong>Futurismo</strong> marinettiano all’interno della produzione artistica. È li che nasce, in questo<br />

salotto e sotto l’egida di Marinetti, il Manifesto della pittura futurista che vede la luce <strong>nel</strong> 1910,<br />

che viene pubblicato in Le Figaro, divenuto ormai la tribuna di riferimento, firmato da Boccioni,<br />

da Russolo, da Carrà da Severini e anche da Romolo Romani che era un <strong>bresciano</strong>, che viveva e<br />

lavorava a Milano, e da Aroldo Bonzagni che era di ambito bolognese.<br />

20 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 21 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>


Valerio Terraroli<br />

La reazione al Manifesto della pittura futurista è cosi violenta e così pesante che subito dopo la<br />

pubblicazione Romolo Romani e Aroldo Bonzagni ritirano le loro firme. Romolo Romani abbandona<br />

Milano e torna a Brescia a vivere e non fa il futurista, ma si impegna in una pittura tradizionale,<br />

perché quello era ciò che la nostra città in qualche modo voleva, ed è così impaurito di essere legato<br />

ai futuristi che non ne vuole più sapere. Ciò è interessante perché in realtà Romani aveva realizzato<br />

delle invenzioni pittoriche tra il 1904 e il 1907 che sono davvero pre-futuriste. Questo spiegherebbe<br />

come mai egli abbia apposto la propria firma al manifesto della pittura, ma poi le reazioni del mondo,<br />

dell’establishment furono così violente che egli si ritirò.<br />

Subito a seguire, <strong>nel</strong> 1911, segue il Manifesto della scultura futurista di Boccioni e potrei continuare<br />

così fino agli anni Trenta.<br />

Perché i manifesti sono così importanti? Perché il manifesto è una dichiarazione di intenti<br />

e l’intelligenza di Marinetti fu proprio di capire che l’unico modo per incidere <strong>nel</strong>la realtà<br />

contemporanea, per far parlare di sè, per avere l’audience di un pubblico vastissimo attraverso<br />

i giornali, attraverso le riviste, attraverso anche le notizie spicciole, anedottiche come quello che<br />

succedeva <strong>nel</strong>le serate futuriste che finivano di solito a botte con i futuristi che insultavano il pubblico,<br />

il pubblico che tirava le sedie, pomodori, ortaggi, serviva tutto questo a far parlare dei futuristi, a tal<br />

punto che, verso il 1912-1913, l’Italia si sente futurista, almeno Marinetti afferma questo.<br />

Quindi in qualche modo l’idea marinettiana è proprio quella che ciò che conta è la dichiarazione<br />

di intenti, i principi di base, ai quali naturalmente ci si aggrega scegliendo di iscriversi al<br />

<strong>Futurismo</strong> e questo dimostra il perché noi possiamo contare circa 1200 nomi di artisti futuristi,<br />

di diversi livelli qualitativi naturalmente, cosa che non succede per nessun altro movimento<br />

d’avanguardia del Novecento.<br />

Ritornando di nuovo alle origini cosa succede tra il 1909 e il 1911?<br />

Boccioni è il punto nevralgico di questo fenomeno. Questo vuol dire anche una cosa importante<br />

dal punto di vista dei contenuti del <strong>Futurismo</strong>: La città che sale di Boccioni è considerato in<br />

qualche modo il dipinto emblematico di quella situazione. Rappresenta un cantiere edile della<br />

città di Milano, <strong>nel</strong>la periferia dove si stanno costruendo le case operaie, gli opifici, cioè la<br />

città che si allarga, che mangia la campagna, il moderno che distrugge l’antico, l’industria<br />

che distrugge la tradizione contadina, dove si vede un carro con due cavalli da traino che si<br />

imbizzarriscono. Quello che rappresenta il pittore non è l’episodio aneddotico dei cavalli che<br />

si imbizzarriscono <strong>nel</strong> cantiere,ma la rappresentazione della compenetrazione dei corpi cioè<br />

la violenza del movimento rappresentata dalla macchia al centro che indica il movimento del<br />

cavallo che entra in conflitto con l’aria che attraversa, in conflitto con la forza degli operai che<br />

cercano di tenere ferme le briglie perché il cavallo è imbizzarrito e rovescia il carro, con le<br />

impalcature che salgono sul fondo, la città, i fumi degli opifici. Tutto questo viene liberato dalla<br />

descrittività del disegno e diventa invece filamento di colore che si compenetra. Quindi il quadro<br />

non rappresenta l’episodio che ho descritto, ma rappresenta il movimento e l’attraversamento<br />

dello spazio di un corpo in un segmento temporale molto breve.<br />

È esattamente questo che Boccioni vuole evidenziare, ovvero l’idea che la materia in tutti i suoi<br />

aspetti, cioè la materia in senso fisico, ma anche la materia come la luce, la materia colore, sia<br />

pura energia. Questo è un concetto sul quale Einstein costruisce la teoria della relatività ed è un<br />

concetto che è patrimonio della cultura europea proprio dall’inizio del Novecento. Non sto dicendo<br />

che Boccioni poteva fare quello che ha fatto Einstein, sto dicendo che sia Boccioni sia Einstein<br />

appartengono allo stesso segmento culturale, appartengono allo stesso sentire, appartengono alla<br />

stessa modalità di coscienza e di cultura che è quella appunto che veniva dal Modernismo.<br />

Ora l’idea del <strong>Futurismo</strong> di Boccioni è un’idea purista cioè per Boccioni l’arte futurista è, o può<br />

essere, l’arte della parola, ed è ciò che diceva Marinetti, ma <strong>nel</strong> campo delle arti figurative, il<br />

<strong>Futurismo</strong> poteva essere solo pittura o scultura. Sulla pittura abbiamo detto, La città che sale ne è<br />

un’esemplificazione e poi <strong>nel</strong> 1911 c’è il famosissimo trittico Stati d’animo che oggi voi potreste<br />

vedere in due sedi perché a Milano sono esposti i bozzetti del 1910 e a Roma, alle scuderie del<br />

Quirinale, la redazione finale che è normalmente esposta al Museum of Modern Art di New York.<br />

È un trittico, quindi è l’idea di un racconto, si intitola Stati d’animo, un titolo tipicamente simbolista,<br />

legato all’idea che l’arte va proprio a scavare <strong>nel</strong>la sensorialità e nei sentimenti degli esseri umani, ed<br />

<strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> come arte d’avanguardia<br />

è diviso in tre parti ed hanno dei titoli: Quelli che partono, Gli addii che è la parte centrale, Quelli che<br />

restano.<br />

Ciò che si vede in queste tre tele è qualcosa di assolutamente non descrittivo, è ovvio, ma è una<br />

rappresentazione che articola il racconto attraverso delle linee modulari; per cui Quelli che partono<br />

sono rappresentati da linee oblique, in movimento <strong>nel</strong>lo spazio, Gli addii dalla compenetrazione di<br />

una locomotiva che entra <strong>nel</strong>la stazione di Milano, sbuffando, e che sembra attraversare, diciamo,<br />

la gente che si sta salutando sul binario, Quelli che restano sono rappresentati da linee verticali che<br />

simboleggiano la stabilità, la staticità di coloro che sono rimasti.<br />

Questa idea che il racconto dei sentimenti, dei rapporti umani, dei rapporti esistenziali, passi<br />

attraverso una forma che ha delle valenze astratte toglie dal campo un problema e Boccioni lo<br />

sosteneva: il <strong>Futurismo</strong> non può scendere a patti con la quotidianità, in un rapporto diretto con un<br />

pubblico comune. È un linguaggio intellettuale, è un linguaggio poetico, che non può davvero avere a<br />

che fare con la larga massa della società.<br />

Questa posizione lo mette in conflitto con Marinetti, perché Marinetti, da intellettuale, ma soprattutto<br />

da comunicatore, sapeva benissimo che la fortuna del movimento poteva essere solo il largo<br />

pubblico, non il ristretto circolo di intellettuali, per cui tra i due avviene uno scontro su quale direzione<br />

deve prendere il <strong>Futurismo</strong>. Però scoppia la guerra, Boccioni è arruolato, come è noto durante una<br />

licenza rientra in Italia, cade da cavallo e muore, ma in realtà con lo scoppio della guerra e l’addio<br />

di Boccioni a Marinetti, la linea del <strong>Futurismo</strong> marinettiano si sposta su Giacomo Balla, cioè Milano<br />

perde il ruolo di capitale del <strong>Futurismo</strong> a favore di Roma.<br />

Tornando alla redazione finale degli Stati d’animo, Quelli che partono, <strong>nel</strong>la prima delle tre tele del<br />

1911, i volti degli individui perdono ovviamente di qualsiasi connotazione naturalistica, non solo, ma<br />

si smontano come delle maschere e qui c’è anche un rapporto, che diventerà più evidente <strong>nel</strong> 1912,<br />

con il Cubismo francese. Va ricordato che Boccioni è andato a Parigi già dal 1909 insieme a Severini,<br />

poi Severini a Parigi si è fermato per lunghi anni, Boccioni è tornato in Italia, ma il contatto con Parigi<br />

ha certamente determinato delle sinergie che qui sono evidenti. Boccioni però non accetta l’idea, in<br />

qualche modo statica, del Cubismo picassiano, cioè non gli interessa ricostruire razionalmente sulla<br />

tela diversi punti di visione di un corpo, ma gli interessa rappresentare la quarta dimensione, cioè<br />

la dimensione temporale. Quindi i corpi si smontano, i volti si frantumano, penetrano <strong>nel</strong>lo spazio<br />

e ,l’aria non è un vuoto, come era sempre stato <strong>nel</strong>la pittura, ma diventa un pieno che modifica<br />

l’aspetto dei corpi che la attraversano creando queste linee andamentali che sono le linee oblique<br />

che danno il senso del movimento. Quindi in realtà il dipinto, che per definizione è statico perché non<br />

si muove, da allo spettatore la percezione di un movimento ritmico: è la quarta dimensione che viene<br />

messa in evidenza.<br />

Questo concetto è ancora più esplicito in Gli addii: il gruppo di numeri, che è il numero di serie della<br />

locomotiva in realtà non si vede perché qui c’è l’idea della macchina, vista però lateralmente, le due<br />

ciminiere, i vapori del fumo perché la locomotiva sta entrando sferragliando <strong>nel</strong>la stazione, vedete<br />

per esempio queste figure verdi che si muovono come delle onde sono le persone che stanno sui<br />

binari; cosa succede, non c’è più la distinzione di piani, la distinzione di profondità, ma tutto viene<br />

portato sul primo piano, la locomotiva entra <strong>nel</strong>le persone e le persone <strong>nel</strong>la locomotiva, il vapore<br />

<strong>nel</strong>la stazione, i binari non corrispondono alla locomotiva perché ciò che conta non è la descrizione<br />

dell’evento e soprattutto la pittura non deve illudere di una verità naturale, ma deve raccontare e in<br />

qualche modo restituire il senso del reale attraverso sensazioni visive e percezioni, compenetrazioni di<br />

spazio e di tempo, materia e energia. Questa è la forza della pittura di Boccioni perché altrimenti non<br />

la capiremmo mai.<br />

Questi sono Quelli che restano, vedete le figure che si muovono <strong>nel</strong>lo spazio, di schiena, si<br />

allontanano dalla stazione e vedete che l’aria che attraversano produce linee di verticalità che<br />

rappresentano una forma di immobilismo rispetto alle energie scatenate dal treno che arriva, in Gli<br />

addii, e in Quelli che partono.<br />

Ma ancor di più La città entra <strong>nel</strong>la casa, è uno dei capolavori boccioniani proprio <strong>nel</strong>l’idea di<br />

compenetrazione dello spazio e del tempo.<br />

In realtà l’episodio raccontato è la madre, soggetto favorito di Boccioni nei suoi dipinti, utilizzata<br />

come termine di paragone spazio/temporale. La madre è affacciata alla ringhiera della casa<br />

22 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 23 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>


Valerio Terraroli<br />

dove abitavano, si affaccia sulla piazza che è una piazza popolare della periferia di Milano, con<br />

le impalcature delle case in costruzione, le case operaie, i carri che passano. Tutto questo, che<br />

è una visione banalmente ottocentesca, diventa in questo dipinto una esplicitazione del concetto<br />

che la città <strong>nel</strong> suo insieme, cioè persone, case, edifici, trasporti, movimenti, entrano <strong>nel</strong>la casa di<br />

Boccioni ovvero la casa e la madre di Boccioni entrano <strong>nel</strong>la città. E allora ecco che le case della<br />

visione sono tutte sghembe e sembrano collassare verso la piazza oppure vedete addirittura che<br />

il carro del mercato entra <strong>nel</strong>la balausta del balcone di casa. Ma ancora di più, in questo senso,<br />

ecco la strada: la madre, la figura in primo piano, ha la testa attraversata da un tram. Non è una<br />

follia boccioniana, non è un desiderio di omicidio nei confronti della madre, è l’idea che <strong>nel</strong>lo<br />

spazio/tempo di quell’attimo di quella visione, il tram entra <strong>nel</strong>la madre e la madre come vedete si<br />

specchia <strong>nel</strong>la città, il suo volto è la città e non c’è più distinzione di ruoli, di spazi, di tempi. Proprio<br />

ciò che Marinetti aveva teorizzato con il suo Manifesto.<br />

La risata è uno dei capolavori ultimi di Boccioni, 1912, lui stesso ne parla, è un quadro che fece<br />

molto discutere perché fu esposto <strong>nel</strong>la Prima mostra internazionale dei futuristi del 1912 a<br />

Parigi. Quindi scelsero per la prima uscita pubblica collettiva non Milano, non Roma, ma Parigi e<br />

in quella mostra del 1912 non c’erano solo loro, ma c’erano anche Picasso, Braque, Archipenko,<br />

Brancusi cioè tutta quella parte di cultura parigina internazionale che dava vita ai diversi fenomeni<br />

dell’avanguardia e infatti la mostra che da poco ha chiuso al Beaubourg e che oggi si è spostata a<br />

Roma è dedicata proprio a quella mostra del 1912.<br />

La risata rappresenta una serata tra amici in cui Boccioni ricostruisce mentalmente, <strong>nel</strong> ricordo,<br />

singole parti di quell’avvenimento, quindi avete la bombetta di un amico appoggiata sul tavolo,<br />

dei bicchieri pieni di vino, delle corbeilles di fiori, le luci del bar-cabaret, soprattutto il ricordo di<br />

una donna, di un’amica, che davanti a una battuta tira indietro la testa e si mette a ridere e la sua<br />

risata crea delle onde sonore che attraversano tutta la visione. Quindi ciò che egli ricostruisce,<br />

e che da il titolo al dipinto, non è una ricostruzione naturalistica di un avvenimento, ma è la<br />

ricostruzione direi simbolica di quell’avvenimento, fatta per segmenti di memoria e i segmenti<br />

di memoria sono legati alle teorie bergsoniane che sono esattamente legate a quel sistema di<br />

pensiero di cui i futuristi fanno parte.<br />

Romolo Romani è l’autore di questo disegno che fa parte delle collezioni dei Civici Musei di Brescia e<br />

si intitola Lussuria. È chiaramente un’immagine di carattere simbolista e la lussuria è rappresentata<br />

da un’immagine astratta che vagamente ricorda un volto femminile dalla lunga capigliatura che in<br />

realtà simula un groviglio di serpenti. <strong>Il</strong> tema della lussuria è legato alla figura di Eva ovviamente e<br />

del serpente, così come gli occhi a fessura, la linea del naso, la bocca rimandano al sesso femminile,<br />

con le linee che portano tutte verso questo centro di attenzione. Dunque l’idea di Romolo Romani, ma<br />

questo è un disegno del 1906 quindi pre-futurista, già rivela un’idea di movimento, compenetrazione,<br />

schematizzazione astratta che troverà ragione <strong>nel</strong> <strong>Futurismo</strong> vero e proprio. Ripeto, Romani firmerà<br />

il manifesto, ma sceglierà poi la strada di rinuncia per motivi personali e guardate quanto quell’idea<br />

della lussuria personificata da una maschera ritorni in Boccioni in questo dipinto del 1912 che si<br />

intitola Idolo moderno. L’idolo moderno è ovviamente la donna simbolista, la donna vampiro, la donna<br />

che personifica la lussuria, il piacere, ma anche il divertimento e guardate quanto la figura, il volto<br />

come una maschera, gli occhi dilatati, abbiano strettissime affinità con la cultura secessionista, penso<br />

immediatamente a Gustav Klimt per esempio, ma soprattutto a Franz Von Stuck e alla Secessione di<br />

Monaco e a Edvard Munch. Quindi vedete che c’è veramente una condivisione di situazioni culturali<br />

di cui Boccioni è un punto di arrivo.<br />

Dicevo prima che con il 1914, in realtà già con la mostra del 1912, l’unità dei futuristi si è frantumata<br />

e già le polemiche tra Boccioni e Marinetti si sono fatte vivaci, Balla prende il sopravvento, ma non<br />

a discapito di Boccioni, in realtà Boccioni si allontana sponte propria e fa quindi una sua scelta<br />

di isolamento intellettualistico, mentre Balla entra prepotentemente <strong>nel</strong>l’entourage marinettiano<br />

prendendo tutto lo spazio possibile.<br />

Balla è quello che fra tutti i futuristi si occupa dell’idea della rappresentazione, passatemi il termine,<br />

cinematografica dell’immagine, ma questo per una ragione molto semplice; Balla lavorava a Roma,<br />

era di origine torinese, ma poi si era trasferito a Roma dove aveva dato i primi rudimenti della pittura<br />

a Boccioni che dalla Calabria saliva verso Milano. Balla era legatissimo ad Anton Giulio Bragaglia<br />

<strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> come arte d’avanguardia<br />

e alla Casa d’arte Bragaglia. I Bragaglia sono i primi in Italia ad applicare le tecnologie dei fratelli<br />

Lumière cioè a produrre prima le cronofotografie, cioè fotomontaggi con fotografie che danno l’idea<br />

del movimento, tipo i cartoni animati, e poi i primi cortometraggi su pellicola.<br />

Proprio sull’esperienza della cinematografia, Balla cerca di portare <strong>nel</strong>la pittura la novità del<br />

linguaggio cinematografico, cioè rendere il senso del movimento. Boccioni l’aveva fatto con l’idea<br />

del colore e delle linee che si compenetravano, Balla lo fa attraverso la ripetizione degli elementi<br />

costitutivi dell’immagine, fissandosi sui dettagli.<br />

È famosissima la ragazza, la bambina, che poi è la figlia di Balla, che corre sul balcone perché<br />

insegue una palla, gioca con una palla e cosa si vede: più sagome, nove sagome di una figura<br />

tutta smontata che ha naturalmente diciotto piedi che si muovono e che compenetra il suo corpo<br />

con la balaustra del ballatoio. In realtà se noi potessimo avere nove cartoni che rappresentano le<br />

nove sagome e li facessimo andare alla velocità di 1/30 di secondo vedremmo una bambina che<br />

corre così come per la signora col cagnolino: vediamo i piedi della signora e le zampe del cagnolino,<br />

vedremmo un cagnolino che sgambetta e scodinzola.<br />

Questo accade esattamente in uno dei capolavori di Balla di questi anni, 1911 inizi del 1912, che<br />

è il Movimento dell’archetto o Mano del violinista, che fra l’altro è realizzato in una tela triangolare<br />

che già smonta l’idea del quadro tradizionale quadrato o rettangolare e punta l’attenzione, la lente<br />

di ingrandimento, sul movimento della mano sinistra del violinista, cioè quella che si muove sulle<br />

corde del violino, e poi l’archetto. <strong>Il</strong> tutto è reso attraverso un moltiplicarsi del disegno, attraverso<br />

quindi una pittura tutta segmentata, che veniva dai divisionisti. e che ho mostrato all’inizio del<br />

discorso, e che restituisce allo spettatore l’immagine del movimento e anche il suono, perché<br />

l’idea futurista è l’idea che veniva dalla tradizione modernista di un’opera d’arte totale cioè lo<br />

spettatore non usa soltanto gli occhi, <strong>nel</strong>la sua mente la percezione data dal movimento deve<br />

restituire anche suoni, effetti tattili, cioè tutti i nostri sensi dovrebbero essere portati a ricostruire la<br />

lettura dell’opera d’arte più completa possibile.<br />

Boccioni risponde a Balla, <strong>nel</strong>lo stesso anno, con la tela Elasticità, che in realtà è un cavaliere a<br />

cavallo che corre <strong>nel</strong>la città. Qui vedete quanto la lezione picassiana sia importante per Boccioni:<br />

il cavallo in realtà è una costruzione che sembra prefigurare Guernica, cioè l’animale sembra tutto<br />

costituito di volumi geometrici, accorpati, tridimensionali, in cui il cavaliere si inserisce, si incastra, così<br />

come il paesaggio e la città restituiscono un movimento plastico. Mentre Balla intende la plasticità<br />

dinamica come più grafica e sonora, Boccioni restituisce pittoricamente un movimento plastico e<br />

tridimensionale.<br />

È da questo ragionamento che nasce il Manifesto della scultura futurista firmato da Boccioni<br />

<strong>nel</strong> 1911.<br />

Sviluppo di una bottiglia <strong>nel</strong>lo spazio è una bottiglia che viene analizzata con l’occhio di Picasso, cioè<br />

la bottiglia come volume geometrico, alla quale si aggiunge come plusvalore la lezione futurista del<br />

tempo cioè del movimento, dell’energia. La bottiglia davanti ai nostri occhi si apre e si dipana <strong>nel</strong>lo<br />

spazio e si ricongiunge continuamente.<br />

Questa idea di una scultura dinamica, che sembra una contraddizione perché la scultura, forse ancor<br />

più della pittura, è qualcosa di stabile, ha anch’essa una ragion d’essere <strong>nel</strong> passato, <strong>nel</strong> passato<br />

recente della tradizione di poco precedente, ovvero in Medardo Rosso. Medardo Rosso è stato<br />

un grande scultore italiano del periodo della cultura simbolista che si era trasferito a Parigi, aveva<br />

lavorato a lungo assieme a Rodin e propone una scultura che rifiuta l’idea della statuaria, ma inventa<br />

una scultura che è sensibile ai passaggi luminosi, ai passaggi di materia. Ad esempio in questa<br />

fusione di bronzo dal titolo Bookmaker, cioè lo scommettitore delle corse, voi vedete che in realtà la<br />

figura dell’uomo non è descritta per quello che è, ciò che conta è la massa del bronzo che sembra<br />

muoversi e smontarsi colpita dalla luce.<br />

Questo movimento, guarda caso, trova ragione e unità in questo che è il capolavoro assoluto<br />

della scultura boccioniana il cui titolo è Forme uniche della continuità <strong>nel</strong>lo spazio. <strong>Il</strong> titolo spiega<br />

esattamente che cosa è: forme uniche della continuità vuol dire che il corpo è un’unità, però viene<br />

usato il plurale, forme uniche, non forma unica, vuol dire che Boccioni ci sta suggerendo che il corpo,<br />

cioè l’oggetto, può essere il corpo umano, un bicchiere, questo orologio, può essere una pianta,<br />

non è una forma data una volta per tutte, ma in realtà si modifica continuamente <strong>nel</strong> tempo e <strong>nel</strong>lo<br />

24 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 25 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>


Valerio Terraroli<br />

spazio. Le sue sono però forme uniche di continuità all’interno dello spazio, quindi quest’uomo che<br />

cammina, che sembra fendere un vento che lo sospinge all’indietro, il cui corpo, le cui cellule si<br />

smontano e si rimontano velocemente <strong>nel</strong>la compenetrazione con lo spazio e con il tempo. L’artista<br />

ha dato vita alla quarta dimensione anche <strong>nel</strong>la scultura.<br />

È chiaro che con questo, così come aveva fatto con la pittura, Boccioni ha ucciso l’idea delle<br />

tre dimensioni dell’arte antica sia <strong>nel</strong>la scultura sia <strong>nel</strong>la pittura ed ha aperto la strada all’arte<br />

contemporanea cioè a quella delle installazioni, della performance, quella della body art.<br />

Non solo lui naturalmente perché i futuristi sono stati veramente una squadra d’assalto pur <strong>nel</strong>la loro<br />

individualità.<br />

Balla ha fatto le cose che vi dicevo, Boccioni muore all’inizio della guerra, e in quegli anni si affaccia,<br />

giovanissimo, Fortunato Depero che sarà l’alfiere del cosiddetto secondo <strong>Futurismo</strong>.<br />

Di origine trentina, era nato a Rovereto, aveva però studiato anche a Milano, si è spostato a Roma, si<br />

è poi recato a Parigi e a New York. Sulla scorta del rapporto con Marinetti e con Balla a che cosa dá<br />

vita Depero? Depero dá vita ad una idea dell’arte futurista diffusa e non elitaria, come l’aveva pensata<br />

Boccioni, ma diffusa in tutti gli aspetti della creatività artistica. Quindi non solo pittura o scultura, ma<br />

anche per esempio grafica, pubblicità, oggetti, mobili, tappeti, tessuti e poi parole.<br />

Queste sono le cosiddette Parolibere del 1914, che cosa è? È la trascrizione del teatro onomatopeico<br />

ovvero la poesia, la parola moderna non è la parola dantesca, la poesia dantesca, ma è la stessa<br />

questione della macchina e della Vittoria di Samotracia. Non è che Depero non apprezzi Dante o non<br />

apprezzi Petrarca: siamo sicuri che la contemporaneità, le parole, la poesia della contemporaneità<br />

siano “chiare, fresche, dolci acque” e non invece il rumore dei campa<strong>nel</strong>li del tram che passa, del<br />

rumore del treno, della fabbrica, della sirena? I suoni del contemporaneo diventano anche visivi, non<br />

soltanto uditivi, noi sentiamo e leggiamo contemporaneamente. È l’idea appunto del teatro parolibero,<br />

cioè dove si mettono insieme suono, recitazione, racconto e scrittura e anche estetica grafica:<br />

un’opera d’arte totale, appunto.<br />

Volete che a questo punto il <strong>Futurismo</strong> non entri anche <strong>nel</strong>l’idea di città e di architettura? In realtà ci è<br />

entrato poco agli inizi, perché l’unico che l’ha fatto, Antonio Sant’Elia che è l’autore di questi progetti,<br />

questo per un edificio abitativo e questo per una centrale elettrica, muore in trincea proprio <strong>nel</strong> primo<br />

anno di guerra, quindi in realtà non potrà mai veder realizzati questi suoi progetti. Guardate però<br />

quanto questi progetti del 1914 abbiano dentro tutto quello che succederà negli anni Trenta e negli<br />

anni Cinquanta, il Razionalismo, il Funzionalismo, l’architettura industriale, quanto il film Metropolis di<br />

Fritz Lang debba a questi progetti. <strong>Il</strong> futurismo era la trasformazione della vita, della città, era un’altra<br />

cosa rispetto a come era partito dal punto di vista di Boccioni naturalmente, non di Marinetti.<br />

Dopo la guerra le carte sul tavolo sono cambiate totalmente, tutta l’Europa è modificata e<br />

cambiata, il pubblico è cambiato, la sensibilità è mutata, anche i futuristi cambiano e il perno<br />

diventa Depero.<br />

Nel 1920 Depero realizza questo dipinto dedicato al suo laboratorio, quello che lui chiama “La casa<br />

del mago” che si trova a Rovereto, e che è stato riaperto pochi mesi fa dopo un lunghissimo restauro,<br />

ed è il laboratorio moderno delle arti applicate, cioè dove il <strong>Futurismo</strong> è il linguaggio che modifica la<br />

vita di tutti i giorni.<br />

Non è più, ripeto, la parola rivoluzionaria di Marinetti, il lavoro elitario, energetico, materico di Boccioni,<br />

il movimento cinematografico di Balla, è qualcosa di più capillare, di più profondo; entra <strong>nel</strong>le case di<br />

tutti, il <strong>Futurismo</strong> modifica o deve modificare la vita di tutti.<br />

Infatti vedete che <strong>nel</strong> laboratorio di Depero, dove lavorava sua moglie, lavoravano degli aiutanti, non ci<br />

sono uomini e donne, ci sono dei robot, ci sono delle macchine, è quel macchinismo che caratterizza<br />

anche il Cubismo degli anni Venti, e cito per tutti Fernand Léger, che prende il linguaggio di Picasso<br />

e lo trasfigura <strong>nel</strong> linguaggio degli ingranaggi della macchina. È l’esaltazione della civiltà industriale<br />

post bellica. Tenete conto che siamo in piena ricostruzione in Italia dove si esalta l’industria come<br />

unica possibilità per far entrare <strong>nel</strong> nostro paese la modernità dopo i disastri della guerra.<br />

Qui rientra anche l’idea tipicamente deperiana del gioco che è una delle componenti fondamentali<br />

del secondo <strong>Futurismo</strong>, l’ironia, il gioco sarcastico, la violenza, se volete.<br />

La costruzione del lampo, il titolo di questo dipinto di Depero del 1926 quindi in pieni anni Venti, in<br />

piena Art Dèco, dá un’idea fumettistica della realtà, spiritosa, divertente, di cartolina per bambini che<br />

<strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> come arte d’avanguardia<br />

dá del <strong>Futurismo</strong> quindi un aspetto giocoso, divertente, che è la caratteristica proprio degli anni Venti,<br />

molto diversa dalla seriosità da manifesto dell’inizio, degli esordi.<br />

Tanto è che Depero dedica al padre padrone del <strong>Futurismo</strong>, Filippo Tommaso Marinetti, questo<br />

ritratto ideale patriottico del 1916 dove Marinetti è rappresentato come un manichino, ma non è<br />

una polemica nei confronti di Marinetti ma è per dire che la forza dell’uomo moderno è la forza<br />

meccanica, di questa energia che va a 6000 volt, come diceva Marinetti, e guardate che la sua<br />

energia è data dal fatto che la testa è piena di lampi che esplodono.<br />

Poi c’è proprio l’esaltazione assoluta dell’oggetto meccanico che a questo punto, a queste date, cioè<br />

1926-27-28, non è più solo la macchina ma è per esempio il motoscafo. Questo è un dipinto di<br />

Benedetta, la moglie di Marinetti; per quanto Marinetti avesse scritto <strong>nel</strong> manifesto che era nemico<br />

delle donne ed era contro il femminismo, in realtà <strong>nel</strong> <strong>Futurismo</strong> italiano e <strong>nel</strong> Cubofuturismo russo<br />

per la prima volta le donne artiste ebbero delle posizioni paritarie agli uomini artisti. Quindi in effetti le<br />

avanguardie avevano spezzato anche una lancia importante per la crescita della posizione femminile<br />

all’interno del mondo dell’arte.<br />

Benedetta, che è stata parte importante del secondo <strong>Futurismo</strong>, presenta qui La scia del<br />

motoscafo, il motoscafo è l’oggetto che corre in lontananza ma ciò che viene rappresentato<br />

non è l’oggetto in sè, cioè il motoscafo, ma l’effetto che l’oggetto in sé fa fendendo l’aria e<br />

fendendo le onde con questi movimenti triangolari ritmici che hanno molto a che fare con<br />

l’astrattismo olandese di questi anni.<br />

L’aereo certamente per il secondo <strong>Futurismo</strong> è l’oggetto di passione, la rappresentazione vera e più<br />

profonda di questa nuova stagione della contemporaneità futurista.<br />

Questa è un’opera di Depero del 1928, un ritratto ideale del pilota Zari, ma volevo soprattutto<br />

mostrarvi il tipo di aereo, questo biplano fatto di cartone, un po’ come il biplano che ha usato<br />

D’Annunzio per il volo su <strong>Vie</strong>nna.<br />

Ecco che nasce l’Aeropittura che è la versione moderna del secondo <strong>Futurismo</strong> della pittura<br />

futurista, ha anch’essa un manifesto che viene stilato <strong>nel</strong> 1929, inizio 1930, e che propone una<br />

visione del mondo totalmente inedita rispetto ad ogni situazione del passato: questi artisti della<br />

seconda generazione del <strong>Futurismo</strong> si propongono di suggerire, di guardare il mondo dall’alto, cioè<br />

una visione planetaria del mondo, una visione addirittura siderale del mondo, dell’universo, dove le<br />

energie dell’universo e del movimento rotatorio della terra rendono gli oggetti che abbiamo sempre<br />

considerato monumenti, grandiosità, punti di riferimento, delle cosa da nulla.<br />

Ad esempio questa è un’opera di Tato della metà degli anni Trenta, è un volo a spirale con il biplano<br />

sul Colosseo. Che cosa ci dice? Innanzitutto che l’aereo compie un movimento a spirale come<br />

l’edificio del Colosseo ma facendo questo movimento il Colosseo diventa un oggetto della Lego, non<br />

è più l’antichità, non è più la grandiosità, non è più l’oggetto della città, ma è un incidente <strong>nel</strong>lo spazio<br />

infinito del movimento contemporaneo.<br />

Oppure questo di Prampolini dal titolo Prima che si apra il paracadute; è come se noi fotografassimo<br />

il paracadutista che si è buttato dall’aereo, in mezzo alle nuvole con il movimento dell’elica;<br />

intravedete sul fondo la campagna lontanissima e il corpo dell’uomo che si compenetra <strong>nel</strong>l’aria, ma<br />

vedete che la compenetrazione non è più tutta sfilacciata come quella di Boccioni, non è più ritmica<br />

come quella di Balla, ma è un corpo solido che entra <strong>nel</strong>lo spazio con un punto di vista totalmente<br />

lontano dalla linea dell’orizzonte e cioè veramente aprendosi ad una visione assolutamente inedita del<br />

mondo.<br />

Del resto Gerardo Dottori che è uno dei primi firmatari del Manifesto dell’Aeropittura, si immagina<br />

che dall’universo, vedete qui evidenti le lune, i pianeti che circondano la Terra, il sole, mandino delle<br />

energie fisicamente percepibili come dei coni di energia sulle montagne, sulle Alpi, sull’Italia, sul lago<br />

di Garda, producendo una relazione simbolica, energetica, mistica, dinamica, tra terra, mondo, realtà<br />

e infinito dei pianeti.<br />

Questo invece mi interessava mostralo perché è un punto di vista interessante molto vicino a certi<br />

episodi della contemporaneità: opera di Prampolini del 1939 dal titolo Puntando verso la città. Cosa<br />

è? Noi siamo il secondo pilota di un aereo bombardiere, pensate all’11 settembre, notate come la<br />

visione del mondo cambi, il bombardiere entra <strong>nel</strong>la città moderna. Quella che vedete sotto di voi<br />

che sembra una città fatta di costruzioni da bambino, della Lego appunto, in realtà è New York, è la<br />

26 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 27 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>


Valerio Terraroli<br />

città moderna, la città dei grattacieli, la città in movimento. In questo corpo in movimento penetra la<br />

violenza dell’aereo con il movimento dell’elica e con questa visione esplosiva.<br />

Movimento dell’elica che trovate in un oggetto di questo tipo: questo è un oggetto emerso<br />

recentissimamente agli studi, è un oggetto abbastanza particolare, si tratta di una scultura che ha<br />

anche una funzione di illuminazione, è un lampadario, che probabilmente è stato disegnato da Balla,<br />

realizzato in Emilia da dei fabbri ferrai che avevano una lunga tradizione tra l’altro liberty e dèco, e<br />

che rappresenta l’elica di un aereo; se voi lo guardate da sotto, gli elementi in vetro sono gli elementi<br />

in legno dell’elica che punta verso il basso mentre l’elemento di sostegno sono le saette che escono<br />

dal motore, quelle in ferro, sostenute da una struttura in alluminio, materiali contemporanei, un<br />

oggetto di uso domestico che rappresenta però il movimento dell’aereo.<br />

Quindi è questa l’idea dell’unione tra quotidiano e <strong>Futurismo</strong> che Boccioni rifiutava e che invece<br />

diventa parte integrante del secondo <strong>Futurismo</strong>. In effetti, proprio negli anni Venti, il <strong>Futurismo</strong> va<br />

a toccare tutta una serie di esperienze, che danno vita a una serie di manifesti, proprio legate agli<br />

oggetti, ad esempio la ceramica. Cosa c’è di più tradizionale della ceramica che dall’età più antica<br />

dell’uomo ha accompagnato lo sviluppo delle civiltà, con la ceramica si fanno gli oggetti d’uso, dal<br />

pentolame, piatti, bicchieri, tazze, tazzine.<br />

I futuristi, tra tutti Giacomo Balla, si pone il problema di come mettere in relazione le idee futuriste<br />

con l’oggetto quotidiano e lo fa sulla scorta di un manifesto. È il manifesto che ha sancito la rottura<br />

definitiva tra primo e secondo futurismo, è il manifesto del 1915, cioè proprio allo scoppio della prima<br />

guerra mondiale, firmato congiuntamente da “Balla e Depero artisti futuristi”, così si firmano, e si<br />

intitola Manifesto della ricostruzione futurista dell’universo.<br />

<strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> si pone quindi l’obbiettivo non solo di fare la rivoluzione, ma di cambiare tutto l’universo,<br />

non solo l’universo in senso fisico, di fare la guerra ecc., ma l’universo del quotidiano, del vivere.<br />

Questo giustifica il fatto che le dinamiche futuriste entrino negli oggetti.<br />

Questo è un vaso da fiori con una forma assolutamente inusitata perché è praticamente un bipede<br />

decorato da forme geometriche e da un aereo, un idrovolante.<br />

Questo è un piatto decorativo da appendere in cucina o <strong>nel</strong>le sale da pranzo e come il dipinto<br />

di Prampolini di prima si vede una città che i squaderna, questi elementi gialli sono i grattacieli<br />

rappresentati in senso grafico, i portici di una piazza, le antenne di una radio, vedete le linee elettriche<br />

e poi qui c’è un piccolo aeroplanino che vola.<br />

Oppure ancora vedete che l’oggetto banalmente domestico, come questa caraffa da vino, diventa<br />

<strong>nel</strong>le mani di un grande futurista come Tullio di Albisola, che è un artista futurista ceramista, quella<br />

che lui definisce “brocca antimitativa”: è una brocca, ci potete mettere l’acqua, il vino, quello che<br />

volete, un liquido, però la sua forma e il suo decoro non imitano niente, è antimitativa.<br />

È fatta da una forma continua, vedete che l’impugnatura è legata al piede, cioè la sua funzione<br />

la mantiene, ma diventa una linea unitaria, la decorazione esterna è fatta di forme geometriche<br />

e poi si intravede però qual è il soggetto, una figura che fuma e quello che esce dalla sigaretta<br />

sono questi a<strong>nel</strong>li di fumo che la delimitano. Ci sono delle parole, come le parole libertà, amore,<br />

fumo, amori, rumori cioè tutto ciò che è legato alla convivialità, alla funzione che la brocca ha<br />

nei rapporti tra le persone.<br />

Per esempio pensate anche ad un oggetto banalmente decorativo, il vaso porta fiori; questo è<br />

un vaso monofiore per una rosa, per un lillà, per quello che volete voi. Tullio di Albisola come lo<br />

trasforma? Ovviamente il vaso deve essere un vaso, ci deve stare dentro l’acqua e un fiore, quindi<br />

c’è un cono che tiene l’acqua però il cono ha la forma di una ciminiera dell’industria e poi la<br />

decorazione puramente astratta quindi proprio legata alla cultura dell’astrazione internazionale<br />

degli anni Venti. In più come decorazione ci mette un punto di domanda e infatti si chiama Vaso<br />

punto di domanda che vuol dire che vi state chiedendo cosa è questo oggetto, a cosa serve, serve<br />

per provocare <strong>nel</strong>la vostra vita di tutti i giorni uno straniamento, qualcosa che non vi aspettate e<br />

che vi pone quindi delle domande.<br />

Ad esempio questi vasi sono i vasi motorati, cioè le cinghie che legano il vaso sono come i pistoni dei<br />

motori però sono fatti di ceramica.<br />

Oppure guardate questa scultura di Fillia che tutto può sembrare, un robot, un marchingegno, ma<br />

è in realtà un vaso da fiori in ceramica. È fatto di cilindri, in questo cilindro si mette l’acqua e poi c’è<br />

<strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> come arte d’avanguardia<br />

una sfera infilata in mezzo. È una struttura plastica <strong>nel</strong>lo spazio e quindi questo vi fa capire quanto<br />

il secondo futurismo sia collegato ad esempio con il grande fenomeno del Bauhaus che è il luogo<br />

d’invenzione del design moderno e della contemporaneità.<br />

Volevo mostrarvi questi due piccoli oggetti che sono di Bruno Munari, il grande designer degli anni<br />

Cinquanta, inventore di forme, di giochi per i bambini, di creatività, ha cominciato come futurista, era<br />

un futurista anche lui, come ceramista, lavora ad Albisola, e <strong>nel</strong> 1935 realizza questi due oggetti che<br />

sono due animali soprammobile.<br />

<strong>Il</strong> primo è un dromedario (siamo in piena età delle colonie) ma la cosa divertente è che il corpo<br />

dell’animale è fatto da cilindri, quindi da forme diciamo cubiste, e le gobbe sono le piramidi d’Egitto,<br />

il colore è quello del deserto quindi in realtà l’animale è il deserto con le piramidi egizie e il suo corpo<br />

è un corpo geometrizzato. <strong>Il</strong> secondo è un cane bulldog, un cane assolutamente virtuale, fatto di<br />

forme geometriche, la coda fatta come una maniglia, voi potete prendere il cane e spostarlo, tipo<br />

valigia, ed è questo il divertimento, l’ironia che mette in campo la cultura del secondo <strong>Futurismo</strong> fra<br />

Depero, Munari, Tullio di Albisola. Depero inventa la moderna pubblicità, a lui si devono moltissime<br />

invenzioni pubblicitarie che hanno naturalmente come ragion d’essere di nuovo Marinetti, il grande<br />

comunicatore, che aveva teorizzato il binomio parola e immagine come forza della comunicazione,<br />

così come la pubblicità vive della capacità di trovare una formula verbale icastica, la parola, lo slogan<br />

pubblicitario, e un’immagine che sia altrettanto icastica, che si fonde con la parola, si fissa <strong>nel</strong>la<br />

mente del pubblico che diventa il compratore. La pubblicità ha questa forza, se non fa questa cosa<br />

non è la pubblicità. E allora pensate, oltre al Bitter Campari, di cui Depero ha inventato la bottiglia che<br />

usiamo ancora oggi, alla Magnesia San Pellegrino che era, come noto, un purgante; <strong>nel</strong> manifesto<br />

diventa un omino, che è naturalmente un robot il cui corpo è la scatola della magnesia. Per cui voi<br />

associate la forma dell’omino con l’oggetto che andate a comprare, ma lui che cosa fa, fa l’idraulico<br />

perché stura le tubature otturate esattamente come l’intestino e quindi diventa l’idraulico della<br />

pancia delle persone. Quindi l’immagine pubblicitaria futurista mette insieme ironia, gioco, icasticità<br />

dell’immagine, parola.<br />

Balla è l’autore di questi bozzetti per piastrelle e questa è la piastrella realizzata da un ceramista su<br />

disegno di Balla. Anche le piastrelle che rivestono i nostri bagni, le nostre cucine, dovevano essere<br />

futuriste, la casa doveva essere futurista, e naturalmente il disegno cosa è, è un disegno geometrico,<br />

non è un disegno figurativo, perché la modernità è questo, è la geometria dinamica, è il cambiare i<br />

punti di vista.<br />

Arriviamo agli ultimi esempi che volevo mostrarvi, questo che è l’a<strong>nel</strong>lo di congiunzione tra <strong>Futurismo</strong><br />

italiano ed Europa, è un oggetto disegnato da Nicolaj Diulgheroff, che è un artista come dice il<br />

cognome di origine bulgara, che ha studiato a <strong>Vie</strong>nna (Secessione), è andato a lavorare a Weimar<br />

<strong>nel</strong>la prima versione del Bauhaus e quando il Bauhaus si sposta a Dessau lui si trasferisce a<br />

Torino dove ci sono già molti futuristi, ad esempio Fillia, e va a lavorare ad Albisola dove ci sono le<br />

ceramiche futuriste e lì modella degli oggetti di uso quotidiano. Questa è un’alzata da centro tavola<br />

per la frutta. In questo oggetto non soltanto il decoro è futurista (come <strong>nel</strong> caso della brocca il cui<br />

decoro è futurista, ma aveva però ancora la forma di brocca), ma qui l’oggetto è diverso anche<br />

fisicamente perché il cerchio che tiene la frutta si apre come la bottiglia di Boccioni, vedete le due ali<br />

laterali, nera e rossa come se si aprisse, e così il suo piede è un elemento dinamico, la forma plastica<br />

è collegata alla forma pittorica, l’oggetto entra prepotentemente <strong>nel</strong>la nostra quotidianità portandovi le<br />

dinamiche futuriste.<br />

Guardate anche questo vaso, in realtà è un portaombrelli e portabastoni, caratterizzato da questi<br />

grandi a<strong>nel</strong>li da motore, le due anse sono l’idea dell’ampliamento del vaso <strong>nel</strong>lo spazio.<br />

Ma anche i vestiti vengono coinvolti dalla riprogettazione futurista: già Balla aveva scritto e pubblicato<br />

in francese il Manifesto dell’abito futurista maschile, dove gli abiti dovevano essere tagliati tutti<br />

sghembi, un po’ come quei disegni che avete visto <strong>nel</strong>le piastrelle, perché così anche l’uomo futurista<br />

<strong>nel</strong>la strada avrebbe creato movimento.<br />

Per quanto riguarda il rapporto del secondo <strong>Futurismo</strong> con Bauhaus, De Stijl, quindi astrazione<br />

olandese, astrazione mitteleuropea, vediamo ad esempio Tullio Crali, che dá vita a questi figurini di<br />

moda del 1932, e li chiama Abiti costruttivisiti, cioè il termine che noi usiamo per definire l’arte russa<br />

della rivoluzione. L’abito costruttivista è un abito insieme architettonico e plastico.<br />

28 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 29 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>


Valerio Terraroli<br />

E poi si arriva al polimaterico; è uno degli ultimi esiti della cultura del secondo <strong>Futurismo</strong>. Questa<br />

è un’opera di Prampolini del 1936 ed è un bozzetto per la decorazione della sala d’attesa di un<br />

aeroporto; il visitatore si sarebbe trovato sulla testa questa composizione che in realtà non è scultura,<br />

non è pittura, non è mosaico, non è vetrata, è appunto polimaterica perché fatta di legno di sughero,<br />

filo elettrico, sagoma di legno, sagoma di acciaio, fili, ed è praticamente il movimento di un aereo che<br />

si compenetra con la terra in forme astratte. Questa polimatericità, cioè l’andare a prendere l’oggetto<br />

o il materiale del quotidiano e farlo diventare oggetto d’arte, l’aveva inventato Marcel Duchamp e<br />

quindi di nuovo vedete quanto i futuristi siano immersi <strong>nel</strong>la circolarità della cultura europea.<br />

Per finire vi mostro questo oggetto che è diciamo il punto nodale, secondo me, del discorso<br />

futurista cioè l’idea, il grande sogno dell’opera d’arte totale che era il grande obiettivo della<br />

cultura del Modernismo internazionale, la grande utopia di fine Ottocento, inizi Novecento. Si era<br />

convinti che con la tecnologia, con la scienza, con la crescita esponenziale positiva dell’umanità, si<br />

sarebbe arrivati a un’umanità perfetta. Poi questo non è successo per le infinite contraddizioni del<br />

nostro mondo, dell’economia, della politica, anche della cultura, due guerre mondiali, l’olocausto,<br />

il terrorismo contemporaneo ha cambiato il secolo. Ma il grande sogno è rimasto, i futuristi<br />

l’avevano sposato in pieno, anche loro, e già il manifesto di Marinetti lo diceva con parole violente<br />

“vogliamo cambiare il mondo”, il mondo deve essere diverso, il mondo deve essere totalizzante,<br />

l’arte deve essere totalizzante.<br />

E infatti <strong>nel</strong> 1914 Balla aveva progettato, poi non fu mai realizzato perché allora era tecnologicamente<br />

irrealizzabile è sarà realizzato solo negli anni Novanta sui progetti dell’artista, una scenografia teatrale<br />

visibile oggi in esposizione a palazzo Reale a Milano, legata a una musica di Stravinskij intitolata<br />

Fuochi d’artificio. Era un’esperienza totalizzante perché lo spettatore, dentro questo piccolo teatro,<br />

percepisce suoni, musica, ritmi, vede luci che si accendono e si spengono, che modificano le forme<br />

di un paesaggio assolutamente onirico e geometrizzante, in un ritmo cadenzato che dura circa 20<br />

minuti. È una esperienza totalizzante. In altre parole è come se, secondo le teorie wagneriane prese<br />

di peso dall’Ottocento, cioè le teorie del coinvolgimento del pubblico dentro l’opera d’arte totale,<br />

Balla avesse dato vita a questo sogno. E quale poteva essere il titolo più adatto a un futurista: Fuochi<br />

d’artificio, cioè qualcosa di assolutamente esplosivo, inaspettato, che crea stupore e crea bellezza.<br />

Ennio Ferraglio<br />

L’editoria periodica futurista ed uno sguardo alla realtà bresciana<br />

La storia del <strong>Futurismo</strong> <strong>bresciano</strong> si articola in gran parte attorno alla figura di Filippo<br />

Tommaso Marinetti e alle sue “apparizioni” in città più che attorno ad autori che abbiano<br />

interpretato genuinamente, <strong>nel</strong> contesto locale, le istanze propugnate, lungo buona parte<br />

dell’arco della prima metà del XX secolo, dai fautori della modernità e dello svecchiamento<br />

della tradizione culturale. Marinetti, dopo aver saggiato le reazioni del pubblico (con un<br />

occhio, però, anche a quel che dicevano i giornali) all’indomani di una delle non frequenti<br />

“serate futuriste” bresciane della prima metà del secolo, aveva potuto individuare, <strong>nel</strong><br />

contesto culturale cittadino una qualche inclinazione latente verso il rinnovamento delle<br />

istanze culturali. Già il fatto stesso che le serate fossero costruite attorno alla figura di<br />

Marinetti, alla sua i<strong>nel</strong>udibile presenza – costituita al tempo stesso da fisicità dirompente,<br />

energia vitale e una sorta di misticismo della velocità e della macchina – e ai riferimenti<br />

culturali “filtrati” in un’ottica tutto sommato estranea al tessuto culturale locale, lasciano<br />

ben intendere quali fossero le difficoltà per gli esponenti del movimento ad affermarsi<br />

stabilmente. Specchio più o meno fedele di questa realtà sono le cronache riportate sui<br />

giornali, <strong>nel</strong>le quali vengono raccontate le serate futuriste, ma anche la produzione di articoli<br />

e recensioni di opere, edizioni, mostre connesse più o meno strettamente con il <strong>Futurismo</strong><br />

italiano.<br />

Se si concentra l’attenzione sull’editoria italiana <strong>nel</strong> periodo futurista – con un limite<br />

cronologico convenzionale coincidente con la fine della seconda guerra mondiale – gli<br />

spunti di ricerca sono molteplici e di grande interesse. Per quanto riguarda la produzione<br />

periodica di giornali e riviste, va detto che al di fuori del normale binario rappresentato<br />

dalle vere e proprie riviste futuriste, cioè nate come espressione di un movimento editoriale<br />

genuinamente futurista, troviamo una produzione ricchissima, vasta per nomi e per interventi<br />

che fanno riferimento a questo movimento. Si tratta di una produzione che sceglie un<br />

metodo espressivo tradizionale e “normale” per spiegare un fenomeno che le persone<br />

vivevano come un momento di rottura, di vera rivoluzione copernicana della visione culturale<br />

della realtà, facendo però ricorso a strumenti, tecniche e parole ormai consolidate <strong>nel</strong>la<br />

tradizione della critica letteraria, della saggistica e del giornalismo.<br />

All’interno di testi di critica letteraria non futurista è possibile rinvenire aspetti legati, ad<br />

esempio, alle manifestazioni artistiche di arti visive o sceniche, sia testi a commento di opere<br />

di poesia, di musica o di narrativa di autori futuristi. Molti interventi si trovano, per esempio,<br />

<strong>nel</strong>le pagine della Fiera letteraria, che ospitò fra l’altro l’edizione delle lettere di guerra di<br />

Boccioni; su L’Italia letteraria comparvero articoli di Azari sulla “vita simultanea futurista” e<br />

molto altro.<br />

<strong>Il</strong> caso <strong>bresciano</strong> è singolare. Anche se non propriamente futurista, Brescia non fu città<br />

inerte e insensibile al fenomeno. Del resto, molti elementi paralleli contribuivano a costituire<br />

una sorta di substrato, di humus culturale ed ideologico, di tessuto fertile per la diffusione<br />

del verbo futurista. Brescia è da sempre una città a forte vocazione industriale, con una<br />

dimestichezza secolare nei confronti delle macchine, del metallo e del fuoco, del rombo dei<br />

motori e delle fabbriche. È anche la città del primo circuito aereo della storia dell’aviazione<br />

italiana: a Montichiari, dall’8 al 20 settembre 1909, si ritrovarono, fra molti appassionati<br />

e temerari pionieri dell’aviazione, anche Kafka, Brod e D’Annunzio; e per una delle<br />

inaspettate coincidenze di cui la Storia è munifica dispensatrice, il 1909 è anche l’anno della<br />

pubblicazione del Manifesto del <strong>Futurismo</strong>.<br />

La prima presenza “pubblica” di Marinetti a Brescia risale al 2 gennaio 1914, in occasione<br />

30 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 31 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>


Ennio Ferraglio<br />

di una serata futurista al Teatro Sociale. Le cronache, abbastanza doviziose di particolari,<br />

apparse sulle colonne dei principali giornali locali di allora, La provincia di Brescia e La<br />

senti<strong>nel</strong>la bresciana, fanno un resoconto preciso dei fatti e degli umori della serata. Accanto<br />

ai contenuti artistici ed intellettuali (manifestati, fra l’altro, anche attraverso attacchi alla<br />

Gioconda di Leonardo, «un quadro vecchio», e alla Madama Butterfly di Giacomo Puccini,<br />

definita un’opera «brutta, stupida e mediocre»), già in quell’occasione venne esplicitata la<br />

forte tensione politica del movimento futurista: al termine dello spettacolo vero e proprio vi<br />

fu, infatti, da parte di Marinetti l’esposizione dei contenuti politici del movimento, con un fiero<br />

attacco – tra gli insulti veementi del pubblico – contro i socialisti e i repubblicani.<br />

Lo svolgimento della serata era stato anticipato da una serie di articoli apparsi sui giornali<br />

locali. Ne La provincia di Brescia di quel 2 gennaio 1914 un primo breve articolo dal titolo<br />

La serata futurista di oggi segnalava l’imminenza della «gran serata futurista» con la<br />

partecipazione del «capo riconosciuto dei Futuristi», Marinetti, il quale aveva anticipato la<br />

sua venuta con un dispaccio riportato all’interno dell’articolo: «Sarò domani ore sedici a<br />

Brescia felice di far divampare in questa città il grande ideale futurista che deve svecchiare<br />

e rinnovare il genio creatore italiano». Lo stesso autore dell’articolo anticipava che «lo<br />

spettacolo soprattutto per l’intervento di Marinetti promette di riuscire molto animato», e che<br />

«infine Marinetti parlerà del <strong>Futurismo</strong> e dei suoi ideali». All’interno dello stesso numero del<br />

giornale comparivano altri due interventi, a firma di Ernesto Spagnolo e raccolti sotto il titolo<br />

collettivo di Aspettando i Futuristi.<br />

La prima serata futurista bresciana si concluse non proprio gloriosamente tra fischi, scambi<br />

di insulti tra artisti e pubblico, unitamente al lancio di ortaggi e di «sudicerie». Dal resoconto<br />

apparso all’indomani sulle colonne de La provincia di Brescia si apprende che la «folla<br />

enorme, comprese numerose e distinte signore» poté assistere alla recita di «una modesta<br />

farsa francese», seguita dalla declamazione di un paio di composizioni di Marinetti, Inno alla<br />

morte ed Elettricità: la prima «procurò calorosi applausi così al dicitore come all’autore»; la<br />

seconda, difficilmente classificabile come dramma quanto semplicemente una «produzione<br />

futurista», venne continuamente «rumoreggiata e alla fine fischiata di santa ragione». Più<br />

L’editoria periodica futurista ed uno sguardo alla realtà bresciana<br />

32 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 33 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>


Ennio Ferraglio<br />

moderato nei termini è il resoconto apparso su La senti<strong>nel</strong>la bresciana del 3 gennaio 1914.<br />

<strong>Il</strong> «pubblico imponente e scelto» che gremiva il teatro richiamato dalla fama dell’oratore<br />

risultava in parte costituito «di elemento giovanile che era accorso a teatro animato da<br />

propositi ostruzionistici»; la contestazione, inoltre, seppur animosa, non sarebbe durata a<br />

lungo, anche per le proteste del pubblico contro i disturbatori e gli applausi che Marinetti<br />

stesso «ad ogni modo dimostrò di gradire». Interessante la scelta delle poesie recitate<br />

durante la serata, con i dovuti riferimenti letterari, puntualmente annotati dal giornalista:<br />

oltre alle composizioni di Marinetti, spazio per le liriche Inno al verso libero di Paolo Buzzi,<br />

La fontana malata e Le voci di Aldo Palazzeschi; infine richiami a Pietro Mascagni, unico<br />

musicista italiano non futurista a dimostrare «qualche lampo di genialità», ed infine a Balilla<br />

Pratella, interprete delle posizioni futuriste riguardanti la musica. Di analoghi toni l’articolo<br />

apparso su <strong>Il</strong> cittadino di Brescia, sempre del 3 gennaio, che dava notizia di un pubblico<br />

inferiore alle aspettative e di una rappresentazione «un po’ stramba, ma non proprio matta<br />

del tutto».<br />

Dopo questi episodi, le pagine dei giornali dell’epoca tornarono ben presto ad essere avare<br />

di informazioni. Solo qualche necrologio, seppure di rilievo, ripropose qualcosa sui futuristi:<br />

l’11 agosto del 1916 La senti<strong>nel</strong>la bresciana ospitò lo scarno e asciutto necrologio di<br />

Romolo Romani, artista stroncato «da penoso male»; più articolato il trafiletto pubblicato<br />

su La senti<strong>nel</strong>la bresciana il 12 agosto di quell’anno, con qualche parola in più sul pittore<br />

<strong>bresciano</strong>: «rivelazione per la originalissima forma della sua espressione artistica» e la<br />

considerazione che «era indubbiamente la sua un’arte “di eccezione”, basata su concezioni<br />

arditissime ma <strong>nel</strong>lo stesso tempo rivelatrice di un ingegno robusto e di qualità non comuni».<br />

Nel frattempo il nome di Marinetti e di altri si stava affermando stabilmente all’interno della<br />

produzione editoriale non integralmente futurista: non è il Marinetti scrittore, poeta, pittore,<br />

narratore, romanziere, ma il Marinetti critico che si diffonde ampiamente sulla Rassegna<br />

nazionale ad illustrare – parlando di sé in terza persona - la tecnica della nuova poesia,<br />

che vorrebbe epica e sociale al tempo stesso. Altri interventi stabiliscono dei paralleli tra<br />

la poesia futurista, e in particolare quella marinettiana, con Dante, Marino e Baudelaire.<br />

Un articolo di Paolo Buzzi, su Rassegna Nazionale del 1939, ricordava il trentennale del<br />

<strong>Futurismo</strong>; l’articolo, intitolato Marinetti poeta della guerra e della macchina iniziava con un<br />

parallelo tra l’incontro di Marinetti e D’Annunzio con quello fra Schiller e Goethe, come se<br />

il superamento del passato potesse avvenire solo guardando al passato come ad un diretto<br />

referente. Un altro intervento, a firma di Francesco Orestano, <strong>nel</strong>l’esame critico dell’opera<br />

marinettiana evocava il Medioevo italiano, l’arte del Trecento e tutto il contesto culturale<br />

antecedente all’Umanesimo e al Rinascimento.<br />

Marinetti fu a Brescia per la seconda volta, partecipe di una nuova serata futurista, il<br />

7 febbraio 1922. Anche di quella serata abbiamo le corrispondenze sui due quotidiani<br />

locali, che si rivelano ancora una volta fonti di primaria importanza per ricostruire il clima<br />

di attesa e di accoglienza dell’evento. La sensazione è che, a differenza della serata del<br />

1914, molte cose fossero cambiate, a partire dall’atteggiamento del pubblico; l’articolo<br />

apparso su La provincia di Brescia l’8 febbraio 1922 rese evidente questo fatto: «Iersera<br />

Marinetti – annunciando che lo spettacolo era finito – ha fatto la constatazione, ch’egli<br />

giudicava augurale e lieta dal suo punto di vista, che Brescia se non è futurista non è<br />

neppure passatista. In questa constatazione si riassume la cronaca, la quale non può notare<br />

manifestazioni né di entusiasmo né di riprovazione. <strong>Il</strong> pubblico infatti era formato di gente<br />

richiamata più dalla curiosità, che dalla convinzione o dalla avversione futurista […] vi furono<br />

parecchie risate e qualche battuta ironica, che traevano la loro origine da un irresistibile<br />

desiderio di ilarità o dalla incomprensione del fenomeno futurista, il quale – attraverso certe<br />

forme che sembrano aberranti, stravaganti, dissennate – ha un fremito di giovinezza, un<br />

lievito di sanissima crescita, un impetuoso a<strong>nel</strong>ito verso l’avvenire». Non per contestare,<br />

quindi, ma per curiosità o per divertimento il pubblico gremiva la sala. È da notare<br />

anche che proprio all’insegna della curiosità e dell’insolito si giocava ampia parte della<br />

programmazione del Teatro Sociale: con involontaria ironia, il giornale riportava, <strong>nel</strong>l’articolo<br />

L’editoria periodica futurista ed uno sguardo alla realtà bresciana<br />

successivo a quello dedicato alla serata<br />

futurista, la segnalazione di una serata, che<br />

si preannunciava da tutto esaurito, di tale<br />

Elsa Barocas all’insegna degli esperimenti<br />

sull’ipnosi e sulla trasmissione del pensiero.<br />

La seconda serata futurista, a quanto si<br />

ricava dai resoconti, non dovette contenere<br />

attacchi o allusioni di carattere politico,<br />

ma fu puramente all’insegna dell’impegno<br />

artistico e letterario, con manifestazioni, a<br />

detta del cronista de La provincia di Brescia,<br />

«talune profonde, altre strambe, tutte<br />

avvivate da una luce di fortissimo ingegno».<br />

Tra un riferimento al “teatro sintetico” e alle<br />

influenze sull’opera di Chiarelli, Rosso di<br />

San Secondo e Cavaccioli, e le prospettive<br />

per l’avvenire, Marinetti declamò alcune<br />

sue opere: Meriggio <strong>nel</strong> golfo di Napoli che,<br />

secondo il cronista, manifestava un inatteso<br />

barocchismo <strong>nel</strong>le scelte lessicali e stilistiche<br />

(«come se vi ammiccasse ghignante un po’<br />

di Seicento»), seguito da alcuni brani da<br />

L’alcova d’acciaio. Come già in precedenza,<br />

vennero letti altri testi futuristi oltre a quelli marinettiani; la scelta cadde su opere di<br />

Cangiullo: Consiglio di leva, Alternazioni di carattere, Stor<strong>nel</strong>li, Spudorata. La conclusione:<br />

«L’impressione è singolare. La immediatezza – che è la virtù più squisita dell’arte, il<br />

segno mirabile della sua divinità – vi è completa. Ma tutto ciò, lo sappiamo, sconcerta e<br />

infastidisce, perché scuote dalla pigrizia intellettuale, che si appaga del miracolo compiuto e<br />

non è sollecito del miracolo da compiersi».<br />

Pressoché concorde il resoconto pubblicato su La senti<strong>nel</strong>la bresciana, sempre dell’8<br />

febbraio 1922: «La maggior parte di coloro che si sono recati ieri sera al Sociale aveva già<br />

la predisposizione di assistere ad una manifestazione che da quattordici anni ha precedenti<br />

ormai troppo noti <strong>nel</strong> movimento di rivoluzione artistica, e quindi il pubblico <strong>bresciano</strong> è<br />

stato generalmente benevolo, se non si devono calcolare le poche interruzioni scherzose,<br />

qualcuna di compatimento, durante lo svolgersi del programma […] Diversamente da<br />

quanto succedeva parecchi anni or sono, quando il movimento futuristico era all’inizio e<br />

trovava <strong>nel</strong>le sue manifestazioni pubbliche le più vivaci disapprovazioni, il pubblico ha capito<br />

che <strong>nel</strong> futurismo qualche cosa c’è». <strong>Il</strong> giudizio finale è di compatimento e di bonaria ironia<br />

nei confronti del teatro sintetico («che non suscita che siffatta emozione: l’ilarità») e del<br />

contino riferimento agli autori della prima ora, come Govoni, Soffici, Buzzi e Papini, già da<br />

tempo lontani dalla strada tracciata da Marinetti.<br />

Nel corso degli anni Venti del secolo numerosi articoli sulle mostre di arti figurative, <strong>nel</strong>le<br />

quali erano esposti quadri di futuristi, apparvero <strong>nel</strong>le pagine di riviste e giornali locali come<br />

La provincia di Brescia, Emporium, La senti<strong>nel</strong>la bresciana, <strong>Il</strong> Popolo di Brescia, L’Italia e<br />

Pagine d’arte. Particolarmente evocato il pittore Romolo Romani, con recensioni su quadri e<br />

mostre, nonché presentazioni e giudizi sui contenuti artistici della sua opera.<br />

Nell’ambito nazionale si segnala che sulle pagine de L’arte del 1931, Gino Severini poteva<br />

raccontare la sua adesione al <strong>Futurismo</strong>. Vi sono, inoltre, molti interventi che riguardano<br />

l’architettura ed in particolare le opere di Antonio Sant’Elia, che è uno degli architetti, se non<br />

forse l’unico, con una personalità ben chiara, distinta e fortemente aderente al <strong>Futurismo</strong>. In<br />

un intervento di Gerardo Dottori sulla rivista intitolata Rassegna dell’istruzione artistica del<br />

1932, l’autore parla dell’arte sacra e dei futuristi, sostenendo l’opportunità di un manifesto<br />

dell’arte sacra: «I futuristi, che sono idealisti per principio, sono mistici come tutti gli artisti<br />

34 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 35 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>


Ennio Ferraglio<br />

creatori e sono naturalmente avversari del materialismo in arte che è idolatria della forma,<br />

della tecnica fine a se stessa e devono sentirsi attratti dal soggetto sacro e trovare in esso<br />

nuove possibilità di concretare in sintesi vaste e vitali ricerche ed esperienze di questi ultimi<br />

venti anni».<br />

Tornando alla realtà bresciana, si nota che una serata organizzata dall’Istituto Fascista di<br />

Cultura di Brescia fu l’occasione per una terza apparizione di Marinetti in città, datata 10<br />

maggio 1931. Ma non fu una serata futurista come le precedenti, bensì una conferenza<br />

tenuta per celebrare l’esito della trasvolata atlantica compiuta da Italo Balbo, alla guida di<br />

dodici idrovolanti e di una cinquantina di persone, che erano partiti il 17 dicembre 1930 da<br />

Orbetello ed atterrati il 15 gennaio 1931 a Rio de Janeiro. <strong>Il</strong> quotidiano <strong>Il</strong> popolo di Brescia<br />

diede ampio risalto alla conferenza di Marinetti, pubblicandone un analitico resoconto sul<br />

numero del 12 maggio di quell’anno sotto il titolo di La gesta atlantica esaltata da una<br />

impetuosa orazione di S.E. Marinetti.<br />

Una nuova visita in terra bresciana avvenne l’11 novembre 1934 quando, invitato dalla<br />

sezione del partito fascista di Desenzano e con il patronato di Gabriele D’Annunzio, Marinetti<br />

intervenne come relatore ufficiale <strong>nel</strong>la cerimonia di consegna di un riconoscimento al<br />

Reparto Alte Velocità dell’Aviazione italiana. L’«alata parola» marinettiana doveva, infatti,<br />

esaltare le imprese aviatorie italiane ed il suo discorso – secondo quanto riportato dalla<br />

cronaca dell’evento pubblicata su <strong>Il</strong> popolo di Brescia del successivo 13 novembre –<br />

assunse rapidamente i toni mistici del profeta della macchina e della modernità: «La velocità,<br />

com’è concepita dai velocisti, non è umana e pratica, ma irreale: è una nuova forma d’amore<br />

umano. I velocisti lo sanno e si dànno ad essa per bere tutto l’infinito. Amore puro, nuova<br />

forma d’amore che imprime sul viso dei velocisti un bacio divino. È anche una preghiera alle<br />

forze cosmiche che hanno per sintesi la velocità. E siccome sul viso dei velocisti appare la<br />

volontà di raggiungere le forze cosmiche, la velocità è partecipazione alla vita dell’infinito<br />

e lo studio delle cose dell’universo si può chiamare velocità. Siamo dunque fra le infinite<br />

forze dell’universo, che essi raggiungono con la loro passione. […] La velocità permette<br />

di dare agli uomini un qualcosa di divino e abbatte le distanze e i tempi. Mentre l’uomo<br />

va meccanizzandosi, avviene un nuovo fenomeno che noi poeti sentiamo particolarmente;<br />

avviene, cioè, che una cosa giudicata accessoria diventa un qualcosa di umano, diventa un<br />

nodo pensante di umanità. […] La macchina ha avuto una coscienza come quella umana e<br />

abbiamo visto come la macchina umanizzata aiuta l’uomo alla sua divinizzazione».<br />

Nei primi anni Trenta la rivista Brescia si rivela essere la testata più attenta a segnalare<br />

fatti ed eventi legati più o meno significativamente al <strong>Futurismo</strong> e ad altri movimenti<br />

d’avanguardia. Un articolo a firma di D.L. Pariset, pubblicato sul fascicolo di marzo-aprile del<br />

1932, difese, sotto il titolo di Pittura italiana a Parigi, l’esposizione di opere di pittori futuristi<br />

italiani alla Galleria Bernheim della capitale francese, non risparmiando <strong>nel</strong> contempo<br />

critiche nei confronti dell’impressionismo e del cubismo. Un corrosivo articolo di Carlo Belli,<br />

apparso con il titolo di Discorso sul festival sul numero di novembre del 1932 della rivista,<br />

denunciò il clima stantio e polveroso del festival della musica di Venezia, con apprezzamenti<br />

verso Malipiero e Casella e stroncature, fra gli altri, nei confronti di Zandonai, Wolf-Ferrari e<br />

Montemezzi. Nel numero di dicembre di quello stesso anno si trova anche un articolo, non<br />

firmato, in difesa di Thayaht e di un suo ritratto di Mussolini. La modernità delle scelte della<br />

programmazione degli spettacoli del Teatro Grande – con le difese di Casella e di Strawinsky<br />

– è l’oggetto di due articoli di Carlo Belli, il primo dal titolo Orfeo e Petruska al Teatro<br />

Grande, il secondo Le nostre serate, pubblicati rispettivamente sui numeri di gennaio e di<br />

febbraio-marzo del 1933; in quello stesso numero, Anton Giulio Bragaglia difese la poesia<br />

di Guillaume Apollinaire e la festosa capacità di reinterpretare il linguaggio poetico. Angelo<br />

Maria Landi, in Scenografia moderna alla mostra di Firenze, sul fascicolo di giugno 1933,<br />

esaltò l’opera scenotecnica di Bragaglia, «maestro e nobile animatore del nuovo teatro».<br />

Emilio Somarè, recensendo una Mostra della pittura bresciana dell’Ottocento sul numero<br />

di aprile 1934, si soffermava sui «fautori sistematici delle progressioni» <strong>nel</strong>l’ambito delle<br />

arti figurative, con particolare accenno a Romolo Romani; Eurialo de Michelis, in un articolo<br />

L’editoria periodica futurista ed uno sguardo alla realtà bresciana<br />

dal titolo Nota su Palazzeschi del giugno di quello stesso anno, si interrogava sul significato<br />

storico del <strong>Futurismo</strong>. Sono, quelli, anche gli anni in cui Marinetti lavora molto per illustrare<br />

i contenuti dell’aeropoesia e delle parole in libertà, così come Bragaglia è particolarmente<br />

impegnato <strong>nel</strong>lo studio delle forme di teatro all’avanguardia.<br />

Un articolo di Filippo Tommaso Marinetti apparso su L’illustrazione italiana del 27 febbraio<br />

1938, rievocava l’«incontro di due grandi poesie» avvenuto con D’Annunzio al Vittoriale di<br />

Gardone il precedente 10 gennaio: «La conversazione si svolse musicalmente con varietà di<br />

ritmi e pressioni di piede sull’acceleratore. Un andante di cordialissima solidarietà artistica<br />

con rievocazioni di aneddoti ameni da battaglie teatrali contro riottosi pubblici misoneisti e<br />

scava menti di sensibilità inesplorate che occorre verbalizzare ad ogni costo con vocaboli<br />

precisi poi d’un balzo e fra pizzicati allegrissimi di umorismo sano si parlò delle sonnolenze<br />

miopie e velenose miscele dei filosofi storici e critici passatisti. Tema dominatore quello della<br />

sublime poesia e dei suoi nuovi slanci ascensionali per mutare ogni ruotante metallo ed ogni<br />

sanguinante carne in scagliata imperitura stella di letteratura italiana».<br />

<strong>Il</strong> quotidiano <strong>Il</strong> popolo di Brescia divenne, nei primi anni Quaranta, il portavoce degli esiti<br />

36 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 37 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>


Ennio Ferraglio<br />

dell’arte futurista, sia dal punto di vista della critica, sia dal semplice resoconto di eventi,<br />

mostre, conferenze ed occasioni simili. Si rilevano, per esempio, articoli che segnalavano<br />

conferenze pubbliche di Marinetti (Conferenza di Marinetti all’Accademia d’Italia, articolo<br />

non firmato in data 12 gennaio 1943), altri che contenevano recensioni di opere dedicate al<br />

<strong>Futurismo</strong> (23 gennaio 1943, Dal verso libero all’aeropoesia, articolo non firmato contenente<br />

la recensione al volume, dal medesimo titolo, pubblicato da Alberto Viviani) o commenti ad<br />

esposizioni d’arte (26 gennaio 1943, articolo di Alberto Sartoris dal titolo Una storia volante<br />

della pittura moderna).<br />

<strong>Il</strong> 3 dicembre 1944 Brescia repubblicana pubblicò in prima pagina l’annuncio della morte di<br />

Marinetti. <strong>Il</strong> testo è significativo perché rappresenta – forse meglio di ogni altro contributo –<br />

la parabola di Marinetti e la sua finale identificazione con gli ideali fascisti non più delimitati<br />

dall’ambito culturale: «Milano, 2 dicembre. Un grave lutto per la patria: Marinetti è morto.<br />

La notte scorsa è morto improvvisamente l’Accademico d’Italia F.T. Marinetti. La repentina<br />

scomparsa di questa tipica figura di italiano e di fascista, di poeta e di combattente,<br />

costituisce un lutto per la patria. Marinetti ha dedicato tutta la sua esistenza all’esaltazione<br />

dell’Italia contro quanti, in casa e fuori, hanno tentato di menomarne il prestigio e offuscarne<br />

la grandezza. <strong>Il</strong> 20 febbraio 1919 [sic!] col manifesto pubblicato <strong>nel</strong> “Figaro”, tradotto subito<br />

in tutte le lingue e diffuso in tutto il mondo, gettò le basi del movimento futurista. <strong>Il</strong> quale<br />

movimento, abbracciando poesia, pittura, scultura, architettura, musica, morale e politica,<br />

moltiplicò i suoi gruppi in Italia e <strong>nel</strong> mondo. Nel periodo di neutralità il gruppo futurista fu tra<br />

i primi fautori dell’intervento con lotte in tutte le piazze d’Italia. Interventista di tutte le guerre,<br />

compresa l’attuale che lo ha visto soldato tra i soldati sui campi di Russia sovietica, Marinetti<br />

è stato in ogni tempo antesignano di idealità nazionali. Partecipò all’adunata di Piazza San<br />

Sepolcro e da allora è stato un milite devoto del fascismo e gregario fedele del Duce. Dopo<br />

l’8 settembre Marinetti prese, come sempre con decisione, la sola via che un uomo italiano<br />

come lui poteva battere: quella dell’onore. La morte lo ha colto <strong>nel</strong> fiore della sua inesausta<br />

capacità creativa. Lascia alcune opere inedite che insieme alle molte altre che gli avevano<br />

assicurato celebrità mondiale, testimonieranno la sua luminosa genialità e il fervido amor<br />

di Patria. Emilio Filippo Tommaso Marinetti era nato ad Alessandria d’Egitto il 22 dicembre<br />

1876 da padre piemontese e da madre milanese. Era stato nominato Accademico d’Italia il<br />

10 marzo 1929 per la classe delle lettere».<br />

Accanto alle vere e proprie serate futuriste va segnalata anche la non latente attenzione<br />

– per certi versi sorprendente – verso le scelte artistiche di una città, Brescia, fortemente<br />

legata ad una tradizione, soprattutto di ambito letterario e musicale, tardo ottocentesca,<br />

sbilanciate invece in direzione della modernità. Sorprende, infatti, rinvenire all’interno di un<br />

articolo del maestro Gianandrea Gavazzeni apparso su L’Italia letteraria del 19 marzo 1933,<br />

il riferimento agli spettacoli messi in scena al Teatro Grande in quel periodo, dove accanto<br />

all’opera da camera in un atto Favola d’Orfeo di Alfredo Casella (con testo di Poliziano<br />

adattato da Corrado Pavolini) venne rappresentato anche il balletto Petrouchka di Igor<br />

Strawinsky: due opere “nuove”, fortemente sperimentali e innovative<br />

Alla luce della produzione editoriale locale, concentrata, come s’è visto, soprattutto attorno<br />

alle testate di giornali e riviste, il <strong>Futurismo</strong> <strong>bresciano</strong> non offre molto di più: davvero poco<br />

per valutare <strong>nel</strong>la giusta luce la reale portata della propaganda marinettiana. <strong>Il</strong> contributo<br />

<strong>bresciano</strong> alla modernità, la seduzione della macchina e l’ebbrezza della velocità trovarono,<br />

invece, <strong>nel</strong>l’alveo della tradizione industriale il modo migliore per godere della piena<br />

espressione.<br />

Melania Gazzotti<br />

Grafica e Libro in epoca futurista<br />

Quando il 20 febbraio del 1909 viene pubblicato, sulla prima pagina del quotidiano parigino<br />

“Le Figaro”, l’atto di nascita del futurismo, nessun artista può ancora definirsi tale. <strong>Il</strong><br />

manifesto, scritto da Filippo Tommaso Marinetti, traccia infatti le linee programmatiche di un<br />

movimento che, in realtà, si deve ancora costituire. Vero punto di partenza del futurismo<br />

sono dunque la teoria e le dichiarazioni d’intenti e non la pratica artistica. <strong>Il</strong> testo del<br />

documento incita, con una prosa urlata, a una rottura netta con tutta la tradizione culturale<br />

precedente, in particolare letteraria: “La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità pensosa,<br />

l’estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo<br />

di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno”, tanto da invitare a demolire fisicamente i<br />

luoghi ad essa deputati: “Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie<br />

d’ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà<br />

opportunistica o utilitaria”. Lo slancio del poeta è invece volto ad esaltare la forza e il<br />

dinamismo: “Noi vogliamo cantare l’amore del pericolo, l’abitudine all’energia e alla<br />

temerarietà...il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra<br />

poesia”. I mezzi prescelti per trasmettere al mondo questi messaggi sono la scrittura, come<br />

immediato e potente strumento di persuasione, e la stampa, come efficace sistema di<br />

diffusione: modalità che ricordano più l’ambito della comunicazione pubblicitaria che quello<br />

artistico. I futuristi realizzano infatti tirature considerevoli dei loro fogli di propaganda e li<br />

pubblicano in riviste e quotidiani, li distribuiscono alla gente per strada o li lanciano dagli<br />

aerei sui cieli delle città. I testi - ad eccezione di quello del primo manifesto, ancorato alla<br />

tradizione simbolista - sono essenziali, sintetici, diretti e chiari e dimostrano una forte volontà<br />

di sperimentazione sulla scrittura. La stessa innovazione dell’elemento testuale avrà dei<br />

precisi riferimenti teorici. Nel Manifesto tecnico della letteratura futurista, che riguarda in<br />

particolare l’ispirazione poetica, Marinetti dà indicazioni su come si debba superare il verso<br />

libero: sprona alla distruzione della sintassi, abolendo l’aggettivo, l’avverbio, le congiunzioni e<br />

la punteggiatura, facendo uso del verbo all’infinito e di due sostantivi, collegati tra loro<br />

tramite analogia. Per dare un esempio concreto dell’applicazione di queste regole si serve di<br />

alcuni stralci del proprio poema La battaglia di Tripoli. <strong>Il</strong> componimento, costituito in parte da<br />

una raccolta di reportage sull’esperienza di guerra del poeta in Libia, inizialmente pubblicati<br />

a puntate sul quotidiano parigino “L’Intransigeant”, non rompe in realtà con la sintassi<br />

tradizionale. In questa fase iniziale infatti le innovazioni in campo letterario riguardano<br />

maggiormente le tematiche e i contenuti, come emerge anche dalle scelte editoriali dello<br />

stesso Marinetti, che pubblica con la propria casa editrice Edizioni futuriste di “Poesia”<br />

scrittori. <strong>Il</strong> suo intento è quello di dare voce ad autori di talento, ancora poco conosciuti, che<br />

con la loro opera possano contribuire al suo progetto di rinnovamento culturale del paese. <strong>Il</strong><br />

libro per lui è innanzitutto uno strumento di propaganda, per questo si impegna in tirature<br />

sempre piuttosto alte, in rapporto all’epoca e al prodotto: dalle mille alle duemila copie, che<br />

<strong>nel</strong>la maggior parte dei casi distribuisce gratuitamente per posta a critici, giornalisti e<br />

letterati, senza badare a tornaconti economici. Nel 1909 dà alla stampa Revolverate di Gian<br />

Pietro Lucini, sostituendo il titolo originario Canzoni amare poco incisivo. A distanza di un<br />

anno pubblica L’Incendiario di Aldo Palazzeschi, introdotto da un rapporto sulla prima serata<br />

futurista di Trieste e da una raccolta di articoli in difesa del futurismo. Entrambi i volumi sono<br />

caratterizzati da uno spirito libertario e antiborghese, così come due edizioni successive:<br />

Poesie elettriche di Corrado Govoni del 1911 e <strong>Il</strong> canto dei Motori di Luciano Folgore del<br />

1912. Questi stessi autori verranno poi selezionati da Marinetti per il volume I poeti futuristi,<br />

38 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 39 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>


Melania Gazzotti<br />

tranne Lucini che prende le distanze dal movimento già <strong>nel</strong> 1910. L’antologia, stampata in<br />

ben ventimila copie, è interamente costituita da componimenti di versi liberi, spesso ancora<br />

legati all’esperienza simbolista e decadente, perciò distanti dalla rivoluzione delle parole in<br />

libertà, annunciata <strong>nel</strong> Manifesto tecnico della letteratura futurista, qui pubblicato come<br />

introduzione. Persino la prima tavola parolibera di Marinetti, Battaglia + peso + odore,<br />

inclusa <strong>nel</strong> Supplemento al Manifesto tecnico della letteratura futurista, non introduce ardite<br />

sperimentazioni tipografiche, ma unicamente l’uso di alcuni simboli matematici, che<br />

soppiantano la punteggiatura e le congiunzioni, come pronuncia il manifesto: “Abolire anche<br />

la punteggiatura. Essendo soppressi gli aggettivi, gli avverbi e le congiunzioni, la<br />

punteggiatura è naturalmente annullata, <strong>nel</strong>la continuità varia di uno stile vivo, che si crea da<br />

sé, senza le soste assurde delle virgole e dei punti. Per accentuare certi movimenti e indicare<br />

le loro direzioni, s’impiegheranno i segni della matematica: +--x: = >


Elena Lucchesi Ragni<br />

Romolo Romani e i Futuristi <strong>nel</strong>le collezioni bresciane<br />

Dai titoli delle pubblicazioni che vi sono state citate per presentarmi, capite che l’Ottocento<br />

e il Novecento non sono tra le cose che ho più studiato. L’interesse però per Romolo Romani<br />

e per un altro gruppo di dipinti di vari artisti che oggi vi presento, nasce dal fatto che sono<br />

opere importanti, conservate nei Civici Musei d’Arte e Storia, ma non esposte al pubblico.<br />

Queste opere furono acquisite dalle collezioni in occasione dell’apertura della GAMEC, la<br />

Galleria d’arte moderna e contemporanea, <strong>nel</strong> 1965, per costituire un fondo che facesse da<br />

ponte tra un ricco Ottocento che le collezioni civiche possiedono dai lasciti di Paolo Tosio e<br />

Camillo Brozzoni e quel Novecento, diciamo contemporaneo, che era costituito soprattutto<br />

dalla collezione Cavellini. Non ripercorrerò qui le tristi vicende che credo vi siano note: la<br />

galleria aperta in Santa Giulia <strong>nel</strong> 1965 con un’operazione pionieristica fu chiusa <strong>nel</strong> 1971<br />

e le collezioni, sia dell’Ottocento sia del Novecento, furono poste, come lo sono ancora oggi,<br />

nei nostri depositi e la collezione Cavellini fu ritirata.<br />

Questo non è l’argomento di oggi ma è solo per dirvi che mi è sembrato opportuno<br />

presentarvi questo materiale almeno per l’uso didattico che se ne può fare e per esporre<br />

le opere in alcune sale del museo, in una mostra accompagnata da un breve catalogo: la<br />

mostra resterà aperta per il tempo necessario alle visite didattiche che organizzeremo.<br />

Romolo Romani nacque a Milano <strong>nel</strong> 1884: la madre bresciana, aveva sposato in prime<br />

nozze Ronchi a Brescia, ed aveva avuto due figli che si trasferirono con lei a Milano quando<br />

si risposò con il padre di Romolo. Rientrò però presto a Brescia, quando Romolo era<br />

piccolissimo; il giovane Romolo studiò al liceo Arici e poi, rientrato a Milano, completò la sua<br />

formazione all’Accademia di Brera. Quindi un percorso consueto per un giovane che aveva<br />

in famiglia altri membri che si interessavano di pittura, come il fratellastro Giuseppe Ronchi,<br />

pittore abbastanza noto <strong>nel</strong> panorama artistico <strong>bresciano</strong> all’inizio del Novecento.<br />

Sapendo che la relazione precedente alla mia era dedicata a Tommaso Filippo Marinetti,<br />

comincio a parlare di Romolo Romani proprio dai contatti che questi due uomini ebbero<br />

42 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 43 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>


Elena Lucchesi Ragni<br />

<strong>nel</strong>la Milano di inizio Novecento. Romolo Romani fu tra gli artisti più spesso presenti sulle<br />

pagine di Poesia, la rivista di grande diffusione del pensiero e delle idee di Marinetti. Qui è<br />

rappresentato un ritratto litografico di Romolo Romani a Marinetti e l’immagine successiva è<br />

la copertina della rivista utilizzata negli anni, sempre ripetuta uguale, con colorazioni diverse,<br />

di un altro grande grafico che lavorava in quegli anni a Milano per la rivista: Alberto Martini.<br />

L’immagine restituisce bene il gusto che circolava <strong>nel</strong>l’ambiente e che sicuramente interessò<br />

anche il giovane Romani: quella cultura tutt’affatto mitteleuropea che vedeva gli artisti<br />

austriaci, viennesi e non solo, impegnati in quella espressione simbolista che andava per la<br />

maggiore. Non che lo stesso Romani o Martini conoscessero di persona personaggi come<br />

Ensor, Klimt, Klinger, ma le riproduzioni circolavano proprio grazie alle riviste che avevano<br />

una grandissima diffusione, come Poesia ma anche Emporio, Jugend, (peraltro, sappiamo,<br />

possedute da Romolo Romani) .<br />

L’adesione alle idee di Marinetti è soprattutto testimoniata dalla presenza di Romolo Romani<br />

fra i firmatari del primo Manifesto dei pittori futuristi pubblicato agli inizi del 1910, anche se<br />

Romolo Romani e i Futuristi <strong>nel</strong>le collezioni bresciane<br />

il suo nome non compare più <strong>nel</strong> secondo<br />

manifesto, pubblicato subito dopo (11<br />

febbraio 1910) dove i nomi di Romani e di<br />

Aroldo Bonzagni non c’erano più ma erano<br />

stati sostituiti da Balla e da altri.<br />

Nel momento iniziale dell’attività artistica<br />

Romani è interessato soprattutto alla<br />

caricatura. Questo è probabilmente il ritratto<br />

caricaturale di una professoressa del suo<br />

liceo, realizzato quindi quando era ancora<br />

molto giovane: si noti come l’attenzione vada<br />

tutta al volto deformato, tanto da diventare<br />

quasi una macchietta grottesca, soprattutto<br />

se confrontato con la rigidità del mantello<br />

che sembra metallico.<br />

L’interesse per l’espressione caricaturale<br />

del volto gli permetterà molto presto di<br />

distinguersi <strong>nel</strong>l’ambiente milanese, tanto<br />

che ebbe alcune segnalazioni che gli<br />

permisero di frequentare le prime esposizioni<br />

importanti.<br />

La prima partecipazione è alla Biennale di<br />

Venezia del 1905 quando presentò questo<br />

Ritratto di Victor Grubicy. L’attenzione al<br />

dato espressionistico del volto è molto forte,<br />

enucleato in un chiarore risparmiato sul<br />

fondo bianco della carta. I dati fisionomici della persona, come il volto, la barba, i capelli,<br />

sembrano confondersi con le onde, che stanno tutto attorno alla figura e accentuano<br />

sicuramente l’impatto visivo del volto e sembrano in qualche modo sopraffare l’immagine<br />

stessa. A Romolo Romani interessa la fisionomia ma anche quello che può trasparire<br />

dal volto di una persona: onde di trasmissione di un pensiero, di un qualcosa che sta<br />

oltre la realtà che si vede, di un qualcosa di interiore che tende a restituire un’indagine<br />

interiorizzata, psicologica.<br />

L’anno successivo, <strong>nel</strong> 1906, in occasione dell’importante esposizione internazionale che si<br />

ebbe per l’inaugurazione del valico del Sempione, furono presentati<br />

da Romolo Romani due cicli di disegni dai titoli Le Sensazioni e I<br />

Simboli.<br />

Erano 4/5 disegni messi in sequenza come un vero e proprio<br />

ciclo destinati ad illustrare sentimenti che un uomo può provare.<br />

Questo è il caso de <strong>Il</strong> lamento: un alone chiaro isola la figura, che<br />

è una trasfigurazione di un volto quasi posto di profilo, di ¾, con<br />

quel chiarore che viene enucleato da un rombo. Le onde libere<br />

che si moltiplicavano intorno al ritratto precedente sono diventate<br />

costruzioni geometriche di diverso tipo e danno un senso di<br />

sopraffazione della figura.<br />

La ricerca di Romani si indirizza su strade opposte: da una parte<br />

l’attenzione al volto umano, dall’altra una sorta di astrazione che<br />

lo porterà ad arrivare alle soglie di quello che Kandinskij in quegli<br />

anni stava sperimentando, ossia l’idea di una non figurazione, per<br />

rappresentare quello che stava al di là della realtà: un sentimento,<br />

un’emozione, un pensiero che poteva scuotere l’animo dell’uomo.<br />

Questo che vedete è <strong>Il</strong> silenzio dove l’uso magistrale della matita, del<br />

modo di creare questi fasci luminosi che sembrano entrare in questi<br />

44 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 45 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>


Elena Lucchesi Ragni<br />

buchi, in questi orifizi, si unisce a qualcosa<br />

di ancora vagamente naturalistico; sembra<br />

una ripresa dal basso verso l’alto, forse di<br />

un naso, di occhi, di bocche ma <strong>nel</strong>la quale<br />

le onde sembrano uscire dal foglio stesso<br />

propagandosi <strong>nel</strong>l’ambiente circostante.<br />

Questo doppio modo, il volto e le emozioni,<br />

questi due interessi rimarranno per tutto il<br />

cammino artistico di Romolo Romani. Del<br />

secondo ciclo vediamo la raffigurazione della<br />

guerra. Qui il volto è enucleato nei capelli<br />

scarmigliati, e la capacità grafica dell’artista<br />

si evidenzia anche <strong>nel</strong>la restituzione<br />

dell’armatura; <strong>nel</strong>la Attrazione, altra opera, la<br />

figura di una donna sembra fare capolino tra<br />

queste fasce, onde di propagazione di un pensiero, di una attrazione appunto.<br />

In quegli anni, 1905-1906, Milano era ancora fortemente influenzata dalla cultura<br />

simbolista, ma la ricerca di Romani sembra proiettata in avanti: ecco perché si è parlato<br />

di Romolo Romani come prefuturista che anticipa certe invenzioni. <strong>Il</strong> confronto proposto<br />

è con il famoso ciclo di Boccioni intitolato Stati d’animo; ancora l’idea di descrivere un<br />

sentimento ma questa volta non un’emozione individuale ma qualcosa che riguarda una<br />

circostanza precisa perché è la partenza, il lasciare con le linee forza, le linee dinamiche che<br />

rappresentano il movimento. Realizzato <strong>nel</strong> 1911 il ciclo con composto da Quelli che vanno,<br />

Gli Addii e infine Quelli che restano ha molte tangenze con la sperimentazione di Romolo<br />

Romani.<br />

Tornando alla sua produzione ritrattistica, una volta individuate le due componenti della sua<br />

ricerca, una più astratta e una più vicina all’interesse psicoanalitico, psicologico vediamo:<br />

Le figlie dell’avvocato Rossi, disegno<br />

meraviglioso; poi un ritratto di una famosa<br />

attrice di teatro, Dina Galli, evanescente in<br />

mezzo ai veli che probabilmente alludono<br />

al suo modo di vestire, dove però dietro<br />

c’è anche una maschera quindi qualcosa<br />

che allude sia all’attività teatrale, ma anche<br />

all’inquietudine psicologica; è una grande<br />

disegno, composto su più fogli e presentato<br />

come un trittico con la cornice.<br />

Altra opera stupenda che va vista da vicino<br />

e con grande attenzione è <strong>Il</strong> ritratto della<br />

famiglia Erba cioè la madre e la sorella del<br />

suo amico Carlo Erba, un artista che condivide<br />

con lui un periodo della vita a Milano. Le<br />

donne sono ritratte all’interno di un ambiente<br />

domestico; una grande parte del disegno<br />

non è finita: ci sono delle coperte, dei panni<br />

che avvolgono la figura e, a contrasto, molto<br />

indagati, studiati da vicino sono i due ritratti,<br />

quello della madre e, nascosto <strong>nel</strong> buio, si<br />

percepisce benissimo quello della sorella del<br />

pittore. Anche questo disegno è di grandi<br />

dimensioni, composto da più fogli.<br />

E poi Le Maschere come questa dal titolo <strong>Il</strong><br />

riso: il riferimento ad un artista, come Adolfo<br />

Romolo Romani e i Futuristi <strong>nel</strong>le collezioni bresciane<br />

Wiltd è immediato: l’espressione caricata della scultura oggi al Vittoriale degli Italiani è in<br />

sintonia con la ricerca grafica di Romani dove tutto tende alla ricerca di piani plastici bloccati<br />

dal segno. È quindi un uomo dai molti interessi, tra questi anche la musica: la rifrazione, la<br />

modulazione, il suono e il silenzio, la pausa e il rumore e quindi tutto quello che provoca la<br />

vibrazione. In questo senso si ricordano altre opere La campana, La goccia d’acqua, l’effetto<br />

di due gocce sulla superficie piana di uno stagno: effetti già indagati da Previati in un<br />

volume del 1905 che illustrava scientificamente questi effetti.<br />

In Libidine, parte di una serie di disegni intorno agli organi e alla bocca femminile, ompaiono<br />

ancora le linee di forza di quella geometrizzazione di cui dicevamo: una specie di buco nero<br />

da cui tutto genera in quella stilizzazione che a volte arriva ai margini dell’astrazione.<br />

All’improvviso Romolo Romani sembra scoprire il colore; un suo amico ricorda l’entusiasmo<br />

di Romani per l’acquisto di gessetti, di tempere, di pastelli colorati. Anche in Prismi vedete le<br />

geometrizzazione: i colpi di colore rettilinei e curvilinei danno un senso dinamico alla composizione,<br />

46 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 47 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>


Elena Lucchesi Ragni<br />

con una cornice, coerente con tutto il disegno, che sembra bloccare, in un margine chiuso la<br />

trasmissione infinita generata dal punto centrale. Nella stessa ricerca si colloca anche Immagine,<br />

altra grande opera, dove ancora si vedono quelle onde che abbiamo detto, la costruzione geometrica,<br />

vagamente ricorda qualcosa di naturalistico, un paesaggio ma anche qualcosa di ipnotico.<br />

Nel Ritratto di Giacomo Dalai Romani recupera la tecnica divisionista <strong>nel</strong>l’uso del colore ad<br />

olio; sembra rifarsi a Previati per raffigurare una delle poche commissioni che gli vengono<br />

pagate bene; l’artista utilizza il colore senza nemmeno il pen<strong>nel</strong>lo; <strong>nel</strong>la parte bassa non c’è<br />

uso del pen<strong>nel</strong>lo ma schiaccia direttamente il colore dal tubetto. Ancora una volta emerge<br />

l’indagine puntuale del volto. L’opera ci è stata regalata dalla famiglia Dalai.<br />

I musei posseggono alcuni bozzetti di manifesti: La fanciulla del West, l’opera di Puccini che fu<br />

rappresentata a Brescia <strong>nel</strong> 1912 e di cui Romani propose di fare un grande manifesto, che non fu<br />

realizzato. Per il modo fluttuante della forma e<br />

del segno si ispira ancora a Previati.<br />

Altri manifesti <strong>nel</strong>le nostre collezioni<br />

sono quello dedicato al Campari e quello<br />

sul primo circuito aereo automobilistico<br />

di Brescia del 1914. Pur essendo un<br />

avvenimento di grande richiamo, Romolo<br />

Romani lo rappresenta con una figura non<br />

certo edificante, la morte, a evidenziare la<br />

vittoria della morte come è scritto sotto.<br />

Romani muore <strong>nel</strong> 1916 dopo una un<br />

lungo periodo depressivo, che lo costrinse<br />

a tornare a Brescia. Le altre opere di ambito<br />

futurista furono acquisite in occasione della<br />

apertura della GAMEC.<br />

Romolo Romani e i Futuristi <strong>nel</strong>le collezioni bresciane<br />

<strong>Il</strong> nucleo fu acquisito tutto insieme, grazie a Bruno Passamani, allora ispettore ai civici musei,<br />

su suggerimento dell’allora sindaco Bruno Boni. Eravamo <strong>nel</strong> 1965, e Brescia viveva una<br />

grande stagione, l’apertura della Galleria d’arte moderna e la memorabile mostra dedicata a<br />

Romanino..<br />

Dicevo che questo gruppo di opere vengono acquistate da un’unica galleria, La Medusa<br />

di Roma, e oltre ad essere omogenee, sono tutte databili entro il 1919. Furono esposte<br />

<strong>nel</strong> 1961 <strong>nel</strong>la mostra Dopo Boccioni. All’epoca si credeva che dopo la morte di Boccioni<br />

il <strong>Futurismo</strong> fosse finito mentre già negli anni Sessanta si era capito che il <strong>Futurismo</strong> era<br />

andato ben oltre, addirittura oggi si fa finire con la morte di Marinetti.<br />

Sono 14 dipinti che in maggior numero appartennero a Anton Giulio Bragaglia, artista<br />

fotografo futurista delle fotografie dinamiche.<br />

Sono opere che possono essere divise in due nuclei: il primo è quello del gruppo degli artisti<br />

che gravitarono intorno a Roma, a Balla soprattutto, e comprende la Pesciera di Gino Galli,<br />

dalla cromia accesa e dal senso del movimento che danno i pesci quando si muovono<br />

all’interno del vaso d’acqua: siamo <strong>nel</strong> 1915 quindi si tratta di un’opera precocissima.<br />

Sempre di Galli un’altra opera interessante il cui titolo è Dinamismo meccanico e animale<br />

48 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 49 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>


Elena Lucchesi Ragni<br />

presenta due simboli per eccellenza del dinamismo, quello di un motore e quello del cavallo.<br />

Seguono due opere di Julius Evola, teologo, filosofo, studioso che potrebbe aver conosciuto<br />

Romolo Romani per il modo di comporre in senso geometrico alcune delle sue opere più<br />

note. <strong>Il</strong> titolo di questa dipinto è Five o’clock tea: si riconoscono anche dei piccoli accenni a<br />

particolari anatomici. L’altra opera è Fucina, studio di rumori: siamo <strong>nel</strong> 1918 ed emerge la<br />

sensazione di luci e colori che si mescolano, <strong>nel</strong> coinvolgente modo futurista.<br />

Gerardo Dottori conobbe sicuramente l’opera di Romolo Romani: Forze ascensionali, è<br />

del 1919 e precorre quella che fu l’aeropittura degli anni più tardi; è un’opera fortemente<br />

studiata sia dal punto della forma che del colore.<br />

E poi un’ultima opera di Depero, Le bagnanti del 1918, con il modo tipico delle silouhettes<br />

che Depero studia e propone soprattutto nei primi anni.<br />

L’altro gruppo di opere è quello più vicino alla corrente del <strong>Futurismo</strong> che si sviluppò a<br />

Firenze; sono quadri di diversi artisti tutti legati a Soffici. Proprio tramite Soffici questi<br />

artisti conobbero Braque, Picasso e si avvicinarono alle ricerche di<br />

avanguardia.<br />

Qui vediamo <strong>Il</strong> ritratto dello scrittore Rivosecchi di Neri Nannetti del<br />

1916; si tratta di un’opera che vede utilizzati alcuni fogli, come in<br />

un collage, che bene si adattano anche <strong>nel</strong> modo destrutturato della<br />

figura agli interessi di Soffici e della Firenze di quegli anni.<br />

Due opere di Achille Lega: L’alpino del 1917, molto vicina alle<br />

ricerche di Soffici, e il Ritratto della madre con i tipici inserti di<br />

collage.<br />

Poi un’opera di Mario Nannini intitolata La nazione, dove l’elemento<br />

tipografico e il collage compongono l’insieme; siamo <strong>nel</strong> 1917. Poi<br />

un ultimo di Nannini, Figure e paesaggio del 1916.<br />

Angela Bersotti<br />

Attività didattiche correlate alla mostra sul <strong>Futurismo</strong><br />

La mostra Le vie del <strong>Futurismo</strong>. Opere dei Musei Civici di Brescia ha costituito la seconda<br />

fase del progetto didattico Le <strong>Vie</strong> dell’Arte 2009-2010 con lo scopo di fornire agli studenti e ai<br />

docenti che vi hanno partecipato utili strumenti di lavoro complementari ai percorsi strutturati in<br />

classe, per approfondire la conoscenza del movimento futurista.<br />

In relazione al percorso espositivo, particolarmente interessante, poiché costituito da una<br />

straordinaria collezione di 20 opere pittoriche conservata nei depositi museali, e quindi pressoché<br />

inedita al pubblico scolastico, sono stati previsti tre appuntamenti di analisi tematica, proposti agli<br />

insegnanti in forma di workshop.<br />

Questi momenti formativi si sono configurati come la possibilità per un diverso tipo di lettura<br />

dei soggetti analizzati, in cui coniugare pratica e teoria delle regole e delle tecniche riferibili al<br />

linguaggio visivo del futurismo.<br />

Nel primo incontro, Dal punto alla linea, è stato affrontato il divisionismo, movimento che <strong>nel</strong><br />

primo manifesto futurista venne definito “complementarismo congenito”, e che, agli inizi, ebbe<br />

grande influenza su Balla, Boccioni e Severini, affascinati dall’aspetto innovativo e dinamico della<br />

corrente francese, basata sul procedimento scientifico della scomposizione del colore frutto delle<br />

scoperte dell’ottica e della fisiologia. Attraverso la sperimentazione pratica dell’accostamento di<br />

colori puri, in punti o piccole linee giustapposti, si può capire la mescolanza ottica che affida alla<br />

retina dell’occhio dell’osservatore il compito di fonderli, come accade <strong>nel</strong> processo percettivo,<br />

ed approfondire la conoscenza delle leggi dell’accostamento dei colori complementari, che<br />

accentuano l’intensità cromatica e luminosa dei dipinti.<br />

Nel secondo appuntamento, Forme geometriche componibili, è stata analizzata l’opera<br />

Bagnanti di Fortunato Depero, <strong>nel</strong>la cui visione artistica la forma geometrica diviene<br />

semplificazione meccanica, semplicità che per il poliedrico artista corrispondeva a praticità e<br />

bellezza in relazione ad una società veloce e dinamica.<br />

Aiutati da prove e verifiche tramite l’utilizzo delle forme componibili tratte dagli elementi<br />

compositivi del dipinto, gli insegnanti hanno approfondito la lettura della forma “istantanea” che<br />

diviene in Depero nuova forma estetica, per giungere ad elaborazioni in cui indagare l’aspetto<br />

tattile delle superfici adoperate, introducendo una caratteristica sensoriale che tanta importanza<br />

ebbe <strong>nel</strong> movimento futurista.<br />

Si è giunti così all’ultimo incontro, Lettera e parola. Nel futurismo gli artisti inseriscono <strong>nel</strong>le loro<br />

opere ritagli di giornali, composizioni tipografiche, “giocano” con le lettere con un obiettivo palese,<br />

il concetto di comunicazione visiva, in cui forme, segni, parole, onomatopee si amalgamano in<br />

una totale percezione sensoriale. Nel laboratorio giochi grafici con le lettere di diverse dimensioni,<br />

scomposte, ruotate, accostate, sovrapposte, hanno permesso di analizzarle, dapprima come segni<br />

impressi sulle diverse superfici di supporto, tracce in cui i motivi della visualità sono superiori<br />

a quelli della significazione; in seguito, attraverso la ricomposizione delle stesse, riacquistano il<br />

significato di parola, di scrittura che diviene poesia, movimento, espressione personale.<br />

<strong>Il</strong> percorso ha permesso così di fornire strumenti per la comprensione della relazione tra parola e<br />

immagine posta al centro del lavoro di molti artisti, dal cubismo al futurismo alla contemporaneità.<br />

<strong>Il</strong> coinvolgimento attivo e partecipe degli studenti si è infine completato con la visita al percorso<br />

espositivo Le vie del futurismo dove fissare, attraverso l’osservazione delle opere esposte, i<br />

concetti acquisiti <strong>nel</strong>le ricerche e <strong>nel</strong>le sperimentazioni condotte in classe.<br />

50 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 51 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>


Le vie dell’arte<br />

<strong>Percorsi</strong> <strong>didattici</strong><br />

<strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>:<br />

simbolo, astrazione, modernità


54 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 55 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Fondazione <strong>Il</strong> Vittoriale degli Italiani<br />

progetto 1 Fragori e acrobazie<br />

progetto 2 Meglio convien credere al corpo che all’anima<br />

progetto 3 <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong>: “La Velocità”<br />

progetto 4 D’Annunzio e Marinetti andata e ritorno<br />

progetto 5 L’uomo del novecento e l’orizzonte tecnologico:<br />

il destino dell’uomo macchina


Chi e dove Scuola primaria A. Lozzia Gardone Riviera<br />

Classi coinvolte Seconda, terza e quinte<br />

Docenti referenti Boschetti Maria Grazia, Cipani Maria Grazia, Saletti Udilla, Tripodi Eufemia<br />

56 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 57 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

progetto 1 Fragori e acrobazie<br />

(dai voli di D’Annunzio ai nostri voli con la fantasia)<br />

<strong>Il</strong> progetto “ <strong>Il</strong> futurismo <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>” ha visto coinvolti gli alunni che frequentano le<br />

attività opzionali delle classi seconda, terza e quinta.<br />

Nel presentare ai nostri alunni il “titolo” del progetto che avremmo attuato, questi hanno subito<br />

collegato il termine “futurismo” a “futuro”.<br />

I bambini di seconda e terza hanno espresso con il disegno le proprie idee di FUTURO.<br />

Sui fogli sono così apparsi:<br />

• macchie di colori<br />

• fiori e nuvole animati<br />

• auto volanti<br />

• robot<br />

• semafori parlanti<br />

• macchine per viaggiare <strong>nel</strong> tempo e per teletrasportarsi....<br />

Insieme a loro abbiamo poi considerato le<br />

differenze tra passato, presente e futuro,<br />

prendendo in esame oggetti di uso comune<br />

del passato recente, osservando le loro<br />

trasformazioni <strong>nel</strong> tempo e immaginando come<br />

potrebbero diventare <strong>nel</strong> futuro.


progetto 1 Fragori e acrobazie progetto 1 Fragori e acrobazie<br />

candela lampadina sole<br />

asse per lavare<br />

lavatrice<br />

robot<br />

lava-asciuga-stende<br />

I bambini di quinta hanno invece immaginato<br />

un futuro con un mondo migliore, realizzando di<br />

fatto “un loro “manifesto futurista”<br />

Nel nostro futuro noi vogliamo:<br />

58 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 59 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>


progetto 1 Fragori e acrobazie progetto 1 Fragori e acrobazie<br />

60 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 61 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>


progetto 1 Fragori e acrobazie progetto 1 Fragori e acrobazie<br />

A questo punto abbiamo focalizzato l’attenzione degli alunni sul termine “<strong>Futurismo</strong>” e li abbiamo<br />

invitati ad indovinare il suo signifi cato.<br />

Alcuni di noi hanno detto “futurismo” è:<br />

• futuro tante volte<br />

• un programma televisivo<br />

• fare cose nuove<br />

• fare progetti<br />

• cambiare la vita<br />

• fare cambiamenti<br />

• nuovi materiali<br />

• vita robotica<br />

• viaggiare <strong>nel</strong> tempo<br />

• energia<br />

• fantasia<br />

È seguita la spiegazione del futurismo come movimento culturale,<br />

soffermandoci su alcuni aspetti della pittura e della letteratura.<br />

Sono stati presentati ai bambini semplifi candoli <strong>nel</strong> linguaggio, i due<br />

manifesti futuristi, confrontandoli con il manifesto realizzato da loro.<br />

Con la collaborazione di esperti del Teatro Inverso di Brescia, Daniela<br />

Visani e Davide D’Antonio, abbiamo quindi elaborato un percorso<br />

differenziato con due diversi laboratori per i due gruppi di alunni.<br />

Finalmente<br />

nUovi<br />

Tutti<br />

Uniti<br />

Ricerchiamo<br />

Immagini<br />

Suoni<br />

Movimenti<br />

Onomatopee<br />

Laboratorio n. 1 (alunni classe seconda e terza)<br />

Con i bambini più piccoli, di seconda e terza, è stato impostato un lavoro sull’immagine e<br />

l’espressività.<br />

Attraverso un dialogo con i ragazzi...<br />

• è stata introdotta la fi gura di D’Annunzio come precursore del presente <strong>nel</strong> suo approccio alla<br />

comunicazione (scriveva pubblicità, canzoni, inventava nomi ad oggetti e luoghi...)<br />

• è stato raccontato il suo amore per il volo, facendo riferimento al mito di Icaro e citando<br />

Leonardo e le sue macchine per volare<br />

• sono stati introdotti i futuristi, come movimento di avanguardia e rottura col passato (primi<br />

disegnatori di moda, anticipatori dei DJ...)<br />

• è stata presa in esame l’aeropittura<br />

• si è iniziato ad unire D’Annunzio alla pittura, dicendo che a Gardone Riviera fece dipingere gli<br />

edifi ci di un colore inventato da lui: giallo benaco<br />

• si è fatto associare D’Annunzio ai Futuristi come anticipatori, amanti del nuovo progresso, del volo<br />

A questo punto si è spostato l’interesse su cosa pensano del volo i ragazzi...<br />

• sono stati proposti dapprima esercizi di disequilibrio, prima a coppie e poi individualmente<br />

• è stata data ad ogni bambino la consegna di scrivere cosa pensasse del volo e che colore<br />

associassero all’emozione del volare<br />

Al termine dell’esperienza abbiamo scoperto che per i nostri bambini volare è<br />

• essere a contatto con la natura<br />

• equilibrio<br />

• una gioia<br />

• una cosa divertente<br />

• un passatempo<br />

• una prelibatezza<br />

• essere un uccello<br />

• è emozionante<br />

• è vedere tutto piccolo<br />

• è sentire freddo<br />

• è spericolato<br />

• è immaginare<br />

• è una sensazione fantastica<br />

• è un desiderio che aspetto da anni e che essi hanno associato al volo i seguenti colori<br />

e le seguenti sensazioni<br />

• zaffi ro (una cosa preziosa)<br />

• blu (felicità, horror, allegria)<br />

• bianco (gioia, felicità, lampi, paura)<br />

• rosso (felicità)<br />

• verde (felicità)<br />

• azzurro (paura, tristezza)<br />

• lilla (tristezza)<br />

• giallo (del sole, movimento)<br />

• oro e fucsia (felicità)<br />

Infi ne i bambini, osservando le copie dei quadri dei pittori futuristi (per loro diventati “pitturisti”),<br />

hanno notato quale grande importanza ha la rappresentazione del movimento e così li abbiamo<br />

invitati a immaginare come un quadro possa diventare “vivo”.<br />

Sono uscite le seguenti ipotesi<br />

• cammina con le gambe, ha braccia e testa<br />

• gli si disegnano le mani, con cui si stacca dal muro e se ne va<br />

• comincia a muoversi in modo incontrollato, si stacca dalla parete e cammina sul soffi tto<br />

e sulle pareti<br />

• i disegni del quadro iniziano a muoversi e poi tornano in ordine<br />

• i disegni prendono vita e le case vengono fuori<br />

• saltano via i chiodi del quadro, con uno schiocco di dita si trasformano magicamente<br />

• il chiodo si allunga, macchie di colore si staccano e rotolano fuori dal quadro e tutto prende vita<br />

• <strong>nel</strong> sole spuntano occhi e faccia<br />

• di notte il quadro prende vita ci si può tuffare e i disegni prendono vita<br />

Per cercare di rappresentare tutto ciò abbiamo fatto dipingere ai bambini delle strisce di stoffa,<br />

con le quali tradurre <strong>nel</strong>lo spazio linee e colori, in tre dimensioni.<br />

E con le emozioni da loro espresse, con i colori scelti, le loro frasi e i loro movimenti <strong>nel</strong>lo spazio è<br />

infi ne stato costruito il testo di una rappresentazione dal titolo<br />

La descrizione della performance è piuttosto<br />

diffi cile perché basata principalmente sul<br />

movimento, la simulazione del volo, la dinamicità<br />

che contraddistingue i quadri futuristi e le emozioni<br />

suscitate dal volo.<br />

62 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 63 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Possiamo<br />

Immaginare<br />

Tutto<br />

Trovare<br />

Un<br />

Ritmo<br />

Irregolare<br />

Senza<br />

Tante<br />

Imitazioni


progetto 1 Fragori e acrobazie progetto 1 Fragori e acrobazie<br />

I bambini a coppie uno di fronte all’altro, trattengono delle fasce dipinte con i colori che loro<br />

avevano associato al volo.<br />

Muovono le fasce dal basso in alto, formando onde a canone.<br />

Le fasce sono fatte vibrare a terra simulando il mare appena mosso.<br />

I bambini le alzano ad altezza diversa formando un muro.<br />

Dal fondo del palcoscenico entrano uno alla volta tre bambini scavalcando e inserendosi<br />

lentamente tra le fasce.<br />

Alla loro uscita le fasce vengono messe in posizione diagonale alternata.<br />

Una bambina con una farfalla posta su un ramo le attraversa e si<br />

ferma davanti.<br />

Seguono le battute:<br />

• Se potessi volare mi sentirei un uccello libero <strong>nel</strong> cielo, sognerei<br />

tante cose e penserei a cose impossibili.<br />

• È un desiderio che aspetto da anni.<br />

• A me piace volare perché vedo tutto piccolo...<br />

Tre coppie di bambini formano con le fasce tre dimensioni; entrano quattro bambini con in mano<br />

alcuni oggetti che spostano su diverse prospettive, intanto si alza la prima fascia che diventa il<br />

cielo sotto la quale si dispongono tutti i bambini che a turno dicono:<br />

• Per me volare è essere a contatto con la natura – o se no è una gioia – o se no è equilibrio<br />

• O se no? (in coro)<br />

• O se no un passatempo<br />

• O se no? (in coro)<br />

• O se no una cosa divertente<br />

• O se no è una prelibatezza...<br />

• Ohhh! (in coro)<br />

• <strong>Il</strong> cielo è come un gioiello (in coro)<br />

• Vedo tutto il mondo<br />

• Le nuvole<br />

• Nuvole? Ma non ci sono. Qui andavano disegnate le nuvole!<br />

• Mi son dimenticata, avevo piscina, il cane era da portare fuori, i compiti...<br />

• Mi piace molto volare perché sento freddo!<br />

A questo punto in coppia alcuni bambini attraversano il palco, facendo esercizi di disequilibrio e<br />

pronunciando le seguenti battute:<br />

• Paura<br />

• Libertà<br />

• Aria (in coro)<br />

• Io vorrei tenere le ali alla schiena<br />

• Guardare...<br />

• Giocare, rotolare, arcobaleno<br />

• Panorama (in coro)<br />

Una bambina si fa un nido con una fascia raggomitolata e si accovaccia in mezzo, dicendo:<br />

• Un giorno anche fra secoli di anni, vorrei essere un bellissimo uccellino e con le mie ali<br />

avvicinarmi ai miei figli che avrò in futuro.<br />

Un altro bambino disfa il nido e si muove sul palco, facendo delle evoluzioni.<br />

Seguono le battute:<br />

• Per me volare è fare acrobazie, perché si gira e si curva...<br />

• Io vorrei volare tranquilla...<br />

• Saltare la corda è come volare in aria e il colore che mi viene in mente volando... (coro di colori)<br />

• Volare con macchina volante<br />

• Esperienza interessante.<br />

• Immaginare<br />

• Esplorare, divertimento, sognare cose strane...<br />

• Bellezza (in coro)<br />

• Velocità sensazione emozione<br />

• Effetti solari<br />

• È spericolato<br />

• Mi sembrate D’Annunzio<br />

• Mi sembrate i Pitturisti!<br />

• Pittori turisti?<br />

• No, pittori futuristi!<br />

• Ma se non sapete neanche chi sono!<br />

• Consultiamo Internet...<br />

• Entriamo in rete...<br />

• Goal!<br />

• Cosa c’entra?<br />

• Perché tu non tieni al Milan?<br />

• È una cosa divina. Non penso che a volare<br />

ancora. <strong>Il</strong> momento in cui si lascia la terra è di una<br />

dolcezza infinita... è una nuova ebbrezza...<br />

• Lo dicevo io: prelibatezza...<br />

• Ebbrezza (in coro)<br />

• È una nuova ebbrezza, un nuovo bisogno...<br />

• Come dici bene le cose... (in coro)<br />

Entra un bambino con il Corriere della sera ed interviene:<br />

• Non è farina del suo sacco, lo ha detto D’Annunzio in una intervista con Luigi Barzini...<br />

A questo punto proiettata sul video sopra il palco compare la scritta: “Le prospettive mutevoli del volo”<br />

Subito dopo vengono proiettati sullo schermo alcuni quadri di aereopittura futurista, mentre i<br />

bambini dicono le battute conclusive:<br />

• Schiacciate...<br />

• Provvisorie...<br />

• Appena cadute dal cielo...<br />

• Ma D’Annunzio e i Pitturisti parlano come noi!<br />

• Si vede che volare è importante...<br />

• Si vede che la pensano come noi!<br />

• Forse sono rimasti un po’ bambini e hanno voglia di rischiare<br />

• Sperimentare,<br />

• Crescere<br />

• Imparare la libertà!<br />

64 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 65 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>


Volteggiare<br />

Ovunque<br />

Lasciandosi<br />

Andare<br />

Ridenti<br />

Entusiasti<br />

progetto 1 Fragori e acrobazie progetto 1 Fragori e acrobazie<br />

Laboratorio n. 2 ( classe quinta)<br />

I bambini di quinta hanno preso in esame le caratteristiche del movimento dei futuristi ed<br />

hanno capito che<br />

• la prima cosa che bisogna imparare è che non si copia mai nessuno<br />

• bisogna avere il coraggio delle proprie idee per quanto rivoluzionarie e controcorrente<br />

possano essere<br />

• bisogna saper tradire i propri maestri.<br />

Così è stato ideato uno spettacolo sui futuristi e<br />

D’Annunzio, su alcune loro idee che in qualsiasi tempo<br />

hanno valore.<br />

“La libertà è un valore irrinunciabile” essi dicevano...e<br />

gli alunni hanno subito pensato alla libertà di correre, di<br />

giocare, di saltare e sì… anche di studiare, perchè la<br />

libertà è un diritto.<br />

Ma per essere liberi ci siamo chiesti cosa serva.<br />

In primo luogo è necessario avere tempo e quindi<br />

i bambini hanno pensato a macchine che possano<br />

aiutarci <strong>nel</strong> nostro lavoro, così da avere più tempo da dedicare a ciò che ci piace fare.<br />

Le macchine sono affascinanti oltre che utili<br />

(auto… aereoplani… treni…), ma c’è un rischio: sembra che rendano l’uomo invincibile, un<br />

supereroe, quando invece sappiamo che la vera forza dell’uomo sta <strong>nel</strong>le sue doti interori.<br />

Durante il percorso teatrale gli alunni hanno imparato gli elementi essenziali per stare sul<br />

palcoscenico, come l’utilizzo dello spazio e della voce, poi sono stati aiutati a mettere in evidenza<br />

come <strong>nel</strong>le opere di D’Annunzio e dei futuristi vi fossero delle parole che sembravano interessanti<br />

anche per loro: libertà, supereroe, macchina, volare…<br />

Con queste parole si è giocato un po’, proprio come<br />

facevano i futuristi.<br />

Sono state prese in visione alcune opere di scrittori<br />

e pittori futuristi che hanno saputo trasformare<br />

con fantasia, parole e suoni dando origine alle<br />

onomatopee.<br />

I bambini si sono lasciati affascinare in un<br />

coinvolgimento operativo che ha condotto alla<br />

produzione di un” murales”fatto di “parole in libertà”e<br />

di disegni rappresentanti “suoni ed emozioni in<br />

parole”.<br />

È iniziato così il gioco delle onomatopee da cui ha preso forma l’inizio della performance teatrale.<br />

<strong>Il</strong> lavoro è proseguito con esercizi di espressività gestuale sulla simulazione del volo: i bambini<br />

sono stati invitati a lasciarsi trasportare dal desiderio di volare, dalle sensazioni, dalle emozioni,dal<br />

brivido del volo.<br />

Tutti hanno provato a volare con la fantasia, immaginando l’ebrezza<br />

dell’alta quota.<br />

Partendo da questo esercizio si è creato un breve testo individuale<br />

su emozioni, percezioni e simbologia del volo dal quale sono<br />

scaturite le seguenti esclamazioni:<br />

• Mi sembra di toccare il cielo con un dito!<br />

• I paesi sembrano i pezzi dei lego!<br />

• Le nuvole sembrano imbottite e mi viene voglia di mangiarle!<br />

• Mi sembra di essere un angelo che gira intorno al mondo.<br />

• Guardo giù e tutto sembra un tappeto variopinto.<br />

• Mi sento libera e leggera come un gabbiano!<br />

• Mi sento piccola ma tranquilla!<br />

• Ho i brividi alla pelle e tutto intorno è colore!<br />

• Tutto è silenzio!<br />

• In questo spazio infi nito, penso a quello che l’uomo fa sulla terra!<br />

• Tutto mi sembra piccolo<br />

A questo punto è nata una rifl essione guidata<br />

sul valore che ognuno dà alle cose che scopre<br />

ogni giorno. Ci siamo chiesti cosa è veramente<br />

importante <strong>nel</strong>la vita dell’uomo: le macchine,<br />

che utilizziamo per migliorare la nostra vita e<br />

avere più tempo libero, o ciò che ci permette di<br />

vivere insieme in armonia, mettendo in gioco le<br />

nostre capacità e superando le diffi coltà?<br />

Ci siamo chiesti se dobbiamo affi darci ai<br />

supereroi creati dalla nostra fantasia o se dobbiamo riporre la fi ducia <strong>nel</strong>la nostra capacità di<br />

operare per il bene comune, fi no ad arrivare alla performance “Un fragore<br />

silenzioso”.<br />

I ragazzi si dispongono sui tre lati del palcoscenico e, guidati dal regista, gridano<br />

delle onomatopee e a turno entrano in scena dicendo:<br />

• Vogliamo essere più liberi!!!<br />

• <strong>Il</strong> mondo non è libero.<br />

• Siamo tutti costretti a fare le stesse cose<br />

• Alzarsi, mangiare, andare a scuola e dormire.<br />

• Dobbiamo costruire delle macchine che ci aiutino ad essere liberi.<br />

• Delle macchine che ci liberino il tempo.<br />

• Delle macchine che ci risolvano dei problemi.<br />

Alcuni bambini si muovono come robot e iniziano a parlare dicendo che le macchine possono<br />

essere utilizzate per risolvere i problemi.<br />

• Avremo macchine che soffi ano il naso.<br />

• Macchine per colorare i disegni!<br />

• Che preparano pranzo, cena, colazione.<br />

66 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 67 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>


progetto 1 Fragori e acrobazie progetto 1 Fragori e acrobazie<br />

• Macchine che guidano l’auto.<br />

• Macchine che ti lavano.<br />

• Che stenderanno i panni.<br />

• Sostituiranno la nonna per fare la babysitter.<br />

• Ed una macchina che ti fa anche la spesa.<br />

Alla fine, l’ultimo dei robot preme un pulsante e tutti si spengono accasciandosi per terra.<br />

Entra in scena un altro bambino<br />

• Bello<br />

• Molto bello<br />

• Molto divertente<br />

• Molto, molto…<br />

Tutti i robot cadono per terra.<br />

Regna il silenzio mentre un bambino si aggira tra di loro.<br />

• Ma mi sa che così ci annoieremmo.<br />

• Cosa potremmo fare?!<br />

A questo punto ogni robot, tornato bambino, <strong>nel</strong> momento in cui dice la sua battuta, si solleva da<br />

terra pensieroso.<br />

• Nulla!<br />

• Staremmo sempre a casa a guardare la tv!<br />

• A giocare a videogames!<br />

• A navigare su internet!<br />

• Si mangia!<br />

• Si dorme!!<br />

• E non avremo voglia di fare più sport!<br />

• Di fare le passeggiate con papà e mamma!<br />

• Di fare le coccole!!<br />

I bambini si spostano silenziosamente sui due lati del palcoscenico e formano due macchine<br />

umane (aereo e carro armato), poi iniziano a riprodurre il rumore delle due macchine e,<br />

aumentando sempre più il rumore, si muovono scontrandosi al centro: tutti cadono per terra.<br />

Regna il silenzio.<br />

Dal fondo del palcoscenico entra un bambino sbigottito e dice:<br />

• Ma non ci si diverte neanche un po’ in questo mondo!<br />

Tutti sollevano il capo ed esclamano:<br />

• Disastro!<br />

• Come facciamo?<br />

• Abbiamo bisogno che qualcuno ci aiuti…<br />

Si tocca il mento pensieroso, poi esclama:<br />

• Un eroe!<br />

I bambini si guadano tra di loro sbigottiti.<br />

• Tra di noi non ne vedo molti!<br />

• Forse quando saremo grandi!<br />

• Aspettate! Noi, possiamo essere degli eroi!<br />

• Anzi, dei super-eroi!<br />

• Ecco! Noi, siamo super-super!!!<br />

Mentre un sottofondo musicale va in crescendo, tutti i bambini si dispongono <strong>nel</strong>lo spazio<br />

disponibile, assumendo le posizioni dei super eroi da loro inventati.<br />

Infine, rimanendo fermi <strong>nel</strong>l’ultima posizione da super eroe, alcuni di loro elencano le qualità:<br />

• Saremo forti per aiutare i più deboli!<br />

• Sapremo volare per individuare dall’alto i criminali!<br />

• Saremo equi per riportare la giustizia!<br />

• Saremo scintillanti per accecare i nemici!<br />

• Saremo veloci per prenderli in contropiede!<br />

• E saremo affascinanti!<br />

Sbigottiti, tutti esclamano.<br />

• Perchè??<br />

• Perché no? Mica vogliamo stare da soli tutta la vita!!<br />

68 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 69 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

La musica finisce e tutti si guardano delusi.<br />

Perdono la loro postura da super-eroi:<br />

• Ecco, abbiamo anche finito di fare gli eroi!<br />

• Qual è stato il problema?<br />

• Abbiamo creduto che le macchine<br />

salvassero tutto!<br />

• Che gli eroi ci potessero salvare!<br />

• Non siamo gli unici ad averlo creduto!<br />

• Anche i futuristi!<br />

• Anche D’Annunzio!<br />

• Anche lui credeva negli eroi e amava le<br />

macchine.<br />

• Ma... veramente lui non ebbe proprio passione per tutte le macchine.<br />

• Amava gli aerei.<br />

Tutti i bambini iniziano a sollevare le braccia e a sibilare, simulando un volo aereo:<br />

• Sono in alto!<br />

• Volo in aereo!<br />

• Mi sembra di poter toccare il cielo con un dito!<br />

• Le nuvole sembrano imbottite ed ho una gran voglia di mangiarle! Guardo e vedo…<br />

• Distese di ogni colore e gruppi di case che <strong>nel</strong> loro piccolo sembrano minuscoli agglomerati.<br />

• Le case che da terra sono giganti grattacieli, sembrano come dei<br />

modellini, e io sono un gigante tra i lego… vado più in alto!<br />

• <strong>Il</strong> paesaggio diventa come un quadro dai colori sfumati, non si<br />

capisce quali sono le cose, quali sono le persone, quali le strade!<br />

• Tutto è leggero!<br />

• Silenzioso!!<br />

• La luce è ovattata!<br />

• E in questo strano “paradiso”, ripenso a quello che l’uomo fa!<br />

• Mi pare piccolo!<br />

• E tutti i suoi problemi talmente inutili!


progetto 1 Fragori e acrobazie progetto 1 Fragori e acrobazie<br />

• Forse, bisognerebbe pensare così,anche quando siamo sulla terra!<br />

• Vedere tutto più distante.<br />

• E le cose sarebbero più semplici!<br />

• Forse!<br />

Tutti i bambini, sibilando come gli aerei in volo, escono lentamente di scena e si dispongono ai due<br />

lati del palcoscenico.<br />

Di colpo spiccano un salto verso il centro della scena e, sollevando le braccia verso l’alto, gridano:<br />

• Libertà!<br />

Dopo aver rappresentato le due performance, gli alunni sono stati accompagnati al Vittoriale dove<br />

hanno potuto rappresentare con il disegno le due auto e l’aereo di D’Annunzio, testimonianze della<br />

passione del poeta per il volo e la velocità.<br />

Si sono anche divertiti a creare acrostici relativi ai termini più volte emersi durante tutto il lavoro<br />

svolto.<br />

Volante A<br />

Enorme sUperare<br />

Luci Tornanti<br />

rOtonde Ombrosi<br />

Con<br />

Isotta<br />

Tu<br />

Andrai<br />

70 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 71 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>


progetto 1 Fragori e acrobazie progetto 1 Fragori e acrobazie<br />

Vado Ammirando<br />

Oltre Entusiasta<br />

Le Rischiando<br />

Ombre E<br />

Osando<br />

72 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 73 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Guidavi Dovunque<br />

Aerei Andavi<br />

Ballerini Nuvole<br />

Rombanti Nebbiose<br />

Imbattibili sUperavi<br />

Eccellenti Negli<br />

Leggeri aZzurri<br />

E Infi niti<br />

Orizzonti


Chi e dove Scuola Secondaria di primo grado “Papa Giovanni XXIII” Gardone Riviera<br />

Classi coinvolte Terza A<br />

Docenti referenti Raggi Simona (Lettere), Marchiori Marco (Arte), Bettinzoli Liliana (Matematica)<br />

74 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 75 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

progetto 2 Meglio convien credere al corpo<br />

che all’anima<br />

L’esaltazione della competizione<br />

e dell’attività fisica in D’Annunzio e Marinetti<br />

In generale il tema sportivo fu giudicato indegno, di conseguenza non<br />

poetabile dalla maggior parte dei poeti e dei letterati, ma d’Annunzio e<br />

Marinetti rappresentano una notevole eccezione <strong>nel</strong> panorama culturale<br />

italiano. Secondo Giorgio Barberi Squarotti 1 , essi non rappresentano lo<br />

sport solo come gara sportiva, ma come sfida personale mettendo in<br />

campo l’eroismo del singolo e lo sport come lotta.<br />

Ha ragione lo storico Luciano Russi 2 di indicare in Gabriele d’Annunzio<br />

uno dei pochi a intuire che lo sport sarebbe diventato un “fatto di<br />

costume” tanto da coinvolgere strati sociali sempre più ampi.<br />

Nella biografia del vate è difficile non riconoscere una notevole capacità<br />

di cogliere gli aspetti più appariscenti della nascente società con i suoi<br />

miti e i suoi riti collettivi; D’Annunzio è noto per la sua eccentricità e le<br />

sue iniziative, anche <strong>nel</strong> creare neologismi poi entrati <strong>nel</strong>l’uso comune<br />

e ancora attuali, per esempio la parola “maratoneta” coniata per il<br />

podista Dorando Petri.<br />

Gabriele d’Annunzio nasce a Pescara il 12 marzo 1863 da famiglia<br />

borghese.<br />

Era un grande amante dello sport e ne praticò molti fin dagli anni<br />

dell’infanzia: imparò a tirare di scherma, andare a cavallo, frequentò<br />

corsi di ginnastica e fu addestrato<br />

<strong>nel</strong>l’arte del nuoto, infatti divenne<br />

un nuotatore espertissimo. Dopo il<br />

nuoto nacque in lui una fortissima<br />

passione per la vela, infatti, <strong>nel</strong> 1896<br />

D’Annunzio riuscì a compiere una<br />

completa crociera velica fino in Grecia.<br />

Fu uno tra i primi a volare e a tirare calci a un pallone<br />

confessando la sua ripugnanza contro “l’immobilità della<br />

sedia e contro l’irritante esercizio della scrittura”.<br />

D’Annunzio aveva un notevole interesse per lo sport:<br />

infatti una prova di come sapeva curare l’esercizio fisico la<br />

A sinistra, il volantino<br />

celebrativo del volo su<br />

<strong>Vie</strong>nna.


progetto 2 Meglio convien credere al corpo che all’anima progetto 2 Meglio convien credere al corpo che all’anima<br />

troviamo <strong>nel</strong> diploma rilasciatogli presso il Regio Liceo Cicognini di Prato. Questo diploma<br />

dichiara che <strong>nel</strong>l’anno scolastico 1880-81, l’alunno D’Annunzio Gabriele di Pescara fu<br />

giudicato di piena lode in ginnastica.<br />

<strong>Il</strong> 7 febbraio del 1920 inaugurò una partita di calcio, per consolidare il rapporto tra i cittadini<br />

di Fiume e l’esercito occupante. In quell’occasione creò lo scudetto tricolore (che tuttora<br />

vediamo sulle maglie della Nazionale Italiana); esso era una novità perché prima si usava<br />

la maglia azzurra con lo scudetto crociato bianco e rosso, simbolo di casa Savoia, senza<br />

contare che il tricolore repubblicano appariva come una vera e propria sfi da “repubblicana”,<br />

insomma un affronto antimonarchico. Per la cronaca la partita fi nì 2 a 1 per i fi umani.<br />

La voglia di vincere portò D’Annunzio <strong>nel</strong> 1921 ad essere proclamato atleta dell’anno<br />

nonostante i suoi 58 anni. D’Annunzio fu un precursore dello sport praticato e viveva, come<br />

anch’egli pensava “in una continua contaminazione fra realtà e letteratura, fra esistenza e<br />

rappresentazione” 3 .<br />

Lui riuscì inoltre ad intuire che “lo sportivo, il campione impasta di sé questa duplicità: è se<br />

stesso e contemporaneamente è l’eroe rimodellato dalla fantasia, dai sentimenti di chi, da<br />

spettatore, lo vede gareggiare”.<br />

IMMOTUS NEC INERS Fermo ma non inerte<br />

Fresa oraziana scelta da D’Annunzio per il suo stemma nobiliare di “principe di Monte<br />

Nevoso” disegnato dal pittore Guido Marussig. <strong>Il</strong> titolo di principe fu conferito al Poeta dal<br />

re, per volere di Mussolini <strong>nel</strong> 1924, dopo la defi nitiva annessione di Fiume all’Italia. La<br />

scelta di questo motto ha un chiaro signifi cato polemico: D’Annunzio non tralasciò mai<br />

occasione di ricordare a Mussolini le sue passate gesta e di esprimere il suo desiderio di<br />

tornare all’azione, specie nei primi anni del suo “esilio” al Vittoriale.<br />

PASSIONE PER L’ACQUA<br />

Come già ricordato, fi n da bambino, il pescarese D’Annunzio, fu<br />

educato all’amore per l’acqua, per il mare e per gli sport ad esso<br />

connessi. <strong>Il</strong> padre lo addestrò all’arte del nuoto così d’Annunzio<br />

divenne un nuotatore espertissimo.<br />

In seguito venne la vela attraverso l’acquisto di una piccola<br />

imbarcazione e <strong>nel</strong> 1896 d’Annunzio compiva poi una<br />

brillante e completa crociera velica fi no in Grecia.<br />

E ancora ventun anni dopo, <strong>nel</strong><br />

1917, egli scriveva di quella<br />

avventura raccontandola al<br />

fi glio di Edoardo Scarfoglio,<br />

che aveva partecipato con<br />

lui a quella crociera. Negli<br />

ultimi anni di vita, trascorsi per la<br />

maggior parte <strong>nel</strong>la villa di Gardone Riviera,<br />

nonostante la vecchiaia, egli non tralascia la cura del<br />

corpo e pratica, per quanto possibile, diversi sport. Ma è una<br />

nuova passione, una nuova sfi da, ad animare ancora una volta lo<br />

spirito del poeta.<br />

La motonautica<br />

Nel febbraio 1921 D’Annunzio, che si è ormai stabilito a Gardone<br />

Riviera, vuole celebrare l’amato lago di Garda. Prende forma l’idea<br />

di un meeting idroaviatorio per il quale lo stesso poeta mette in palio<br />

la coppa del Benaco dedicata all’Ala Marina. Ed è proprio lo spirito<br />

ardimentoso di D’Annunzio che trova un nuovo modo di sperimentare<br />

76 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 77 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

D’Annunzio motonauta.<br />

In alto a sinistra, Guidone del<br />

Club Motonautico Gabriele<br />

d’Annunzio di Gardone<br />

Riviera<br />

A fi anco, la coppa<br />

dell’Oltranza.<br />

Le dediche di Gabriele<br />

d’Annunzio per la società<br />

sportiva Canottieri Garda<br />

di Salò e per la Coppa<br />

dell’Oltranza in memoria<br />

della scomparsa del pilota<br />

inglese Henry Segrave morto<br />

in seguito ad un incidente<br />

durante un tentativo di record<br />

sull’acqua.<br />

Nella pagina a sinistra,<br />

D’Annunzio in riva al mare.


D’Annunzio a cavallo<br />

progetto 2 Meglio convien credere al corpo che all’anima progetto 2 Meglio convien credere al corpo che all’anima<br />

la sua passione e propensione per la velocità o come la defi nisce lui, la rapidità. E così la<br />

motonautica diventa la sua nuova sfi da lanciata, questa volta, ai record da battere. Nel 1925<br />

si fa allestire ‘un guscio’ perché vuole partecipare alle gare di motonautica di Stresa e di<br />

Como, dove cerca di tenere il passo agli stranieri <strong>nel</strong> Gran Premio d’Europa. Ma rivelatisi<br />

fallimentari i due tentativi, <strong>nel</strong> 1927 sarà suo il nuovo record di velocità stabilito proprio sulle<br />

acque verdi antistanti Gardone Riviera: 127 chilometri al comando di Alcione.<br />

Ed è così che <strong>nel</strong> 1929 nasce il club motonautico Gabriele d’Annunzio che ha per motto<br />

“Memento Audere Semper’’ e ha per gagliardetto lo stesso che comparve per la prima volta<br />

a Buccari: sette stelle in campo azzurro. Sarà proprio D’Annunzio a volere che il premio<br />

assegnato <strong>nel</strong>le competizioni organizzate dal club venga dedicato alla “Rapidità pura’’ e<br />

che prenda il nome di Coppa dell’Oltranza; ancora un riconoscimento all’indomito desiderio<br />

di superare i limiti imposti alla velocità, uno sprone contro l’immobilità, la passività e<br />

l’arrendevolezza.<br />

È senz’altro da ricordare che in una delle gare de l’“Oltranza’’ si scontrarono due assi<br />

dell’automobilismo: Tazio Nuvolari e Achille Varzi.<br />

MEMENTO AUDERE SEMPER Ricordati di osare sempre<br />

È il più celebre motto di guerra dannunziano, legato alla memorabile “Beffa di<br />

Buccari”, l’impresa compiuta <strong>nel</strong>la notte fra il 10 e l’11 febbraio 1918. <strong>Il</strong> timoniere<br />

del MAS, il motoscafo antisommergibile destinato all’impresa, ora conservato al<br />

Vittoriale, aveva composto un acrostico in latino con le lettere MAS: “Motus animat<br />

spes”. Ma il motto sembrò poco energico a D’Annunzio che lo cambiò all’ultimo<br />

momento e lo fece incidere sulla tavoletta dietro la ruota del timone. <strong>Il</strong> Poeta volle<br />

per il motto un disegno di De Carolis raffi gurante un braccio che emerge dai fl utti<br />

stringendo una corona di rami di quercia. Lo fece stampare sulla sua carta da lettere,<br />

e sugli oggetti più disparati, scatole d’argento e foulard di seta rossa blu che usava<br />

regalare agli amici.<br />

“NON AMO CANTARE. AMO I CAVALLI, I CANI, E LA CACCIA”<br />

D’Annunzio e la passione per i cavalli e i cani<br />

L’acqua e l’aria, il nuoto e la corsa <strong>nel</strong> vento in sella a<br />

un cavallo sono le prime passioni del giovane Gabriele<br />

d’Annunzio. Lo stesso poeta ci informa della sua<br />

propensione per questi sport non soltanto <strong>nel</strong>le sue<br />

memorie e <strong>nel</strong>le opere giovanili, ma anche <strong>nel</strong>le lettere al<br />

padre, alle sorelle e a diversi famigliari e amici.<br />

<strong>Il</strong> suo primo cavallo fu Aquilino, e <strong>nel</strong> passo che segue ne<br />

parla con struggente malinconia.<br />

“Era un piccolo cavallo sardo. Era baio focato, balzan da uno, bevente in bianco. Aveva<br />

lunghe e fornite la criniera e la coda”.<br />

La passione per i cani e i cavalli, il poeta pescarese la ereditò dal padre, Francesco Paolo e<br />

la portò con sé tutta la vita. Gli piaceva cavalcare in campagna, praticare la caccia alla volpe<br />

e <strong>nel</strong>la poesia Fiaccola sotto il moggio si legge: “voglio ancora il mio schioppo/ e i miei cani<br />

pezzati, bianchi e neri/ bianchi e falbi;/ e quelli belli occhi franchi,/ e quelle orecchie belle<br />

come il velluto”. In una biografi a scritta da Benigno Palmerio 4 , amico di D’Annunzio e suo<br />

veterinario di fi ducia, si legge che il vate possedeva diversi levrieri, in particolare greyhounds<br />

e barzoi. Arrivò ad averne più di 40. Usava i greyhounds per le corse: portava i suoi campioni<br />

nei cinodromi più famosi, come quello di Parigi, come racconta Piero Chiara in Vita di<br />

Gabriele d’Annunzio 5 .<br />

Una volta due suoi levrieri vinsero molte gare e gli fecero incassare 400 franchi di premio.<br />

Un particolare macabro è il fatto che a quel tempo non si usavano, come oggi, prede fi nte<br />

per far scattare i cani alla partenza, ma lepri in carne e ossa. La moglie di D’Annunzio, Maria<br />

Hardouin, si copriva gli occhi quando la lepre veniva raggiunta e sbranata dai levrieri.<br />

Nella sua tenuta della Capponcina a Settignano, vicino a Firenze, D’Annunzio teneva i barzoi.<br />

Ad affascinare il poeta era soprattutto la fedeltà dei suoi amici a quattro zampe, una<br />

dote che apprezzava moltissimo anche <strong>nel</strong>le persone. Infatti sul tetto del canile aveva<br />

fatto collocare una bandiera con la scritta “Fidelitas”. A volte egli trascorreva giornate<br />

intere insieme ai suoi animali e quando stavano male li accudiva personalmente con cure<br />

amorevoli.<br />

Quando la malattia manifestata da un animale era giudicata inguaribile, pur di non farlo<br />

soffrire, non esitava ad abbatterlo, ma il dolore che poi lo colpiva<br />

era pari a quello mostrato per la perdita di una persona cara. Oltre<br />

ai cani D’Annunzio adorava i gatti e infatti molti furono ospiti graditi<br />

<strong>nel</strong>le sue abitazioni.<br />

Quando, in seguito alle alterne fortune e vicende della sua travagliata<br />

esistenza, la muta dei suoi cani si sfaldava, D’Annunzio non esitava<br />

a ricostituirla.<br />

<strong>Il</strong> segretario del vate, Tom Antongini, ricorda <strong>nel</strong> suo libro 6 , che<br />

il poeta fece costruire <strong>nel</strong> giardino dello chalet di Arcachon un<br />

magnifi co canile, la cui porta era ornata da 4 pilastri. In questo canile<br />

egli allevava, come d’abitudine, levrieri russi e scozzesi.<br />

La muta di cani in parte distrutta fu ricostituita durante il volontario<br />

esilio di D’Annunzio in Francia.<br />

E proprio lui, l’eroe indomito che disprezzava il pericolo e<br />

s’imbarcava <strong>nel</strong>le imprese più disparate e disperate, tremava e<br />

si disperava per i suoi cani. Li adorava, per lui erano “fanciulli<br />

capricciosi e tremende macchine di vittoria, belve crudeli e damigelle<br />

timide, sognatori taciturni e dilaniatori inesorabili”.<br />

78 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 79 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

D’Annunzio fra i levrieri <strong>nel</strong><br />

giardino della Capponcina<br />

D’Annunzio <strong>nel</strong>la spiaggia di<br />

Francavilla a mare.


progetto 2 Meglio convien credere al corpo che all’anima progetto 2 Meglio convien credere al corpo che all’anima<br />

D’ANNUNZIO E IL VOLO<br />

Ed è proprio il poeta a darci una misura di<br />

questo incondizionato amore quando scrive<br />

che “li amavo come si ama una donna<br />

malfida e tenera, mista di svogliatezza e di<br />

ardore, di frenesia e di mestizia”.<br />

La sua cagna prediletta, come ci ricorda lui<br />

stesso, era Dannissa, la sua levriera preferita,<br />

“la più graziosa creatura dell’universo che<br />

mi rende l’amore e l’ardore della vita”. Di lei<br />

parla proprio come un innamorato parlerebbe<br />

della sua adorata quando dice che aveva<br />

“due grandi occhi soavi di fanciulla, piena di<br />

pagliuzze d’oro come due pietre venturine”.<br />

“Rapidità, rapidità, gioiosa vittoria sopra il triste peso, aerea febbre, sete di vento e di<br />

splendore moltiplicato spirito <strong>nel</strong>l’ossea mole, Rapidità, la prima nata dall’arco teso che si<br />

chiama vita!”.<br />

D’Annunzio voleva sempre guardare “avanti”, così fu anche con gli aeroplani e tutto ciò che<br />

era ad essi connesso, compresa la terminologia che venne arricchita di nuovi nomi coniati<br />

dal poeta stesso; fra tutti “velivolo”.<br />

<strong>Il</strong> 4 maggio 1915 parte per il fronte come tenente e le<br />

sue imprese sono soprattutto aeree. E gli aerei trovano<br />

spazio anche <strong>nel</strong>le più celebri poesie dannunziane, tra cui<br />

la celebre Alcione. E l’esempio di D’Annunzio sarà ripreso<br />

proprio da quel Marinetti che con il poeta pescarese<br />

condivise più d’una avventura; suo è l’ Aeropoema del<br />

Golfo della Spezia e alcuni pittori futuristi, amici dello<br />

stesso D’Annunzio, si configurarono come “aeropittori”<br />

dipingendo il mondo visto dall’alto e in velocità.<br />

Gabriele d’Annunzio eroe, poeta e letterato, era un<br />

appassionato sportivo. È ampiamente noto che sia stato<br />

amante delle corse di cavalli, che abbia posseduto dei<br />

levrieri, che abbia seguito le gare automobilistiche. Si<br />

racconta che sia stato anche un ottimo spadaccino.<br />

L’amore per il volo gli fece perdere un<br />

occhio, era amante del canottaggio e del<br />

nuoto e andava volentieri in bicicletta. Aveva<br />

una grande passione per il calcio.<br />

A quei tempi i calciatori dell’Italia vestivano<br />

la maglia azzurro mare della dinastia dei<br />

Savoia, con lo scudo crociato bianco e rosso.<br />

Lo scudetto di D’Annunzio, così, comparve<br />

per la prima volta allo stadio Marassi il<br />

10 ottobre 1924 sulle maglie del Genoa,<br />

campione d’Italia. Nel 1925 lo portò il Bologna ma già <strong>nel</strong>la seguente stagione la Juventus<br />

vi infilò dentro lo scudo sabaudo. Ma lo scudetto tricolore tornò a fare la sua comparsa il 27<br />

aprile 1947. Con grande soddisfazione postuma del vate.<br />

80 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 81 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

D’Annunzio con Natale Palli<br />

durante il Volo su <strong>Vie</strong>nna.<br />

L’aereo del volo su <strong>Vie</strong>nna<br />

dell’agosto 1918 conservato<br />

al Vittoriale.


Cielo di <strong>Vie</strong>nna, 9 agosto<br />

1918. Sui tetti della capitale<br />

dell’impero austroungarico e<br />

sul duomo di Santo Stefano<br />

piovono i volantini tricolori<br />

lanciati dalla squadriglia<br />

Serenissima comandata<br />

da Gabriele d’Annunzio. I<br />

manifestini annunciavano<br />

l’imminente vittoria italiana<br />

<strong>nel</strong>la grande guerra, 1914-<br />

1918.<br />

A destra, dedica a Tazio<br />

Nuvolari.<br />

progetto 2 Meglio convien credere al corpo che all’anima progetto 2 Meglio convien credere al corpo che all’anima<br />

PIÙ ALTO E PIÙ OLTRE<br />

Inciso in un tondo che porta al centro il motivo di una grande ala, è il motto destinato da<br />

D’Annunzio al Primo gruppo di squadriglia aerea. È contenuto <strong>nel</strong>la “esortazione” agli<br />

aviatori che il Poeta scrisse il 24 maggio 1917 per incitarli a compiere sempre più vaste<br />

e ardue imprese.<br />

LE MACCHINE DI D’ANNUNZIO<br />

La prima vettura di sua proprietà risale al 1908.<br />

Era una “Florentia”, una vettura da 18 hp, capace<br />

di raggiungere una velocità di 60 chilometri orari,<br />

costruita da una piccola fabbrica toscana.<br />

Dopo la Florentia, fu la volta della Torpedo.<br />

Rientrato in Italia dal “volontario esilio” francese,<br />

D’Annunzio la utilizzò durante la Grande Guerra ed<br />

è a bordo di questa che egli, <strong>nel</strong> 1919, procedette<br />

verso Fiume.<br />

Verranno poi le Isotta Fraschini: alla prima,<br />

chiamata Papessa dal poeta, ne seguirà una<br />

seconda, blu con fi letti rossi, targata RA (Regia<br />

Aeronautica) che si trova ancora oggi al Vittoriale.<br />

Ma l’auto, e la Torpedo in particolare, continuerà<br />

a far compagnia al vate per tutta la sua esistenza,<br />

simbolo meccanico di quello stile di vita che il poeta<br />

aveva voluto rappresentare: indomito eroismo,<br />

coraggio, spinta alla velocità, passione irredenta.<br />

CONCLUSIONI<br />

D’Annunzio scriveva negli ultimi anni al Vittoriale di Gardone Riviera, la Villa di Cargnacco sua<br />

ultima dimora, di non voler essere<br />

“un letterato dallo stampo antico in papalina e pantofole…<br />

meglio convien credere al corpo che all’anima”<br />

Gabriele d’Annunzio morì il primo marzo dell’anno 1938 al Vittoriale degli Italiani a Gardone<br />

Riviera.<br />

NOTE<br />

1 G. BARBERI SQUAROTTI, Sport e letteratura, Versants, 2001.<br />

2 L. RUSSI, L’agonista. Gabriele d’Annunzio e lo sport, E.S.A, 2009.<br />

3 R. BASSETTI, Storia e storie dello sport in Italia, Marsilio, 1999.<br />

4 B. PALMERIO, Con d’Annunzio alla Capponcina, Le Lettere, 2009.<br />

5 P. CHIARA, Vita di Gabriele d’Annunzio, Milano, Mondadori, 1978.<br />

6 T. ANTONGINI, Vita segreta di Gabriele d’Annunzio, Milano, Mondadori, 1938.<br />

82 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 83 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

La leggendaria Fiat Torpedo<br />

oggi conservata al Vittoriale.<br />

A destra, D’Annunzio e Tazio<br />

Nuvolari.<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

1 <strong>Il</strong> piacere del corpo, a cura<br />

di M. PANCERA, G. VERGANI,<br />

Electa 1999.<br />

2 “<strong>Il</strong> piacere del corpo”. E di<br />

prendere a calci un pallone, di<br />

R. MINORE, dal “Corriere della<br />

sera” del 29 febbraio 2008.<br />

3 Quando d’Annunzio fu<br />

nominato atleta dell’anno, di A.<br />

COLOMBO, dal “Corriere della<br />

sera” del 13 luglio 2008<br />

4 A Fiume <strong>nel</strong> 1920 la prima<br />

apparizione dello scudetto<br />

tricolore, di E. GREBLICKI, da<br />

“Lega Nazionale- Sezione di<br />

Fiume”, del 31 marzo 2005,<br />

Panorama Edit.<br />

5 I levrieri dai “belli occhi franchi”<br />

di Gabriele d’Annunzio, di<br />

R. ALLEGRI, dal “Giornale di<br />

Brescia” del 20 marzo 2003.


progetto 2 Meglio convien credere al corpo che all’anima<br />

UNITÀ DI APPRENDIMENTO<br />

Titolo: Meglio convien credere al corpo<br />

che all’anima<br />

Anno scolastico: 2009/2010<br />

Scuola Secondaria di primo grado statale<br />

“Papa Giovanni XXIII” Gardone Riviera<br />

Classe 3A<br />

Insegnanti coinvolti: Bettinzoli, Marchiori,<br />

Raggi<br />

Agli alunni è stata proposta una tematica<br />

che potesse predisporli ad un lavoro che li<br />

coinvolgesse maggiormente, pertanto si è<br />

ipotizzato che affrontare la visione dello sport<br />

da parte di d’Annunzio potesse sollecitare<br />

il loro interesse. Stabilito l’argomento in<br />

generale, il lavoro è stato suddiviso in 6 fasi.<br />

1ª FASE illustrazione della biografi a e delle<br />

opere fondamentali di d’Annunzio<br />

In particolare ci si è soffermati sull’ultimo<br />

periodo della sua vita trascorsa <strong>nel</strong>la Villa di<br />

Cargnacco (Vittoriale degli Italiani).<br />

2ª FASE selezione della tematica<br />

Posto che il lavoro avrebbe puntato<br />

sull’analisi del rapporto tra d’Annunzio e lo<br />

sport, è stata fatta una ricerca di materiale<br />

(cartaceo, fotografi co...) che consentisse di<br />

circoscrivere l’argomento. I ragazzi hanno<br />

scelto di rielaborare le tematiche legate<br />

all’acqua (motonautica e nuoto), all’aria e<br />

alla velocità (il volo e le automobili) e agli<br />

animali (cani e cavalli). Questo ha consentito<br />

di costruire l’impalcatura del nostro lavoro<br />

che pertanto si andava via via defi nendo:<br />

una introduzione e una serie di capitoletti,<br />

ognuno dei quali dedicato ad un aspetto<br />

della tematica affrontata.<br />

3ª FASE selezione degli alunni<br />

La complessità del progetto ha suggerito<br />

di adottare come modalità operativa quella<br />

di lavorare su un gruppo di alunni che si<br />

fossero offerti “volontari”. Tale procedimento<br />

non era inteso a discriminare una parte della<br />

classe, ma come una proposta di attività in<br />

cui far emergere capacità di varia natura<br />

e in cui gli alunni si mettessero in gioco<br />

con un lavoro più impegnativo non legato a<br />

valutazione scolastica. Individuato il<br />

gruppo dei partecipanti al progetto, circa la<br />

metà della classe, sono stati creati quattro<br />

sottogruppi e ad ognuno di essi è stato<br />

assegnato un ambito di ricerca.<br />

4ª FASE elaborazione dei testi<br />

Assegnato il lavoro, si è entrati <strong>nel</strong>la fase<br />

più operativa del progetto; ad ogni gruppo è<br />

stato consegnato del materiale specifi co e su<br />

indicazione dell’insegnante è stato avviato il<br />

lavoro di ricerca. Gli alunni hanno affrontato<br />

la lettura e comprensione di testi di vario<br />

genere, immagini, documenti ecc. e li hanno<br />

rielaborati e riproposti in una serie di testi<br />

che avrebbero affi ancato la parte grafi ca e<br />

creativa.<br />

5ª FASE rielaborazione grafi co-pittorica delle<br />

immagini in chiave futurista<br />

Questa fase è stata suddivisa in due<br />

momenti distinti:<br />

- consegnate le immagini fotografi che gli<br />

alunni sono intervenuti in modo grafi co e<br />

pittorico, affrontando il lavoro operativo in<br />

chiave futurista<br />

- successivamente alcune di esse sono state<br />

sono rielaborate con l’impiego del computer<br />

6ª FASE impaginazione grafi ca del lavoro<br />

svolto<br />

Testi, immagini di varia natura e gli<br />

elaborati grafi co-pittorici dei ragazzi sono<br />

stati assemblati su un unico documento<br />

informatico seguendo una sequenza logica in<br />

cui le parti grafi che facevano da commento<br />

artistico al testo letterario.<br />

Questa attività è stata affrontata in modo<br />

interdisciplinare ed ha coinvolto le materie<br />

di lettere, arte ed immagine e informatica.<br />

<strong>Il</strong> lavoro ha consentito di far emergere le<br />

diverse abilità e attitudini degli alunni nei vari<br />

ambiti ed ha altresì sviluppato la capacità<br />

di lavorare in gruppo collaborando ad un<br />

progetto comune.<br />

Chi e dove Istituto tecnico statale commerciale e per geometri Cesare Battisti Salò<br />

Classi coinvolte Quarta A Turistico<br />

Docenti referenti Amalia Bigi e Annalisa Ghirardi<br />

progetto 3 <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong>: “la velocità”<br />

Caratteri del progetto<br />

Obiettivi <strong>didattici</strong><br />

• Capacità di collaborare tra studenti suddividendosi i compiti e funzioni al fi ne di una<br />

organicità e di una effi cienza operativa<br />

Obiettivi cognitivi<br />

• Capacità di attingere direttamente alle fonti storiche e letterarie, attraverso la<br />

consultazione di documenti d’archivio e museali.<br />

• Capacità di raccogliere, selezionare dati ed informazioni e di ordinarli ed organizzarli al fi ne<br />

di produrre un lavoro mirato<br />

• Approfondire la conoscenza del periodo storico 1910/ 1940 ed oltre<br />

• Mettere in relazione e collegare tutte le conoscenze acquisite <strong>nel</strong>le materie interessate<br />

(Italiano-Storia-Storia dell’Arte-Inglese)<br />

Obiettivi professionali<br />

• Acquisire padronanza e sicurezza <strong>nel</strong> ruolo di guida turistica<br />

• Esporre le informazioni acquisite con effi cacia mantenendo desta l’attenzione dell’uditorio<br />

• Valorizzare quanto fatto a scuola proponendolo all’esterno attraverso un lavoro di pubblicità<br />

Contenuti-<strong>Percorsi</strong>-Modalità - Tempi<br />

Nel mese di ottobre la prof.ssa Amalia Bigi ci propose di partecipare al progetto didattico<br />

“<strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>: simbolo, astrazione, modernità”, promosso dal Museo di<br />

Santa Giulia di Brescia, da <strong>Il</strong> Vittoriale degli Italiani di Gardone Riviera e dalla Fondazione Ugo da<br />

Como di Lonato, <strong>nel</strong>l’ambito del Progetto “Le vie dell’arte”, con il contributo della Provincia di<br />

Brescia e dalla Regione Lombardia.<br />

Nonostante le nostre carenze di storia dell’arte, abbiamo accettato il progetto con curiosità e<br />

interesse.<br />

84 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

85 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>


progetto 3 <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong>: “la velocità” progetto 3 <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong>: “la velocità”<br />

Ci siamo documentati tramite Internet e consultando testi di Storia dell’Arte, alla ricerca di<br />

informazioni.<br />

Appresi i caratteri generali di questo periodo storico-artistico, letto il “Manifesto” del movimento<br />

Futurista, abbiamo scelto ed analizzato alcuni artisti del Movimento e le loro opere... La nostra<br />

ricerca è stata arricchita da una visita della mostra “Le vie del <strong>Futurismo</strong>” presso il Museo<br />

Santa Giulia di Brescia dove la prof.ssa Annalisa Ghirardi ,oltre aver risposto ad alcuni nostri<br />

quesiti, ha presentato e commentato opere di Romolo Romani, Neri Nannetti, Mario Nannini,<br />

Gino Galli, Fortunato Depero, Gherardo Dottori, Achille Lega, Julius Evola, Emilio Notte.<br />

La visita al Museo Santa Giulia è stata oggetto di una ulteriore riflessione e lettura dei<br />

“Padri” del Manifesto del <strong>Futurismo</strong>. Leggere ancora una volta il Manifesto e osservare più<br />

attentamente le opere di Marinetti, Boccioni, Balla, Carrà, ha sicuramente contribuito a<br />

comprendere “il grido di ribellione” degli artisti e poeti futuristi. Un “grido” che voleva essere<br />

un accorato appello ad un “rinnovamento” di tutte le espressioni dell’Arte. È stata una vera<br />

e propria “dichiarazione di guerra” a tutti quegli artisti e a tutte quelle istituzioni che, pur<br />

camuffandosi di falsa modernità, rimanevano invischiati <strong>nel</strong>la tradizione e in una ripugnate<br />

pigrizia celebrale.<br />

Abbiamo analizzato “i grandi Temi” del <strong>Futurismo</strong>: La Velocità, La Metropoli, L’Individuo, La<br />

Guerra. Per la nostra Fase Operativa abbiamo scelto il tema: La Velocità<br />

“Noi affermiamo che la magnificenza del Mondo si è arricchita di una<br />

bellezza nuova: la bellezza della velocità”<br />

We have been up all night, my friends and I, beneath mosque lamps whose brass cupolas are bright as<br />

our souls, because like them they were illuminated by the internal glow of electric hearts. And trampling<br />

underfoot our native sloth on opulent Persian carpets, we have been discussing right up to the limits of<br />

logic and scrawling the paper with demented writing.<br />

Our hearts were filled with an immense pride at feeling ourselves standing quite alone, like lighthouses or<br />

like the senti<strong>nel</strong>s in an outpost, facing the army of enemy stars encamped in their celestial bivouacs. Alone<br />

with the engineers in the infernal stokeholes of great ships, alone with the black spirits which rage in the<br />

belly of rogue locomotives, alone with the drunkards beating their wings against the walls.<br />

Then we were suddenly distracted by the rumbling of huge double decker trams that went leaping by,<br />

streaked with light like the villages celebrating their festivals, which the Po in flood suddenly knocks down<br />

and uproots, and, in the rapids and eddies of a deluge, drags down to the sea.<br />

Then the silence increased. As we listened to the last faint prayer of the old canal and the crumbling of the<br />

bones of the moribund palaces with their green growth of beard, suddenly the hungry automobiles roared<br />

beneath our windows.<br />

“Come, my friends!” I said. “Let us go! At last Mythology and the mystic cult of the ideal have been left<br />

behind. We are going to be present at the birth of the centaur and we shall soon see the first angels fly!<br />

We must break down the gates of life to test the bolts and the padlocks! Let us go! Here is they very<br />

first sunrise on earth! Nothing equals the splendor of its red sword which strikes for the first time in our<br />

millennial darkness.”<br />

We went up to the three snorting machines to caress their breasts. I lay along mine like a corpse on its<br />

bier, but I suddenly revived again beneath the steering wheel – a guillotine knife – which threatened my<br />

stomach. A great sweep of madness brought us sharply back to ourselves and drove us through the streets,<br />

steep and deep, like dried up torrents. Here and there unhappy lamps in the windows taught us to despise<br />

our mathematical eyes. “Smell,” I exclaimed, “smell is good enough for wild beasts!”<br />

And we hunted, like young lions, death with its black fur dappled with pale crosses, who ran before us in<br />

the vast violet sky, palpable and living.<br />

And yet we had no ideal Mistress stretching her form up to the clouds, nor yet a cruel Queen to whom to<br />

offer our corpses twisted into the shape of Byzantine rings! No reason to die unless it is the desire to be rid<br />

of the too great weight of our courage!<br />

We drove on, crushing beneath our burning wheels, like shirt-collars under the iron, the watch dogs on the<br />

steps of the houses.<br />

Death, tamed, went in front of me at each corner offering me his hand nicely, and sometimes lay on the<br />

ground with a noise of creaking jaws giving me velvet glances from the bottom of puddles.<br />

86 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 87 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>


progetto 3 <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong>: “la velocità”<br />

“Let us leave good sense behind like a hideous husk and let us hurl ourselves, like fruit spiced with pride,<br />

into the immense mouth and breast of the world! Let us feed the unknown, not from despair, but simply to<br />

enrich the unfathomable reservoirs of the Absurd!”<br />

As soon as I had said these words, I turned sharply back on my tracks with the mad intoxication of puppies<br />

biting their tails, and suddenly there were two cyclists disapproving of me and tottering in front of me<br />

like two persuasive but contradictory reasons. Their stupid swaying got in my way. What a bore! Pouah! I<br />

stopped short, and in disgust hurled myself – vlan! – head over heels in a ditch.<br />

Oh, maternal ditch, half full of muddy water! A factory gutter! I savored a mouthful of strengthening muck<br />

which recalled the black teat of my Sudanese nurse!<br />

As I raised my body, mud-spattered and smelly, I felt the red hot poker of joy deliciously pierce my heart. A<br />

crowd of fishermen and gouty naturalists crowded terrified around this marvel. With patient and tentative<br />

care they raised high enormous grappling irons to fish up my car, like a vast shark that had run aground.<br />

It rose slowly leaving in the ditch, like scales, its heavy coachwork of good sense and its upholstery of<br />

comfort.<br />

We thought it was dead, my good shark, but I woke it with a single caress of its powerful<br />

back, and it was revived running as fast as it could on its fins.<br />

Then with my face covered in good factory mud, covered with metal scratches, useless sweat and<br />

celestial grime, amidst the complaint of staid fishermen and angry naturalists, we dictated our first will and<br />

testament to all the living men on earth.<br />

MANIFESTO OF FUTURISM<br />

1. We want to sing the love of danger, the habit of energy and rashness.<br />

2. The essential elements of our poetry will be courage, audacity and revolt.<br />

3. Literature has up to now magnified pensive immobility, ecstasy and slumber. We want to exalt<br />

movements of aggression, feverish sleeplessness, the double march, the perilous leap, the slap and the<br />

blow with the fist.<br />

4. We declare that the splendor of the world has been enriched by a new beauty: the beauty of speed. A<br />

racing automobile with its bonnet adorned with great tubes like serpents with explosive breath ... a roaring<br />

motor car which seems to run on machinegun fire, is more beautiful than the Victory of Samothrace.<br />

5. We want to sing the man at the wheel, the ideal axis of which crosses the earth, itself hurled along its<br />

orbit.<br />

6. The poet must spend himself with warmth, glamour and prodigality to increase the enthusiastic fervor of<br />

the primordial elements.<br />

7. Beauty exists only in struggle. There is no masterpiece that has not an aggressive character. Poetry must<br />

be a violent assault on the forces of the unknown, to force them to bow before man.<br />

8. We are on the extreme promontory of the centuries! What is the use of looking behind at the moment<br />

when we must open the mysterious shutters of the impossible? Time and Space died yesterday. We are<br />

already living in the absolute, since we have already created eternal, omnipresent speed.<br />

9. We want to glorify war – the only cure for the world – militarism, patriotism, the destructive gesture of<br />

the anarchists, the beautiful ideas which kill, and contempt for woman.<br />

10. We want to demolish museums and libraries, fight morality, feminism and all opportunist and utilitarian<br />

cowardice.<br />

11. We will sing of the great crowds agitated by work, pleasure and revolt; the multicolored and polyphonic<br />

surf of revolutions in modern capitals: the nocturnal vibration of the arsenals and the workshops beneath<br />

their violent electric moons: the gluttonous railway stations devouring smoking serpents; factories<br />

suspended from the clouds by the thread of their smoke; bridges with the leap of gymnasts flung across<br />

the diabolic cutlery of sunny rivers: adventurous steamers sniffing the horizon; great-breasted locomotives,<br />

puffing on the rails like enormous steel horses with long tubes for bridle, and the gliding flight of aeroplanes<br />

whose propeller sounds like the flapping of a flag and the applause of enthusiastic crowds.<br />

It is in Italy that we are issuing this manifesto of ruinous and incendiary violence, by which we today are<br />

founding Futurism, because we want to deliver Italy from its gangrene of professors, archaeologists, tourist<br />

guides and antiquaries. Italy has been too long the great second-hand market. We want to get rid of the<br />

innumerable museums which cover it with innumerable cemeteries.<br />

Museums, cemeteries! Truly identical in their sinister juxtaposition of bodies that do not know each other.<br />

Public dormitories where you sleep side by side for ever with beings you hate or do not know. Reciprocal<br />

ferocity of the painters and sculptors who murder each other in the same museum with blows of line<br />

and color. To make a visit once a year, as one goes to see the graves of our dead once a year, that we<br />

could allow! We can even imagine placing flowers once a year at the feet of the Gioconda! But to take our<br />

sadness, our fragile courage<br />

and our anxiety to the museum every day, that we cannot admit! Do you want to poison yourselves? Do you<br />

want to rot?<br />

What can you find in an old picture except the painful contortions of the artist trying to break uncrossable<br />

barriers which obstruct the full expression of his dream?<br />

To admire an old picture is to pour our sensibility into a funeral urn instead of casting it forward with violent<br />

spurts of creation and action. Do you want to waste the best part of your strength in a useless admiration of<br />

progetto 3 <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong>: “la velocità”<br />

88 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 89 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

the past, from which you will emerge exhausted, diminished, trampled on?<br />

Indeed daily visits to museums, libraries and academies (those cemeteries of wasted effort, calvaries of<br />

crucified dreams, registers of false starts!) is for artists what prolonged supervision by the parents is for<br />

intelligent young men, drunk with their own talent and ambition.<br />

For the dying, for invalids and for prisoners it may be all right. It is, perhaps, some sort of balm for their<br />

wounds, the admirable past, at a moment when the future is denied them. But we will have none of it, we,<br />

the young, strong and living Futurists!<br />

Let the good incendiaries with charred fingers come! Here they are! Heap up the fire to the shelves of the<br />

libraries! Divert the canals to flood the cellars of the museums! Let the glorious canvases swim ashore!<br />

Take the picks and hammers! Undermine the foundation of venerable towns!<br />

The oldest among us are not yet thirty years old: we have therefore at least ten years to accomplish our<br />

task. When we are forty let younger and stronger men than we throw us in the waste paper basket like<br />

useless manuscripts! They will come against us from afar, leaping on the light cadence of their first poems,<br />

clutching the air with their predatory fingers and sniffing at the gates of the academies the good scent of<br />

our decaying spirits, already promised to the catacombs of the libraries.<br />

But we shall not be there. They will find us at last one winter’s night in the depths of the country in a sad<br />

hangar echoing with the notes of the monotonous rain, crouched near our trembling aeroplanes, warming<br />

our hands at the wretched fire which our books of today will make when they flame gaily beneath the<br />

glittering flight of their pictures.<br />

They will crowd around us, panting with anguish and disappointment, and exasperated by our proud<br />

indefatigable courage, will hurl themselves forward to kill us, with all the more hatred as their hearts will be<br />

drunk with love and admiration for us. And strong healthy Injustice will shine radiantly from their eyes. For<br />

art can only be violence, cruelty, injustice.<br />

The oldest among us are not yet thirty, and yet we have already wasted treasures, treasures of strength,<br />

love, courage and keen will, hastily, deliriously, without thinking, with all our might, till we are out of breath.<br />

Look at us! We are not out of breath, our hearts are not in the least tired. For they are nourished by fire,<br />

hatred and speed! Does this surprise you? it is because you do not even remember being alive! Standing<br />

on the world’s summit, we launch once more our challenge to the stars!<br />

Your objections? All right! I know them! Of course! We know just what our beautiful false intelligence<br />

affirms: “We are only the sum and the prolongation of our ancestors,” it says.<br />

Perhaps! All right! What does it matter? But we will not listen! Take care not to repeat those infamous<br />

words! Instead, lift up your head!<br />

Standing on the world’s summit we launch once again our insolent challenge to the stars!<br />

Milan - Via Senato, 2<br />

Filippo Tommaso Marinetti<br />

Uno Sguardo dal Futuro <strong>nel</strong> <strong>Futurismo</strong><br />

La classe 4 A TUR composta da 16 alunni dell’ITCG C. Battisti ha intrapreso un bellissimo<br />

percorso <strong>nel</strong>la ricerca sul <strong>Futurismo</strong>, corrente artistica e sociale nata in Italia all’inizio del XX<br />

secolo e che ha influenzato i movimenti artistici<br />

in altri paesi: Russia, Francia, Germania…<br />

<strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> nasce in un periodo di grande<br />

fase evolutiva dove tutto il mondo dell’arte e<br />

della cultura era stimolato da moltissimi fattori<br />

determinanti: le guerre, la trasformazione<br />

sociale dei popoli, i grandi cambiamenti<br />

politici, e le nuove scoperte tecnologiche e<br />

di comunicazione come il telegrafo senza<br />

fili, la radio, aeroplani e le prime cineprese.<br />

Tutti fattori che arrivarono a cambiare<br />

completamente la percezione delle distanze e<br />

del tempo “avvicinando” fra loro i continenti.<br />

<strong>Il</strong> XX secolo era quindi invaso da un nuovo<br />

“vento”, che portava all’interno dell’essere<br />

umano una nuova realtà: la velocità. Le<br />

catene di montaggio abbattevano i tempi di<br />

produzione, le automobili aumentavano ogni


progetto 3 <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong>: “la velocità” progetto 3 <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong>: “la velocità”<br />

giorno, le strade iniziarono a riempirsi di luce artifi ciale. Si avvertiva questa nuova sensazione<br />

di “velocità” sia <strong>nel</strong> tempo impiegato per produrre che per arrivare ad una determinata<br />

destinazione.<br />

Filippo Tommaso Marinetti, poeta ed editore italiano, fu il fondatore del <strong>Futurismo</strong> e<br />

la persona che l’ha determinato di più. Ha lanciato il movimento con il suo Manifesto,<br />

pubblicato per la prima volta il 5 febbraio 1909 <strong>nel</strong>le Cronache letterarie del quotidiano<br />

bolognese La gazzetta dell’Emilia, fu poi nuovamente pubblicato due settimane dopo, il 20<br />

febbraio 1909, sul quotidiano parigino Le Figaro, conseguendo così una prestigiosa ribalta<br />

internazionale.<br />

<strong>Il</strong> Manifesto fu il grido di ribellione attraverso il quale i futuristi esprimevano il violento<br />

desiderio di distruggere il culto del passato, l’ossessione dell’antico, il pedantismo ed il<br />

formalismo accademico, di disprezzare profondamente ogni forma d’imitazione, di spazzar<br />

via dal campo ideale dell’arte tutti i motivi, tutti i soggetti già sfruttati. I futuristi esaltavano<br />

ogni forma di originalità, esplorarono ogni forma espressiva, dalla pittura alla scultura, dalla<br />

letteratura (poesia e teatro), senza tuttavia trascurare la musica, l’architettura, la danza, la<br />

fotografi a, il nascente cinema e persino la gastronomia.<br />

<strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> è probabilmente l’unica vera e propria rivoluzione culturale del Novecento, con<br />

elementi di un’attualità inequivocabile. Abbiamo imparato a conoscerlo un po’ più da vicino,<br />

senza preconcetti e con senso storico.<br />

Da uno studio iniziale del Movimento futurista, utilizzando Internet per la nostra ricerca,<br />

ognuno di noi ha preso in esame un’opera degli artisti futuristi, (Marinetti, Boccioni, Carrà)<br />

per capire e fare nostro il loro pensiero. <strong>Il</strong> nostro studio è stato approfondito con la visita alla<br />

mostra sul <strong>Futurismo</strong>, che ha avuto luogo presso Museo di Santa Giulia a Brescia.<br />

UMBERTO BOCCIONI<br />

VISIONI SIMULTANEE<br />

Noi vediamo simultaneamente tutto ciò che<br />

ci circonda: in questo caso, affacciandosi<br />

a un balcone, una donna riceve l’impatto<br />

della vorticosa attività umana <strong>nel</strong>la piazza<br />

sottostante. Gli oggetti si sovrappongono, si<br />

intersecano e le verticali diventano oblique<br />

in relazione alle varie posizioni assunte, <strong>nel</strong><br />

giro di pochi attimi, dal riguardante; tutto è<br />

frenetico e febbrile.[Alessandra Busi]<br />

RICCARDO MAGNI<br />

CITTÀ FUTURISTA<br />

Questo quadro, di Riccardo Magni, è la<br />

rappresentazione di una città FUTURISTA<br />

che propone il “mondo del futuro” e la<br />

“modernità”.<br />

La velocità è rappresentata da linee che<br />

danno l’idea della scia che lascia un oggetto,<br />

che corre a grande “velocità”.<br />

<strong>Il</strong> dirigibile che appare <strong>nel</strong> cielo, a destra,<br />

con la bandiera italiana attaccata sul retro,<br />

potrebbe rappresentare un sentimento di<br />

“enorme patriottismo” che in quel periodo si<br />

vuole esaltare. [Alessandro Bertoia]<br />

90 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 91 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

UMBERTO BOCCIONI<br />

LA CITTÀ CHE SALE<br />

Questo capolavoro di Umberto Boccioni<br />

rappresenta una città in costruzione.<br />

Esso mostra i diversi momenti che<br />

caratterizzano l’attività del cantiere e le<br />

numerose fi gure che lo popolano.<br />

Sullo sfondo vediamo strade, alti muri<br />

divisori, ponteggi e impalcature; in primo<br />

piano, uomini e animali colti <strong>nel</strong>l’atto di<br />

sostenere pesi.<br />

Boccioni sceglie di mostrare le fi gure al<br />

culmine dello sforzo. I cavalli si impennano<br />

per i terribili carichi portati, gli uomini<br />

salgono su altissime impalcature, si piegano<br />

in avanti <strong>nel</strong> tentativo di sospingere pietre,<br />

cercano infi ne di contenere i bruschi<br />

movimenti degli animali volgendoli a compiti<br />

costruttivi.<br />

La scena è confusa e sfuocata grazie al<br />

contrasto tra luce e colore.<br />

Ammirando questo dipinto si ha l’idea di<br />

movimento e di progresso: temi ricorrenti del<br />

periodo futurista. [Andrea Rodolfi ]<br />

Boccioni, abitando a Milano, prese spunto<br />

da ciò che si vedeva dal balcone della sua<br />

camera per dipingere una delle sue opere<br />

principali: La città che sale. In questo dipinto<br />

viene parzialmente abbandonata la visione<br />

naturalista dei quadri precedenti, per lasciare<br />

il posto ad una visione più movimentata e<br />

dinamica. Si coglie la visione di palazzi in<br />

costruzione in una periferia urbana, mentre<br />

compaiano ciminiere e impalcature solo <strong>nel</strong>la<br />

parte superiore. Gran parte dello spazio è<br />

occupato da uomini e cavalli, fusi insieme


progetto 3 <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong>: “la velocità” progetto 3 <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong>: “la velocità”<br />

in uno sforzo dinamico. In tal modo si mette<br />

in risalto il lavoro dell’uomo e l’importanza<br />

della città moderna plasmata sulle esigenze<br />

del nuovo concetto di uomo del futuro e<br />

del “progresso che procede velocemente”.<br />

[Serra Francesca]<br />

MARIO SIRONI<br />

IL CICLISTA<br />

1916-1920, olio e collage su cartone,<br />

Roma, collezione privata.<br />

<strong>Il</strong> dipinto viene eseguito <strong>nel</strong> 1916 per<br />

Margherita Sarfatti.<br />

È una delle migliori testimonianze del periodo<br />

futurista di Sironi: la sua interpretazione<br />

è personale diversa da quella degli altri<br />

futuristi e cerca di sviluppare un proprio<br />

linguaggio autonomo. Anche se il pittore<br />

condivide il tentativo di raffi gurare una realtà<br />

in movimento, esprime questo dinamismo<br />

in maniera meno esasperata, semplifi ca le<br />

forme, ma mantiene i legami con la realtà<br />

senza stravolgerla. Infi ne non si serve di tinte<br />

brillanti, ma preferisce i toni cupi e poco<br />

luminosi, più vicini alla sua visione della vita<br />

silenziosa e solitaria. [Balzo Irene]<br />

GIACOMO BALLA<br />

DINAMISMO DI UN CANE AL GUINZAGLIO<br />

Una fi gura femminile conduce al guinzaglio<br />

un bassotto nero.<br />

Nel dipinto vengono rappresentati solo le<br />

parti inferiori della signora e l’obbiettivo più<br />

importante è quello di rendere l’idea del<br />

movimento. Si tratta di una rappresentazione<br />

delle fasi di spostamento.<br />

Notiamo il movimento delle zampe, la<br />

coda del cane, il guinzaglio che oscilla e il<br />

movimento delle gambe della donna.<br />

Ho scelto quest’opera per la sua precisione<br />

<strong>nel</strong> rappresentare tutte le fasi di movimento.<br />

È come sovrapporre tante immagini per<br />

creare l’idea del movimento. L’altro aspetto<br />

che emerge di quest’opera non è l’immagine<br />

“della donna” bensì il movimento che si vuole<br />

creare. [Blerta Met’hasani]<br />

“Dinamismo di un cane al guinzaglio” è<br />

un quadro ad olio su tela, realizzato <strong>nel</strong><br />

1912 dal pittore italiano Giacomo Balla. <strong>Il</strong><br />

quadro fa parte della rifl essione sul tema<br />

del movimento propria dell’autore. Qui viene<br />

rappresentato, come se si trattasse di una<br />

ripresa fotografi ca. Simultaneamente sono<br />

presenti le diverse immagini delle zampe<br />

e della coda del cane <strong>nel</strong>la successione<br />

determinata dal moto, lo stesso per le<br />

gambe della padrona e per l’oscillazione del<br />

guinzaglio. Attraverso il movimento, come<br />

attraverso la luce, si dissolve la materialità<br />

dei corpi, nonostante siano rappresentati<br />

realisticamente. [Venin Mirel]<br />

UMBERTO BOCCIONI<br />

NUDO DI SPALLE<br />

Quest’opera mi ha impressionato molto<br />

perché si distingue dalla consuetudine<br />

del mostrare un corpo giovane e bello e<br />

soprattutto seminudo. <strong>Il</strong> rappresentare una<br />

Signora con le spalle scoperte e tutto il resto<br />

coperto, indica, a mio parere una forma<br />

di rottura consuetudinaria del mondo di<br />

oggi, dove il giovane e il bello sono fonte di<br />

apprezzamento, mentre il “vecchio” viene<br />

spesso “disprezzato”. <strong>Il</strong> quadro mostra anche<br />

un senso di “velocità” che apparentemente<br />

non si vede, ma guardando lo stile e il modo<br />

in cui la pittura è stata stesa sulla tela, si può<br />

notare un movimento di velocità sulla pelle<br />

del soggetto e sullo sfondo che dà anche un<br />

senso di dinamismo. <strong>Il</strong> tempo “che vola”e<br />

lascia sulla nostra pelle i segni dei giorni,<br />

degli anni che sono trascorsi... [Davide<br />

Fusco]<br />

FILIPPO TOMMASO MARINETTI<br />

PORTO DI UNA CITTÀ DI MARE<br />

Questa immagine rappresenta il movimento<br />

di una nave che si avvicina ad un porto,<br />

sensazione data dal faro.<br />

<strong>Il</strong> dipinto contiene tutti i caratteri principali<br />

92 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 93 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

del futurismo: il dinamismo del mare,<br />

la velocità, la tecnologia del futuro<br />

rappresentata non solo dalla nave<br />

ma anche dai tralicci dell’alta tensione e<br />

dalla fabbrica sullo sfondo. [Debora Suppi]<br />

FILIPPO TOMMASO MARINETTI<br />

L’ARATURA<br />

<strong>Il</strong> tema di quest’opera è l’interpretazione di<br />

una visione “meccanica e moderna”. <strong>Il</strong> bue<br />

è una locomotiva sbuffante ,composta da<br />

cilindri d’acciaio, ed indica la velocità, che,<br />

secondo i futuristi, caratterizza il mondo<br />

contemporaneo. <strong>Il</strong> contadino che lo segue<br />

con l’aratro appare, invece, come un operaio<br />

nei campi. Simboleggia il modo antico, il<br />

lento lavoro che veniva eseguito <strong>nel</strong> passato.<br />

[Dolcini Deborah]<br />

UMBERTO BOCCIONI<br />

FORME UNICHE DELLA CONTINUITÀ<br />

NELLO SPAZIO<br />

“Forme uniche della continuità <strong>nel</strong>lo spazio”<br />

è una celebre scultura futurista realizzata<br />

dall’artista italiano Umberto Boccioni. Tale<br />

opera fu scolpita in bronzo <strong>nel</strong> 1913.<br />

L’opera rappresenta un uomo, più<br />

precisamente un militare, che marcia.<br />

Ci si potrebbe stupire del fatto che Boccioni<br />

abbia scelto come tema l’uomo e non la<br />

macchina in corsa o l’aereo, che meglio<br />

rappresentano il mito futurista della velocità.<br />

Ma <strong>nel</strong> 1913, in occasione di una sua mostra di<br />

sculture e disegni alla Galerie Boétie di Parigi,<br />

l’artista aveva elencato tra i suoi desideri quello<br />

di voler “fi ssare le forme umane in movimento”.


progetto 3 <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong>: “la velocità” progetto 3 <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong>: “la velocità”<br />

L’opera si sviluppa mediante l’alternarsi di<br />

cavità, rilievi, piani e vuoti che generano un<br />

frammentato e discontinuo chiaroscuro fatto<br />

di frequenti e repentini passaggi dalla luce<br />

all’ombra. Osservando la fi gura da destra,<br />

il torso ad esempio pare essere pieno ma<br />

se si gira intorno alla statua e la si osserva<br />

da sinistra esso si trasforma in una cavità<br />

vuota. In tale modo sembra che la fi gura si<br />

modelli a seconda dello spazio circostante<br />

ed assume così la funzione per così dire di<br />

plasmare le forme.<br />

Osservando lateralmente la scultura, si può<br />

riconoscere facilmente una fi gura umana<br />

in cammino priva però di alcune parti<br />

(ad esempio le braccia) e, per così dire,<br />

del suo “involucro” esterno. La statua dà<br />

l’impressione di un movimento avanzante<br />

che si proietta energicamente in avanti.<br />

Tuttavia se la si guarda frontalmente o<br />

a tre quarti si può notare una torsione o<br />

avvitamento delle forme <strong>nel</strong>lo spazio: più<br />

di una linea infatti si avvolge attorno alla<br />

fi gura in un moto a spirale, coinvolgendo i<br />

diversi piani in una rotazione che suggerisce<br />

un’ulteriore espansione delle forme.<br />

Rappresenta un vero “uomo futurista”,<br />

uomo-guerriero, che sta camminando<br />

verso un nuovo futuro, che non ha paura<br />

di combattere per la sua libertà. È la<br />

“ribellione” in corsa, che esalta la velocità e il<br />

dinamismo. [Diana Hermanovich]<br />

CARLO CARRÀ<br />

IL CAVALIERE ROSSO<br />

Questa immagine rappresenta la velocità del<br />

cavallo che corre.<br />

“la velocità del cavallo è rappresentata<br />

dalle zampe e dalla posizione del<br />

cavaliere”.<br />

[Elisa Balzarini]<br />

CARLO CARRÀ<br />

I FUNERALI DELL’ANARCHICO GALLI<br />

Olio su tela, dipinto da Carlo Carrà <strong>nel</strong> 1910-<br />

11. L’episodio a cui si riferisce il dipinto è<br />

avvenuto <strong>nel</strong> 1904: durante uno sciopero<br />

generale a Milano, viene ucciso l’anarchico<br />

Galli.<br />

Si riconoscono le fi gure dei manifestanti,<br />

che corrono e si divincolano, delle guardie<br />

a cavallo, che intervengono con violenza.<br />

Attraverso la disposizione delle linee<br />

percepiamo l’impressione di “caos”. <strong>Il</strong> ruolo<br />

dei colori è altrettanto importante: il rosso<br />

domina su tutti e accentua il carattere<br />

aggressivo e caotico della scena. [Moise<br />

Dana]<br />

FORTUNATO DEPERO<br />

ROTAZIONE DI BALLERINA E PAPPAGALLI<br />

Quest’immagine rappresenta il dinamismo,<br />

il movimento rotatorio di una ballerina e<br />

la velocità con la quale viene compiuta la<br />

rotazione.<br />

In qualche modo rappresenta anche la<br />

tecnologia,infatti non è una semplice<br />

ballerina ma è come una fusione fra un<br />

corpo “e un oggetto meccanico” che crea<br />

uno spostamento veloce. [Federica Perini]<br />

<strong>Il</strong> tema principale di quest’opera è la<br />

“velocità” del volteggiare della ballerina<br />

accompagnata dai pappagalli. La ballerina<br />

volteggia in una danza sempre più<br />

accelerata, simile a un vortice.<br />

94 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 95 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Credo che l’artista voglia creare una simbiosi<br />

tra la ballerina meccanizzata e i pappagalli<br />

sullo sfondo di un mondo per metà reale e<br />

per metà fantastico. [Stabile Jessica]<br />

FILIPPO TOMMASO MARINETTI<br />

TEMPORALE PATRIOTTICO<br />

Questo quadro rappresenta la velocità di<br />

pensiero dei futuristi e il patriottismo di quei<br />

“rivoluzionari”.<br />

La velocità del pensiero futurista viene<br />

rappresentata dai fulmini tricolore che<br />

sovrastano l’immagine di un patriottico<br />

Filippo Tommaso Marinetti. <strong>Il</strong> neopatriottismo<br />

è espresso dai fasci tricolore che circondano<br />

la fi gura del massimo rappresentante<br />

futurista: i fasci fuoriescono dal cuore di<br />

Marinetti e simboleggiano l’amore per la<br />

patria. Quelli che fuoriescono dalla sua<br />

bocca rappresentano la rivoluzione culturale<br />

italiana in atto. [Zanardi Stefano]


Ercole Sibellato, Ritratto di<br />

Gabriele d’Annunzio con<br />

l’occhio bendato, 1916<br />

progetto 3 <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong>: “la velocità”<br />

Chi e dove Liceo Scientifico. N. Copernico-Brescia<br />

Classi coinvolte Quinta L<br />

Docenti referenti Rossana Cerretti<br />

96 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 97 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

progetto 4 D’Annunzio e Marinetti<br />

andata e ritorno<br />

Continuità e discontinuità, riprese e contraddizioni<br />

tra decadentismo e futurismo<br />

La ricerca che presentiamo si propone di indagare attraverso la lettura di alcuni dei più<br />

importanti manifesti futuristi – Fondazione e Manifesto del <strong>Futurismo</strong>, Uccidiamo il Chiaro<br />

di Luna!, Contro Venezia passatista, Manifesto dei pittori futuristi, <strong>Il</strong> controdolore, L’uomo<br />

moltiplicato e il Regno della macchina, Contro l’amore e il parlamentarismo – il rapporto<br />

tra Marinetti e D’Annunzio, prendendo in esame le principali opere del Vate prima e dopo il<br />

1909 e gli scambi di immagini, le rielaborazioni, gli incontri e gli scontri intercorsi tra questi<br />

due importanti protagonisti del primo Novecento italiano.<br />

Marinetti, «figlio di Gabriele d’Annunzio e di una turbina», crea il <strong>Futurismo</strong><br />

Progresso, benessere, pace, tecnologia, ottimismo, fiducia: in altre parole Belle époque. È<br />

in questo periodo che Marinetti accende la miccia di un movimento nato e cresciuto <strong>nel</strong>la<br />

sua mente, feconda di tutte le agitazioni già presenti <strong>nel</strong>l’aria. <strong>Il</strong> 20 febbraio 1909 avviene la<br />

deflagrazione. <strong>Il</strong> futurismo è una realtà: i giovani declamano a memoria i versi del Manifesto<br />

di fondazione apparso su Le Figaro, predicano la distruzione, la guerra come «sola igiene del<br />

mondo», la violenza come mezzo e fine della loro esistenza, violenza da scagliare soprattutto<br />

contro l’ipocrita borghesia benpensante e «passatista», contro le radici della cultura, contro<br />

un nemico che «si dovrebbe inventare se non esistesse».<br />

Post-romanticismo, decadentismo e nichilismo. Le conclusioni a cui<br />

arrivano questi movimenti sono al limite del desolante: in sintesi, il<br />

positivismo derivante dal progresso scientifico viene ampiamente<br />

screditato con l’avvento di nuovi orizzonti di ricerca come la fisica<br />

quantistica, la probabilità, che mettono in discussione i pilastri della<br />

scienza, costretta a riconoscere i propri limiti. Gli imperialismi delle<br />

grandi potenze, hanno tradito gli ideali ottocenteschi ancora vagheggiati<br />

dagli intellettuali, creando in essi un senso di smarrimento e impotenza,<br />

una sorta di nuovo mal du siècle. Con Heiddeger nasce l’esistenzialismo,<br />

precorso dal nichilismo di filosofi come Schopenauer e Nietzsche e il<br />

messaggio di fondo è tutt’altro che rassicurante: se un senso esiste<br />

per la vita umana ognuno dovrà trovarlo in se stesso, in modo del tutto<br />

soggettivo.<br />

Rougena Zatlowa, Ritratto di<br />

Marinetti, 1918.


Copertina di D’Annunzio<br />

intimo, 1903.<br />

progetto 4 D’Annunzio e Marinetti andata e ritorno progetto 4 D’Annunzio e Marinetti andata e ritorno<br />

In questo panorama culturale c’erano ormai i presupposti per un avvenimento clamoroso: già<br />

<strong>nel</strong> 1903 l’anticipatore del <strong>Futurismo</strong> Mario Morasso scriveva che l’artista doveva «segnalare<br />

ogni forma di vecchiaia, ogni ritardo, ogni indugio, ogni ripetizione, ogni compiacimento<br />

verso il passato» e dare sfogo ad una violenza non solo teorica. Cominciò così la costruzione<br />

di quel Binario che lacerò una civiltà paralizzata, «podagrosa» e moribonda, trascinandola<br />

verso il rinnovamento. Per prima cosa occorreva distruggere: basta con «ogni sozzura di<br />

logica» che insudicia le menti di ipocriti benpensanti, basta con un’arte vecchia e superata,<br />

ingabbiata nei musei che ne snaturano il significato. Era necessario liberare le menti dei<br />

giovani, svincolarle da un passatismo inconcludente e trovare il senso del proprio essere<br />

<strong>nel</strong>l’azione e <strong>nel</strong>la battaglia, perché in fondo «il sangue non ha valore né splendore se non<br />

liberato». Alla luce delle due guerre mondiali, oggi queste parole possono suscitare uno<br />

stupore al limite del ribrezzo, ma non c’è da stupirsi se allora ebbero un grande seguito. I<br />

giovani che inneggiavano al Manifesto, <strong>nel</strong>la loro pericolosa incoscienza, vedevano rinascere<br />

l’entusiasmo e la novità rivolta finalmente verso il futuro e non verso il passato. Automazione<br />

e tecnologia erano, inoltre, ottimi suggelli alle deliranti idee futuriste: l’elettricità forniva i<br />

mezzi per «uccidere il chiaro di luna» e le macchine «amplificavano le potenzialità umane».<br />

«E imaginò di condurre non la rapidità che striscia ma quella che si solleva; imaginò di<br />

ritrovarsi <strong>nel</strong>la lunga fusoliera che formava il corpo del suo congegno dedàleo tra i due<br />

vasti trapezii costrutti di frassino di acciaio e di tela, dietro il ventaglio tremendo dei cilindri<br />

irti d’alette, di là dai quali girava una forza indicibile come l’aria: l’elica dalle curvature<br />

divine». Scrive D’Annunzio <strong>nel</strong> Forse che sì forse che no. L’arbiter elegantiarum della cultura<br />

italiana dell’epoca è stato sicuramente ispiratore di Marinetti, ma ne è rimasto a sua volta<br />

profondamente impressionato. Tra D’Annunzio e i futuristi c’è sempre stato un rapporto di<br />

attrazione-repulsione; il Vate e Marinetti, infatti, erano considerati antagonisti e non c’è da<br />

stupirsene. Del resto D’Annunzio era inviso a gran parte degli scrittori a lui contemporanei<br />

poiché il suo successo aveva oscurato quello di chiunque altro grazie al suo talento ed<br />

alla sua straordinaria capacità di far parlare di sé. Come ricorda Giordano Bruno Guerri in<br />

Filippo Tommaso Marinetti, invenzioni avventure e passioni di un rivoluzionario, il fondatore<br />

del <strong>Futurismo</strong> era considerato la maggiore fonte di aneddoti riguardanti il Vate, raccolti in<br />

una delle sue prime pubblicazioni: Les Dieux s’en vont, d’Annunzio reste. In quest’opera<br />

Marinetti fa riferimento alle morti di Giuseppe Verdi e di Giosuè Carducci, e con tagliente<br />

ironia osserva che sono sempre i migliori ad andarsene e per questo d’Annunzio è rimasto!<br />

Marinetti l’aveva definito «un cretino con lampi d’imbecillità», ed in cambio aveva ricevuto<br />

l’epiteto di «cretino fosforescente». Ma al di là delle divergenze personali, tra questi due<br />

personaggi carismatici del Novecento ci sono stati moltissimi scambi di idee, immagini<br />

poetiche, opinioni, sebbene per lo più non dichiarati: Marinetti non poteva esprimere, almeno<br />

inizialmente, la propria ammirazione nei confronti di un dandy esteta che era divenuto<br />

il simbolo del decadentismo. D’Annunzio, viceversa, non poteva condividere idee che<br />

predicavano la distruzione del passato in cui affondavano le radici della civiltà e dell’identità<br />

stessa del popolo, ma, nonostante questo, condividerà poi l’idea della fusione tra uomo e<br />

macchina.<br />

Dal canto suo Marinetti si definiva «figlio di Gabriele d’Annunzio e di una turbina», conscio<br />

della sua formazione in ambito decadente. In effetti, fra i giovani «in rivolta» contro<br />

D’Annunzio, i punti in comune con il Vate sono più di quelli di opposizione. È stato lo<br />

spirito di D’Annunzio a ispirare molti dei concetti futuristi, grazie al suo attivismo politico,<br />

al dinamismo, alla capacità di coinvolgimento delle masse. I due erano accomunati dalla<br />

passione per la velocità, le<br />

automobili, il volo, le donne.<br />

Entrambi si ispiravano, sebbene in<br />

modi diversi, al mito del superuomo<br />

di Nietzsche, capace di liberarsi<br />

dalle convenzioni e di spingersi oltre<br />

i limiti, sfidando l’ignoto e la morte.<br />

«Cos’è il grande stile? <strong>Il</strong> grande<br />

stile si ha quando il bello prevale<br />

sull’immane» diceva il filosofo. La<br />

ricerca del bello e di una nuova<br />

forma d’arte è un altro punto in<br />

comune tra i due. Certo, il loro<br />

lavoro si svolge su due fronti ben differenziati: D’Annunzio cerca ispirazione <strong>nel</strong>la classicità<br />

che Marinetti intende distruggere, ma entrambi sognano il rinnovamento. D’Annunzio<br />

<strong>nel</strong>l’impresa di Fiume ha 56 anni, Marinetti parte per il fronte <strong>nel</strong>la seconda guerra mondiale<br />

quando ne ha 65. La guerra faceva parte della loro arte: per D’Annunzio era la celebrazione<br />

dell’eroismo, per Marinetti il tappeto verde di un tavolo da gioco su cui puntare la propria<br />

vita. Marinetti depreca l’estetismo di D’Annunzio, ma, in realtà, ricerca il lusso e la vanità<br />

come lui: celebri la sua collezione di panciotti variopinti, il suo abbigliamento ricercato, i suoi<br />

baffi tipicamente ottocenteschi.<br />

D’Annunzio sì, D’Annunzio no: l’incipit del Manifesto di fondazione<br />

«Avevamo vegliato tutta la notte – i miei amici ed io sotto lampade di moschea dalle cupole<br />

di ottone traforate, stellate come le nostre anime, perché come queste irradiate dal chiuso<br />

fulgore di un cuore elettrico. Avevamo lungamente calpestato su opulenti tappeti orientali<br />

la nostra atavica accidia, discutendo davanti ai confini estremi della logica ed annerendo<br />

98 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 99 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Umberto Boccioni, Vignetta di<br />

una serata futurista, 1911.


La casa di Marinetti ad<br />

Alessandria d’Egitto. Enrico<br />

Marinetti con i figli Filippo<br />

Tommaso e Leone <strong>nel</strong> salotto<br />

orientale 1885.<br />

progetto 4 D’Annunzio e Marinetti andata e ritorno progetto 4 D’Annunzio e Marinetti andata e ritorno<br />

molta carta di frenetiche scritture». <strong>Il</strong> manifesto di fondazione del <strong>Futurismo</strong> del 1909 si<br />

apre con un’immagine che mette chiaramente in relazione Marinetti con la precedente<br />

cultura decadente: infatti si evoca una visione orientaleggiante e moresca, come troviamo,<br />

per esempio, in alcune famose costruzioni di Ludwig II di Baviera quali il padiglione moresco<br />

a Linderhof o la palazzina di caccia Schachen a Partenkirchen.. Un altro personaggio che<br />

aveva introdotto lo stile moresco in Italia è Alfonso Ximenes Panciatichi <strong>nel</strong>la sua dalla<br />

villa castello di Sammezzano presso Firenze completamente ristrutturata a partire dalla<br />

metà dell’Ottocento. Marinetti, quindi, dimostra che le sue radici si trovano all’interno del<br />

decadentismo sia italiano che europeo (come dimenticare i precedenti del viaggio ad Algeri<br />

di Delacroix e L’invitation au voyage di Baudelaire?)<br />

Lo stesso d’Annunzio riprenderà questo stile, già adottato in alcuni ambienti della<br />

Capponcina, anche <strong>nel</strong>la Prioria del Vittoriale, con particolare riferimento alla Sala della<br />

Musica dove al centro della stanza troviamo cinque colonne lignee che sostengono quattro<br />

lampade a forma di zucca in vetro muranese dai colori appariscenti (azzurro, giallo-arancio)<br />

opere di Napoleone Martinuzzi; esse riprendono <strong>nel</strong>le linee i capitelli in stile moresco<br />

(soprattutto <strong>nel</strong>le rivisitazioni ottocentesche); Se da un lato molti sono i riferimenti possibili<br />

alla cultura decadente in questa prima immagine introduttiva del Manifesto, si possono<br />

notare, però, anche differenze molto significative. <strong>Vie</strong>ne descritto un ambiente di moschea<br />

dalle cupole traforate, dove per «stellate» Marinetti intende simili a quelle degli antichi<br />

bagni turchi e, quindi, letteralmente aperte sul cielo; la significativa variante è che esse<br />

non sono di muratura come avviene in genere <strong>nel</strong> mondo islamico, ma sono immaginate di<br />

ottone, privilegiando la presenza e i colori dei metalli (in questo caso giallo dorato). Come<br />

ha chiarito Claudia Salaris <strong>nel</strong> suo volume dedicato a Marinetti, questa immagine deriva da<br />

una suggestione realistica, legata alla lampada di moschea che il fondatore del <strong>Futurismo</strong><br />

aveva portato insieme ad altri oggetti orientali dalla sua casa ad Alessandria d’Egitto per<br />

arredare la sua abitazione di via Senato a Milano. Nei<br />

Manifesti futuristi si nota un fortissimo gusto pittorico per<br />

le tinte molto contrastanti unite insieme, siano esse rosso,<br />

viola, verde o giallo. A questa visione di stelle artificiali,<br />

create dai trafori della cupola, si unisce quella della<br />

luce irradiata da un «cuore elettrico» che si immagina<br />

all’interno della cupola stessa e che si irradia all’esterno<br />

attraverso i trafori stellati. Le anime dei futuristi non sono<br />

più irradiate dalla luce naturale, ma da quella artificiale<br />

come le stelle elettriche che dovranno sostituire le stelle<br />

e la luna dei poeti ottocenteschi. Le presenze naturali <strong>nel</strong><br />

cielo notturno, infatti, suggeriscono sentimenti languidi e<br />

malinconici che i futuristi intendono sconfessare, come<br />

affermeranno chiaramente in Uccidiamo il chiaro di luna: ogni atteggiamento depresso e<br />

tedioso nei confronti della vita deve essere totalmente bandito. Gli ambienti moreschi di<br />

Ludwig II di Baviera e dello stesso D’Annunzio erano, invece, creati per essere illuminati con<br />

una luce fioca che favorisse la meditazione. Marinetti, perciò, partendo da questa atmosfera<br />

onirica e decadente introduce il nuovo elemento fondamentale del futurismo: l’elettricità che<br />

sembra essere, insieme alla velocità dei veicoli, uno degli elementi fondamentali della sua<br />

rivoluzione. I simbolismi decadenti prendono letteralmente «la scossa», e anche il cavallo<br />

diventa un animale meccanico, dotato di motore a scoppio; il nuovo destriero, infatti, è<br />

l’automobile o la moto e successivamente, l’aereo. D’altra<br />

parte, anche le personalità decadenti come Ludwig o<br />

D’Annunzio non erano affatto disinteressate alle nuove<br />

scoperte delle tecnica, anzi, ne subivano il fascino, come<br />

per la grotta del Venusberg di Linderhof dove il re utilizzò<br />

la prima dinamo della Baviera per azionare le rocce<br />

mobili, le cascate e le luci artificiali. Dal canto suo, il poeta<br />

abruzzese si era subito interessato alle automobili fin dal<br />

1907 e <strong>nel</strong> 1909 aveva voluto provare l’ebbrezza del volo<br />

al primo concorso aereo di Montichiari in compagnia del<br />

pioniere dell’aviazione Mario Calderara. Inoltre, aveva<br />

intuito ben presto che alla base della rivoluzione culturale<br />

del <strong>Futurismo</strong> c’era l’uso dell’elettricità: <strong>nel</strong> diario Siamo<br />

spiriti azzurri e stelle; infatti, egli ipotizza la creazione di<br />

un nuovo tipo di teatro «pieno d’ombre che si spogliano e<br />

restano scheletri elettrici», come già ricordava di aver fatto<br />

<strong>nel</strong>la lettura della Città morta con la Duse, evidenziando<br />

così indirettamente, il suo ruolo di precursore anche del<br />

movimento fondato da Marinetti.<br />

D’altra parte, dopo la pubblicazione dei manifesti emerge<br />

in modo evidente <strong>nel</strong>la poetica dannunziana un tipico<br />

concetto futurista, ovvero l’interesse per tutto ciò che è<br />

meccanico ed elettrico, che può trasformarsi anche in un<br />

elemento estetico decorativo. In questo contesto, come vedremo, può essere considerato<br />

l’inserimento all’interno del Vittoriale di parti meccaniche di veicoli (aerei, idrovolanti,<br />

motoscafi) o di armi, tutti legati alla memoria di una performance. D’Annunzio, quindi, per<br />

Marinetti è un modello contraddetto, un punto di riferimento fondamentale da cui partire<br />

per poterlo superare. <strong>Il</strong> loro rapporto va perciò indagato tenendo conto delle continue<br />

rielaborazioni che le loro immagini hanno subito <strong>nel</strong> passaggio dall’uno all’altro e viceversa,<br />

ma anche delle innegabili contraddizioni che hanno segnato il loro rapporto.<br />

Tornando all’immagine iniziale del Manifesto di fondazione, infatti, un altro attacco al Vate<br />

è implicito in quel riempire fogli di «frenetiche scritture» che ricorda l’instancabile attività<br />

100 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 101 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Le zucche moresche <strong>nel</strong>la<br />

Sala della Musica della<br />

Prioria.<br />

Sotto, lampada di moschea<br />

che illuminava il salotto arabo<br />

di Marinetti in via Senato a<br />

Milano.


Marinetti <strong>nel</strong>la sua casa di via<br />

Senato a Milano.<br />

A destra, D’Annunzio con<br />

Natale Palli sullo SVA 10 del<br />

volo su <strong>Vie</strong>nna ( 9 agosto<br />

1918).<br />

Sotto, D’Annunzio a cavallo<br />

di Aligi durante gli anni della<br />

Capponcina.<br />

progetto 4 D’Annunzio e Marinetti andata e ritorno progetto 4 D’Annunzio e Marinetti andata e ritorno<br />

del poeta il quale, come è noto, lavorava anche 14 ore al<br />

giorno. Analogamente l’ironia legata ai tappeti orientali e<br />

all’accidia che i futuristi rinnegano è sicuramente un accento<br />

polemico contro la ricchezza sovrabbondante degli arredi<br />

<strong>nel</strong>le case dannunziane, non soltanto al Vittoriale ma, come<br />

apprendiamo dalle testimonianze fotografiche, anche alla<br />

Capponcina. D’altra parte, lo stesso Marinetti ad Alessandria<br />

d’Egitto aveva abitato in una casa arredata in modo analogo<br />

anche <strong>nel</strong>la già citata abitazione di via Senato a Milano<br />

aveva mantenuto uno stile assai simile : un’ulteriore prova<br />

dell’originaria formazione del suo immaginario in ambito<br />

decadente. Marinetti, insomma, <strong>nel</strong>la vita era anche lui un<br />

esteta. Di conseguenza non c’è da stupirsi se, come per<br />

D’Annunzio, anche per i futuristi, è l’arte ad ispirare la vita,<br />

ed anche la natura si modifichi a sua immagine. <strong>Il</strong> realismo<br />

è considerato un totale fallimento poiché non porta ad un’esaltazione del vitalismo, ma solo<br />

a prendere atto di una realtà deprimente a cui, appunto, si intende far fronte. Sia D’Annunzio<br />

sia Marinetti attraverso l’arte e l’azione intendono distinguersi dalla massa anonima della nuova<br />

società industriale; in questo senso essi rappresentano le istanze di una parte della borghesia<br />

insofferente ai cambiamenti sociali che tenta di emergere attraverso la vita inimitabile e l’azione<br />

eclatante.<br />

Non c’è da stupirsi, quindi, se spesso le immagini dei Manifesti futuristi appaiano estetizzanti<br />

e ricordino proprio, rivedute e corrette, quei modelli che<br />

a parole intendono combattere. Molti sono per esempio,<br />

come vedremo, i paralleli tra il Manifesto di fondazione e la<br />

Laus vitae dannunziana<br />

Le visioni dell’immaginario del Vate vengono riprese e<br />

filtrate attraverso le espressioni di Marinetti e riproposte<br />

in modo differente, ma anche viceversa. Per esempio,<br />

<strong>nel</strong> Forse che sì forse che no troviamo anche il sogno di<br />

un ipotetico viaggio in Asia, immaginato da Paolo Tarsis,<br />

evidente ripresa in stile dannunziano dell’itinerario del gran<br />

binario futurista che Marinetti immagina attraversare il<br />

continente. Viaggio di cui aveva parlato anche con Natale<br />

Palli, il pilota del volo su <strong>Vie</strong>nna, come ricorda <strong>nel</strong> Libro<br />

segreto: «a paro de’ cigli la cortina di nebbia candida<br />

spianandosi mi finge al cuore quella neve d’alpe ove spirò Natale Palli <strong>nel</strong> pensiero di me<br />

e forse <strong>nel</strong>l’imagine di quella immensa loggia di marmi bianchi che gli avevo evocata e<br />

promessa in cima alla reggia del Gran Mogol.»<br />

<strong>Il</strong> mito della distruzione e dell’autodistruzione<br />

Già D’Annunzio <strong>nel</strong> romanzo <strong>Il</strong> fuoco sosteneva che l’arte<br />

può essere solo di cose prossime alla morte: egli ritrae il<br />

loro avvicinarsi alla fine <strong>nel</strong>lo splendore della vita e questo<br />

crea poesia e tragedia. Marinetti, dal canto suo, stabilisce<br />

un parallelo evidente tra azione artistica e rivoluzionaria e<br />

vicinanza alla morte <strong>nel</strong>la concezione stessa del tentativo<br />

di superare i propri limiti. Marinetti, giocatore d’azzardo,<br />

era capace di concepire la realtà solo <strong>nel</strong> misurarsi con<br />

il rischio e l’ignoto. D’altra parte, per entrambi, l’arte e la<br />

vita pienamente vissute sono frutto di uno stato alterato di<br />

coscienza: ciò appare evidente per D’Annunzio <strong>nel</strong>la figura<br />

della Duse, perfetta incarnazione dell’arte e della creatura<br />

dionisiaca invasata dal dio. Anche in Marinetti assistiamo ad un’esaltazione di tutti i sensi,<br />

ad un’eccitazione molto vicina all’ebbrezza, al delirio e alla follia. Nei manifesti in questione,<br />

infatti, Marinetti immagina di liberare le forze istintive delle belve cavalcate dai folli, come in<br />

un’opera di Bosch o di Goya. Uno dei fattori fondamentali dell’esaltazione mentale, quindi, è<br />

proprio la sovreccitazione dovuta al rischio estremo che consente di assaporare la vita e le<br />

sensazioni in modo eccezionale rispetto alla quotidianità.<br />

L’esaltazione mentale <strong>nel</strong>la sfida alla morte è già presente in D’Annunzio <strong>nel</strong>le Vergini delle<br />

rocce, quando, <strong>nel</strong>la parte iniziale, si racconta<br />

la cavalcata sfrenata di Claudio Cantelmo <strong>nel</strong>la<br />

campagna dei castelli romani «Talvolta il silenzio<br />

si faceva così cupo e l’odore della morte su<br />

dalle gramigne putride mi ventava in viso così<br />

soffocante che io per istinto aderivo più forte<br />

al mio cavallo, quasi volendo riconoscermi<br />

vitale dalla sua vitalità impetuosa. Si lanciava<br />

allungandosi come un felino la bella bestia<br />

possente e pareva comunicarmi la fiamma<br />

inestinguibile che ardeva <strong>nel</strong> suo sangue<br />

puro. Allora, per qualche minuto m’occupava<br />

l’ebrezza. (…) io sentivo nascere e dilatarsi in<br />

me un fervore indescrivibile, misto di orgasmo<br />

fisico, di orgoglio intellettuale, di speranze confuse…».<br />

D’altra parte, l’arte per D’Annunzio è «prometeica» perciò spesso l’artefice è «fulminato»<br />

per aver sfidato gli dei <strong>nel</strong>la sua creazione ed essersi reso simile a loro: come il padre<br />

di Donatella Arvale e lo stesso Wagner folgorati dal genio <strong>nel</strong> romanzo <strong>Il</strong> fuoco. Implicita<br />

<strong>nel</strong>l’arte c’è in qualche modo l’autodistruzione dell’artista, come sembra ipotizzare anche<br />

Marinetti. Stelio Effrena immagina, infatti, che il cuore di Wagner sia schiantato da una<br />

melodia mai scritta e già concepita da giovane che torna questa volta per travolgerlo:<br />

«Credi tu che immerso <strong>nel</strong>la poesia dei miti egli abbia sognato un modo straordinario di<br />

trapassare e ch’egli preghi ogni giorno la Natura di rendere la sua fine conforme al suo<br />

sogno? (…) Quale potrebbe essere per lui una fine degna?<br />

- Una melodia nuova, d’una potenza inaudita, che gli apparve indistinta <strong>nel</strong>la sua prima<br />

giovinezza e che allora egli non poté fermare, all’improvviso gli<br />

fenderà il cuore come una spada terribile.»<br />

Di conseguenza, l’idea marinettiana dell’azzardo oltre ogni limite in una<br />

inquietante danza con la morte <strong>nel</strong>lo slancio della creazione sembra<br />

anch’essa derivata da un precedente dannunziano.<br />

L’onnipotenza della velocità<br />

La ricerca dell’annullamento è legata alla velocità delle nuove<br />

macchine, come il treno, l’automobile e l’aereo, con una predilezione<br />

per le ultime due perché possono essere guidate individualmente e<br />

quindi valorizzare l’atteggiamento narcisistico tipico tanto di D’Annunzio<br />

quanto dei futuristi.<br />

La locomotiva, invece, per Martinetti suggerisce l’idea della massa in movimento verso la<br />

creazione di un nuovo futuro tecnologico e di una nuovo modello sociale; questo, infatti,<br />

sembra essere il senso del «gran binario futurista» che dovrebbe solcare l’Asia..<br />

Del resto, come troviamo nei manifesti, il viaggio è un elemento fondamentale del futurismo,<br />

perché implica una nuova visione del mondo, tanto più che, secondo tale concezione, attraverso<br />

la velocità lo spazio penetra all’interno della figura deformandola ed essa, a sua volta, modifica<br />

lo spazio circostante mettendolo in movimento. La velocità dell’automobile o dell’aereo, spinti fino<br />

alle loro estreme potenzialità creano, quindi, concretamente, una nuova visione del mondo sia per<br />

102 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 103 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Umberto Boccioni, Elasticità,<br />

1912.<br />

Sotto, F. Molinari, L’arrivo di<br />

Marinetti, vignetta 1931.


Giacomo Balla, Velocità di<br />

un’automobile.<br />

Sotto, Ivo Pannaggi, Treno in<br />

corsa, 1922<br />

progetto 4 D’Annunzio e Marinetti andata e ritorno progetto 4 D’Annunzio e Marinetti andata e ritorno<br />

coloro che ne sono attori sia per gli spettatori.<br />

Esiste una forma dinamica dell’energia,<br />

un’onda che riempie lo spazio e lo<br />

compenetra, come già aveva intuito<br />

D’Annunzio <strong>nel</strong> Fuoco: «Una sola onda<br />

enorme e informe riassunse allora tutte<br />

le aspirazioni e tutte le angosce di<br />

quel delirio, si convolse in un vortice, si<br />

risollevò in un turbine, parve condensarsi,<br />

prendere la qualità della materia plastica,<br />

obbedire alla stessa energia inesausta che<br />

foggia gli esseri e le cose sotto il sole. Una forma straordinariamente bella e pura sorse da<br />

quel travaglio, visse e rifulse con una felicità insostenibile». Appare evidente il parallelo<br />

con il dinamismo poi studiato da Boccioni e Balla un decennio più tardi.<br />

Vediamo perciò che non è solo Marinetti ad influenzare d’Annunzio riguardo al mito della<br />

velocità, perché esso è già presente <strong>nel</strong>l’immaginario del poeta anche prima del 1909:<br />

per esempio <strong>nel</strong>le ricorrenti immagini dei levrieri e dei cavalli <strong>nel</strong> romanzo <strong>Il</strong> Fuoco. Si<br />

potrebbe pensare che Marinetti recepisca dal poeta abruzzese l’idea della corsa sfrenata<br />

introducendo, però, l’elemento del motore, del veicolo meccanico come nuovo mezzo di<br />

locomozione. Inoltre, anche il volo è già presente <strong>nel</strong>le Laudi riguardo a Icaro e alla Nike, la<br />

quale assume strane fattezze meccaniche, immaginata mentre sorvola l’Italia, incitando il<br />

popolo all’eroismo e alla produzione industriale di nuove armi e veicoli (per esempio le navi<br />

da guerra negli arsenali) come <strong>nel</strong> Canto augurale per la nazione eletta.<br />

Prefuturista appare anche l’immagine <strong>nel</strong>la Laus vitae dei «carri igniti cui circo e vittoria è<br />

l’Orbe terrestre» evocando la visione delle locomotive (mediate attraverso l’Inno a Satana del<br />

Carducci) che superano i cavalli:<br />

i conduttori dei carri<br />

igniti cui circo e vittoria<br />

è l’Orbe terrestre! Nel pugno<br />

non reggon le redini anguste,<br />

non figgono alle cervici<br />

dei cavalli lo sguardo.<br />

Governano ordigni più s<strong>nel</strong>li<br />

che il tèndine equino<br />

ma possenti più ch’epitagma<br />

scagliato <strong>nel</strong>la battaglia.<br />

Scrutano lo spazio ventoso,<br />

i piani i fiumi i monti<br />

che valicheranno. Obbedisce<br />

il pulsante metallo<br />

al tocco infallibile.<br />

Successivamente, <strong>nel</strong> Forse che sì forse che no e <strong>nel</strong> Notturno, il poeta abruzzese dimostra<br />

poi di aver assimilato la lezione futurista proprio <strong>nel</strong>l’idolatria per la velocità. Del primo<br />

possiamo citare due momenti fondamentali: la corsa in auto sfrenata attraverso la campagna<br />

mantovana che rischia di portare alla morte i protagonisti e la famosa gara aerea dove,<br />

infatti, l’amico di Paolo Tarsis, Giulio Cambiaso perde a vita. Anche il volante del motoscafo di<br />

Sir Henry Segrave che troviamo <strong>nel</strong>la sala delle Reliquie al Vittoriale può essere inteso come<br />

il volante futurista che guida la terra intera, secondo l’immagine evocata da Marinetti <strong>nel</strong> suo<br />

Manifesto di fondazione.<br />

Tale oggetto assume un particolare significato simbolico e sacrale perché apparteneva al<br />

«Miss England II» il motoscafo sul quale Segrave, famoso pilota, noto per le sue imprese<br />

estreme in gare anche automobilistiche, morì il 13 giugno<br />

1930 <strong>nel</strong> tentativo di stabilire il record mondiale di velocità<br />

motonautica (sul miglio marino) per natanti introbordo sul<br />

lago Windermere in Inghilterra. Si racconta che Segrave<br />

prima di morire chiese: «Come stanno i ragazzi?» intendendo<br />

i membri dell’equipaggio. E poi alla moglie: «Lo abbiamo<br />

fatto?» Appena Lady Segrave gli rispose di sì, che avevano<br />

stabilito una media di 98 miglia all’ora con punte di 101,11,<br />

un magnifico sorriso si era dipinto sul suo volto esangue, ed<br />

era morto qualche minuto dopo di emorragia interna. Come<br />

viene ricordato da Kevin Desmond in Race against the Odds:<br />

The Tragic Success, D’Annunzio (il quale tra l’altro era stato<br />

l’ispiratore della sfortunata impresa) in seguito lo avrebbe<br />

definito «An Englishman with heart head and hand» («un Inglese di cuore, testa e mano»)<br />

entusiasta dell’estremo coraggio dell’eroe il quale incurante della morte imminente, si era<br />

preoccupato soprattutto della sorte dei compagni e del compimento dell’impresa. Pare, tra<br />

l’altro, che Segrave non avesse visto i segnalatori di velocità e dopo aver già superato il<br />

record avesse continuato ad accelerare, pur sapendo di essere ormai giunto ai limiti delle<br />

prestazioni del veicolo. Proprio per onorare la sua memoria D’Annunzio indisse sul lago di<br />

Garda la famosa gara per motoscafi veloci «Oltranza» e si racconta che assistendo alle prove<br />

commentò: «Lo spirito di Segrave è sull’acqua».<br />

Tra l’altro quel volante inviatogli da lady Segrave per ringraziarlo della poesia a lui dedicata<br />

portava ancora i segni del corpo stesso del pilota che <strong>nel</strong>l’urto, lo aveva deformato,<br />

conservandone l’energia sacra del «martirio». Che <strong>nel</strong> volante ci sia un senso di onnipotenza<br />

affascinante e minaccioso appare evidente in entrambi gli scrittori: a Marinetti esso appare<br />

come una lama di ghigliottina puntata contro il suo stomaco, ma anche <strong>nel</strong>la folle corsa<br />

all’inizio del Forse che sì forse che no il volante dell’automobile assume un significato<br />

simbolico particolare: il pugno che lo regge appare enorme e <strong>nel</strong>l’insieme Isabella vede<br />

Paolo Tarsis trasformato dalla folle accelerazione in un essere mostruoso e decapitato. Nel<br />

protagonista, (nuovo erede della potenza guerresca antica, come sottolinea la presenza<br />

della strada romana e del paragone del rullo dei tamburi di guerra con il rombo del motore)<br />

la velocità crea una sorta di frenesia delirante perché in essa si prova la sensazione<br />

dell’onnipotenza unita al folle brivido della vicinanza alla morte.<br />

La macchina lanciata in una corsa senza controllo appare<br />

pericolosamente vicina all’idea della potenza guerriera e<br />

dell’arma da taglio. Proprio attraverso la velocità si attua una<br />

fusione tra uomo e macchina: «sentì pulsare <strong>nel</strong> suo proprio<br />

cuore la violenza del congegno esatto». Una suggestione simile<br />

a quella che d’Annunzio aveva già provato con i cavalli, ma<br />

che qui viene amplificata e potenziata. Una nuova sensazione<br />

di totale padronanza del mondo e della vita appare insita <strong>nel</strong><br />

cerchio del volante «Ora ho la vostra vita <strong>nel</strong>le mie mani come<br />

questo cerchio» dice rivolto ad Isabella. Un’ebbrezza che<br />

potrebbe spingerlo a ridurre la sua vita e quella della compagna<br />

ad «un solo mucchio sanguinoso». La fusione con la macchina<br />

e tra loro si fa completa quando «l’uno e l’altro sangue si<br />

rinforzavano, balzavano; l’uno contro l’altro parevano ardere<br />

ed esplodere come l’essenza accesa dal magnete <strong>nel</strong> motore<br />

celato dal lungo cofano».<br />

Troviamo, infine, l’elaborazione tutta dannunziana della<br />

deformazione del corpo di Tarsis, determinata dall’effetto fisico<br />

della velocità: D’Annunzio se la immagina come <strong>nel</strong> celebre<br />

dipinto giovanile del Parmigianino Autoritratto alla specchio<br />

104 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 105 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

<strong>Il</strong> volante di Sir Henry<br />

Segrave <strong>nel</strong>la Sala delle<br />

Reliquie della Prioria.<br />

Sotto, Giacomo Balla,<br />

Mercurio passa davanti al<br />

Sole, 1914.


Marinetti sulla sua Fiat<br />

quattro cilindri <strong>nel</strong> 1908.<br />

Sotto, Romaine Brooks,<br />

<strong>Il</strong> comandante Gabriele<br />

D’Annunzio, 1916.<br />

progetto 4 D’Annunzio e Marinetti andata e ritorno progetto 4 D’Annunzio e Marinetti andata e ritorno<br />

convesso del Kunsthistorisches Museum di <strong>Vie</strong>nna: così <strong>nel</strong> fanale mediano che pareva un<br />

teschio orecchiuto si scorgono la testa rimpicciolita, il torace e la mano che regge lo sterzo<br />

enormi; ma il sole si rifrange sul metallo in corrispondenza della testa facendo apparire<br />

Tarsis come un essere decapitato dal torace e dalla mano mostruosa che regge lo sterzo <strong>nel</strong><br />

pugno smisurato. In altre parole, egli appare tramutato in una sorta di gigante o ciclope.<br />

Mentre in D’Annunzio il delirio della velocità ha sempre in se stesso qualcosa di tragico di cui<br />

il poeta si ciba, assaporando anche la tragedia, in Marinetti è quasi una forma di gioiosa follia<br />

collettiva che porta provocatoriamente alla distruzione del passato anche attraverso immagini<br />

virtuali che non fanno paventare le vere conseguenze nefaste, ma somigliano più ad un<br />

montaggio da cartone animato o fumetto che alla realtà. Come per esempio, l’evocazione dei<br />

villaggi in festa che il Po straripato «squassa e sradica d’improvviso» e che vengono trascinati<br />

fino al mare con tutte le loro luci o l’altrettanto incredibile e fumettistica visione della morte<br />

che danza davanti alla sua auto lanciata a folle velocità come una strana pantera con macule<br />

chiare a forma di croci. Un’affabulazione virtuale che ignora le vere conseguenze della morte e<br />

che risulterà fatale <strong>nel</strong>la retorica della guerra e<br />

<strong>nel</strong>l’imperdonabile leggerezza con la quale in<br />

seguito verrà affrontata.<br />

La velocità della macchina, infatti, così come<br />

la forza del fiume che scorre simile ad un<br />

diluvio travolgendo ogni cosa, simboleggia<br />

l´ossessione di distruggere totalmente<br />

per ricostruire da zero che fu propria dei<br />

futuristi. In questo senso essa è unita<br />

strettamente alla guerra, tanto più che tra<br />

le macchine moderne vengono annoverate<br />

anche le nuove armi. Nel Notturno appare<br />

chiaro il rapporto tra guerra, velocità e<br />

annullamento <strong>nel</strong>l’episodio in cui gli aviatori<br />

vengono colpiti durante il volo e il sangue si<br />

sparge <strong>nel</strong> cielo in una sorta di sublimazione<br />

mistica.<br />

«<strong>Il</strong> mio capo è forato: penzola <strong>nel</strong> vuoto, dal<br />

bordo della carlinga che vibra.<br />

L’ombra dell’ala destra m’è sopra: l’astro arioso dell’elica mi corona.<br />

Non è più fuoco, ma sangue che sprizza. Non più faville ma stille. <strong>Il</strong> pilota eroico riconduce<br />

alla Patria il poeta sacrificato.<br />

O gloria immensa!<br />

Qual pugno divino o umano gittò ai solchi della terra una semenza più augusta?<br />

Nella rapidità guerriera il sangue inesausto si sparpaglia come il grano ventilato.<br />

Ogni fiotto si divide in miriadi, come la polvere della cascata scrosciante ove si crea<br />

l’arcobaleno. Non cola ma vola, non cade ma s’alza.»<br />

Nel Notturno quindi, D’Annunzio riprende l’idea omerica dell’annientamento di se stessi<br />

attraverso un atto di eroismo per assurgere all’immortalità: è necessario immolarsi<br />

per una buona causa trascendendo i propri limiti umani ed anche l’immagine tragica<br />

e raccapricciante del capo forato dal quale sprizza il sangue viene celebrata come un<br />

momento esaltante, di religiosa estasi laica.<br />

D’Annunzio, quindi, non nega il dolore, ma lo nobilita essendo caratteristico dell’eroe martire,<br />

anche <strong>nel</strong>la condivisione con gli altri uomini. Talvolta i personaggi dannunziani possono apparire<br />

sul punto di cadere, con qualche similitudine con l’Enea virgiliano, ma poi, al contrario,<br />

traggono dalla contemplazione della malattia e della morte la loro forza. Per D’Annunzio non si<br />

nasconde la tragedia, ma ci si pasce di essa, in una sorta di spirito di emulazione.<br />

Tra i futuristi, invece, predomina la negazione del dolore e la sua messa in ridicolo come<br />

<strong>nel</strong> Controdolore di Palazzeschi, giungendo ad effetti grotteschi e probabilmente anche<br />

discriminatori nei confronti dei disabili e dei malati. Anche Marinetti quasi sconfessa<br />

l’esistenza del dolore e la morte viene dunque concepita come una festa: essa gli porge la<br />

zampa con grazia e gli manda sguardi «vellutati e carezzevoli». Anche questo aspetto potrebbe<br />

essere derivato da Nietzsche il quale citando Zarathustra scrive: «chi di voi può insieme ridere<br />

ed essere elevato? Chi sale sui monti più alti ride di tute le tragedie e tragicommedie»<br />

Da pezzo meccanico a oggetto estetico<br />

D’Annunzio reagisce all’avvento della macchina in un modo che ricorda da vicino i futuristi:<br />

infatti, come <strong>nel</strong>la corsa in auto descritta da Marinetti <strong>nel</strong> Manifesto di fondazione – dove<br />

ad un certo punto assistiamo alla sua caduta in un fossato e al riemergere<br />

dell’auto priva dei sedili e delle altre comodità e imbottiture che ne sacrificavano<br />

la purezza strutturale – così D’Annunzio <strong>nel</strong>la Prioria dimostra di riconoscere<br />

il valore estetico del pezzo meccanico <strong>nel</strong>la sua affascinante forma in tutto<br />

determinata dalla funzione.<br />

D’Annunzio mette sullo stesso piano eroico l’impresa sportiva e l’azione<br />

bellica, enfatizzando così due elementi che saranno ereditati poi da<br />

Marinetti, Lo dimostrano gli oggetti di cui il poeta amava circondarsi: l’elica<br />

dell’idrovolante del De Pinedo, il suo aereo del volo su <strong>Vie</strong>nna, le rocce<br />

provenienti dalle montagne su cui si combatterono le più famose battaglie<br />

della Prima guerra mondiale, la prua della nave Puglia, le mitragliatrici della<br />

prima guerra mondiale.<br />

L’elica di De Pinedo diventa una scultura, che ricorda <strong>nel</strong>la valorizzazione del dinamismo<br />

della forma, tanto per citare un esempio, il Piatto con grattacieli e aeroplano di Primo<br />

Sinopico della collezione Wolfson di Genova.<br />

D’Annunzio appare un appassionato del<br />

design moderno, attento alla forma e ai<br />

volumi.<br />

Egli riconosce al pezzo in serie di carattere<br />

anche funzionale un valore aggiunto di<br />

estetica, soprattutto se esso viene esposto<br />

al di fuori del suo contesto originale,<br />

reso frammento e perciò reperto, Questo<br />

metodo, però, ha degli illustri precedenti<br />

106 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 107 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Primo Sinopico, Piatto con<br />

aereo e grattacieli.<br />

Sotto, l’elica dell’idrovolante<br />

di De Pinedo <strong>nel</strong>l’oratorio<br />

dalmata della Prioria.


<strong>Il</strong> calco in miniatura<br />

della Nike di Samotracia<br />

<strong>nel</strong>l’Officina della Prioria.<br />

progetto 4 D’Annunzio e Marinetti andata e ritorno progetto 4 D’Annunzio e Marinetti andata e ritorno<br />

ottocenteschi: infatti, isolare un oggetto dal suo contesto ponendolo, ad esempio, su una<br />

colonna era un procedimento tipico dei grandi collezionisti inglesi (come per esempio John<br />

Soane a Londra ) ed è utilizzato anche <strong>nel</strong>l’Enlightenment Gallery del British Museum con<br />

protomi e busti in esposizione su colonne. D’Annunzio, quindi, tratta un oggetto funzionale,<br />

frutto della tecnica moderna come un calco antico, riconoscendone così il valore estetico ma,<br />

d’altra parte, confermando la sua irreversibile tendenza, in contrasto con i futuristi, a leggere<br />

la storia e il rapporto passato-presente come un continuum.<br />

La Nike della discordia<br />

Del resto, un’idea fortemente osteggiata da<br />

D´Annunzio è quella del voler distruggere<br />

l’ambiente naturale, spazzar via il passato,<br />

eliminare le memorie dell’antichità per<br />

ricostruire tutto ex novo. In tal senso la Nike<br />

di Samotracia rappresenta un vero e proprio<br />

spartiacque.<br />

D’Annunzio era certo, infatti, che la<br />

distruzione di un habitat naturale portasse<br />

anche alla scomparsa delle memorie storiche<br />

ad esso collegate, perché la storia delle<br />

persone e delle loro vicende rimaneva per<br />

lui indissolubilmente legata ai luoghi dove<br />

queste erano avvenute. Scrive <strong>nel</strong>le Vergini<br />

delle rocce (riprendendo il Preambolo già<br />

pubblicato sulla Tribuna <strong>nel</strong> 1893): «Era il<br />

tempo in cui più torbida ferveva l’operosità<br />

dei distruttori e dei costruttori sul suolo<br />

di Roma. Insieme con nuvoli di polvere si<br />

propagava una specie di follia del lucro,<br />

come un turbine maligno, afferrando non<br />

soltanto gli uomini servili, i familiari della<br />

calce e del mattone, ma ben anche i più schivi eredi dei maiorascati papali […] I lauri e i<br />

roseti della Villa Sciarra per così lungo ordine di notti lodati dagli usignoli, cadevano recisi<br />

e rimanevano umiliati fra i cancelli dei piccoli giardini contigui alle villette dei droghieri.<br />

I giganteschi cipressi Ludovisi quelli dell’Aurora, quelli medesimi i quali avevano sparsa<br />

la solennità del loro antico mistero sul capo olimpico del Goethe, giacevano atterrati […]<br />

e allineanti l’uno accanto all’altro, con tutte le radici scoperte che fumigavano verso il<br />

cielo impallidito, con tutte le negre radici scoperte che parevano tenere ancor prigione<br />

entro l’enorme intrico il fantasma di una vita oltrapossente. […] E d’intorno […] cresceva<br />

rapidamente l’opera brutale che doveva occupare i luoghi già per tanta età sacri alla Bellezza<br />

e al Sogno.»<br />

L’ambiente naturale era quindi intimamente legato alle memorie gloriose della patria e<br />

indissolubile dalla bellezza e dal sogno poetico. L’espressione perfetta di tale unione era,<br />

appunto, identificabile <strong>nel</strong>l’arte antica: non a caso la riproduzione della Nike di Samotracia<br />

campeggia volutamente al centro dell’Officina, in evidente, aperta polemica con Marinetti il<br />

quale aveva affermato: «Un’automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a<br />

serpenti dall’alito esplosivo... un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è<br />

più bello della Vittoria di Samotracia.»<br />

La statua originale della Nike ricordava la vittoria dei rodii, alleati di Roma contro Antioco III<br />

re di Siria. Essa si riferiva quindi, ad una vittoria dei latini. Ma ciò che certamente affascinava<br />

di più il Vate era l’energia del suo corpo che, proteso verso il cielo, ad ali spiegate esprimeva<br />

un dinamismo e una vitalità prorompenti. Nel Fuoco D’Annunzio scrive che la vittoria è «il<br />

terribile desiderio di vivere, quella violenta volontà di forgiare il proprio fato e di intendere<br />

tutte le energie dell’essere verso il grado sublime». Anche la danzatrice Isadora Duncan,<br />

contemporanea di D’Annunzio, sosteneva di aver appreso i segreti della sua arte proprio<br />

dalle statue antiche del Louvre e, in particolare, da questa Nike, segno che l’opera era<br />

considerata una vera e propria icona decadente.<br />

Proprio <strong>nel</strong>l’Officina, il poeta compie un’operazione di sintesi eclettica mostrando, come<br />

possano convivere elementi della tecnica moderna, con le presenze e le citazioni del<br />

passato, la processione delle Panatenaiche e l’elica dell’idrovolante, senza soluzione di<br />

continuità, essendo parti integranti della memoria comune, in totale contraddizione con<br />

Marinetti. <strong>Il</strong> trionfo delle nuove tecnologie e della macchina per D’Annunzio, infatti, sarà<br />

soltanto uno degli aspetti del «terzo Rinascimento», della civiltà che vedrà gli italici, eredi dei<br />

Latini, come nuovi protagonisti.<br />

Se l’attacco di Marinetti contro la Nike di Samotracia era rivolto all’arte decadente <strong>nel</strong> suo<br />

complesso, la successiva provocazione Contro Venezia passatista è, in realtà, rivolta più<br />

direttamente contro il Vate e la sua dittatura culturale, visto che <strong>nel</strong> romanzo <strong>Il</strong> Fuoco egli<br />

aveva fatto di questa città lo sfondo mitico della sua storia d’amore con la Duse e il luogo del<br />

nuovo dramma in musica ispirato a Wagner. D’altro canto, il ricorso da parte di D’Annunzio<br />

ad una Venezia ostentatamente decadente in tutta la prima parte del Notturno – legata però<br />

alla guerra e alla eroica figura di Giuseppe Miraglia – suona come una precisa risposta alle<br />

critiche di Marinetti e al fatto che questa città rappresentasse il passatismo e l’immobilità<br />

incapace di eroismo. Anzi, <strong>nel</strong> Notturno essa è la città che si protende costantemente verso<br />

la Dalmazia come avanguardia del mito irredentista.<br />

La macchina e la donna<br />

La macchina, poi, assume un’identità ambigua: in Marinetti è il simbolo delle virtù virili,<br />

potenza, forza, velocità e quindi capacità di dominio dello spazio D’altro canto, in D’Annunzio è<br />

vista anche come oggetto elegante, sottolineando la cura di abili artigiani <strong>nel</strong> realizzarla e la<br />

ricercatezza dei materiali. Proprio per questo duplice aspetto la macchina si presta ad essere<br />

associata sia alla figura maschile («GLI automobili famelici ») come in Marinetti, sia alla figura<br />

femminile («LE automobili ») in d’Annunzio.<br />

Proprio a proposito delle donne tra D’Annunzio e Marinetti troviamo interessanti punti in<br />

comune, ma anche significative differenze.<br />

Marinetti considera la donna tradizionale, tipica del modello di famiglia borghese, in modo<br />

decisamente negativo: la ritrae come un essere che agisce solo d’istinto e che si basa sul<br />

sentimentalismo e l’immobilismo. <strong>Il</strong> suo attaccamento alla famiglia e al matrimonio tiene<br />

108 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 109 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Particolare dell’elica accanto<br />

alle Sibille della Sistina<br />

<strong>nel</strong>l’Officina dannunziana.


progetto 4 D’Annunzio e Marinetti andata e ritorno progetto 4 D’Annunzio e Marinetti andata e ritorno<br />

l’uomo ancorato alla tradizione e gli impedisce di evolversi rivoluzionando la società. Di<br />

conseguenza Marinetti arriva a teorizzare una totale libertà sessuale – basata, non su un<br />

malinteso concetto di «amore», ma sull’istinto e il desiderio – che a suo parere, avrebbe<br />

liberato anche la donna dalla sua secolare schiavitù. D’altra parte anche in D’Annunzio<br />

viene sconfessato totalmente il concetto del matrimonio borghese e il rapporto con la donna<br />

appare centrale <strong>nel</strong>la creazione artistica, ma proprio per questo il poeta ha continuamente<br />

bisogno di nuovi stimoli e incontri: «Fra tutte le creature della terra la donna è quella che noi<br />

possiamo più profondamente apprendere. Or è così giustificata – secondo il cervello, calido<br />

cerebro autore – l’assidua mia frequentazione» (Libro segreto)<br />

Entrambi, poi, erano considerati dei grandi seduttori (Marinetti scrisse addirittura il libro<br />

Come si seducono le donne), ed entrambi si concentravano soltanto sull’aspetto istintivo<br />

dell’anima femminile. «Hanno tutte un’anima, dipendente però dalla lunghezza dei<br />

loro capelli» scrive sarcastico Marinetti. <strong>Il</strong> chiaro di luna che Marinetti vuole «uccidere»<br />

naturalmente ha molto a che vedere con la femminilità,<br />

poiché appare legato al sentimentalismo e ai pensieri<br />

languidi e malinconici. Anche in questo Manifesto<br />

per evocare figure femminili utilizza molte immagini<br />

tratte da autori precedenti come le oceanine derivate<br />

probabilmente dal Tannhauser di Wagner, mentre il<br />

latte della luna dai riflessi verdi ricorda l’inizio delle<br />

Mes petites amoureuses di Rimbaud «an hydrolat<br />

lacrimal lave Les cieux vert-chou» (Un lacrimale infuso<br />

lava i cieli verde cavolo). Così le «liane affettuose» che<br />

si avvinghiano alle braccia e alle gambe dei futuristi per<br />

non farli procedere sono frutto di una citazione della<br />

Pioggia <strong>nel</strong> pineto. La natura dannunziana, il luogo<br />

dove avveniva la fusione di tutti gli esseri all’interno<br />

della stessa energia vitale e dove albergavano ancora<br />

i miti del passato, simbolo della fertilità femminile,<br />

diventa la prima vittima dell’immaginario di Marinetti.<br />

Dal canto suo, il poeta abruzzese in un passo del Libro<br />

segreto ammette di non aver mai compreso le donne e<br />

di aver sempre amato soprattutto la loro imprevedibilità<br />

ferina, ispirata, in particolare, alla figura di Kundry <strong>nel</strong><br />

Parsifal di Wagner: donna fatale, strega, medium e<br />

sibilla, in contatto con le forze della terra, perennemente<br />

incosciente e inaccessibile, ma, <strong>nel</strong>lo stesso tempo,<br />

ossessionata dall’idea del «servire» come se dovesse<br />

sempre essere subordinata a qualcuno (si vedano in proposito anche le caratteristiche della<br />

Duse <strong>nel</strong> Fuoco). Era la poliedricità dionisiaca ad attirarlo, come poi spiegherà anche <strong>nel</strong> Libro<br />

segreto: «quante altre donne compiutamente possedevo in te, dianzi […]. Se mi torni, tornami<br />

di là da me come quando ti drizzi su le reni e poni contro la mia maschera il tuo viso raggiante<br />

di Musa o il tuo viso mortifero di Medusa.» Proprio la loro imprevedibilità lo attirava perciò <strong>nel</strong><br />

momento in cui svelavano il loro mistero perdevano il loro fascino: «E però non amo le donne<br />

se non per quel che v’è di animale in esse; voglio dire: d’istintivo. Talvolta so renderle divine,<br />

<strong>nel</strong> senso che la bestia è una forma del divino, anzi il più misterioso aspetto del divino. <strong>Il</strong> loro<br />

potere su me tuttavia – di là da tutti i miei esperimenti e inganni interiori – è soltanto corporale,<br />

è soltanto carnale.» (Libro segreto)<br />

Come si vede, D’Annunzio non sembra poi così distante da Marinetti, il quale, però, rincara<br />

decisamente la dose, mostrandosi assai scettico sulle capacità cognitive e razionali delle<br />

donne, come quando in Contro l’amore e il parlamentarismo difende le istanze delle suffragette<br />

per il voto alle donne perché esse «ci aiuteranno così involontariamente, a distruggere quella<br />

grande minchioneria, fatta di corruzione e di banalità a cui è ormai ridotto il parlamentarismo».<br />

110 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 111 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Tamara de Lempicka,<br />

Autoritratto <strong>nel</strong>la Bugatti<br />

verde.<br />

Nella pagina a sinistra,<br />

Giacomo Balla, Lampada ad<br />

arco, 1909.


Mitragliatrice all’ingresso<br />

dello Schifamondo.<br />

progetto 4 D’Annunzio e Marinetti andata e ritorno progetto 4 D’Annunzio e Marinetti andata e ritorno<br />

Nelle tematiche dannunziane, però, questo non è l’unico modello femminile: già esiste <strong>nel</strong><br />

suo immaginario la figura dell’amazzone che muta poi soprattutto dopo l’entrata in scena del<br />

<strong>Futurismo</strong>, diventando una guerriera vestita di ferro (come <strong>nel</strong>l’incipit della Nave) o fasciata<br />

di sportivi e provocanti abiti in pelle. La medusa dannunziana adesso indossa un casco alato<br />

come Isabella Inghirami <strong>nel</strong> Forse che sì forse che no; una figura simile a quella di un celebre<br />

dipinto del 1932, di Tamara Lempicka dove ella si ritrae con casco e guanti di daino, al volante<br />

di un’auto verde brillante. Sempre ispirate ai modelli futuristi rielaborati da D’Annunzio sono<br />

anche le enigmatiche e provocanti figure femminili che si aggirano negli hangar della gara<br />

aerea descritta <strong>nel</strong> Forse che sì forse che no. Esse ci appaiono androgine, bellissime e traditrici<br />

come l’Idra di Lerna, incarnazioni dell’energia della Musa futurista, Energeja protettrice del<br />

cinema e della velocità. Soffermandosi su una di loro scrive il poeta: «Era spaventosa; quasi<br />

sempre in fondo alla tettoia rude come <strong>nel</strong>l’ombra d’un’alcova molle, visibile a traverso i fili<br />

d’acciaio, a traverso il polverio che il vento dell’elica sollevata dal suolo rossastro, fra gli scoppii<br />

del motore in moto, fra le tuniche azzurre dei meccanici lucenti di sudore e di olio, inguainata<br />

<strong>nel</strong>la stretta gonna come <strong>nel</strong>la pelle della sua pelle, tutta distinta di particolarità squisite che<br />

squisitamente vivevano su lei […]. Simili a lei, altre creature apparivano là dove gli uomini<br />

s’apprestavano a giocare il gioco che poteva essere di fuoco e di sangue, vive e artificiali,<br />

lascive e sfuggenti, ora prossime come minacce, ora lontane come larve […] sorgevano su i<br />

lunghi foderi dei corpi come su i lunghi colli della bestia di Lerna.»<br />

La macchina e l’«officina» rivoluzionaria<br />

In tutto il Vittoriale la macchina è protagonista, soprattutto se utilizzata in grandi imprese<br />

sportive o di guerra. Come già accennavamo, <strong>nel</strong>l’Oratorio dalmata al soffitto è fissata<br />

l’elica dell’idrovolante con il quale il 7 novembre 1925 Francesco De Pinedo compì il volo a<br />

tappe di 55.000 chilometri da Sesto Calende a Melbourne e Tokio. Sulle pale sono applicate<br />

con lettere di bronzo le date delle tappe, mentre l’elica è incorniciata con decorazioni<br />

dorate a raggiera e stelle per evidenziare il carattere eroico e sacrale dell’oggetto. Con una<br />

mentalità simile a quella di una gara sportiva estrema il poeta visse, infatti, anche la sua<br />

partecipazione alla Grande Guerra, ricercando costantemente l’impresa inimitabile, che<br />

assumesse un valore simbolico di exemplum mediatico.<br />

Spesso al poeta, infatti, la macchina ricorda l’energia delle armi e della guerra:<br />

«<strong>Il</strong> fumo delle officine richiama il vapore della liddite, lo scintillio delle macchine nitide<br />

richiama il guizzo delle armi bianche […] sopra l’assiduo strepito dei lavoratori s’odono<br />

latrare le fauci della guerra. Tutto il mondo si tende come un arco» (Orazione per la morte di<br />

Giosuè Carducci, Milano 24 marzo 1907)<br />

Stesso discorso vale per Marinetti che riprende l’idea della macchina in relazione con le<br />

armi «un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia», scrive <strong>nel</strong> Manifesto di<br />

fondazione.<br />

La macchina per D’Annunzio è capace poi di<br />

creare poesia, una poesia nuova come ben<br />

aveva intuito in un altro passo dell’Orazione<br />

per la morte di Giosuè Carducci del 24 marzo<br />

1907, precorrendo così i futuristi: «una<br />

straordinaria quantità di energia spirituale sta<br />

per sprigionarsi dal tumulto e per atteggiarsi<br />

in attitudini di bellezza sconosciute. Nelle<br />

innumerevoli officine che sorgono dal suolo,<br />

<strong>nel</strong>le miniere che vi si sprofondano, e <strong>nel</strong>le<br />

navi che sempre in maggior numero fendono<br />

i fiumi e i mari, e in tutti gli strumenti del<br />

lavoro, del lucro, del gioco e della guerra si<br />

preparano le nuove imagini e i nuovi ritmi.»<br />

La macchina, poi, <strong>nel</strong> Notturno sotto l’influenza<br />

dei futuristi si personifica in diverse<br />

immagini:<br />

«<strong>Il</strong> battito del motore», «S’ode pulsare<br />

il motore del canotto», «Un motore<br />

di canotto ha un palpito energico.<br />

Giorgio non l’ode più come il battito<br />

del suo cuore d’acciaio»<br />

Anche l’immagine dell’aereo <strong>nel</strong><br />

Notturno è personificata per la sua<br />

anima di macchina eroica con i<br />

suoi congegni frutto della tecnica<br />

moderna, ma anche della sapienza<br />

antica dei grandi artigiani italiani:<br />

«Appare come una struttura solida<br />

di legni di tele di metalli, ed è una<br />

sostanza spirituale. Sembra esanime,<br />

ed è tutta tesa dall’anima come il veliero è gonfio di fortuna.<br />

Sembra muta; e <strong>nel</strong>l’una e <strong>nel</strong>l’altra cellula, tra cèntina e cèntina, tra motore e motore, tra fusoliera e<br />

fusoliera, per mezzo ai fili d’acciaio, <strong>nel</strong>la carlinga piena di congegni, lungo il bordo levigato, il silenzio<br />

è un silenzio che a chi l’ascolta parla una parola indimenticabile. È testamento del sangue.»<br />

In un passo del Forse che sì forse che no D’Annunzio evoca la febbrile attività in un hangar<br />

intorno ad uno di questi primitivi velivoli, ammirando la sapienza del lavoro degli artigiani<br />

paragonati ai liutai rinascimentali: «fra i rotoli dei fili d’acciaio, fra le lunghe verghe di legno, fra<br />

i mucchi dei trucioli, negli stridori della sega, nei gemiti della lima, nei colpi del martello, mentre<br />

una tacita febbre umana pareva quasi raggiare intorno al grande airone inanimato che aveva<br />

già la tela tesa su le cèntine delle sue ali. […] quell’opera delicata e misteriosa come il lavoro<br />

dei liutai, fatta di pazienza di passione di coraggio, e di eterno sogno e di antica favola…»<br />

<strong>Il</strong> motore, del resto, si accorda come uno strumento:<br />

«Che dice il segnale del vento? – domandò Paolo Tarsis chino presso la sua macchina a<br />

esaminare la tensione dei fili d’acciaio, mentre il capo dei suoi meccanici finiva d’intonare il<br />

motore ed egli prestava l’orecchio acutissimo alla settupla consonanza.»<br />

L’aereo, insomma, non è solo un veicolo, ma una personificazione umana: «Non gli manca se<br />

non l’anima dell’uccello, la quale anima bisogna che sia contraffatta dall’anima dell’omo», scrive,<br />

riprendendo il pensiero di Leonardo da Vinci.<br />

112 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 113 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Tato, Sorvolando in spirale il<br />

Colosseo.<br />

Sotto, La Fiat di Marinetti<br />

dopo l’incidente di cui parla<br />

<strong>nel</strong> Manifesto di fondazione<br />

del <strong>Futurismo</strong>.


progetto 4 D’Annunzio e Marinetti andata e ritorno progetto 4 D’Annunzio e Marinetti andata e ritorno<br />

La macchina, infatti, ha in sé qualcosa di magico come D’Annunzio ebbe a scrivere<br />

a Nunes Vis a cui aveva commissionato il suo ritratto fotografico: «Vorrei conoscere la<br />

magia novissima con cui Ella riesce a compiere il veloce prodigio serrando uno spirito di<br />

sole <strong>nel</strong>la piccola nera prigione di metallo e di cristallo» Altri elementi comuni tra Marinetti<br />

e D’Annunzio, seppure poi con risultati estetici diversi, sono anche la poesia della realtà<br />

industriale e delle officine. In Marinetti essa è portata alle estreme conseguenze con<br />

l’immagine dello scrittore che dopo il ribaltamento in auto dentro il fossato esce dalla<br />

macchina felice di essere completamente sporco di fango e olio, come se fosse uscito<br />

dal seno della sua nutrice sudanese, evidente ironia sull’immergersi <strong>nel</strong>l’acqua, elemento<br />

materno, tipico di alcuni poeti ottocenteschi (come il Foscolo di A Zacinto o il Leopardi<br />

dell’Infinito). Oggi il nuovo battesimo futurista viene celebrato <strong>nel</strong>l’olio nero delle officine e<br />

solo dopo Marinetti detterà «le sue volontà» programmatiche!<br />

IL VITALISMO SUPEROMISTICO<br />

O Vita, o Vita,<br />

dono terribile del dio,<br />

come una spada fedele,<br />

come una ruggente face,<br />

come la gorgóna,<br />

come la centàurea veste;<br />

Tutto fu ambìto<br />

e tutto fu tentato.<br />

Quel che non fu fatto<br />

io lo sognai;<br />

e tanto era l’ardore<br />

che il sogno eguagliò l’atto.<br />

Io nacqui ogni mattina.<br />

Ogni mio risveglio<br />

fu come un’improvvisa<br />

nascita <strong>nel</strong>la luce:<br />

attoniti i miei occhi<br />

miravano la luce<br />

(Laus Vitae)<br />

Umberto Boccioni, Carica di lancieri.<br />

Sempre dannunziana è l’immagine dell’essere ritti, dell’ergersi contro l’ignoto che in<br />

Marinetti rappresenta la volontà incrollabile e l’audacia dell’azione per l’azione: «desti e ritti<br />

come fari superbi o come senti<strong>nel</strong>le avanzate». Essa ricorda, per esempio, non solo il mito<br />

dell’Ulisside dannunziano delle Laudi, ma anche un passo del Compagno dagli occhi senza<br />

cigli <strong>nel</strong> quale il poeta vedeva i collegiali che stavano con lui al Cicognini di Prato come<br />

«cancheri» incapaci di grandi azioni, in contrapposizione al suo spirito eroico. Del resto<br />

l’immobilismo politico e l’arretratezza oscurantista avevano sempre dato fastidio al poeta che<br />

proprio per questo il 20 marzo 1900 aveva compiuto il gesto clamoroso di passare dalle file<br />

dell’estrema destra a quelle dell’estrema sinistra dicendo: «Vado verso la vita», oscillazione<br />

tipica poi dei futuristi che provocatoriamente sognavano una sovversione violenta, un<br />

mutamento radicale dell’ordine sociale sebbene, poi, non risultasse affatto chiaro quali forme<br />

concrete di nuova società intendessero creare.<br />

Altri elementi in cui i due scrittori concordano <strong>nel</strong>lo stare «desti e ritti» è la concezione<br />

superomistica:<br />

«“Giovani, avanti, ché vinceremo anche oggi!”<br />

Non con lo sprone ma col suo grande cuore<br />

ei sollevò il suo cavallo a volo»<br />

(La notte di Caprera)<br />

Marinetti, però voleva creare un suo nuovo superuomo opposto a quello di Nietzsche ( basato<br />

sull’ellenismo) «Noi opponiamo […] l’Uomo moltiplicato per opera propria, nemico del libro,<br />

amico dell’esperienza personale, allievo della Macchina, coltivatore accanito della propria<br />

volontà, lucido <strong>nel</strong> lampo della sua ispirazione, munito di fiuto felino di fulminei calcoli,<br />

d’istinto selvaggio, d’intuizione, di astuzia e di temerità. I figli della generazione attuale, che<br />

vivono fra il cosmopolitismo, la marea sindacalista e il volo degli aviatori sono come abbozzi<br />

dell’uomo moltiplicato che noi prepariamo.»<br />

In ogni caso il debito verso Nietzsche è piuttosto evidente anche per il fatto stesso di porre<br />

i futuristi come un’avanguardia che doveva guidare il cambiamento. E d’altra parte, <strong>nel</strong>le<br />

immagini di Marinetti risuona l’eco delle liriche dannunziane, come, per esempio, in questo<br />

caso:<br />

Né fulvo branco di leoni balza,<br />

né s’inarca fulgore di sovrana<br />

porpora. Sola su la morte s’alza<br />

l’anima umana.<br />

[…]<br />

Uomini vivi, saldi sul tallone,<br />

non in coperta ma lungh’esso il bordo<br />

dileguante con l’ultimo cannone<br />

<strong>nel</strong> succhio sordo,<br />

diritti come se facesser ala<br />

ad ammiraglio in nave pavesata,<br />

diritti come sotto la gran gala<br />

schiera ordinata,<br />

gittano al cielo un grido così forte<br />

che ferisce le cime dell’ardore,<br />

e sforzano a sorridere la Morte<br />

che mai non muore.<br />

(Per i morti del mare)<br />

Troviamo qui notevoli punti in comune con l’immagine futurista dei leoni e delle belve liberate<br />

dalle gabbie e del furore degli uomini che li seguono emulandoli, esaltati <strong>nel</strong>la sfida alla<br />

morte. Saranno le belve insieme ai folli a distruggere Paralisi e Podagra ovvero Milano e<br />

Roma. <strong>Vie</strong>ne anche il mente lo spirito del leone, caratterizzato dalla volontà, del nietzschiano<br />

Zaratustra al quale fa eco un passo della Laus vitae:<br />

Quivi l’animale umano<br />

amai, che divora, s’accoppia,<br />

urla, combatte, uccide,<br />

inconsapevole e vero.<br />

Quivi divinai la divina<br />

bestialità che facea<br />

sì resistente la forza<br />

di Roma dal tardo pensiero.<br />

Per Marinetti, come per D’Annunzio, la vita inimitabile è segnata da un atto di volontà<br />

superiore, volto all’azione estrema e totalmente individualistica.<br />

114 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 115 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Bot, Ritratto di Marinetti, 1929.


Coppa con figura di centauro,<br />

<strong>nel</strong>l’Officina della Prioria.<br />

progetto 4 D’Annunzio e Marinetti andata e ritorno progetto 4 D’Annunzio e Marinetti andata e ritorno<br />

Gabriele d’Annunzio riprendeva il pensiero di Nietzsche, esaltandone l’aspetto vitalistico<br />

che spingeva l’uomo all’amor fati, immergendosi totalmente <strong>nel</strong>l’hic et nunc. L’estetismo<br />

diventa, in questo caso, anche una celebrazione della violenza e della strage. Nelle sue opere<br />

l’esteta unisce il culto della forza a quello della bellezza, trasformandosi da semplice dandy,<br />

Andrea Sperelli <strong>nel</strong> Piacere, a superuomo. Nel romanzo Le vergini delle rocce, ad esempio, il<br />

protagonista, Claudio Cantelmo, è alla ricerca di una donna con la quale concepire un figlio che<br />

possa essere il capostipite di un razza superiore, il nuovo re di Roma.<br />

Stelio Effrena, protagonista del Fuoco riesce ad imporsi sulle masse attraverso la<br />

manipolazione culturale e la creazione di nuovi modelli di vita, a differenza del protagonista<br />

del Piacere, il quale si era scontrato con la plebe che alla bellezza aveva preferito il profitto. La<br />

macchina diviene, comunque, il mezzo che consente al superuomo la sua affermazione, come<br />

<strong>nel</strong> Forse che si forse che no, dove il protagonista trova la gloria grazie ad un eroico volo<br />

aereo. L’uomo dannunziano, quindi, piega l’intero mondo che lo circonda al proprio progetto di<br />

affermazione.<br />

<strong>Il</strong> centauro e l’angelo<br />

E la mia coscia nervosa<br />

aderì così forte<br />

al fianco del mio caval sauro<br />

ch’io divenni il mostro biforme,<br />

lo s<strong>nel</strong>lo centauro<br />

d’ugne senza ferro,<br />

di levità senza orme.<br />

E ne’ miei occhi umani<br />

sentii la bellezza dei grandi<br />

ardenti umidi occhi inumani<br />

del corsiere d’Arabia<br />

che parea sangue di pardo.<br />

Ed ebbi così <strong>nel</strong> mio sguardo<br />

l’inconsapevolezza<br />

della purità bestiale,<br />

in me ebbi tutto il Deserto.<br />

(Laus vitae XIX)<br />

«…finalmente la mitologia e l’ideale mistico sono superati. Noi stiamo per assistere alla<br />

nascita del Centauro e presto vedremo volare i primi Angeli!…» è così che Marinetti<br />

introduce il tema del centauro, peraltro, come abbiamo visto, già usato da d’Annunzio.<br />

Quest’ultimo, infatti, afferma di sentirsi un centauro, colui cioè che si fonde completamente<br />

con l’animale che cavalca. Oltre che <strong>nel</strong>le opere letterarie di D’Annunzio, anche <strong>nel</strong> Vittoriale<br />

torna frequentemente tale immagine: <strong>nel</strong>la foto in bianco e nero di Pallade che doma un<br />

centauro del Botticelli e <strong>nel</strong> calice in vetro verde in stile rinascimentale con decorazioni<br />

dorate dell’Officina. Nella sua opera il mito greco vive sempre della commistione di due<br />

nature umana e ferina, non civilizzata, <strong>nel</strong>la quale le passioni tragiche possono manifestarsi<br />

in tutta la loro potenza originaria tanto misteriosa quanto feroce e irrazionale.<br />

Un altro oggetto interessante è la placca dorata che orna il basamento della statua di Diana<br />

<strong>nel</strong>la sala della Musica dove è rappresentato un uomo dal corpo equino intento a scoccare<br />

una freccia. L’immagine mitologica del centauro come una sorta di uomo potenziato, se<br />

non di vero e proprio superuomo, è usata anche da Machiavelli, per il quale rappresenta il<br />

principe ideale, cioè colui che è capace di «bene usare la bestia e l’uomo». I miti di Pegaso<br />

e del Centauro per il poeta abruzzese appaiono inizialmente molto legati all’arte antica, ma,<br />

in un secondo momento, <strong>nel</strong>l’arredo del Vittoriale si andrà verso una semplificazione della<br />

forma secondo l’esempio dei futuristi, come possiamo notare <strong>nel</strong> piatto con Pegaso alato<br />

che si trova <strong>nel</strong>la sala della Leda. Inoltre sempre più spesso negli ultimi anni D’Annunzio<br />

mostrava di apprezzare la forma dell’energia pura, la forza guerriera piuttosto che l’estetica:<br />

allora il fascino delle nuove tecnologie viene esaltato anche rispetto all’antichità classica<br />

e rinascimentale per ricercare un’arte che spinga alla lotta e alla battaglia: «<strong>Il</strong> martello<br />

d’un degli efebi sembra gonfiarsi della mia libertà. La mia audacia di predatore fiumano<br />

s’impadronisce di tutte le spoglie opime <strong>nel</strong> cesareo Trionfo del Mantegna. La Vittoria di<br />

Samotracia m’è men bella di quel modello esatto d’un novissimo velivolo guerriero La testa<br />

del pensieroso è <strong>nel</strong> mio pensiero meno attiva di quella incudine tutta d’acciaio a me offerta<br />

in dono dai Cantieri navali del Carnaro.<br />

<strong>Il</strong> gesso del corpo umano scorticato, per conoscere “onde i nerbi nascono”, ora mi<br />

commuove di più che la coscia michelangiolesca. L’impronta di quel piede umano<br />

anatomizzato, con tutti i suoi muscoli e i suoi tendini palesi, contratto come le fibre d’un<br />

fiore senza gioia, ora mi supera in novità d’impronte il piede alzato che la Nike annoda <strong>nel</strong><br />

sandalo.» (Faville involate)<br />

In più rispetto a D’Annunzio la riedizione marinettiana del mito del centauro si attua <strong>nel</strong>la<br />

116 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 117 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

L’incudine del Carnaro<br />

<strong>nel</strong>l’Officina dannunziana,<br />

a destra, calco del modello<br />

anatomico attribuito a<br />

Michelangelo <strong>nel</strong>l’Officina<br />

della Prioria.<br />

Sotto, Giacomo Balla,<br />

Velocità in motocicletta,<br />

1913-14.


D’Annunzio a Fiume al rancio<br />

con i soldati.<br />

progetto 4 D’Annunzio e Marinetti andata e ritorno progetto 4 D’Annunzio e Marinetti andata e ritorno<br />

fusione con la macchina anziché con il cavallo, come poi sarà concretamente illustrato<br />

<strong>nel</strong>le opere di Giacomo Balla. L’altro importante mito dannunziano ripreso da Marinetti <strong>nel</strong><br />

passo sopracitato, è quello dell’angelo, anzi, dell’arcangelo Gabriele annunciatore di un<br />

nuovo Rinascimento in cui il poeta si identificava. Dal canto suo Marinetti usa l’immagine<br />

dell’angelo come essere che incarna le nuove potenzialità dell’uomo oltre i propri limiti:<br />

il futurista sarà «superumano» come il centauro, fondendo l’elemento meccanico con la<br />

propria natura, oppure trascendendo se stesso come nuova creatura celeste.<br />

La vita inimitabile contro la massificazione<br />

In D’Annunzio come in Marinetti prevale l’idea che l’artista deve vivere una vita inimitabile,<br />

distinguendosi dalla massa in ogni sua manifestazione, essere cioè «un’avanguardia», una<br />

sorta di capopopolo, un forgiatore di coscienze. Del resto per entrambi era fondamentale<br />

anche la pubblicità, come dimostra Marinetti con una studiate iniziative di propaganda tra le<br />

più innovative, ma anche D’Annunzio sapeva sempre usare i media a proprio vantaggio per<br />

creare di se stesso un mito vivente.<br />

L’angoscia che ha preso D’Annunzio di fronte al «grigio diluvio democratico», a queste nuove<br />

masse sterminate di proletari incontrollabili e di ricchi borghesi imbelli è la stessa di Marinetti.<br />

È necessario compiere nuovamente qualcosa di eroico che riporti il popolo italiano alle idealità<br />

risorgimentali, e, <strong>nel</strong> caso di Marinetti che forgi un nuovo uomo futurista eliminando i parassiti<br />

di Podagra e Paralisi. Se le istanze belliciste di Marinetti sono legate all’idea della guerra sola<br />

igiene del mondo, poiché solo attraverso un bagno di sangue si sarebbe forgiato un uomo<br />

nuovo, anche D’Annunzio, alla fine, enuncia a modo suo le medesime idee, ma con una<br />

sfumatura più paternalistica e garibaldina: sarà l’intero popolo italiano, dal grande comandante<br />

al soldato semplice ad essere forgiato all’eroismo dalla guerra per una giusta causa,<br />

spingendosi fino all’estremo sacrificio. I morti riceveranno la celebrazione del loro eroismo e la<br />

loro laica santificazione, coloro che rimarranno vivi avranno rafforzato col fuoco della sofferenza<br />

l’incrollabile volontà. Marinetti, invece, sembra quasi indifferente alla presenza di una «giusta<br />

causa» <strong>nel</strong>la guerra e tende a sottolineare solo i bersagli contro cui scagliarsi, piuttosto che dei<br />

concetti positivi da affermare <strong>nel</strong>la creazione di un nuovo ordine sociale.<br />

Allo scopo di forgiare le menti del popolo per D’Annunzio (poi ripreso da Marinetti) è<br />

necessario l’eroe tribuno: entrambi, infatti, sono degli arringatori, entrambi fanno appello non<br />

alla razionalità, ma alla volontà, all’istinto, all’adesione entusiasta e passionale che esclude<br />

una vera analisi politica. La materia del popolo è sempre fusa sia in D’Annunzio che in<br />

Marinetti. Per il Vate ci vuole un forno fusorio come quello del Cellini, mentre Marinetti ricorre<br />

all’immagine dei fochisti delle locomotive: il nuovo fuoco delle macchine è il propulsore<br />

esplosivo del cambiamento attraverso un mutamento profondo dei confini spazio-temporali<br />

e dei rapporti con il mondo e col passato. Marinetti, poi, suscita l’energia della folla <strong>nel</strong>la<br />

provocazione: le forze istintive e irrazionali vengono liberate proprio attraverso un rituale<br />

futurista che prevede l’interazione anche violenta con il pubblico (con tanto di scazzottate<br />

e fischi) che veniva volontariamente eccitata anche con la presenza di provocatori tra il<br />

pubblico, inviati appositamente da Marinetti a questo scopo.<br />

D’Annunzio, Marinetti e «l’esperimento» di Fiume<br />

Secondo il critico letterario francese Benjamin Crémieux il «fiumanesimo è, <strong>nel</strong>l’ambito<br />

politico del primo dopoguerra, la forma assunta dal <strong>Futurismo</strong> italiano». Gli anni del conflitto<br />

mondiale avvicinano considerevolmente i due scrittori, uniti dall’eroismo, ostentato sul<br />

campo di battaglia. Gli stessi futuristi lodano D’Annunzio al punto che Carli lo definisce uno<br />

“tra i più autentici futuristi”. È lo stesso D’Annunzio ad invitare Marinetti alla collaborazione<br />

attraverso un telegramma, che risale a poco più di un mese prima dell’invasione di Fiume,<br />

dal quale traspaiono stima e ammirazione:<br />

«Mio caro Marinetti,<br />

bravo per il grido di ieri, coraggioso come ogni vostro atto.<br />

Vorrei vedervi.<br />

Se potete, venite<br />

<strong>Il</strong> vostro Gabriele d’Annunzio»<br />

Quel giorno, infatti, Marinetti aveva preso la parola dalla tribuna del pubblico di<br />

Montecitorio accusando Nitti di essere a capo di un «Ministero dei sabotatori della Vittoria,<br />

degli schiaffeggiatori degli ufficiali», e si proclamava contro il Giolittismo, accusando il<br />

parlamento di non essere che «lo scherno più grossolano ai sacrifici dei combattenti» […]<br />

«Vergognatevi! La gioventù italiana, per bocca mia, vi urla: Fate schifo! Fate schifo!».<br />

Poco tempo dopo, non appena Marinetti legge sui giornali dell’azione dei legionari, decide<br />

di raggiungere il Carnaro. Fiume potrebbe rappresentare il coronamento del suo sogno di<br />

vedere gli artisti al potere. Come spiega Claudia Salaris in Alla festa della rivoluzione. Artisti e<br />

libertari con D’Annunzio a Fiume, la città dalmata viene oggi definita un «laboratorio politico»<br />

<strong>nel</strong> quale sono state sperimentate le tecniche di comunicazione poi ampiamente riprese dal<br />

fascismo: la politica diventa una sorta di culto, con celebrazioni, raduni, arringhe. Marinetti è<br />

straordinariamente esaltato da questa atmosfera, forse troppo: si lascia, infatti trascinare dai<br />

suoi sogni e da idee che rasentano l’utopia. Secondo lui «D’Annunzio non vede la grandezza<br />

rivoluzionaria e decisiva della sua impresa» che potrebbe, invece, allargare a tutta l’Italia.<br />

Ma Marinetti si sbaglia: D’Annunzio ha sperato di far cadere il governo Nitti e di suscitare<br />

un movimento di massa a livello nazionale, ma ritiene forse che i tempi non siano maturi<br />

per realizzare un progetto simile, anche perché all’interno dei legionari fiumani esistono<br />

posizioni politiche molto diverse e spesso contrastanti. Per questo giudica inattuabile il piano<br />

di Marinetti, che prevedeva una marcia su Trieste come innesco della rivoluzione generale.<br />

Dal canto suo, il fondatore del <strong>Futurismo</strong> si augura seriamente che quel «vulcano di eroismo<br />

e italianità» si diffonda in tutta Italia e «la sua ondata rivoluzionaria la pulisca e ringiovanisca<br />

definitivamente». Questa cieca speranza lo porta a giudicare D’Annunzio «un uomo<br />

meraviglioso di forza di volontà astuzia fortuna. Ma è rimasto l’esteta. Maniaco del bel gesto,<br />

prigioniero delle sue belle frasi e degli uomini mediocri che lo incensano e favoriscono le sue<br />

manie». Mette in dubbio le capacità politiche del Vate e soprattutto la scelta degli uomini di<br />

cui si circonda. È infatti convinto che gli ufficiali fiumani «quasi tutti monarchici, passatisti,<br />

118 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 119 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>


Carlo Carrà, I funerali<br />

dell’anarchico Galli, 1910-11.<br />

progetto 4 D’Annunzio e Marinetti andata e ritorno<br />

non vogliono capire o ammettere che il loro gesto è stato rivoluzionario, e dichiarano di non<br />

fare della politica. Alcuni forse si pentono, vorrebbero che tutto finisse bene e presto, senza<br />

inconvenienti <strong>nel</strong>la carriera e con l’approvazione di Sua Maestà!!!». Marinetti aspira ad avere<br />

un ruolo di rilievo <strong>nel</strong>l’impresa di Fiume, ma le sue idee repubblicane (e anche vagamente<br />

anarchiche) non si allineano a quelle del Vate, che, invece, non ha mai cessato di essere<br />

un monarchico convinto. Per questo Marinetti e Vecchi, vestiti da ferrovieri se ne vanno<br />

da Fiume, sospettati, tra l’altro, di aver svolto propaganda sediziosa contro D’Annunzio.<br />

Tuttavia, Marinetti aveva lasciato a Fiume molto più di quanto credesse: il suo manifesto Al<br />

di là del comunismo disegna la pura utopia che meglio rappresentava il suo «stato d’animo<br />

politico» in quel periodo, descrivendo una «soluzione artistica al problema sociale», proprio<br />

come <strong>nel</strong> tentativo della Reggenza. Non a caso all’interno della Costituzione fiumana si<br />

trovano numerosi espliciti paralleli con questo manifesto, si pensi, per esempio, al ruolo della<br />

musica, che per Marinetti «regnerà sul mondo» e per D’Annunzio è «una istituzione religiosa<br />

e sociale».<br />

«Grazie a noi il tempo verrà in cui la vita non sarà più semplicemente una vita di pane e di<br />

fatica, né una vita d’ozio, ma in cui la vita sarà una vita-opera d’arte» scrisse Marinetti, ma si<br />

sbagliava.<br />

L’utopia dannunziana di un terzo Rinascimento, non avrebbe più avuto un luogo dove<br />

prendere vita, se non <strong>nel</strong>l’esilio dorato del Vittoriale né sarebbe più esistita una natura dove<br />

avrebbero trovato rifugio i miti del passato: ormai gli astri sarebbero stati figli soltanto della<br />

nuova energia artificiale delle turbine.<br />

<strong>Il</strong>luminata da miriadi di lune elettriche, l’epoca del mito era veramente finita: ora non restava<br />

che il rombo dei motori, il crepitio delle nuove armi e il gran Binario futurista proteso alla<br />

conquista di un continente: anche i sogni di Marinetti avrebbero avuto, vent’anni più tardi, un<br />

esito ben diverso dalla sua immaginazione…<br />

Chi e dove Liceo Sceintifico Enrico Fermi - Salò<br />

Classi coinvolte Quinta C e H<br />

Docenti referenti Gianluca Chiodni E Laura Truzzi<br />

120 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 121 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

progetto 5 L’uomo del Novecento e l’orizzonte<br />

tecnologico: il destino dell’uomo<br />

macchina<br />

La letteratura italiana, anche per i ritardi dello sviluppo economico e sociale, è rimasta a<br />

lungo legata (da Manzoni a Verga, ma ancora in pieno Novecento) a una realtà contadina,<br />

ignorando la dimensione della città, che rappresenta l’ambiente tipico creato dalla<br />

Rivoluzione industriale, con tutti i suoi problemi e le sue contraddizioni. Anche in un<br />

movimento per tanti aspetti innovatore come quello della Scapigliatura, le prime avvisaglie<br />

dell’industrializzazione suscitano una reazione di sconcerto, conflittuale e negativa. Così<br />

Emilio Praga, nei versi di La strada ferrata (1878), rimpiangeva la scomparsa del vecchio<br />

mondo: «Addio, pace de’ campi pensosi, / solitarie abitudini, addio; / l’operaio sul verde<br />

pendìo / già distende il ferrato cammin».<br />

Già quarantasette anni prima, tuttavia, è possibile riscontrare, <strong>nel</strong>la lucida visione di Giacomo<br />

Leopardi, il tema della considerazione negativa nei confronti della società moderna e della sua<br />

fede <strong>nel</strong>le conquiste del progresso sociale e tecnologico.<br />

La Palinodia al marchese Gino Capponi (1831), inclusa nei Canti, è infatti una sorta di satira<br />

di sapore pariniano, scritta <strong>nel</strong>la forma di ironica ritrattazione.<br />

II bersaglio della satira leopardiana è l’ottimismo progressista, che vede l’umanità avviata verso<br />

un futuro di mirabile felicità grazie alle conquiste tecnologiche ed al progresso delle conoscenze<br />

e delle condizioni sociali. <strong>Il</strong> poeta invece ritiene che i mali dell’uomo siano iscritti <strong>nel</strong>l’ordine<br />

stesso di natura, e perciò siano i<strong>nel</strong>iminabili, e che sia stolto pensare di rendere felice l’uomo<br />

con le riforme politiche e il progresso materiale, visto che l’infelicità è una realtà eterna e<br />

immodificabile.<br />

<strong>Il</strong> dato più significativo è comunque la constatazione ironica dei “benefici” (si noti l’effetto straniante<br />

dell’inserimento del cholera <strong>nel</strong>l’enumerazione delle espressioni delle conquiste umane) che<br />

deriveranno all’umanità dallo sviluppo delle tecnologie:<br />

«Universale amore / Ferrate vie, moltiplici commerci / Vapor, tipi e choléra i più divisi<br />

Popoli e climi stringeranno insieme / Né maraviglia fia se pino o quercia<br />

Suderà latte e mele, o s’anco al suono/ D’un walser danzerà. Tanto la possa<br />

Infin qui de’ lambicchi e delle storte, / E le macchine al cielo emulatrici<br />

Crebbero, e tanto cresceranno al tempo / Che seguirà » (vv. 42-52)<br />

Fortunato Depero, Automa<br />

(studio per “ballerina - idolo”)<br />

1917, carboncino su carta<br />

29 x 20,6 cm.


Fortunato Depero, Automa<br />

baffuto e pappagallo, 1917<br />

circa, matita e carboncino su<br />

cartoncino incollato su carta<br />

da imballo, 49,2 x 34 cm.<br />

progetto 5 L’uomo del Novecento e l’orizzonte tecnologico progetto 5 L’uomo del Novecento e l’orizzonte tecnologico<br />

Tale visione pessimistica è già evidenziata <strong>nel</strong>la quarta delle Operette Morali: Proposta di premi<br />

fatta dall’Accademia dei Sillografi (composta a Recanati, tra il 22 e il 25 febbraio, 1824) che, a sua<br />

volta, costituisce una satira nei confronti della civiltà delle macchine, ritenuta dai moderni fonte di<br />

progresso e di felicità per gli uomini.<br />

Una fantomatica Accademia (Accademia dei Silografi) propone che, in questa era delle macchine,<br />

siano proprio gli automi ad accollarsi le miserie e le fatiche degli uomini, magra consolazione, vista<br />

l’impossibilità di porvi altro rimedio. Propone pertanto tre premi per chi saprà costruire altrettante<br />

macchine automate (antenate dei moderni robot) utili all’umanità: la prima consiste <strong>nel</strong>l’amico<br />

perfetto, la seconda in un uomo artificiale in grado di compiere opere virtuose e magnanime, la<br />

terza <strong>nel</strong>lla donna perfetta, moglie fedele e garanzia di felicità coniugale, così come è descritta dal<br />

Castiglione <strong>nel</strong> Cortegiano.<br />

Sillografi, <strong>nel</strong>la letteratura greca, erano scrittori di brevi composizioni burlesche e tale è il tono<br />

dell’operetta. Oggetto della satira non sono tanto le Accademie in sé, quanto l’astrattezza e la<br />

confusione della loro attività. <strong>Il</strong> clima culturale arretrato in cui si colloca questa proposta di premi<br />

per gli inventori di tre macchine “impossibili” dà spazio alla satira, che si insinua tra la realtà del<br />

moderno “macchinismo” e la mancanza di concreta riflessione su ciò che esso significa:<br />

«L’Accademia dei Sillografi attendendo di continuo, secondo il suo principale instituto, a<br />

procurare con ogni suo sforzo l’utilità comune, e stimando niuna cosa essere più conforme<br />

a questo proposito che aiutare e promuovere gli andamenti e le inclinazioni Del fortunato<br />

secolo in cui siamo, come dice un poeta illustre; ha tolto a considerare diligentemente le<br />

qualità e l’indole del nostro tempo, e dopo lungo e maturo esame si è risoluta di poterlo<br />

chiamare l’età delle macchine, non solo perché gli uomini di oggidì procedono e vivono<br />

forse più meccanicamente di tutti i passati, ma eziandio per rispetto al grandissimo numero<br />

delle macchine inventate di fresco ed accomodate o che si vanno tutto giorno trovando ed<br />

accomodando a tanti e così vari esercizi, che oramai non gli uomini ma le macchine, si può<br />

dire, trattano le cose umane e fanno le opere della vita ».<br />

È una polemica contro il secolo, in cui le macchine intervengono sempre più; non<br />

a caso significativo è l’insistente ritorno del sostantivo macchina <strong>nel</strong>la Proposta,<br />

“entità” ossessiva dei tempi moderni. La macchina scardina l’orizzonte naturale,<br />

forma l’io segnato tecnologicamente,<br />

l’uomo diviene automato, ossia automa semovente, sostitutivo dell’uomo <strong>nel</strong>le<br />

facoltà fisiche e <strong>nel</strong>la sfera spirituale:<br />

«…disperando la miglior parte dei filosofi di potersi mai curare i difetti del genere umano,<br />

i quali, come si crede, sono assai maggiori e in più numero che le virtù; e tenendosi per certo che sia<br />

piuttosto possibile di rifarlo del tutto in una nuova stampa, o di sostituire in suo luogo un altro, che di<br />

emendarlo;l’Accademia dei Sillografi reputa essere espedientissimo che gli uomini si rimuovano dai<br />

negozi della vita il più che si possa, e che a poco a poco dieno luogo, sottentrando le macchine in loro<br />

scambio. E deliberata di concorrere con ogni suo potere al progresso di questo nuovo ordine delle cose,<br />

propone per ora tre premi a quelli che troveranno le tre macchine infrascritte ».<br />

Qui emerge il discorso che sta a cuore a Leopardi, quello sulla possibilità di un reale progresso<br />

dell’uomo. <strong>Il</strong> rischio è che le macchine superino l’uomo, in un destino senza anima, magnanimità<br />

e lealtà. L’essere umano abbandonato ad un mondo meccanizzato diviene un androide freddo,<br />

esatto, convenzionale, un oltre uomo, in un orizzonte tecnologico esasperato.<br />

In seguito, <strong>nel</strong>la visione dei Futuristi all’inizio del Novecento, l’androide diventerà figura di un<br />

possibile risveglio, la misura del nostro essere, nonché l’idea della nostra sorte, per immaginare<br />

un altro futuro, ma per il momento <strong>nel</strong>la sconsolata visione del poeta di Recanati l’automato<br />

rappresenta il pericolo di una sostituzione non solo materiale, ma bensì spirituale dell’uomo:<br />

«…(l’Accademia) confida dovere in successo di tempo gli uffici e gli usi delle macchine venire a<br />

comprendere oltre le cose materiali, anche le spirituali; onde <strong>nel</strong>la guisa che per virtù di esse<br />

macchine siamo già liberi e sicuri dalle offese dei fulmini e delle grandini, e da molti simili mali e spaventi,<br />

così di mano in mano si abbiano a ritrovare, per modo di esempio (e facciasi grazia alla novità dei nomi),<br />

qualche parainvidia, qualche paracalunnie o paraperfidia o parafrodi, qualche filo di salute o altro ingegno<br />

che ci scampi dall’egoismo, dal predominio della mediocrità, dalla prospera fortuna degl’insensati, de’<br />

ribaldi e de’ vili, dall’universale noncuranza e dalla miseria de’ saggi, de’ costumati e de’ magnanimi, e<br />

dagli altri sì fatti incomodi, i quali da parecchi secoli in qua sono meno possibili a distornare che già non<br />

furono gli effetti dei fulmini e delle grandini».<br />

Alla visione negativa di Leopardi si oppone quella di Giosue Carducci, <strong>nel</strong>l’Inno a Satana (1863), che<br />

celebra il trionfo del progresso realizzatosi <strong>nel</strong>l’emblema della macchina. L’avvento della locomotiva,<br />

come segno del trionfo della scienza e del libero pensiero.<br />

Carducci stesso, in anni più maturi, diede un giudizio molto severo su quest’inno, definendolo una<br />

«chitarronata». La poesia , tuttavia, è un documento importante della tendenza della cultura e della<br />

mentalità del secondo Ottocento. L’opera esprime in forma provocatoria l’adesione dell’autore ad<br />

una cultura laica, positivista, celebratrice del mito della scienza.<br />

Dai reazionari ogni aspetto della modernità era condannato come prodotto di Satana<br />

(ne è esempio eloquente il Sillabo di Pio IX, del 1864). Carducci accetta questa definizione,<br />

ma la rovescia polemicamente in positivo, celebrando la figura di Satana. I fattori che i reazionari<br />

esecrano come opera del demonio, per Carducci sono gli aspetti più positivi della<br />

vita. Satana è così assunto come simbolo delle gioie terrene, delle bellezze naturali e artistiche, della<br />

libertà di pensiero, della ribellione a ogni forma di dogma e dispotismo, del progresso della scienza.<br />

«Ne la materia / Che mai non dorme, / Re de i fenomeni, / Re de le forme,<br />

Sol vive Satana. / Ei tien l’impero / Nel lampo tremulo / D’un occhio nero,<br />

O ver che languido / Sfugga e resista, / Od acre ed umido / Provochi, insista».<br />

(vv. 36-48)<br />

<strong>Il</strong> trionfo del progresso, <strong>nel</strong>le strofe finali, si compendia <strong>nel</strong> simbolo della locomotiva, della<br />

macchina, motivo molto caro alla retorica del tempo (si veda anche La strada ferrata di Emilio<br />

Praga):<br />

«Un bello e orribile / Mostro si sferra, / Corre gli oceani, / Corre la terra:<br />

Corusco e fumido / Come i vulcani, / I monti supera, / Divora i piani;<br />

sorvola i baratri; / Poi si nasconde / Per antri incogniti, / per vie profonde ;<br />

Ed esce; e indomito / Di lido in lido / Come di turbine / Manda il suo grido,<br />

Come di turbine / L’alito spande: / Ei passa, o popoli, / Satana il grande<br />

Passa benefico / Di loco in loco / Su l’infrenabile / Carro del foco».<br />

(vv. 169-192)<br />

Questa concezione è contrapposta a quella del Cristianesimo,che per Carducci nega la bellezza,<br />

il progresso, la libertà, e la gioia vitale, mortifica la ragione col dogmatismo e la gioia vitale con<br />

l’ascesi e la rinuncia.<br />

Satana trionfava <strong>nel</strong> mondo pagano, poi fu scacciato dal Cristianesimo; secondo l’autore nei tempi<br />

moderni la forza della ragione ha di nuovo vinto ogni dogmatismo e oscurantismo.<br />

Secondo Carducci oggi la «forza vindice» della ragione e del progresso ha di nuovo vinto ogni<br />

oscurantismo e dogmatismo, cancellando l’oppressione religiosa.<br />

«Salute, o Satana, / O ribellione, / O forza vindice / De la ragione!<br />

Sacri a te salgano / Gl’incensi e i voti! / Hai vinto il Geova / De i sacerdoti».<br />

(vv.193-200)<br />

Levare un inno a Satana assumendolo come emblema del progresso e della gioia vitale era<br />

fortemente provocatorio verso le concezioni conservatrici, benpensanti e clericali, e rivela<br />

l’atteggiamento battagliero che era proprio del giovane Carducci.<br />

La macchina, come cifra del progresso tecnologico, è destinata a divenire l’emblema della<br />

122 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 123 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>


Umberto Boccioni, Stati della<br />

mente: addii, 1911, olio su tela,<br />

70.5 x 96.2 cm<br />

Museum of Modern Art, New<br />

York.<br />

Antonio Sant’Elia, La città<br />

nuova-Casamento con<br />

ascensori esterni, galleria, fari e<br />

telegrafia, 1914.<br />

progetto 5 L’uomo del Novecento e l’orizzonte tecnologico progetto 5 L’uomo del Novecento e l’orizzonte tecnologico<br />

modernità e del rinnovamento, in grado<br />

di modificare la percezione del mondo<br />

e di sconvolgere la rappresentazione<br />

naturalistica della realtà, basata su principi<br />

di verosimiglianza.<br />

Infatti la seconda rivoluzione industriale,<br />

per il suo stretto rapporto con la scienza e<br />

con la tecnica, rende sempre più artificiale<br />

il rapporto tra l’uomo e la natura : modifica<br />

la percezione dello spazio e tempo. In<br />

questo processo ha un ruolo importante il<br />

nuovo scenario urbano.<br />

Nell’immaginario artistico e letterario la città si identifica con il movimento incessante della folla<br />

tumultuosa, con la fantasmagoria dell’illuminazione elettrica, con le vetrine lussuose, i caffè, i<br />

passages, i boulevards. Essa mostra materialmente i segni della rottura con il passato nei piani<br />

grandiosi di ristrutturazione urbanistica che cambiano il volto delle metropoli europee, rimpiazzando<br />

i vecchi quartieri medievali con le moderne architetture in ferro e vetro.<br />

In Charles Baudelaire l’immersione <strong>nel</strong>lo spettacolo della metropoli è uno dei tentativi di evasione,<br />

per altro vani, dallo spleen, ossia da quello stato di depressione cupa, di noia, di disgusto per il<br />

mondo in cui si vive.<br />

Nella seconda sezione di Fiori del Male (1857),<br />

Quadri parigini, troviamo la lirica Sogno parigino,<br />

in cui Baudelaire immagina la città come un<br />

orizzonte di trascendenza artificiale, che solleva<br />

l’uomo dall’inerzia: ciò che è naturale è vissuto<br />

come orrore, ciò che è artificiale e sovrannaturale<br />

incarna la nuova virtù:<br />

«Babele di scale, d’arcate, / un palazzo ch’era infinito,<br />

/ bacini dovunque, e cascate /<br />

sopra l’oro opaco e brunito.<br />

E poi, cateratte pesanti, / come tendaggi di cristallo, /<br />

erano sospese, abbaglianti, /<br />

lungo muraglie di metallo». (I, vv. 13-20)<br />

È presente il concetto di natura statica, inerte,<br />

silente. <strong>Il</strong> lancio <strong>nel</strong>l’artificiale, <strong>nel</strong> mondo del<br />

sogno, è un modo per sfuggire al naturale, per<br />

sollevarsi dall’inerzia :<br />

«Architetto di favolosi /mondi, facevo a piacimento /<br />

sotto un tun<strong>nel</strong> di preziosi /<br />

trascorrere un oceano lento.<br />

Tutto, anche il nero, era un fulgore, / era limpido, era iridato, / l’acqua incastonava la gloria /<br />

in un raggio cristallizzato.<br />

Non c’erano astri né vestigia / di sole, neppure a occidente, / per dar luce a tali prodigi, /<br />

infocati per propria fonte». (I, vv.37-48)<br />

L’autore cerca di cogliere le corrispondenze fra gli oggetti: tuttavia la percezione della bellezza<br />

al culmine del sogno dà la sensazione che la natura non offra quella bellezza; il sogno è definito<br />

terribile perché richiama ciò che si è perso in natura. Tornare alla realtà significa rivivere l’orrore e l’<br />

affanno maledetto:<br />

«Aperti gli occhi in un incendio, / l’orrore ho visto del mio tetto, / poi ho sentito, riavendomi,<br />

l’amaro affanno maledetto». (II, vv.1-4)<br />

È un orizzonte senza via di scampo, perché ciò che è concepito <strong>nel</strong>l’illusione del sogno è assente<br />

<strong>nel</strong>la realtà naturale; è quindi possibile collegare questo tema al disagio dell’io, allo spleen<br />

baudeleriano, all’incapacità di risvegliare la materia: la vita borghese <strong>nel</strong>la grande metropoli<br />

moderna diviene un incubo contrapposto al sogno.<br />

Va rilevato che anche in Carducci l’elemento positivo della locomotiva, presente <strong>nel</strong>l’Inno a Satana,<br />

subirà un rovesciamento <strong>nel</strong>le Odi barbare, <strong>nel</strong>la lirica Alla stazione in una mattina d’autunno<br />

(1875):<br />

«Già il mostro, conscio di sua metallica / anima, sbuffa, crolla, ansa, i fiammei /<br />

occhi sbarra; immane pe ‘l buio / gitta il fischio che sfida lo spazio.<br />

Va l’empio mostro; con traino orribile / sbattendo l’ale gli amor miei portasi. /<br />

Ahi, la bianca faccia e ‘l bel velo / salutando scompar ne la tenebra» (vv.29-36)<br />

Se l’Inno rappresentava la celebrazione del progresso e dell’avanzata della scienza, in Alla stazione<br />

diviene invece palese la paura della macchina che distrugge dalle radici il sistema di vita dell’uomo,<br />

capovolge i valori tradizionali, è un mostro che minaccia di sfuggire al controllo dell’uomo e di<br />

rivolgersi contro il suo creatore. <strong>Il</strong> mostro non è più bello, ma empio; la vita moderna, rappresentata<br />

dalla stazione e dal treno, suscita ormai <strong>nel</strong> poeta solo angoscia e noia : bruttezza i<strong>nel</strong>iminabile,<br />

spleen, negazione della gioia e dell’amore.<br />

Non a caso anche Carducci, come Baudelaire,<br />

contrappone la fantasia, il sogno che richiama<br />

dal passato l’immagine lieta della donna<br />

amata, come unica arma per vincere lo spleen<br />

e l’orrore.<br />

«O viso dolce di pallor roseo, / o stellanti occhi<br />

di pace, o candida /<br />

tra’ floridi ricci inchinata / pura fronte con atto<br />

soave!<br />

Fremea la vita <strong>nel</strong> tepid’aere, / fremea l’estate<br />

quando mi arrisero; /<br />

e il giovine sole di giugno / si piacea di baciar<br />

luminoso» (vv.37-44)<br />

Pur <strong>nel</strong>la vasta gamma dei suoi significati<br />

la macchina è tuttavia destinata a divenire,<br />

<strong>nel</strong> volgere di pochi decenni, un mito (anche<br />

mostruoso, come abbiamo visto in Carducci),<br />

<strong>nel</strong> quale si raccolgono le aspirazioni<br />

della modernità, del rinnovamento, delle<br />

trasformazioni sociali; <strong>nel</strong> passaggio dalla<br />

realtà economica alla letteratura, essa assume<br />

il valore di un simbolo, in grado di alimentare<br />

le fantasie dell’immaginario collettivo.<br />

Un ruolo importante, <strong>nel</strong>la diffusione di tale nuova mitologia, è stato svolto <strong>nel</strong> nostro paese<br />

da Mario Morasso, ideologo e saggista a lungo dimenticato (nato a Genova <strong>nel</strong> 1871, non si<br />

conoscono il luogo e la data della morte). Morasso ha anticipato numerosi spunti e atteggiamenti<br />

del <strong>Futurismo</strong>, in opere come II nuovo aspetto meccanico del mondo (1907), che conferma<br />

elementi di contatto con il programma di Marinetti .<br />

Ma le convergenze più evidenti riguardano proprio l’esaltazione della macchina ritenuta portatrice<br />

di valori (il culto della potenza, il gusto per il rischio, il fascino del record e la bellezza della<br />

velocità)capaci di rinnovare completamente la realtà. A questa tematica è dedicato, in particolare,<br />

un volume del 1905, La nuova arma (la macchina), in cui l’autore così esprime le sue intenzioni: «Io<br />

ho la convinzione irremovibile che la macchina sarà il principale modellatore delle future coscienze,<br />

124 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 125 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Antonio Sant’Elia, Studio per la<br />

Città Nuova, 1914.


Luigi Russolo, Dinamismo di<br />

un’automobile, 1912-13,<br />

Parigi, Musèe National d’Art<br />

Moderne.<br />

progetto 5 L’uomo del Novecento e l’orizzonte tecnologico progetto 5 L’uomo del Novecento e l’orizzonte tecnologico<br />

il più profondo ed efficace educatore della società umana, che essa sarà l’emblema, il perno della<br />

forma di civiltà che si sostituirà alla nostra».<br />

In uno scritto, raccolto <strong>nel</strong>l’opera appena ricordata, Gli eroi della macchina, celebra la fine gloriosa<br />

di un pilota, che, <strong>nel</strong> tentativo di battere un record di velocità, si schianta con la sua Mercedes,<br />

perdendo la vita. Nella misura in cui incarna il mito più alto della modernità, la macchina<br />

rappresenta l’eroismo dell’età presente, che si contrappone alla vile e piatta mediocrità della società<br />

contemporanea. Alla glorificazione della vittima che è andata incontro alla morte senza battere<br />

ciglio, si accompagna la dura requisitoria contro il sentimentalismo e l’umanitarismo della mentalità<br />

borghese, contraria alla pratica di sport pericolosi e nemica di ogni forma di audacia.<br />

Attraverso un processo di sublimazione l’eroe dei tempi nuovi viene paragonato alle figure mitiche<br />

e divine di un passato arcaico e superumano, come risulta dalle seguenti similitudini: «come quel<br />

re che sorpreso da subitanea paura della battaglia gittò via l’elmo e spronò a sangue il cavallo<br />

portandosi primo all’assalto»; «un impeto che al pari di quello mitico di Prometeo e di Icaro si<br />

scagliava alla conquista di una facoltà non ancora posseduta dall’uomo»; «l’uomo, l’uomo, l’uomo<br />

impavido e calmo come un semidio, signore delle tempeste».<br />

I Futuristi identificano <strong>nel</strong>la macchina il mezzo e il fine della creatività artistica e della sensibilità<br />

estetica, inneggiano alla tecnologia che risveglia l’energia della natura, non la percezione estetica,<br />

ormai morta.<br />

Un punto di contatto con Morasso, <strong>nel</strong>l’esaltazione del nuovo eroismo della macchina, è evidente<br />

ne La nuova religione-morale della velocità (manifesto futurista pubblicato <strong>nel</strong> primo numero del<br />

giornale “L’Italia Futurista”- 11 Maggio 1916) di Marinetti:<br />

«L’Ebbrezza delle grandi velocità in automobile non è che la gioia di sentirsi fusi con l’unica divinità. Gli<br />

sportsmen sono i primi catecumeni di questa religione. Prossima distruzione delle case e delle città, per<br />

formare dei grandi ritrovi di automobili e di aeroplani» .<br />

Nella nuova mitologia offerta dal progresso è la religione della velocità la nuova morale : essa offre<br />

una nuova possibilità di incontro con il divino all’uomo. L’Ebbrezza della velocità fa sentire fusi con<br />

il divino: è una nuova percezione dell’io e della sua vita interiore. La morale futurista difende l’uomo<br />

dalla decomposizione, di cui parlava Baudelaire, determinata dal riposo, dall’inerzia, dall’analisi. La<br />

vita interiore si è svuotata:<br />

«Nel mio primo manifesto (20 febbraio 1909) io dichiarai: la magnificenza del mondo s’è arricchita di una<br />

bellezza nuova, la bellezza della velocità. Dopo l’arte dinamica la nuova religione-morale della velocità<br />

nasce in quest’anno futurista della nostra grande guerra liberatrice. La morale cristiana servì a sviluppare<br />

la vita interna dell’uomo. Non ha più ragione d’essere oggi, poiché s’è vuotata di tutto il Divino.<br />

La morale cristiana difese la struttura fisiologica dell’uomo dagli eccessi della sensualità. Moderò i suoi<br />

istinti e li equilibrò. La morale futurista difenderà l’uomo dalla decomposizione determinata dalla lentezza,<br />

dal ricordo, dall’analisi, dal riposo e dall’abitudine. L’energia umana centuplicata dalla velocità dominerà il<br />

Tempo e lo Spazio».<br />

L’estetica della velocità si oppone dunque alla tradizionale morale cristiana considerata riflessiva,<br />

raziocinante, inibitoria, timida, difensiva; quella<br />

futurista, al contrario, è audace, virile, aggressiva,<br />

moltiplicatrice delle forze umane, fino al dominio<br />

assoluto dello spazio e del tempo. Solo l’estrema<br />

velocità consente una vera e sintetizzante<br />

simultaneità.<br />

Ecco allora che la locomotiva cessa di essere<br />

il mostro di carducciana memoria e addirittura<br />

diviene il luogo sacro, deputato al culto della<br />

velocità da parte dell’uomo macchina:<br />

«Se pregare vuol dire comunicare con la divinità,<br />

correre a grande velocità è una preghiera.<br />

Santità della ruota e delle rotaie. Bisogna inginocchiarsi sulle rotaie per pregare la divina velocità.<br />

Bisogna inginocchiarsi davanti alla velocità rotante di una bussola giroscopica: 20.000 giri al minuto,<br />

massima velocità meccanica raggiunta dall’uomo. Bisogna rapire agli astri il segreto della loro velocità<br />

stupefacente, incomprensibile. Partecipiamo dunque alle grandi battaglie celesti; affrontiamo gli astripalle<br />

lanciati da cannoni invisibili; gareggiamo con la stella 1830 Groombridge, che vola a 241 km. al<br />

secondo, con Arturo che vola a 413 km. al secondo. Invisibili artiglieri matematici. Guerre in cui gli astri,<br />

essendo ad un tempo proiettili e artiglieri, lottano di velocità per sfuggire a un astro piú grosso o colpirne<br />

uno piú piccolo. Nostri santi sono gli innumerevoli corpuscoli che penetrano <strong>nel</strong>la nostra atmosfera a<br />

una velocità media di 42.000 metri al secondo. Nostre sante sono la luce e le onde elettromagnetiche<br />

3×10¹º metri al secondo».<br />

«Luoghi abitati dal divino - I treni; i vagoni-ristoranti (mangiare in velocità). Le stazioni ferroviarie;<br />

specialmente quelle dell’Ovest America, dove i treni lanciati a 140 km all’ora passano bevendo (senza<br />

fermarsi) l’acqua necessaria e i sacchi della posta. I ponti e i tun<strong>nel</strong>s. La piazza dell’Opéra di Parigi. Lo<br />

Strand di Londra. I circuiti d’automobili. Le films cinematografiche. Le stazioni radiotelegrafiche. I grandi<br />

tubi che precipitano delle colonne d’acqua alpestri per strappare all’atmosfera l’elettricità motrice ».<br />

L’intento è quello di adattare la letteratura<br />

al mondo tecnologico, all’attivismo e alla<br />

dinamicità della modernità: l’universo futurista<br />

è un’interminabile corsa, un movimento<br />

perenne, una gara senza fine. La luce è<br />

energia. Occorre staccare il pensiero dalla<br />

sfera mentale per passare attraverso la<br />

materia:<br />

«La nostra vita deve sempre essere una<br />

velocità portante: velocità pensiero + velocità<br />

del corpo + velocità dell’impiantito che porta<br />

il corpo + velocità dell’elemento (acqua o<br />

aria) che porta l’impiantito (bastimento o<br />

aeroplano). Staccare il pensiero dalla strada<br />

mentale per posarlo su quella materiale. Come<br />

una matita, lasciare sulla carta della strada<br />

odori (sparpagliamento corporale), pensieri<br />

(sparpagliamento spirituale) = accrescimento di velocità. La velocità distrugge la legge di gravità, rende<br />

soggettivi, e perciò schiavi, i valori di tempo e di spazio. I chilometri e le ore non sono eguali, ma variano,<br />

per l’uomo veloce, di lunghezza e di durata».<br />

In Fondazione e manifesto del <strong>Futurismo</strong> (1909) Marinetti aveva esaltato l’idea della macchina che<br />

permette all’uomo un possibile risveglio, con l’esplorazione di una trascendenza nuova, identificata<br />

con la materia, il movimento e l’energia. Questa nuova percezione dell’io che si perde e scorre<br />

attraverso l’universo trova la sua espressione <strong>nel</strong>la figura del Centauro, ossia dell’uomo potenziato<br />

<strong>nel</strong>la razionalità attraverso la macchina e dotato anche dell’istinto animale.<br />

Infatti <strong>nel</strong>la prima parte il Manifesto racconta un rito d’iniziazione di un gruppo di poeti durante una<br />

veglia notturna: il culmine viene raggiunto quando si lanciano in automobile per le vie della città di<br />

Milano:<br />

«Ma mentre ascoltavamo l’estenuato borbotto, di preghiere del vecchio canale e lo scricchiolar dell’ossa<br />

dei palazzi moribondi sulle loro barbe di umida verdura, noi udimmo subitamente ruggire sotto le finestre<br />

gli automobili famelici.<br />

“Andiamo,” diss’io, “andiamo, amici! Partiamo! Finalmente, la mitologia e l’ideale mistico sono superati.<br />

Noi stiamo per assistere alla nascita del Centauro e presto vedremo volare i primi Angeli!... Bisognerà<br />

scuotere le porte della vita per provarne i cardini e i chiavistelli!... Partiamo! Ecco, sulla terra, la<br />

primissima aurora! Non v’è cosa che agguagli lo splendore della rossa spada del sole che schermeggia<br />

per la prima volta <strong>nel</strong>le nostre tenebre millenarie!…”<br />

Ci avvicinammo alle tre belve sbuffanti, per palparne amorosamente i torridi petti. lo mi stesi sulla mia<br />

126 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 127 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Giacomo Balla, Velocità astratta<br />

(è passata l’automobile),<br />

1913, olio su tela.


Gerardo Dottori, Motociclista,<br />

1914, olio su tela 36 x 51 cm.<br />

progetto 5 L’uomo del Novecento e l’orizzonte tecnologico progetto 5 L’uomo del Novecento e l’orizzonte tecnologico<br />

macchina come un cadavere <strong>nel</strong>la bara, ma subito risuscitai sotto il volante, lama di ghigliottina che<br />

minacciava il mio stomaco».<br />

Poi un incidente automobilistico segna la rinascita del poeta, che lancia il suo appello a tutti gli<br />

uomini della terra. Nella seconda parte l’appello ha i toni profetici di un titanismo post-romantico e<br />

di un vitalismo per cui la lotta, la velocità, l’audacia governano lo slancio vitale dell’universo:<br />

«È dall’Italia, che noi lanciamo pel mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria,<br />

col quale fondiamo oggi il “<strong>Futurismo</strong>”, perchè vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena<br />

di professori, d’archeologhi, di ciceroni e d’antiquarii.<br />

Già per troppo tempo l’Italia è stata un mercato di rigattieri. Noi vogliamo liberarla dagl’innumerevoli<br />

musei che la coprono tutta di cimiteri innumerevoli».<br />

Nasce così un nuovo Centauro, figura mitica, metà uomo e metà bestia, assunta qui come simbolo<br />

dell’unione dell’uomo con la macchina.<br />

L’io si perde: è metà uomo e metà macchina. <strong>Il</strong> Centauro è il contrapposto positivo di ciò che in<br />

negativo era l’androide del Leopardi: i sentimenti umani non sono più scimmiottati dall’automa, ma<br />

bensì sublimati e superati grazie alla componente meccanica.<br />

<strong>Il</strong> Centauro è l’uomo che si potenzia, attraverso la macchina, <strong>nel</strong>la razionalità, ma è anche l’animale<br />

che si libera dai sentimenti, felice <strong>nel</strong>l’abbandono all’istinto e alla violenza, chiamato ad un destino<br />

di superamento dei vincoli della carne e della natura : la nuova trascendenza dell’uomo-macchina,<br />

in una visione dell’universo concepito come l’avventura di una corsa sfrenata ed interminabile.<br />

Tale metamorfosi trova compimento <strong>nel</strong>le righe con cui Marinetti chiude il Manifesto tecnico della<br />

letteratura futurista (11 maggio 1912):<br />

«Dopo il regno animale, ecco iniziarsi il regno meccanico. Con la conoscenza e l’amicizia della materia,<br />

della quale gli scienziati non possono conoscere che le reazioni fisico-chimiche, noi prepariamo la<br />

creazione dell’uomo meccanico dalle parti cambiabili. Noi lo libereremo dall’idea della morte, e quindi<br />

dalla morte stessa, suprema definizione dell’intelligenza».<br />

Da qui scaturisce in linea retta la nuova antropologia futurista, proclamata <strong>nel</strong> manifesto L’uomo<br />

moltiplicato e il regno della macchina (1910). Essa giunge ad ipotizzare una identificazione<br />

dell’Uomo con il Motore ed un loro reciproco interscambio di intuizioni, ritmi ed istinti.<br />

Una trasformazione meccanica dell’individuo, destinato ad un’evoluzione non più umana, ma<br />

motoristica da cui sarebbe dovuto nascere l’uomo nuovo, dotato di determinazione inumana,<br />

crudele e fortissimo, il solo capace di dominare il mondo.<br />

Gabriele D’Annunzio, <strong>nel</strong> romanzo Forse che sì forse che no (1913), riprenderà il motivo della<br />

macchina rendendola l’espressione allegorica di una contraddizione psicologico-esistenziale: fra la<br />

macchina terrestre (l’automobile)che simboleggia le forze oscure e diaboliche, portatrici di morte, e<br />

la macchina celeste (l’aeroplano), come speranza di purezza e di liberazione.<br />

<strong>Il</strong> romanzo intreccia infatti il destino di un superuomo, Paolo Tarsis, con quelli degli Inghirami,<br />

Isabella, superdonna inquieta e possessiva, sua capricciosa amante, Vana, scontrosa e virginale,<br />

pure innamorata di Paolo, e Aldo, introverso e legato a Isabella da un torbido amore. Attraverso<br />

vicende alquanto labirintiche, forzate e macchinose, l’intreccio narrativo si scioglie tragicamente<br />

con il suicidio di Vana, la pazzia di Isabella e il riscatto «eroico» di Paolo, tornato libero, che sfida la<br />

morte, con un’ardita trasvolata.<br />

Nelle pagine iniziali dell’opera D’Annunzio descrive una corsa frenetica in automobile dei due<br />

amanti (Paolo e Isabella), avvinti e contrapposti da una passione incandescente; l’automezzo è in<br />

qualche modo l’elemento caratterizzante della loro azione, dei loro sentimenti, delle loro sensazioni<br />

e del loro stesso stile di vita:<br />

« – Mi amate? – Non so – Vi prendete gioco di me? – Tutto è gioco.<br />

<strong>Il</strong> furore gonfiò il petto dell’uomo chino sul volante della sua rossa macchina precipitosa, che correva<br />

l’antica strada romana con un rombo guerresco simile al rullo d’un vasto tamburo metallico.<br />

– Siete capace di metter la vita per ultima posta? – Capace di tutto.<br />

Parve guizzarle tra i denti e il bianco degli occhi l’acutezza del sorriso formidabile come il baleno di<br />

un’arme a doppio taglio. Con la destra il furibondo afferrò la leva, accelerò la corsa come <strong>nel</strong>l’ardore<br />

d’una gara mortale, sentì pulsare <strong>nel</strong> suo proprio cuore la violenza del congegno esatto. <strong>Il</strong> vento gli<br />

mozzava le parole su le labbra arsicce.<br />

– Ora ho la vostra vita <strong>nel</strong>le mie mani come questo cerchio. – Sì. – Posso distruggerla. – Sì.<br />

– Posso in un attimo scagliarla <strong>nel</strong>la polvere, schiacciarla contro le pietre, fare di voi e di me un solo<br />

mucchio sanguinoso».<br />

In Maia, <strong>nel</strong>la Preghiera a Erme, D’Annunzio esalta la macchina industriale come docile strumento<br />

dell’uomo, che riesce a moltiplicare facilmente, senza fatica, la sua forza creatrice.<br />

Riscontriamo un’immagine utopica, quasi idillica, di un mondo automatizzato meccanicamente,<br />

che libera l’uomo dal lavoro e gli assicura abbondanza inesauribile di beni. Alla macchina<br />

produttrice di beni si affianca però immediatamente il suo doppio, la nave da guerra, simbolo di<br />

potenza guerriera: l’esaltazione della potenza industriale sfocia inevitabilmente <strong>nel</strong>l’esaltazione<br />

dell’imperialismo aggressivo.<br />

Tuttavia, a differenza dei futuristi, la macchina resta pur sempre per D’annunzio una realtà<br />

128 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 129 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Vittoriale, Aereo del volo su<br />

<strong>Vie</strong>nna.


Umberto Boccioni, La strada<br />

entra <strong>nel</strong>la casa, 1911, olio su<br />

tela, 100 x 100 cm.<br />

Hannover, Sprengel Museum.<br />

progetto 5 L’uomo del Novecento e l’orizzonte tecnologico progetto 5 L’uomo del Novecento e l’orizzonte tecnologico<br />

inquietante, estranea, ostile. Per questo egli sente il bisogno di esorcizzarne la presenza.<br />

<strong>Il</strong> procedimento che adotta consiste <strong>nel</strong>l’assimilare l’estraneo al familiare: se la macchina è simbolo<br />

di un mondo diverso e minaccioso, il poeta sovrappone ad essa realtà note e rassicuranti. Ciò è<br />

ottenuto mediante due espedienti: l’antropomorfizzazione della macchina, cioè l’assimilazione del<br />

metallo inanimato all’organicità vivente del corpo umano, oppure la sovrapposizione della mitologia<br />

e della storia classica.<br />

Si veda la serie dei paragoni e delle metafore antropomorfizzanti: il motore è simile al «sano cuore<br />

<strong>nel</strong> petto dell’uomo», la sua potenza «pulsa in quelle ossature polite», «circola in ogni membro»;<br />

la materia prima è trasfigurata «come da industria sagace d’innumerevoli dita»; l’ordigno lavora il<br />

metallo come la «man puerile incide la tenera canna»; la nave ha «un cuore di fuoco».<br />

La stessa funzione possiedono le immagini che assimilano la realtà meccanica a realtà naturali: le<br />

cinghie di trasmissione sono «cuoi serpentini», i magli sono più vasti delle rupi dei Ciclopi, le eliche<br />

della nave sono «ali marine».<br />

Ancor più numerosi e insistenti sono i rimandi mitologici o classici : il mondo dei traffici, delle<br />

banche, della Borsa è assimilato all’antica agorà ateniese, i «mercatori» sono «duci di genti», le<br />

macchine sono fatte della sostanza dei «clipei», delle «aste», sono una moltitudine di «Giganti<br />

impigri», moltiplicano il gesto del «paziente ilota» e sono paragonate ai telai della «lidia Aracne»; il<br />

lavoro delle fucine ricorda l’opera di Efesto.<br />

Anche Pirandello si confronta con il tema della<br />

città industriale, delle macchine, del progresso.<br />

A differenza dei futuristi, egli rifiuta l’ideologia<br />

della macchina e della velocità e <strong>nel</strong>la frenesia<br />

della vita cittadina non vede una manifestazione<br />

di vitalità, ma piuttosto un motivo di stordimento<br />

della coscienza. Già <strong>nel</strong> Fu Mattia Pascal (prima<br />

edizione 1904), Milano appare ad Adriano Meis,<br />

che vi si aggira spaesato, come un immenso<br />

«frastuono di uomini e macchine»: il progresso,<br />

che si concretizza <strong>nel</strong>le forme del tram elettrico<br />

e dell’illuminazione artificiale, non esercita alcun<br />

fascino su Pirandello. La città offre un progresso<br />

tecnologico che può rendere più facile, ma<br />

meccanica la vita dell’uomo e soprattutto senza<br />

donargli la felicità. Una vita «senza costrutto e<br />

senza scopo» che si evidenzia <strong>nel</strong>la figura del pover’uomo che si diverte a spendere il suo magro<br />

stipendio girando sul tram. (Fu Mattia Pascal, cap.V).<br />

Questa visione critica del progresso è condotta alle estreme conseguenze in Quaderni di Serafino<br />

Gubbio operatore (prima edizione 1915), romanzo incentrato sul cinema e la tecnologia.<br />

Pirandello vi demistifica un altro mito fondamentale del moderno, quello della velocità. La corsa<br />

affannata e il «fragoroso e vertiginoso meccanismo della vita», imposto dalle macchine, distrugge la<br />

memoria e la coscienza, avviando l’umanità ad uno stato di follia e subordinazione alla forma e alla<br />

maschera:<br />

«L’uomo che prima, poeta, deificava i suoi sentimenti e li adorava, buttati via i sentimenti, ingombro non<br />

solo inutile ma anche dannoso, e divenuto saggio e industre, s’è messo a fabbricar di ferro, d’acciajo le<br />

sue nuove divinità ed è diventato servo e schiavo di esse. Viva la Macchina che meccanizza la vita! Vi resta<br />

ancora, o signori, un po’ d’anima, un po’ di cuore e di mente? Date, date qua alle macchine voraci, che<br />

aspettano! […]<br />

E per forza il trionfo della stupidità, dopo tanto ingegno e tanto studio spesi per la creazione di questi<br />

mostri, che dovevano rimanere strumenti e sono divenuti invece, per forza, i nostri padroni. La macchina è<br />

fatta per agire, per muoversi, ha bisogno di ingojarsi la nostra anima, di divorar la nostra<br />

vita. E come volete che ce le ridiano, l’anima e la vita, in produzione centuplicata e continua, le macchine?<br />

Ecco qua: in pezzetti e bocconcini, tutti d’uno stampo, stupidi e precisi, da farne, a metterli su, uno su<br />

l’altro, una piramide che potrebbe arrivare alle stelle.»<br />

Infatti la vicenda di Serafino Gubbio si incentra sulla macchina da presa, che, trasformando<br />

il protagonista in una specie di essere meccanico, coglie un’oggettività delle cose che è solo<br />

superficiale e apparente, rilevando invece le finzioni e l’inautenticità delle convenzioni sociali, <strong>nel</strong><br />

continuo scambio fra illusione e realtà. La macchina, a questo punto, non può più offrire sicurezza e<br />

certezze conoscitive.<br />

La macchina da presa dissolve la vita, la riduce ad «ombra» e preclude la possibilità di conoscenza<br />

del reale : una sorta di animale mostruoso (torna il motivo della locomotiva di Carducci) che ingoia<br />

l’anima dell’uomo, ne sostituisce il pensiero e la parola fino ad annientare la stessa creatività artistica:<br />

«Che volete farci? Io sono qua. Servo la mia macchinetta, in quanto la giro perché possa mangiare. Ma<br />

l’anima, a me, non mi serve. Mi serve la mano; cioè serve alla macchina. L’anima in pasto, in pasto la vita,<br />

dovete dargliela voi signori, alla macchinetta ch’io giro. Mi divertirò a vedere, se permettete, il prodotto che<br />

ne verrà fuori. Un bel prodotto e un bel divertimento, ve lo dico io».<br />

L’utopia futurista del progresso si rovescia in una visione di «mostruosa gestazione meccanica»<br />

che conduce alla reificazione del protagonista del tutto omologato a un oggetto meccanico,<br />

caratterizzato dal «silenzio di cosa»: «una mano che gira una manovella».<br />

La nuova trascendenza del centauro, uomo-macchina è solo illusoria: culto della velocità conduce<br />

soltanto alla mistificata trasfigurazione del mondo. A questo punto l’unica alternativa alla follia che ne<br />

consegue è la prospettiva del finale di Uno, nessuno e centomila (1926): immergersi <strong>nel</strong> mito della<br />

vita allo stato puro.<br />

Una vita priva di qualsiasi senso immersa <strong>nel</strong>la natura, una condizione umana regredita <strong>nel</strong> perenne<br />

ed elementare flusso della vita cosmica.<br />

Non diverso da quello di Pirandello è l’atteggiamento di Italo Svevo nei confronti della<br />

meccanizzazione dell’uomo e del progresso tecnologico. Nell’episodio conclusivo de La coscienza<br />

di Zeno (1923) infatti l’autore critica palesemente la civiltà attuale, basata come mai in passato sul<br />

possesso degli «ordigni», cioè la civiltà dei capitali, delle borse, delle guerre totali: come in Serafino<br />

Gubbio l’uomo ha rinunciato all’autenticità della natura per scegliere la macchina e il caos alienante<br />

della civiltà moderna.<br />

«La vita attuale è inquinata alle radici. L’uomo s’è messo al posto degli alberi e delle bestie ed ha inquinata<br />

l’aria, ha impedito il libero spazio. Può avvenire di peggio. <strong>Il</strong> triste e attivo animale potrebbe scoprire e<br />

mettere al proprio servizio delle altre forze. V’è una minaccia di questo genere in aria. Ne seguirà una<br />

grande ricchezza... <strong>nel</strong> numero degli uomini. Ogni metro quadrato sarà occupato da un uomo. Chi ci<br />

guarirà dalla mancanza di aria e di spazio? Solamente al pensarci soffoco!»<br />

La natura ha dato agli animali la capacità di adattare il proprio organismo alle diverse situazioni, in<br />

modo da poter competere <strong>nel</strong>la lotta, secondo la legge del più forte:<br />

«Allorché la rondi<strong>nel</strong>la comprese che per essa non c’era altra possibile vita fuori dell’emigrazione, essa<br />

ingrossò il muscolo che muove le sue ali e che divenne la parte più considerevole del suo organismo. La<br />

talpa s’interrò e tutto il suo corpo si conformò al suo bisogno. <strong>Il</strong> cavallo s’ingrandì e trasformò il suo piede.»<br />

L’umanità si indebolisce invece a causa della rinuncia alla lotta darwiniana per la sopravvivenza,<br />

grazie alle comodità artificiali delle macchine che da «ordigni » utili ed efficaci sono passate ad<br />

essere superflue e prive di relazione con l’esigenza di sopravvivere.<br />

Ciò implica anche la rinuncia all’autenticità e all’integrità della natura, secondo la lezione di Rousseau.<br />

La società dell’«occhialuto» uomo insieme «furbo» e «debole» è fondata sulla menzogna: non a caso<br />

l’apparente guarigione e vittoria del protagonista del romanzo, realizzata attraverso la speculazione<br />

di Borsa e quella di guerra, è emblematica di una civiltà condannata alla disgregazione dalla perdita<br />

dell’autenticità.<br />

«Ma l’occhialuto uomo, invece, inventa gli ordigni fuori del suo corpo e se c’è stata salute e nobiltà in chi<br />

li inventò, quasi sempre manca in chi li usa. Gli ordigni si comperano, si vendono e si rubano e l’uomo<br />

130 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 131 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>


Carlo Carrà, I Cavalieri<br />

dell’apocalisse, 1908,<br />

olio su tela, 36 x 94 cm.<br />

Chigago, Art Institute.<br />

progetto 5 L’uomo del Novecento e l’orizzonte tecnologico progetto 5 L’uomo del Novecento e l’orizzonte tecnologico<br />

diventa sempre più furbo e più debole. Anzi si capisce che la sua furbizia cresce in proporzione della sua<br />

debolezza. I primi suoi ordigni parevano prolungazioni del suo braccio e non potevano essere efficaci che<br />

per la forza dello stesso, ma, oramai, l’ordigno non ha più alcuna relazione con l’arto. Ed è l’ordigno che<br />

crea la malattia con l’abbandono della legge che fu su tutta la terra la creatrice. La legge del più forte sparì<br />

e perdemmo la selezione salutare. Altro che psico-analisi ci vorrebbe: sotto la legge del possessore del<br />

maggior numero di ordigni prospereranno malattie e ammalati».<br />

Tuttavia il destino dell’uomo non sembra avviato solo alla disgregazione, ma bensì alla catastrofe.<br />

Svevo, con impressionante preveggenza rispetto al secondo conflitto mondiale, <strong>nel</strong>la pagina finale<br />

del romanzo si immagina che per riportare la «salute» sulla terra sia necessaria l’opera di un terribile<br />

ordigno che ha come fine quello di distruggere l’umanità.<br />

Si introduce così una sorta di utopia alla rovescia, pessimistica e negativa, che rifiuta ogni possibilità<br />

di riscatto e ribalta la fiducia futurista <strong>nel</strong>la «guerra sola igiene del mondo»:<br />

«Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. Quando i gas<br />

velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, <strong>nel</strong> segreto di una stanza di questo mondo,<br />

inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno<br />

considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un<br />

po’ più ammalato, ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al centro della terra per porlo <strong>nel</strong> punto ove il<br />

suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata<br />

alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie».<br />

A partire dagli anni Ottanta dell’Ottocento con l’elettricità, il telefono, il telegrafo, l’automobile, ed<br />

infine, all’inizio del Novecento, l’aereo, la velocità diventa il fattore essenziale <strong>nel</strong>la vita quotidiana<br />

(non a caso in questo periodo si diffondono gli orologi da taschino e da polso).<br />

Cambia il senso della distanza: attraverso il telefono e il telegrafo si sperimenta la simultaneità.<br />

La realtà viene percepita come un continuo divenire grazie al treno, all’automobile o, semplicemente<br />

alla bicicletta, che permettono di cambiare continuamente la prospettiva del paesaggio. L’uomo<br />

potenzia e trasforma le proprie percezioni sensorie, mentre il reale perde consistenza oggettiva,<br />

durata, immobilità.<br />

<strong>Il</strong> rovescio della medaglia è però che l’intellettuale vive una profonda crisi d’identità: posto di fronte<br />

all’ascesa vertiginosa della borghesia capitalistica, che impone un modello di società tutto basato<br />

sulla logica del profitto, avverte chiaramente la fine di un’epoca e prende coscienza della perdita<br />

del suo tradizionale ruolo sociale che era quello del creatore di valori. Nasce da ciò una situazione di<br />

disagio, di noia esistenziale, di malcontento, di provocazione, conseguente alla perdita dell’aureola<br />

che già affliggeva il poeta in Baudelaire.<br />

Si spiega così perché la macchina, negli ultimi decenni dell’Ottocento, aveva sempre suscitato<br />

orrore e paura <strong>nel</strong>l’artista, poiché era l’antitesi esatta di quel mondo «umano», fatto di bellezza<br />

e armonia, a cui l’umanista era disperatamente attaccato; essa concentrava simbolicamente<br />

in sé l’essenza della nuova realtà, che minacciava di meccanizzare e disumanizzare il mondo,<br />

distruggendo la bellezza dell’arte, i sentimenti, la natura stessa.<br />

Per questo la macchina era sempre stata presentata poeticamente come un mostro (dall’automato<br />

di Leopardi all’«empio mostro» di Carducci) fino alla necessità di D’Annunzio di esorcizzare la<br />

macchina industriale assimilandola, da elemento estraneo e minaccioso, alla realtà familiare e<br />

rassicurante della mitologia e del mondo classico.<br />

Altri intellettuali, come i Futuristi tendono a risolvere la<br />

crisi storica e dell’intellettuale in uno sfrenato attivismo,<br />

in un’esaltazione incondizionata della civiltà industriale,<br />

in una celebrazione della religione della macchina e<br />

della velocità.<br />

Essi, quindi, come reazione alla profonda crisi<br />

esistenziale, sia morale che culturale, degli albori<br />

del Novecento, si propongono di liquidare un certo<br />

vecchiume culturale ed ad esaltare incondizionatamente<br />

la civiltà industriale, la macchina, la velocità e la guerra,<br />

sentita come azzeramento totale per una nuova<br />

ricostruzione, poiché dopo la necessaria distruzione<br />

si profetizzava un nuovo mondo guidato da una<br />

generazione giovane, forte, vigorosa.<br />

I Futuristi fanno della velocità il fondamento della loro estetica: un’estetica macchinolatra, aperta<br />

agli sviluppi del mondo moderno, che sovverte l’ideale classico di bellezza sostituendovi un più<br />

attuale principio estetico-utilitaristico, ovvero è bello tutto ciò che è energico ed aggressivo,<br />

dinamico e funzionale, produttivo ed efficiente (non a caso Marinetti afferma di preferire<br />

l’automobile alla Nike di Samotracia: la prima non solo è più bella, ma soprattutto più utile).<br />

Tuttavia la rottura e la rivolta dimostra il suo carattere velleitario (analogamente al superuomo<br />

dannunziano di cui rappresenta il versante tecnologico) e finisce per diventare il basamento<br />

ideologico della spregiudicata borghesia industriale a cui fornisce l’esaltazione della macchina,<br />

della guerra e la giustificazione del dominio sulle folle.<br />

D’Altra parte scrittori, come Pirandello e Svevo, si impegnano in una inquieta e tormentosa<br />

analisi della malattia dell’uomo moderno <strong>nel</strong>la civiltà industriale e borghese, che essi condannano<br />

in maniera corrosiva e impietosa. Nelle loro opere questi scrittori parlano di malattia, di eroe in<br />

tensione, di inettitudine; e ancora di uomo senza qualità, (Musil) di uomo spersonalizzato, di male<br />

di vivere. Escono dalle loro opere personaggi incapaci di agire, tesi a smontare la storia dei loro<br />

fallimenti e della loro coscienza frantumata. Tali personaggi lottano invano contro i pregiudizi e la<br />

morale borghese, contro il progresso che aliena l’uomo; essi individuano chiaramente i meccanismi<br />

ripetitivi dell’inferno tecnologico che riduce l’uomo a semplice manovella, rovesciando così i miti<br />

imperialistici della macchina in malattia industriale.<br />

La riflessione umoristica di Pirandello infatti smaschera la falsità del mito della macchina e della<br />

metropoli, in realtà luogo dell’isolamento e dell’alienazione.<br />

Gli eccessi della meccanizzazione ed automatizzazione, intese come sradicamento e sopraffazione<br />

della vita interiore dell’uomo, conducono fatalisticamente alla follia o, <strong>nel</strong> migliore dei casi, alla<br />

regressione ad una vita elementare ed istintiva sullo sfondo di una natura mitica e primordiale.<br />

Non si riesce a configurare pienamente una figura di uomo rinnovato con valori alternativi a quelli<br />

tradizionali: la protesta, anche in questo caso, tende a risolversi in se stessa, in una dolente e amara<br />

impotenza.<br />

Addirittura in Svevo l’esito della tecnologia e dell’affermazione della macchina corrisponde alla fine<br />

del mondo stesso grazie agli ordigni creati dall’uomo.<br />

La macchina si carica di un altro segno negativo: consegna al suo creatore un potere assoluto che<br />

non può che essere usato in maniera distruttiva.<br />

132 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 133 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Gerardo Dottori, Trittico della<br />

velocità: La corsa, 1925-1927<br />

olio su tela, 132 x 113 cm<br />

Raccolta Dottori, Palazzo della<br />

Penna, Comune di Perugina.


progetto 5 L’uomo del Novecento e l’orizzonte tecnologico progetto 5 L’uomo del Novecento e l’orizzonte tecnologico<br />

L’UOMO DEL NOVECENTO E L’ORIZZONTE TECNOLOGICO:<br />

IL DESTINO DELL’UOMO MACCHINA<br />

(Unità di apprendimento)<br />

PREMESSA<br />

L’Unità Didattica offre spunti <strong>didattici</strong> notevoli facendo leva<br />

sull’interesse che, <strong>nel</strong>la fase di accostamento ad un’opera, si<br />

indirizza sugli elementi del contenuto. Tale percorso evidenzia<br />

il signifi cato di un tema in testi di autori dello stesso periodo<br />

o di periodi diversi : il tema diventa quindi fi lo conduttore al<br />

fi ne di contribuire ad abituare gli studenti alla dimensione sia<br />

sincronica che diacronica.<br />

Inoltre il tema prescelto corrisponde ai seguenti criteri :<br />

1) importanza di un determinato fi lone tematico <strong>nel</strong>la letteratura<br />

italiana<br />

2) trattazione dello stesso in opere di generi diversi<br />

3) possibilità di effettuare collegamenti con problematiche del<br />

mondo contemporaneo<br />

4) persistenza di tale tema <strong>nel</strong> tempo<br />

5) rispondenza agli interessi degli studenti<br />

Obiettivi generali<br />

- sviluppare <strong>nel</strong>lo studente la capacità di riconoscere la<br />

continuità di un elemento tematico <strong>nel</strong> tempo<br />

- storicizzare tale elemento tematico con riferimento ai modelli<br />

culturali di un’epoca<br />

- comprensione delle analogie e differenze tra opere che<br />

trattano lo stesso tema<br />

- abituare ad un più immediato collegamento fra i vari testi, con<br />

la possibilità di operare riferimenti anche alla letteratura classica<br />

e straniera o ad altri ambiti disciplinari<br />

- sviluppare le capacità critiche, logiche ed intuitive <strong>nel</strong> processo<br />

di rielaborazione del testo, in modo da cogliere il simile e il<br />

diverso nei testi affrontati<br />

Pre-requisiti:<br />

L’argomento verrà trattato all’interno del programma curricolare<br />

di una classe quinta di Liceo (II Quadrimestre) e necessita dei<br />

seguenti pre-requisiti per l’accostamento al percorso:<br />

- capacità di decodifi care un testo narrativo<br />

- conoscenza delle coordinate storiche del periodo in cui i testi<br />

sono inseriti<br />

- conoscenza della biografi a e della poetica degli autori scelti<br />

OBIETTIVI DIDATTICI<br />

Conoscenze<br />

- sapere come muta la rappresentazione dell’io fra ‘800 e<br />

‘900 negli autori proposti in riferimento al destino dell’uomo<br />

macchina e alla nuova percezione della coscienza<br />

- conoscenza dei testi letti <strong>nel</strong>la loro struttura complessiva<br />

Competenze<br />

- saper cogliere la diversa posizione dei vari autori rispetto<br />

al tema trattato (destino dell’uomo macchina e alla nuova<br />

percezione della coscienza)<br />

- riconoscere continuità di elementi tematici attraverso il tempo<br />

- saper argomentare in modo corretto e comunicare le<br />

conoscenze acquisite con linguaggio specifi co<br />

Capacità<br />

- analizzare i temi proposti con individuazione dei concetti<br />

chiave<br />

- stabilire confronti<br />

- formulare ipotesi interpretativa anche con apporti personali.<br />

Contenuti<br />

<strong>Il</strong> percorso verterà su tre principali problemi:<br />

1) <strong>Il</strong> Destino Uomo-Macchina<br />

2) La Natura Come Inerte<br />

3) L’Esplorazione di Una Nuova Trascendenza<br />

Testi Proposti<br />

G. Leopardi, Proposta di premi fatta dall’Accademia dei Silografi<br />

(Operette Morali)<br />

G. Carducci, Inno a Satana<br />

G. Carducci, Alla stazione in una mattina d’autunno (Odi<br />

Barbare)<br />

C. Baudelaire, Sogno Parigino (Fiori del Male)<br />

F.T. Marinetti, La nuova religione morale della velocità<br />

F.T. Marinetti, Manifesto del <strong>Futurismo</strong><br />

G. D’Annunzio, Forse che sì, forse che no, Tutto è gioco (pagine<br />

iniziali)<br />

G. D’Annunzio, Preghiera a Erme, vv.127-210 (Maia)<br />

L. Pirandello, Quaderni di Serafi no Gubbio Operatore, quad.1<br />

cap.2<br />

I. Svevo, La Coscienza di Zeno, cap. VIII (L’esplosione fi nale)<br />

Brano per la verifi ca<br />

R. Musil, L’Uomo senza Qualità – cap.11<br />

Tempi 20 ore (più i tempi di lettura individuale da parte degli<br />

studenti)<br />

Strumenti libri di testo, fotocopie, mappe concettuali, saggi<br />

critici.<br />

Metodologia<br />

Nella metodologia di lavoro si porrà attenzione alla centralità del<br />

testo e alla relazione tra testi per stabilire analogie e differenze,<br />

alla ricostruzione del contesto a partire da elementi testuali, al<br />

confronto con l’attualità.<br />

La lezione frontale servirà a introdurre la lettura, guidare<br />

l’analisi, integrare le conoscenze, suggerire letture ulteriori, con<br />

spazio per eventuali discussioni o momenti di sintesi.<br />

Alcuni testi verranno letti in classe, altri affi dati alla lettura<br />

individuale dopo aver fornito agli studenti strumenti d’analisi<br />

(domande, griglie).<br />

Verifi ca<br />

- questionario riguardante un testo nuovo con quesiti su analisi,<br />

comprensione e approfondimenti al fi ne di verifi care le capacità<br />

di rielaborazione dei contenuti.<br />

La valutazione sommativa terrà conto del raggiungimento degli<br />

obiettivi già indicati attraverso i seguenti criteri:<br />

- conoscenza e comprensione dei contenuti<br />

- applicazione delle conoscenze<br />

- capacità di analisi e sintesi<br />

<strong>Il</strong> livello minimo per conseguire la suffi cienza sarà fi ssato<br />

<strong>nel</strong>la conoscenza globale, anche se non approfondita, <strong>nel</strong>la<br />

comprensione essenziale dei contenuti, <strong>nel</strong>l’espressione<br />

semplice, ma chiara; <strong>nel</strong>l’applicazione autonoma delle<br />

conoscenze minime, <strong>nel</strong>la capacità di analizzare correttamente<br />

le conoscenze e di operare sintesi con coerenza, pur senza<br />

approfondire.<br />

Per la verifi ca del percorso si utilizza il testo di Musil, attraverso<br />

i seguenti punti di analisi:<br />

R. Musil: L’uomo senza qualità (1930) - cap.11<br />

In questo testo torna il motivo del sogno (già visto in Baudelaire<br />

Sogno parigino), qui però visto come fuga da una realtà<br />

alienante.“ Noi abbiamo conquistato la realtà e perduto il<br />

sogno… la matematica è l’origine di un perfi do raziocinio che<br />

fa, sì, dell’uomo il padrone del mondo, ma anche lo schiavo<br />

della macchina.”<br />

Secondo Musil la desolata solitudine dell’uomo, la sua<br />

inquietudine, la malvagità, la freddezza e la sete di denaro che<br />

contraddistinguono il suo tempo sono effetto del danno che il<br />

ragionare logico arreca all’anima.<br />

Comprensione del testo<br />

- Quale immagine di modernità l’autore vuole veicolare<br />

attraverso questo brano?<br />

- Cogli spunti polemici? In particolare commenta l’affermazione<br />

“Noi abbiamo conquistato la realtà e perduto il sogno”.<br />

- L’autore dà una propria interpretazione sull’elemento che<br />

ha determinato uno stacco fra la nuova e la vecchia umanità<br />

<strong>nel</strong>lo sviluppo del raziocinio e delle scienze ad esso connesse.<br />

Individua <strong>nel</strong> testo le affermazioni più signifi cative al riguardo.<br />

Analisi testuale<br />

- Individua le espressioni che si riferiscono alla sfera<br />

animalesca, all’irrompere della macchina <strong>nel</strong>la vita quotidiana e<br />

alla sfera trascendente<br />

- Qual è il tono dominante del brano?<br />

Approfondimento<br />

- Cogli <strong>nel</strong> brano il riferimento al contesto storico in cui visse<br />

Musil, evidenziando l’ambito specifi co della Rivoluzione<br />

industriale<br />

- In altri autori coevi hai individuato analoghe tematiche?<br />

134 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 135 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

- Nella società contemporanea questo testo è ancora attuale?<br />

Come si è evoluto e come giudichi il rapporto uomo-macchina?<br />

APPENDICE<br />

La nuova religione-morale della velocità<br />

Manifesto futurista pubblicato <strong>nel</strong> primo numero del giornale<br />

“L’Italia Futurista” 11 Maggio 1916<br />

Nel mio primo manifesto (20 febbraio 1909) io dichiarai: la<br />

magnifi cenza del mondo s’è arricchita di una bellezza nuova, la<br />

bellezza della velocità. Dopo l’arte dinamica la nuova religionemorale<br />

della velocità nasce in quest’anno futurista della nostra<br />

grande guerra liberatrice. La morale cristiana servì a sviluppare<br />

la vita interna dell’uomo. Non ha più ragione d’essere oggi,<br />

poiché s’è vuotata di tutto il Divino.<br />

La morale cristiana difese la struttura fi siologica dell’uomo<br />

dagli eccessi della sensualità. Moderò i suoi istinti e li equilibrò.<br />

La morale futurista difenderà l’uomo dalla decomposizione<br />

determinata dalla lentezza, dal ricordo, dall’analisi, dal riposo<br />

e dall’abitudine. L’energia umana centuplicata dalla velocità<br />

dominerà il Tempo e lo Spazio.<br />

L’uomo cominciò col disprezzare il ritmo isocrono e cadenzato<br />

dei grandi fi umi identico al ritmo del proprio passo. L’uomo<br />

invidiò il ritmo dei torrenti simile a quello del galoppo d’un<br />

cavallo. L’uomo domò i cavalli, gli elefanti e i cammelli per<br />

manifestare la sua autorità divina mediante un aumento della<br />

velocità. Strinse alleanza cogli animali più docili, catturò gli<br />

animali ribelli e si cibò degli animali commestibili. L’uomo<br />

rubò l’elettricità dello spazio e i carburanti, per crearsi dei<br />

nuovi alleati nei motori. L’uomo costrinse i metalli vinti e<br />

resi fl essibili mediante il fuoco, ad allearsi coi carburanti e<br />

l’elettricità. Formò così un esercito di schiavi, ostili e pericolosi<br />

ma suffi cientemente addomesticati, che lo trasportano<br />

velocemente sulle curve della terra.<br />

Sentieri tortuosi, strade che seguono l’indolenza dei fi umi e<br />

girano lungo le schiene e i ventri disuguali delle montagne, ecco<br />

le leggi della terra. Mai linea retta; sempre arabeschi e zigzag.<br />

La velocità dà fi nalmente alla vita umana uno dei caratteri della<br />

divinità: la linea retta.<br />

<strong>Il</strong> Danubio opaco, sotto la sua tonaca di fango, chino il volto<br />

sulla sua vita interna piena di grassi pesci libidinosi e fecondi,<br />

passa borbottando fra le alte ripe implacabili delle sue<br />

montagne, come <strong>nel</strong>l’immenso corridoio centrale della terra,<br />

convento scoperchiato dalle ruote veloci delle costellazioni. Fino<br />

a quando questo fi ume pedante permetterà che un’automobile<br />

lo superi a tutta velocità, col suo abbaiare di fox-terrier folle? Io<br />

spero di vedere presto il Danubio correre in linea retta a 300<br />

km. all’ora.<br />

Bisogna perseguitare, frustare, torturare tutti coloro che<br />

peccano contro la velocità.<br />

Grave colpevolezza delle città passatiste dove il sole si<br />

stabilisce, si adagia e non si muove più. Chi può credere che il<br />

sole si ritirerà questa sera? Eh via! Impossibile! Si è domiciliato<br />

qui. Piazze, laghi di fuoco stagnante. Strade, fi umi di fuoco


progetto 5 L’uomo del Novecento e l’orizzonte tecnologico progetto 5 L’uomo del Novecento e l’orizzonte tecnologico<br />

pigro. Non si passa, per ora. Non si esce! Inondazione di sole. Ci<br />

vorrebbe una barca frigorifera o uno scafandro di ghiaccio per<br />

attraversare quel fuoco. Rintanarsi. Despotismo, repressione<br />

poliziesca della luce, che incarcera i rivoltosi color di fresco e<br />

di velocità. Stato d’assedio solare. Guai al corpo che esce di<br />

casa. Una mazzata sulla testa. Morto. Ghigliottine solari su tutte<br />

le porte. Guai al pensiero che esce dal cranio. 2, 3, 4 note di<br />

piombo gli cadono addosso dal campanile-rudero. In casa,<br />

<strong>nel</strong>l’afa, rabbia di mosche nostalgiche. Stiramenti di cosce e di<br />

ricordi sudati.<br />

Lentezza peccaminosa delle folle domenicali e delle lagune<br />

veneziane.<br />

La velocità, avendo per essenza la sintesi intuitiva di tutte le<br />

forze in movimento, è naturalmente pura. La lentezza, avendo<br />

per essenza l’analisi razionale di tutte le stanchezze in riposo,<br />

è naturalmente immonda. Dopo la distruzione dell’antico bene<br />

e dell’antico male, noi creiamo un nuovo bene: la velocità, e un<br />

nuovo male: la lentezza.<br />

• Velocità=sintesi di tutti i coraggi in azione. Aggressiva e<br />

guerresca<br />

• Lentezza=analisi di tutte le prudenze stagnanti. Passiva e<br />

pacifi sta<br />

• Velocità=disprezzo degli ostacoli, desiderio di nuovo e<br />

d’inesplorato. Modernità, igiene<br />

• Lentezza=arresto, estasi, adorazione immobile degli<br />

ostacoli, nostalgia del già visto, idealizzazione della stanchezza<br />

e del riposo, pessimismo circa l’inesplorato. Romanticismo<br />

rancido del poeta viandante e selvaggio e del fi losofo zazzeruto<br />

occhialuto e sporco<br />

Se pregare vuol dire comunicare con la divinità, correre a<br />

grande velocità è una preghiera. Santità della ruota e delle<br />

rotaie. Bisogna inginocchiarsi sulle rotaie per pregare la divina<br />

velocità. Bisogna inginocchiarsi davanti alla velocità rotante<br />

di una bussola giroscopica: 20.000 giri al minuto, massima<br />

velocità meccanica raggiunta dall’uomo. Bisogna rapire agli<br />

astri il segreto della loro velocità stupefacente, incomprensibile.<br />

Partecipiamo dunque alle grandi battaglie celesti; affrontiamo<br />

gli astri-palle lanciati da cannoni invisibili; gareggiamo con<br />

la stella 1830 Groombridge, che vola a 241 km. al secondo,<br />

con Arturo che vola a 413 km. al secondo. Invisibili artiglieri<br />

matematici.<br />

Guerre in cui gli astri, essendo ad un tempo proiettili e artiglieri,<br />

lottano di velocità per sfuggire a un astro più grosso o colpirne<br />

uno più piccolo. Nostri santi sono gli innumerevoli corpuscoli<br />

che penetrano <strong>nel</strong>la nostra atmosfera a una velocità media di<br />

42.000 metri al secondo. Nostre sante sono la luce e le onde<br />

elettromagnetiche 3×10¹º metri al secondo.<br />

L’Ebbrezza delle grandi velocità in automobile non è che la gioia<br />

di sentirsi fusi con l’unica divinità. Gli sportsmen sono i primi<br />

catecumeni di questa religione. Prossima distruzione delle case<br />

e delle città, per formare dei grandi ritrovi di automobili e di<br />

aeroplani.<br />

Luoghi abitati dal divino - I treni; i vagoni-ristoranti (mangiare in<br />

velocità). Le stazioni ferroviarie; specialmente quelle dell’Ovest<br />

America, dove i treni lanciati a 140 km all’ora passano bevendo<br />

(senza fermarsi) l’acqua necessaria e i sacchi della posta. I ponti<br />

e i tun<strong>nel</strong>s. La piazza dell’Opéra di Parigi. Lo Strand di Londra.<br />

I circuiti d’automobili. Le fi lms cinematografi che. Le stazioni<br />

radiotelegrafi che. I grandi tubi che precipitano delle colonne<br />

d’acqua alpestri per strappare all’atmosfera l’elettricità motrice.<br />

I grandi sarti parigini che mediante l’invenzione veloce delle<br />

mode, creano la passione del nuovo e l’odio per il già visto.<br />

Le città modernissime e attive come Milano, che secondo gli<br />

americani ha il punch (colpo netto e preciso, col quale il boxeur<br />

mette il suo avversario knock-out). I campi di battaglia. Le<br />

mitragliatrici, i fucili, i cannoni, i proiettili sono divini. Le mine e le<br />

contromine veloci: far saltare il nemico PRIMA che il nemico ci<br />

faccia saltare. I motori a scoppio e i pneumatici d’un’automobile<br />

sono divini. La benzina è divina. Estasi religiosa che ispirano<br />

le centocavalli. Gioia di passare dalla 3ª alla 4ª velocità. Gioia<br />

di premere l’acceleratore, pedale russante della musicale<br />

velocità. Schifo che ispirano le persone invischiate <strong>nel</strong> sonno.<br />

Ripugnanza che io provo a coricarmi la sera. Io prego ogni<br />

sera, la mia lampadina elettrica; poiché una velocità vi si agita<br />

furiosamente.<br />

L’eroismo è una velocità che ha raggiunto sé stessa,<br />

percorrendo il più vasto dei circuiti.<br />

<strong>Il</strong> patriottismo è la velocità diretta d’una nazione; la guerra è<br />

il collaudo necessario di un esercito, motore centrale di una<br />

nazione.<br />

Una grande velocità d’automobile o d’aeroplano consente di<br />

abbracciare e di confrontare rapidamente diversi punti lontani<br />

della terra, cioè di fare meccanicamente il lavoro dell’analogia.<br />

Chi viaggia molto acquista meccanicamente dell’ingegno,<br />

avvicina le cose distanti guardandole sistematicamente e<br />

paragonandole l’una all’altra e ne scopre le simpatie profonde.<br />

Una grande velocità è una riproduzione artifi ciale dell’intuizione<br />

analogica dell’artista. Onnipresenza dell’immaginazione senza<br />

fi li = velocità. Genio creatore = velocità.<br />

• Velocità attiva e velocità passiva.<br />

• Velocità maneggiante (chauffeur) e velocità maneggiata<br />

(automobile).<br />

• Velocità modellante (scrivere, scolpente) e velocità<br />

modellata (scritta, scolpita).<br />

• Velocità portata da diverse velocità (treno spinto e tratto<br />

da 2 locomotive in testa e in coda) e velocità portante diverse<br />

velocità (transatlantico che porta parecchi motori di velocità<br />

diverse + diversi uomini in moto: marinai, macchinisti,<br />

passeggeri, camerieri, cuochi, nuotatori <strong>nel</strong>l’acqua agitata delle<br />

vasche + l’acqua agitata dai nuotatori + molti cani correnti o<br />

abbaianti + molte pulci balzanti [4] + le velocità potenziali di<br />

molti cavalli da corsa).<br />

Altro esempio di velocità portante diverse velocità: l’automobile<br />

portante lo chauffeur + velocità del suo pensiero che fa<br />

la seconda tappa o tutto ciò che rimane da fare, mentre<br />

l’automobile fa materialmente la prima tappa. Lo chauffeur<br />

prova infatti all’arrivo la noia del già visto.<br />

La nostra vita deve sempre essere una velocità portante:<br />

velocità pensiero + velocità del corpo + velocità dell’impiantito<br />

che porta il corpo + velocità dell’elemento (acqua o aria) che<br />

porta l’impiantito (bastimento o aeroplano). Staccare il pensiero<br />

dalla strada mentale per posarlo su quella materiale. Come una<br />

matita, lasciare sulla carta della strada odori (sparpagliamento<br />

corporale), pensieri (sparpagliamento spirituale) =<br />

accrescimento di velocità. La velocità distrugge la legge di<br />

gravità, rende soggettivi, e perciò schiavi, i valori di tempo e di<br />

spazio. I chilometri e le ore non sono eguali, ma variano, per<br />

l’uomo veloce, di lunghezza e di durata.<br />

Imitiamo il treno e l’automobile che impongono a tutto ciò<br />

che esiste lungo la strada di correre con velocità identica in<br />

senso inverso, e destano in tutto ciò che esiste lungo la strada<br />

lo spirito di contraddizione, cioè la vita. La velocità del treno<br />

costringe il paesaggio attraversato a dividersi in due paesaggi<br />

giranti in senso inverso alla sua direzione. Ogni treno porta via<br />

con sé la parte nostalgica dell’anima di chi lo vede passare.<br />

Le cose un po’ lontane, alberi, boschi, colline, montagne<br />

guardano con spavento questo avventarsi delle cose lanciate in<br />

senso inverso del treno, poi si decidono a seguirle, ma come a<br />

malincuore e più lentamente. Ogni corpo in velocità dondola da<br />

destra a sinistra e tende a divenire un pendolo.<br />

Correre correre correre volare volare. Pericolo pericolo pericolo<br />

pericolo a destra a sinistra sotto sopra dentro fuori fi utare<br />

respirare bere la morte. Rivoluzione militarizzata d’ingranaggi.<br />

Lirismo preciso conciso. Splendore geometrico. Per godere<br />

più fresco e più vita che nei fi umi e <strong>nel</strong> mare dovete volare<br />

<strong>nel</strong>la contro-corrente freschissima del vento a tutta velocità.<br />

Quando volai per la prima volta coll’aviatore Bielovucic, io<br />

sentii il petto aprirsi come un gran buco ove tutto l’orizzonte<br />

del cielo deliziosamente s’ingolfava liscio fresco e torrenziale.<br />

Alla sensualità lenta stemperata, delle passeggiate <strong>nel</strong> sole e<br />

nei fi ori, dovete preferire il massaggio feroce e colorante del<br />

vento impazzito. Leggerezza crescente. Infi nito senso di voluttà.<br />

Scendete dalla macchina con uno scatto leggerissimo ed<br />

elastico. Vi siete levato un peso di dosso. Avete vinto il vischio<br />

della strada. Avete vinto la legge che impone all’uomo di<br />

strisciare.<br />

Bisogna continuamente variare la velocità perché la nostra<br />

coscienza vi partecipi. La velocità ha <strong>nel</strong> doppio svolto la sua<br />

bellezza assoluta, poiché lotta:<br />

• contro la resistenza del suolo;<br />

• contro le pressioni varie dell’atmosfera;<br />

• contro l’attrazione del vuoto formato dallo svolto. La velocità<br />

in linea retta è massiccia, grossolana, incosciente. La velocità<br />

<strong>nel</strong>lo svolto e dopo lo svolto è la velocità agilizzata, cosciente.<br />

Meraviglioso dramma dello slittamento nei circuiti d’automobili.<br />

L’automobile tende a tagliarsi in due. Appesantimento della<br />

parte posteriore che diventa palla di cannone e cerca i declivi,<br />

i fossi, il centro della terra, per paura di nuovi pericoli. Piuttosto<br />

perire subito che continuare a rischiare.<br />

136 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 137 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

No! No! No! Gloria all’avantreno futurista che con una spallata<br />

o colpo di volante trae fuori dal fosso la parte posteriore del<br />

veicolo e la rimette in linea retta. Vicino a noi, fra noi senza<br />

binarî, delle automobili si slanciano, girano su sé stesse,<br />

balzano di qui alla curva dell’orizzonte, fragili, minacciate da tutti<br />

gli ostacoli preparati loro dagli svolti. <strong>Il</strong> doppio svolto superato in<br />

velocità è la più alta manifestazione della vita. Vittoria del nostro<br />

Io sui perfi di complotti del nostro Peso, che vuole assassinare<br />

a tradimento la nostra velocità trascinandola in un buco<br />

d’immobilità. Velocità = sparpagliamento + condensazione<br />

dell’Io. Tutto lo spazio percorso da un corpo si condensa in<br />

questo stesso corpo.<br />

• Velocità terrestre<br />

amore della terra-donna sparpagliamento sul mondo (lussuria<br />

orizzontale)= automobilismo accarezzante amorosamente le<br />

strade curve bianche e femminee<br />

• Velocità aerea<br />

odio della terra (misticismo perpendicolare) ascensione spiralica<br />

dell’Io verso il Nulla-Dio = Aviazione, agilità purgativa dell’olio di<br />

ricino.<br />

Ingranaggio veloce delle ruote del treno coi denti sorgenti dei<br />

rumori. Le ruote estraggono dalla terra tutti i rumori dormenti<br />

<strong>nel</strong>la materia. Sotto la pressione del treno, le rotaie balzano,<br />

guizzano <strong>nel</strong>la rete vibrante, elastica dell’istante commosso. Le<br />

strade percorse dagli automobili sono scíe di rumori globulari e<br />

di odori spiralici. Questa 100 HP continua le caverne dell’Etna.<br />

Le strade percorse dagli automobili e i binari hanno uno slancio<br />

ondulatorio, elastico, per avvolgersi velocemente intorno al palo<br />

ideale che sorge su un punto dell’orizzonte.<br />

Voluttà di sentirsi solo <strong>nel</strong> fondo buio di una limousine che<br />

corra tra i luminosi ghiacci balzanti di una capitale notturna:<br />

voluttà specialissima di sentirsi un corpo veloce. Io sono un<br />

uomo che spesso mangia alla stazione tra due treni diretti; il<br />

mio sguardo a spola va dall’orologio murale al piatto fumante;<br />

la vite-angoscia-ricordo penetra girando <strong>nel</strong> cuore. Bisogna<br />

subito nutrirlo di velocità. Bisogna credere soltanto <strong>nel</strong>la soliditàresistenza<br />

creata dalla velocità. La forza e la complicazione<br />

del pensiero, la raffi natezza dei desiderî e degli appetiti,<br />

l’insuffi cienza del suolo, la fame di miele, di spezie, di carni e<br />

di frutti lontani, tutto impone la morale-religione futurista della<br />

Velocità.<br />

La Velocità distacca il globulo-uomo dal globulo-donna. La<br />

Velocità distrugge l’amore, vizio del cuore sedentario, triste<br />

coagulamento, arterio-sclerosi dell’umanità-sangue. La<br />

velocità agilizza, precipita la circolazione sanguigna ferroviaria<br />

automobilistica aeroplanica del mondo.<br />

Soltanto la velocità potrà uccidere il velenoso Chiaro-di-luna,<br />

nostalgico, sentimentale, pacifi sta e neutrale. Italiani, siate veloci<br />

e sarete forti, ottimisti, invincibili, immortali!


138 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 139 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Santa Giulia Museo della città<br />

progetto 6 E lasciateci divertire!<br />

progetto 7 Alla ricerca dei futuristi<br />

progetto 8 <strong>Il</strong> futurismo, la guerra, la politica:<br />

un approccio storico e artistico


Chi e dove Scuola Primaria Mameli – XVI Circolo di Brescia<br />

Classi coinvolte Seconda A<br />

Docenti referenti Laffranchi Giancarla<br />

progetto 6 E lasciateci divertire!<br />

Per i bambini della scuola Mameli il<br />

viaggio <strong>nel</strong> futuro, anzi, <strong>nel</strong> “futurismo”<br />

è partito da un’esperienza concreta<br />

legata all’uso del colore. All’inizio<br />

dell’anno scolastico si era parlato di<br />

vacanze e approfondito l’ambiente<br />

del mare sotto l’aspetto geografico.<br />

Poesie, leggende, immagini,<br />

avevano accompagnato il percorso<br />

e l’attenzione dei bambini si era<br />

soffermata sul movimento continuo<br />

delle onde.<br />

Come rendere quell’incessante<br />

movimento con il colore? In classe<br />

sono state fatte diverse esperienze, dal<br />

colore a matita, sfumato o intrecciato,<br />

al collage, alle tempere con variazioni di toni e contrasti, sino all’uso della tecnica del<br />

divisionismo, che ha soddisfatto maggiormente il bisogno che ormai avevamo di rendere<br />

l’idea dinamica che avevamo del mare.<br />

L’esperienza dei Futuristi è stata presentata dall’insegnante di arte come la ricerca di alcuni<br />

artisti, vissuti circa cento anni fa, di raffigurare proprio il movimento, in relazione alla società<br />

che in quei tempi era in continua trasformazione e dove l’immobilismo era visto come<br />

vecchiume da superare.<br />

I bambini, che frequentano la seconda classe della scuola primaria, non avevano basi<br />

storiche tali da collocare esattamente quel periodo, ma potevano capire che i futuristi<br />

avevano avuto le stesse nostre esigenze concrete, anche se con scopi diversi. Gli scopi<br />

futuristi erano assai stravaganti e riuscivano a destare la curiosità dei bambini.<br />

Così il viaggio ha entusiasmato tutti, anche perché, man mano che si approfondiva la<br />

conoscenza del Movimento, sentivamo sempre più che esso era animato dal forte bisogno si<br />

esprimersi divertendosi, proprio come amano fare i bambini!<br />

Poiché tutto il lavoro è stato poi riordinato e riscritto per realizzare un documentario da<br />

presentare alle famiglie, ne riportiamo la sceneggiatura che presenta un <strong>Futurismo</strong> che<br />

i bambini hanno saputo davvero apprezzare e con il quale si sono divertiti a “giocare”<br />

attraverso tutti i linguaggi espressivi.<br />

progetto 6 E lasciateci divertire!<br />

140 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 141 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

E LASCIATECI DIVERTIRE!<br />

(Canto “Passa il tempo”)<br />

Già, il tempo passa e cambia tante cose…<br />

Ma 100 anni fa qualcuno pensò che non fossero cambiate abbastanza.<br />

C’era una volta… IL FUTURO!<br />

Marinetti and company<br />

(Sottofondo musicale “Eravamo 4 amici al bar”)<br />

Vi spieghiamo meglio: a pensare che le cose non fossero cambiate<br />

abbastanza erano alcuni amici scrittori, artisti, musicisti con a capo<br />

Marinetti. Erano giovani e creativi e volevano cambiare il mondo!<br />

Vedevano che la scienza aveva fatto grandi progressi, che ingegneri<br />

e costruttori avevano fatto invenzioni straordinarie, avevano<br />

permesso di viaggiare in moto e in automobile e perfino di volare,<br />

aprendo nuove e straordinarie prospettive.<br />

Ma l’arte? Che cosa c’era di nuovo <strong>nel</strong>l’arte?<br />

Davvero troppo poco!<br />

(Canto con danza “Movimento lento”)<br />

Già, l’arte era<br />

mummificata da tempo,<br />

dal Risorgimento non<br />

c’erano state grandi<br />

novità: i soliti ritratti, il<br />

solito lusso, poi i soliti<br />

paesaggi e addirittura<br />

la natura Morta! Ferma,<br />

immobile…Morta!


progetto 6 E lasciateci divertire! progetto 6 E lasciateci divertire!<br />

“…palpita, scalpita …”<br />

(lavoro di gruppo della classe)<br />

Ma come rendere invece l’idea del movimento<br />

di un onda?<br />

Essa non è mai ferma…<br />

Solo qualche anno prima qualcuno aveva tentato di rappresentare la natura in attimi<br />

sfuggenti, ma non era stato apprezzato abbastanza. Erano gli Impressionisti.<br />

Ma contemporaneamente era stata inventata anche<br />

la fotografia, a cosa serviva ormai cogliere l’attimo<br />

con un pen<strong>nel</strong>lo se bastava scattare?<br />

E poi il mondo pulsava di novità come un cuore<br />

impazzito!<br />

(Canto del cuore battente)<br />

Così, in quel mondo pulsante, tra pochi amici artisti,<br />

fu presa una decisione importante: l’arte doveva<br />

cambiare! Doveva essere fondato un Movimento<br />

nuovo!<br />

<strong>Il</strong> Movimento Futurista!<br />

142 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 143 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Insieme, Marinetti, Boccioni, Balla e pochi altri, scrissero un<br />

Manifesto, cioè un elenco di regole su come fare l’arte nuova,<br />

che poi tutti dovevano seguire.<br />

Queste regole erano ordini ! Tutto, dico tutto, doveva<br />

cambiare: i vecchi e polverosi musei, pieni di passato,<br />

dovevano sparire.<br />

La storia doveva avere una vera svolta.<br />

(Sottofondo di musica futurista - Spring)<br />

Scrisse Balla: ”Con la scienza e il progresso si può raggiungere una società perfetta.<br />

Vogliamo cambiare il mondo attraverso l’arte!”<br />

I futuristi si misero al lavoro. I pittori decisero che anche i loro quadri dovevano muoversi,<br />

come il mondo!<br />

L’uomo volava? Bene, il volo era il soggetto!<br />

L’uomo correva in moto o in bicicletta? Quel movimento si doveva<br />

rappresentare!<br />

L’uomo viaggiava veloce in automobile? Quella corsa doveva riempire<br />

la tela!<br />

<strong>Il</strong> movimento, la frenesia nuova e stimolante doveva opporsi a tutto<br />

ciò che apparteneva al passato.<br />

(Sottofondo musicale “Libera l’anima”)


Brescia futurista realizzata<br />

dai bambini.<br />

progetto 6 E lasciateci divertire! progetto 6 E lasciateci divertire!<br />

E la città dell’uomo, che tanto velocemente si trasformava in quei tempi, non poteva più<br />

avere palazzi pieni di ghirigori inutili!<br />

<strong>Il</strong> “Nuovo” doveva sostituire il “Vecchio”! E il nuovo era una metropoli piena di frenesia e<br />

movimento, di confusione e di traffico.<br />

(Danza sulla canzone “Muoversi, muoversi” di Jovanotti – performance <strong>nel</strong>le piazze del<br />

quartiere con cappellini futuristi)<br />

Con la pittura e la poesia anche la musica, il teatro e l’architettura doveva cambiare. La città<br />

nuova era vissuta e pulsante. Era l’ombelico del mondo!<br />

(Sottofondo “L’ombelico del mondo” mentre scorrono le immagini delle città futuriste)<br />

Inoltre, poiché il mondo cambiava, anche le necessità dell’uomo cambiavano, e l’arte non<br />

serviva più solo a decorare, ma anche a comunicare e a pubblicizzare. Così alcuni futuristi,<br />

come Depero, si sfogarono con linguaggi del tutto nuovi!<br />

Contemporaneamente anche gli scrittori futuristi rivoluzionarono il modo di scrivere.<br />

Le parole potevano essere scritte in libertà: caratteri, dimensioni, punteggiatura, suoni<br />

scritti… tutto deve essere libero e provocatorio!<br />

Basta con le regole sintattiche, con metrica e rigore!<br />

Viva la fantasia!<br />

Poesia “E lasciatemi divertire”<br />

di Palazzeschi<br />

Tri, tri tri<br />

Fru fru fru,<br />

uhi uhi uhi,<br />

ihu ihu, ihu.<br />

<strong>Il</strong> poeta si diverte,<br />

pazzamente,<br />

smisuratamente.<br />

Non lo state a insolentire,<br />

lasciatelo divertire<br />

poveretto,<br />

queste piccole corbellerie<br />

sono il suo diletto.<br />

Cucù rurù,<br />

rurù cucù,<br />

cuccuccurucù!<br />

Cosa sono queste indecenze?<br />

Queste strofe bisbetiche?<br />

Licenze, licenze,<br />

licenze poetiche,<br />

Sono la mia passione.<br />

Farafarafarafa,<br />

Tarataratarata,<br />

Paraparaparapa,<br />

Laralaralarala!<br />

144 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 145 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Sapete cosa sono?<br />

Sono robe avanzate,<br />

non sono grullerie,<br />

sono la... spazzatura<br />

delle altre poesie,<br />

Bubububu,<br />

fufufufu,<br />

Friù!<br />

Friù!<br />

Se d’un qualunque nesso<br />

son prive,<br />

perché le scrive<br />

quel fesso?<br />

Bilobilobiobilobilo<br />

blum!<br />

Filofilofilofilofilo<br />

flum!<br />

Bilolù. Filolù,<br />

U.<br />

Non è vero che non voglion dire,<br />

vogliono dire qualcosa.<br />

Voglion dire...<br />

come quando uno si mette a cantare<br />

senza saper le parole.<br />

Una cosa molto volgare.<br />

Ebbene, così mi piace di fare.<br />

Aaaaa!<br />

Calligrammi dei bambini.


progetto 6 E lasciateci divertire! progetto 6 E lasciateci divertire!<br />

Eeeee!<br />

liii!<br />

Qoooo!<br />

Uuuuu!<br />

A! E! I! O! U!<br />

Ma giovinotto,<br />

diteci un poco una cosa,<br />

non è la vostra una posa,<br />

di voler con cosi poco<br />

tenere alimentato<br />

un sì gran foco?<br />

Huisc... Huiusc...<br />

Huisciu... sciu sciu,<br />

Sciukoku... Koku koku,<br />

Sciu<br />

ko<br />

ku.<br />

Come si deve fare a capire?<br />

Avete delle belle pretese,<br />

sembra ormai che scriviate<br />

in giapponese,<br />

Abi, alì, alarì.<br />

Riririri!<br />

Ri.<br />

Lasciate pure che si sbizzarrisca,<br />

anzi, è bene che non lo finisca,<br />

il divertimento gli costerà caro:<br />

gli daranno del somaro.<br />

Labala<br />

falala<br />

falala<br />

eppoi lala...<br />

e lala, lalalalala lalala.<br />

Certo è un azzardo un po’ forte<br />

scrivere delle cose così,<br />

che ci son professori, oggidì,<br />

a tutte le porte.<br />

Ahahahahahahah!<br />

Ahahahahahahah!<br />

Ahahahahahahah!<br />

Infine,<br />

io ho pienamente ragione,<br />

i tempi sono cambiati,<br />

Forse proprio questa poesia ci suggerisce lo spirito più positivo del futurismo:<br />

LASCIATECI DIVERTIRE, ci dice Palazzeschi.<br />

E proprio questo ci ha impressionato: i futuristi si sono divertiti, liberandosi dalle rigide<br />

regole del passato, inventandosene altre.<br />

A noi è piaciuta tanto la poesia della fontana malata<br />

Poesia “La fontana malata”<br />

Clof, clop, clock,<br />

cloffete,<br />

cloppete,<br />

clocchete,<br />

chchch...<br />

È giù,<br />

<strong>nel</strong> cortile,<br />

la povera<br />

fontana<br />

malata;<br />

che spasimo!<br />

sentirla<br />

tossire.<br />

Tossisce,<br />

tossisce,<br />

un poco<br />

si tace...<br />

di nuovo<br />

tossisce.<br />

Mia povera<br />

fontana,<br />

il male<br />

che hai<br />

il core<br />

mi preme.<br />

Si tace,<br />

non getta<br />

più nulla.<br />

Si tace,<br />

non s’ode<br />

romore<br />

di sorta,<br />

Torta futurista per un<br />

compleanno.<br />

che forse?<br />

che forse<br />

sia morta?<br />

Orrore!<br />

Ah! no.<br />

Rieccola,<br />

ancora<br />

tossisce.<br />

Clof, clop, cloch,<br />

cloffete,<br />

cloppete,<br />

clocchete,<br />

chchch<br />

La tisi<br />

l’uccide.<br />

Dio santo,<br />

quel suo<br />

eterno<br />

tossire<br />

mi fa<br />

morire,<br />

un poco<br />

va bene,<br />

ma tanto...<br />

Che lagno!<br />

Ma Habel!<br />

Vittoria!<br />

E per farvi capire quanto fossero<br />

rivoluzionari questi futuristi, vi diciamo cosa<br />

inventarono per cambiare perfino le ricette<br />

classiche italiane…<br />

(Scorrono scritte con stile futurista:<br />

Menù futurista: Decollapalato - Salmone<br />

dell’Alaska ai raggi del sole di Marte - Olive<br />

Marinetti - Aeropanini - Complessi plastici<br />

saporiti - Carburante nazionale.<br />

146 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 147 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Andate,<br />

correte,<br />

chiudete<br />

la fonte,<br />

mi uccide<br />

quel suo<br />

eterno<br />

tossire!<br />

Andate,<br />

mettete<br />

qualcosa<br />

per farla<br />

finire!<br />

Mia povera<br />

fontana,<br />

col male<br />

che hai,<br />

finisci<br />

vedrai,<br />

che uccidi<br />

me pure.<br />

Clof, clop, cloch,<br />

cloffete,<br />

cloppete,<br />

clocchete,<br />

chchch…<br />

“La cucina passatista<br />

È davvero cosa trista<br />

E ti servono annacquato<br />

<strong>Il</strong> passato di passato<br />

Sono tutte cose vecchie<br />

Sono brutte e son parecchie:<br />

una broda di radici<br />

che vien giù dalle narici.<br />

<strong>Il</strong> passato di passato<br />

È uno schifo esagerato!<br />

C’è chi piange <strong>nel</strong>la minestra<br />

E chi guarda dalla finestra.


La nostra macchina del<br />

suono.<br />

Sopra, la macchina del suono<br />

di Russolo.<br />

progetto 6 E lasciateci divertire! progetto 6 E lasciateci divertire!<br />

E la musica? Basta opere classiche e pedanti, solo<br />

suoni e rumori.<br />

Un musicista futurista, che si chiamava Luigi<br />

Russolo, era convinto che il rumore non fosse poi<br />

così diverso dalla musica e che anche con i rumori<br />

si potessero fare bellissimi concerti. Infatti compose<br />

brani interessanti e innovativi, utilizzando anche una<br />

strana macchina: il RUMORARMONIO!<br />

Per lui i rumori della vita quotidiana, mescolati<br />

assieme disordinatamente, diventavano musica<br />

di ululati, rombi, stropiccii, gorgoglii, sibili e ronzii,<br />

una musica assai migliore di quella “passatista”<br />

insegnata nei conservatori!<br />

<strong>Il</strong> futurismo, come una “canzone tambureggiante”,<br />

picchiettò, il battito si fece sempre più forte,<br />

picchiò, bussò a mano piena…investì ogni arte,<br />

ogni espressione umana: la pittura, la scultura,<br />

la poesia, la musica, l’architettura,il teatro, la<br />

cucina,l’arredamento, la moda, la pubblicità…<br />

Canto: “Canzone tambureggiante”<br />

Ci credete se vi diciamo che i futuristi volevano reinventarsi perfino i fiori?<br />

Depero immagina un giardino di fiori geometrici, come tanti origami…<br />

Scrive perfino un apposito Manifesto sulla necessità dei fiori artificiali.<br />

Noi abbiamo provato a fare gli alberelli di Natale in stile futurista. Belli, vero?<br />

148 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 149 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

E i giocattoli? Anche quelli dovevano cambiare…<br />

Scrive Depero <strong>nel</strong>le sue “Prose futuriste”:<br />

“I bambini hanno figli e amanti di stoffa, di celluloide, di gomma, hanno mobili e supellettili<br />

d’ogni misura, dai mille colori; si divertono con un mondo rimpicciolito e trasformato, hanno<br />

il treno sotto il letto, il bastimento <strong>nel</strong> lavamano, gli alberi che fruttano bambole, cioccolatini,<br />

lampioncini, trombette, mangiano sorci di cioccolata e canarini di zucchero, hanno cavalli<br />

verdi che belano e gatti automatici…<br />

Un mondo artificiale, ultra divertente, che godono assaissimo!”<br />

Un trenino tutto rotto,<br />

una bambola di pezza<br />

e, nascosto sotto sotto<br />

un soldato che si spezza.<br />

L’ippopotamo in pigiama<br />

sfoglia un fior “m’ama o non m’ama”.<br />

Si lamenta l’orso guercio<br />

Col cagnone tutto lercio<br />

una trottola sbandata,<br />

una gatta addormentata.<br />

Sono tristi questi giochi.<br />

Bimbi ormai ne vedon pochi…<br />

E cominciano a capire che<br />

staran lì ad ammuffire…


progetto 6 E lasciateci divertire! progetto 6 E lasciateci divertire!<br />

Quanto ai giochi futuristi<br />

son geniali ed imprevisti:<br />

pirotecniche esplosioni,<br />

meccanismi e contorsioni,<br />

balli plastici, elefanti,<br />

cagnolini scalpitanti!<br />

Ma…<strong>nel</strong> fortino aerodinamico<br />

tutt’a un tratto arriva il panico!<br />

Li raggiunge chiara e netta,<br />

un’orribile marcetta!<br />

Purtroppo la marcetta era quella della guerra, che i futuristi pensarono fosse un utile modo<br />

veloce ed efficace per cambiare tutto il mondo…<br />

<strong>Futurismo</strong> è divertente<br />

finché fa giocar la gente.<br />

Quando inizia a bombardare è una cosa da evitare!<br />

E fu così che un movimento così importante,<br />

innovativo e divertente divenne antipatico a<br />

molti.<br />

Non vogliamo far la morale<br />

ma una regola qui vale:<br />

stare fermi non va bene,<br />

si ammuffisce, non conviene!<br />

Ed è giusto fino in fondo,<br />

andar via a scoprire il mondo<br />

e tentare di rifarlo<br />

(perché in mente abbiam quel tarlo).<br />

Ma se il gioco non è gioco<br />

(e la guerra piace poco)<br />

no, non vale la candela,<br />

rituffiamoci <strong>nel</strong>la tela<br />

e lasciateci divertire.<br />

Solo questo vogliam capire!<br />

VISITA AL MUSEO DELLE MILLE MIGLIA<br />

Ed ora che conoscete questo stravagante movimento, abbiamo un bel percorso da proporvi,<br />

e ce lo offre proprio la nostra città: la visita al MUSEO DELLE MILLE MIGLIA!<br />

È un percorso futurista, perché amatissimo dai futuristi!<br />

Cento anni fa l’automobile era una scoperta, una cosa nuova, entusiasmante!<br />

Per questo è stata inventata la corsa automobilistica delle Mille miglia.<br />

Era una corsa per tutta l’Italia, che partiva proprio da qui, da Brescia, per<br />

arrivare a Roma e tornare<br />

indietro.<br />

Ci sono 700 chilometri ad<br />

andare e 700 a tornare.<br />

Sono in tutto 1.400 chilometri,<br />

ma gli organizzatori preferirono<br />

contare la distanza in miglia.<br />

Le miglia sono la misura che usavano gli<br />

antichi romani per le loro strade.<br />

La corsa da Brescia a Roma è lunga<br />

esattamente mille miglia romane.<br />

Ecco perché la corsa è stata chiamata: la<br />

Mille miglia.<br />

All’inizio nessuno sapeva come chiamare questo nuovo veicolo: erano già stati inventati<br />

il treno, il tram, la bicicletta, ma come chiamare la macchina col<br />

motore?<br />

Si decise per: “automobile”, cioè auto=da solo, mobile=che si muove,<br />

“che si muove da solo”<br />

Ma il nome dell’auto doveva essere femminile o maschile?<br />

Doveva essere: la automobile (femminile) o lo automobile (maschile)?<br />

Furono proprio Marinetti e D’annunzio a discuterne… e alla fine vinse<br />

la proposta per il femminile e si chiamò la automobile. Peccato che<br />

non fu proprio per onorare le donne, bensì perché esse dovevano<br />

mettersi al servizio dell’uomo…<br />

Immaginate come erano vestiti questi corridori:<br />

Un giubbotto di pelle per fermare l’aria perché le macchine da corsa<br />

erano quasi tutte scoperte!<br />

Un paio di guanti per girare più facilmente il volante: era durissimo!<br />

Una sciarpa per difendersi dal<br />

vento!<br />

Un berretto per ripararsi dalla<br />

pioggia!<br />

E infine un paio di occhialoni, per<br />

difendere gli occhi dalla polvere<br />

150 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 151 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Le donne, invece, salivano con i loro vestiti di gran dame.<br />

Le gonne erano lunghe! Non era facile salire su un’auto<br />

con questi veli e merletti!<br />

Pensate che un giorno una grande attrice e ballerina,<br />

Isadora Ducan, dopo essere uscita da teatro salì sulla<br />

macchina scoperta per andare a cena con i suoi<br />

ammiratori.


progetto 6 E lasciateci divertire! progetto 6 E lasciateci divertire!<br />

Era avvolta, come usava fare, da una lunghissima sciarpa che le scendeva dal collo.<br />

Le piaceva fare scena (era una grande attrice) e amava andare in automobile mentre la sua<br />

sciarpa svolazzava <strong>nel</strong>la scia della vettura<br />

La macchina partì, la gente applaudiva, Isadora salutava sorridente la folla: ma la sciarpa si<br />

impigliò <strong>nel</strong>la ruota posteriore, girò dentro ai raggi, e si avvolse di colpo. L’attrice lanciò un<br />

grido e morì strozzata!!!<br />

Per i futuristi l’automobile rappresenta:<br />

L’azione!<br />

La velocità!<br />

I motori!<br />

<strong>Il</strong> movimento!<br />

La corsa!<br />

All’opposto i futuristi odiano:<br />

La lentezza<br />

L’immobilità<br />

Le poltrone<br />

Lo stare fermi<br />

<strong>Il</strong> passeggio<br />

All’automobile Marinetti dedica una poesia:<br />

Automobile ebbra di spazio,<br />

che scalpiti e fremi d’angoscia<br />

rodendo il morso con striduli denti…<br />

Formidabile mostro giapponese,<br />

dagli occhi di fuoco,<br />

nutrito di fiamma<br />

e d’oli minerali.<br />

Guarda, come galoppa, in fondo ai boschi, laggiù…<br />

O montagne dai freschi mantelli turchini!…<br />

O bei fiumi che respirate<br />

beatamente al chiaro di luna!<br />

O tenebrose pianure!…<br />

Io vi sorpasso a galoppo!…<br />

Su questo mio mostro impazzito!…<br />

Stelle! mie stelle! l’udite<br />

il precipitar dei suoi passi?…<br />

Udite voi la sua voce, cui la collera spacca…<br />

la sua voce scoppiante, che abbaia, che abbaia…<br />

e il tuonar de’ suoi ferrei polmoni<br />

Urrà! Non più contatti con questa terra immonda!<br />

Io me ne stacco alfine, ed agilmente volo<br />

Volo!<br />

Volo!<br />

Volo!<br />

Le strade di allora non erano lisce come quelle di oggi: molte non erano asfaltate, erano fatte<br />

di terra o di ghiaia, erano piene di buche!<br />

I pneumatici, oltre ad essere più leggeri e fragili, erano più stretti e si rompevano facilmente.<br />

Pensate che <strong>nel</strong>la prima gara ci furono corridori che bucarono per ben sei volte!<br />

I motori, poi, subivano continui guasti, costringendo la maggior parte dei concorrenti al<br />

ritiro, anche se già allora c’erano lungo il percorso dei punti di assistenza, dove i meccanici<br />

potevano aggiustarle.<br />

Le officine odoravano di grasso, di benzina e di olio. I meccanici erano tutti neri di grasso,<br />

ma erano dei maghi dei motori.<br />

Le auto potevano già viaggiare a circa 135 km all’ora, erano velocissime rispetto a quei<br />

motori e a quelle strade!<br />

Alcuni piloti divennero famosissimi, dei veri eroi nazionali!<br />

Pensate che una volta il grande pilota Nuvolari, detto il mantovano volante, si trovò con il<br />

volante in mano, che si era staccato dallo sterzo!<br />

Nuvolari continuò la corsa manovrando con un pezzo di ferro che infilò al posto del volante!<br />

(Canzone “Nuvolari” di Lucio Dalla)<br />

152 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 153 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Tuttavia le gare su strada erano terribilmente pericolose:<br />

durante alcune corse moirono alcuni corridori.<br />

Sbandavano, uscivano di strada e…bum! Non era tutto<br />

rose e fiori!<br />

Nel 1938 un’auto uscì di strada e travolse proprio una<br />

classe come la nostra. Morirono sette bambini e la corsa<br />

venne sospesa.<br />

Poi venne la guerra, che di morti ne fece molti di più.<br />

Quando finì, l’Italia intera aveva voglia di svaghi e<br />

divertimenti; così la Mille Miglia venne riproposta e rese<br />

famosa la nostra città di Brescia.<br />

Le auto erano state via via perfezionate e la velocità<br />

aumentava… finchè, <strong>nel</strong> 1957, accadde di nuovo quello<br />

che tutti temevano: un altro incidente gravissimo con<br />

la folla travolta da una Ferrari impazzita per una ruota<br />

scoppiata.<br />

La gara finì per sempre e da allora tutte le corse<br />

automobilistiche si organizzano esclusivamente su piste<br />

chiuse.


progetto 6 E lasciateci divertire!<br />

Da qualche anno però la mitica Mille Miglia è diventata una corsa tradizionale, non una<br />

gara, ma una rievocazione: le auto storiche ripercorrono l’antico tragitto e Brescia rivive le<br />

emozioni di un tempo.<br />

<strong>Il</strong> nuovo Museo di Brescia delle Mille Miglia conserva le tracce e le auto di questa<br />

leggendaria corsa che sicuramente ha fatto sognare i futuristi.<br />

<strong>Il</strong> nostro viaggio <strong>nel</strong> futuro è finito.<br />

Volete sapere cosa ricorderemo sempre?<br />

Ricorderemo che cento anni fa il futurismo nasceva.<br />

Era come uno scossone, anzi, un tornado, che voleva spazzare via tutto, affinchè ogni cosa<br />

poi potesse essere rinnovata.<br />

Ricorderemo che il futurismo è stato un movimento provocatorio ed estremamente originale<br />

che avrebbe voluto cancellare i musei e con loro tutto il vecchiume, ma che ha finito col<br />

riempirli di opere nuove e bellissime!<br />

Ci siamo domandati se Marinetti, Balla, Boccioni, Palazzeschi, Russolo sarebbero stati<br />

contenti di queste celebrazioni per il centenario e di riempire le sale dei musei e di storiche<br />

biblioteche… insomma di far parte del passato, di quello da ricordare e celebrare…<br />

Non lo sappiamo, ma secondo noi sarebbero contenti di averci lasciato divertire e di avere<br />

sfondato una porta, anzi un portone: quello della creatività e della fantasia!<br />

<strong>Il</strong> portone si è spalancato per noi, che abbiamo capito che possiamo esprimerci senza sentire<br />

il peso di limiti, con strumenti e tecniche nuove. A dire la verità per noi bambini è facile!<br />

Ma il portone si è spalancato, cento anni fa, anche per tutte le forme d’arte, che da allora<br />

hanno conosciuto forme nuovissime, capaci di esprimere ciò che sente l’uomo che vive <strong>nel</strong><br />

nostro tempo.<br />

La storia si può superare!<br />

Via libera alla creatività!<br />

Così il <strong>Futurismo</strong> ha vinto e noi pensiamo che<br />

in realtà li volesse solo riempire quei musei,<br />

riempire di opere sempre nuove! Sarebbero<br />

morti invece se l’idea di arte fosse rimasta<br />

immobile, con l’intento continuo di rievocare<br />

e non di creare.<br />

Sì, perché l’arte va prodotta, fatta, inventata,<br />

non solo conservata!<br />

Chi e dove Scuola Secondaria di Primo Grado Lana-Fermi Brescia<br />

Classi coinvolte Terza A e F<br />

Docenti referenti Dora Tartaglia insieme alle proff. Tina Fiorente, Silena Malagutti e Lucia Ungari<br />

progetto 7 Alla ricerca dei futuristi<br />

Parlano le insegnanti<br />

Ci siamo recate all’appuntamento con “Le vie dell’Arte” con qualche incertezza e una<br />

certa preoccupazione, dettate dal timore della nostra inadeguatezza a condurre in modo<br />

competente i nostri alunni <strong>nel</strong> loro lavoro.<br />

La perplessità aveva più di un fondamento.<br />

Per prima cosa i tempi scolastici, nei quali doveva essere svolto il lavoro con la classe<br />

vedeva i ragazzi privi di conoscenze sul periodo storico – l’inizio del Novecento – in cui era<br />

nato e si era espresso il <strong>Futurismo</strong>: i nostri alunni stavano studiando la Restaurazione ed il<br />

Risorgimento ed avevano quindi, <strong>nel</strong>la migliore delle ipotesi, dimestichezza con i temi ed i<br />

problemi dell’Ottocento.<br />

Noi insegnanti inoltre avevamo esperienza – e qualche competenza – del passato (storico,<br />

artistico, urbanistico) della nostra città e ci dava più sicurezza condurre gli alunni <strong>nel</strong>la<br />

Brescia romana o comunale, alla scoperta degli spazi commerciali della città veneta, gettare<br />

uno sguardo nei palazzi settecenteschi piuttosto che non affrontare un’esperienza come<br />

quella del <strong>Futurismo</strong>, nata ed espressa in città importanti come Parigi o Milano, in ambienti<br />

così diversi dalla nostra realtà di provincia e con un linguaggio innovativo tipico delle<br />

avanguardie artistiche.<br />

Non ultimo tre su quattro di noi confessano un inadeguato retroterra culturale sul fenomeno<br />

dell’arte moderna (sia essa pittura, scultura o musica).<br />

Abbiamo comunque accettato, con i nostri ragazzi, di metterci in gioco, chiedendo scusa in<br />

anticipo per la modestia dei nostri risultati o per l’eventuale discutibilità del metodo usato per<br />

leggere opere che a volte ci sconcertavano.<br />

D’altra parte non potevamo accontentarci del sorpassato metodo: osservo un’opera – leggo<br />

154 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 155 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

In questa e <strong>nel</strong>le altre<br />

vignette individuare l’alunno<br />

futurista.


progetto 7 Alla ricerca dei futuristi progetto 7 Alla ricerca dei futuristi<br />

il commento non sempre comprensibile di alcuni critici – riassumo aggiungendo un<br />

pensiero personale più o meno profondo.<br />

Abbiamo cercato di dar voce ai ragazzi dopo aver ascoltato con loro la voce dei Futuristi.<br />

Quanto segue è dunque, più che la presentazione di risultati originali o di prodotti creativi,<br />

la registrazione di una esperienza didattica che ci ha portato alla ricerca dei Futuristi, nei<br />

luoghi già frequentati <strong>nel</strong>le nostre precedenti esperienze: la scuola, il museo, la città.<br />

COMINCIAMO DALLA SCUOLA<br />

Quella notte di un secolo fa…<br />

<strong>Il</strong> 20 febbraio 1909 viene pubblicato su “le Figaro”, a Parigi, il Manifesto del <strong>Futurismo</strong> di<br />

Filippo Tommaso Marinetti: con quella che, più che una dichiarazione di buoni propositi, è una<br />

“chiamata alle armi” comincia l’avventura di un gruppo di giovani artisti e letterati che vogliono<br />

lasciare un segno profondo non solo <strong>nel</strong>la cultura, ma <strong>nel</strong> mondo di cui erano parte.<br />

I famosi 11 punti, uno in più dei Dieci Comandamenti, si ritrovano facilmente nei nostri<br />

libri di scuola. Meno conosciuta è la narrazione introduttiva e la parte che segue la loro<br />

enunciazione.<br />

Da qui prende le mosse il nostro lavoro.<br />

Di notte, con la complicità di cospiratori, un gruppo di amici si riunisce <strong>nel</strong> salotto di<br />

Marinetti, ricco di tappeti e, immaginiamo, di morbidi divani, che potevano tentare la loro<br />

pigrizia . Per fortuna il fulgore della luce elettrica tiene desti i loro cervelli e illumina le<br />

loro discussioni. Verso l’alba , quando ormai la città intorno a loro dorme, Marinetti lancia<br />

il segnale: “Andiamo… andiamo, amici! Partiamo!… Ecco, sulla terra, la primissima<br />

aurora!...” 1 . E cavalcando le loro automobili ruggenti, i Futuristi iniziano la loro esaltante – e<br />

un po’ esaltata – avventura.<br />

<strong>Il</strong> nostro primo esercizio è semiserio: proviamo a osservare le avventure notturne dei nostri<br />

eroi con l’occhio oggettivo e preciso di un gendarme della polizia francese, che deve<br />

burocraticamente registrare gli avvenimenti di cui è venuto a conoscenza.<br />

“All’alba del 20 febbraio del corrente anno tale Filippo Tommaso Marinetti di Enrico e<br />

Amalia Grolli, nato ad Alessandria d’Egitto in data 22 dicembre 1876, di nazionalità italiana<br />

e residente a Parigi, insieme a non precisati amici partiva dalla sua abitazione e lanciava<br />

il suo automobile in direzione est a velocità molto sostenuta, pericolosa per la sua e l’altrui<br />

incolumità. <strong>Il</strong> rombo del motore, come documentano numerose segnalazioni, disturbava la<br />

pubblica quiete. In prossimità della zona industriale il Marinetti perdeva il controllo della<br />

vettura, precipitando in un fosso a lato della strada.<br />

La dinamica dell’incidente è tuttora in fase di accertamento; pare che il guidatore non fosse<br />

sotto l’effetto di alcool o di droghe, ma piuttosto la mente visibilmente alterata pare da<br />

attribuirsi alla mancanza di sonno. Si avanza pure l’ipotesi di turbe psichiche dovute ad un<br />

fenomeno autoindotto di esaltazione collettiva, sua e degli amici che frequentavano la sua<br />

casa.<br />

La causa dello sbandamento del mezzo con conseguente uscita di strada pare dovuto alla<br />

presenza di due ciclisti che percorrevano la carreggiata affi ancati e a modesta velocità.<br />

Sul posto accorrevano dei pescatori che, armati di reti di ferro, riuscivano a ripescare dalle<br />

acque fangose ed inquinate del fosso l’automobile semidistrutta ed il Marinetti stesso, che<br />

rifi utava il ricovero in ospedale e mostrava l’intenzione di proseguire la sua corsa.<br />

Con le braccia prontamente fasciate ed evidenti contusioni sul corpo, il guidatore ed i suoi<br />

amici, con il volto coperto di fango riprendevano la corsa, delirando e pronunciando con tono<br />

esaltato frasi sconnesse ed incomprensibili.<br />

Parigi, 20 febbraio 1909<br />

Non ci siamo: gli eventi sono quelli, ma sfugge la loro vera portata. Forse possiamo<br />

aggiungere ai nudi fatti un po’ di calore e di sentimento, dando voce ad una convinta<br />

ammiratrice vicina, quanto può esserlo una donna a quell’eroe a tutto tondo di Marinetti.<br />

Cara Colette,<br />

ti ho parlato di quell’affascinante giovanotto italiano, incontrato qui a Parigi lo scorso<br />

gennaio? È focoso come i suoi compatrioti, ma, ahimè, assolutamente poco galante con le<br />

donne.<br />

Ieri sera si è riunito con gli amici <strong>nel</strong> suo salotto. Dovresti vederlo, pieno di tappeti orientali,<br />

di lampade da moschea, ma dotato di tutte le comodità moderne: ha la luce elettrica in tutte<br />

le stanze!<br />

Lui e i suoi compagni sono rimasti a parlare tutta la notte. I loro discorsi erano profondi e<br />

interessanti anche se io, che non ero stata ammessa alla loro discussione – ma credono che<br />

non abbia cervello? – non sono riuscita a cogliere che qualche frase. Ma pronunciata con<br />

quanta passione, mia cara!<br />

Ad un certo punto hanno deciso di uscire con i loro automobili. Li ho visti al volante: sono<br />

forti e temerari come giovani leoni e sembra che niente possa fermarli. E tu sai come noi<br />

donne amiamo un pizzico di follia.<br />

Insomma, mi hanno raccontato che la corsa di Filippo (come avrei voluto essere con lui)<br />

è stata interrotta da due sciocchi in bicicletta che gli hanno tagliato la strada. Lui è un<br />

generoso e invece di investirli ha sterzato ed è fi nito in un fosso pieno di fango. Per fortuna<br />

è riemerso solo con qualche livido e il suo automobile è stato ripescato con l’aiuto di alcuni<br />

pescatori, che volevano trasportarlo ad un vicino ospedale. Niente ha potuto distogliere il<br />

mio eroe dalla sua missione ed è ripartito con coraggio verso Parigi. Che uomo! Pare si sia<br />

diretto verso la redazione del “Figaro” per fare pubblicare a sue spese (è pure benestante,<br />

mia cara) un articolo che farà scalpore.<br />

Corro a comperare il giornale! A presto.<br />

Tua Isidora<br />

Così va un po’ meglio, ma qualcosa ci<br />

sfugge ancora: i fatti ci sono, l’esaltazione<br />

anche, eppure non ritroviamo lo spirito che<br />

animava quella cavalcata frenetica <strong>nel</strong>la<br />

notte, conclusa col famoso proclama. Che<br />

cosa manca? Mancano i miti, non solo quelli<br />

della modernità ma anche quelli della nostra<br />

tradizione culturale, che i Futuristi dicono di<br />

respingere, ma che percorrono come nervi e<br />

sangue il loro discorso.<br />

Rileggiamo ora il testo, pronti a trovare echi,<br />

valori, fi gure da noi riconoscibili, perché già<br />

incontrate <strong>nel</strong>la nostra esperienza culturale.<br />

Di grammatica pittorica siamo digiuni, ma<br />

saranno serviti a qualcosa i nostri anni di<br />

scuola!<br />

156 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 157 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Marinetti a bordo della sua<br />

auto <strong>nel</strong> 1908.


progetto 7 Alla ricerca dei futuristi progetto 7 Alla ricerca dei futuristi<br />

MITI VECCHI E NUOVI<br />

Marinetti e i Futuristi cantano la modernità. <strong>Il</strong> progresso che avanza tumultuoso si nutre di<br />

velocità e temerarietà: ed ecco tra i nuovi miti l’automobile, o meglio l’unità uomo-macchina.<br />

“Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra,<br />

lanciata a corsa,essa pure, sul circuito della sua orbita” 2 .<br />

E insieme all’ automobile – maschile naturalmente, prima che, galante, D’Annunzio la<br />

trasformasse in femminile – gli aeroplani “dal volo scivolante, la cui elica garrisce al vento<br />

come una bandiera” 3 .<br />

Insieme ai sommergibili ed alle veloci navi da guerra, i piroscafi “avventurosi che fiutano<br />

l’orizzonte” 4 , le locomotive “dall’ampio petto che scalpita sulle rotaie” 5 . Se poi al mezzo<br />

meccanico aggiungiamo l’elettricità, ecco “i tranvai a due piani…risplendenti di luci<br />

multicolori” 6 .<br />

Accanto a questi mezzi meccanici dobbiamo mettere però il cavallo, amato, dipinto e<br />

montato da Boccioni, che durante la guerra muore cadendo appunto da cavallo, dopo aver<br />

scelto per sé il più balzano. E il rapporto uomo-cavallo di Boccioni fa rivivere l’immagine del<br />

cavaliere, trasportato dal Medioevo ad una dimensione insieme mitica e attuale.<br />

E ancora, dentro il ventre delle grandi navi, presso le caldaie dei treni a vapore s’agitano<br />

figure che ricordano Vulcano <strong>nel</strong>la sua divina officina infuocata. Non c’è dubbio che c’è<br />

nei Futuristi il desiderio di seguire le orme di Icaro, e la nuova creatura con l’intelligenza<br />

dell’uomo e la potenza della macchina prende l’antico nome di Centauro. Come non vedere<br />

poi negli uomini orgogliosi che sfidano le stelle i Titani contro l’Olimpo?<br />

Anche l’esaltazione della giovinezza che non riconosce barriere , unica condizione<br />

desiderabile per l’uomo, ci ha fatto ricordare un’antica lirica greca di Mimnermo.<br />

Al modo delle foglie che <strong>nel</strong> tempo<br />

fiorito della primavera nascono<br />

e ai raggi del sole rapide crescono<br />

noi simili a quelle per un attimo<br />

abbiamo diletto del fiore dell’età<br />

ignorando il bene e il male per dono dei Celesti<br />

Ma le nere dee ci stanno sempre a fianco,<br />

l’una con il segno della grave vecchiaia<br />

e l’altra della morte. Fulmineo<br />

precipita il frutto di giovinezza,<br />

come la luce d’un giorno sulla terra.<br />

E quando il suo tempo è dileguato<br />

è meglio la morte che la vita. 7<br />

La gioventù che può osare tutto, al di là del bene e del male , nutrita dal sole e benedetta<br />

dagli dei è la condizione dei “giovani e forti futuristi “ contrapposta alla grave vecchiaia, che<br />

<strong>nel</strong>l’antichità arrivava molto presto: “Quando avremo quarant’anni, altri uomini più giovani<br />

e più validi di noi, ci gettino pure <strong>nel</strong> cestino, come manoscritti inutili” 8 scrive sempre<br />

Martinetti.<br />

Accanto ai miti dell’antichità classica, quelli della tradizione giudaico cristiana. Non solo <strong>nel</strong>le<br />

figure evocate di Angeli e Demoni, non tanto <strong>nel</strong>l’idea di morte e risurrezione “io mi stesi sulla<br />

mia macchina come un cadavere <strong>nel</strong>la bara, ma subito risuscitai sotto il volante” 9 : il tuffo <strong>nel</strong>le<br />

acque del “materno fossato”, dal quale il nostro eroe riemerge a nuova vita, ricorda tanto il<br />

Battesimo.<br />

GIUDIZI E PREGIUDIZI<br />

Dopo aver discusso insieme, sotto la guida dell’insegnante, i pensieri e il linguaggio del<br />

Manifesto non ci sembravano più “cose da pazzi”; tra le numerose affermazioni espresse<br />

con linguaggio provocatorio ma comprensibili, se non condivisibili, però, alcune erano molto<br />

difficili da “mandar giù”.<br />

“Noi vogliamo glorificare la guerra… il disprezzo della donna… Noi vogliamo distruggere<br />

i musei, le biblioteche, le accademie di ogni specie…Noi vogliamo combattere il<br />

femminismo…” sono propositi politicamente scorretti, in contrasto con ciò che la scuola<br />

cerca di trasmetterci. Sempre a scuola però abbiamo imparato che per giudicare bisogna<br />

conoscere; perciò, prima della condanna al rogo, abbiamo cercato di capire il pensiero dei<br />

Futuristi.contestualizzandolo – per usare una parola di moda – o forse soltanto cercando di<br />

non fermarci alle apparenze.<br />

Abbiamo letto insieme anche il Manifesto dei pittori futuristi, firmato da Boccioni, Carrà,<br />

Russolo, Balla e Severini quasi un anno dopo il proclama di Martinetti; questa volta non<br />

abbiamo incontrato grandi difficoltà: in confronto alla prosa del fondatore, il linguaggio dei<br />

suoi amici e seguaci ci è sembrato quasi pieno di buon senso.<br />

“Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche , le accademie di ogni specie”<br />

Visto che sappiamo che cosa sono i musei e le biblioteche, abbiamo fermato la nostra<br />

attenzione sulle Accademie, i luoghi dove si formavano i pittori e gli scultori dell’Ottocento, i<br />

santuari che esercitavano un’influenza quasi monopolistica sulle nuove generazioni di artisti.<br />

Anche dopo più di tre secoli, il loro programma era ancora modellato sull’esempio delle<br />

prime accademie del Rinascimento: “copiare, copiare, copiare” poteva essere il loro motto.<br />

Prima copiare calchi di gesso o antiche sculture; quando poi l’allievo era abbastanza abile<br />

<strong>nel</strong> disegno, si poteva introdurre il colore ed allora si copiavano i dipinti degli antichi maestri<br />

presenti nei musei. È vero che una parte del lavoro prevedeva la presenza di modelli vivi,<br />

ma ciò che contava era la precisa riproduzione anatomica. Questo metodo permetteva di<br />

riempire i musei ed i municipi di provincia di copie ben eseguite e contemporaneamente gli<br />

allievi più promettenti potevano guadagnare qualcosa.<br />

Nelle Accademie gli studenti che mostravano tendenza anticonformiste o comunque creative<br />

venivano severamente disapprovati e rischiavano di compromettere non solo la loro carriera,<br />

ma persino la loro sopravvivenza come artisti. Era infatti l’Accademia a decidere quali<br />

potevano esporre al pubblico le loro opere. <strong>Il</strong> Salon era, a Parigi, l’annuale mercato d’arte<br />

dove i giovani artisti potevano farsi conoscere, vincere dei premi, incontrare gli acquirenti.<br />

L’ammissione, molto ambita, al Salon era decisa da coloro che stabilivano i programmi<br />

dell’Accademia e premiavano spesso docilità e conformismo.<br />

Anche se sul finire dell’Ottocento gli artisti troveranno altri luoghi dove esporre e altri canali<br />

per farsi conoscere (le riviste letterarie, per esempio, sensibili alla cultura d’avanguardia), il<br />

potere delle Accademie era ancora preponderante.<br />

Musei, Accademie, Biblioteche hanno per i Futuristi in comune una filosofia: l’antico è meglio<br />

del nuovo, l’artista si forma ed esercita<br />

copiando.<br />

Sant’Elia ironizzerà sui giovani architetti<br />

italiani “quelli che attingono originalità dalla<br />

clandestina compulsazione di opere d’arte” 10 .<br />

<strong>Il</strong> dovere di essere distruttori dell’antico,<br />

naturalmente, è rivolto ai giovani artisti, che<br />

hanno il dovere dell’originalità.<br />

Ciò non significa che Boccioni non avesse<br />

un profondo amore per Michelangelo e non<br />

considerasse innovatori Rubens e Goya; egli<br />

158 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 159 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>


progetto 7 Alla ricerca dei futuristi progetto 7 Alla ricerca dei futuristi<br />

manifesta inoltre solidarietà e rispetto, fra i contemporanei, per Previati, Segantini, Medardo<br />

Rosso. Ma ciascuno deve interpretare il suo tempo e spingersi profeticamente in avanti. È un<br />

diritto ed insieme la nmissione dell’artista.<br />

Dice Aldo Palazzeschi, amico fraterno di Boccioni: ”Nell’insegnare ai giovani a essere giovani<br />

in un paese dove a quel tempo nei confronti dell’arte si nasceva ottuagenari, Umberto<br />

Boccioni fu grande come nessuno” 11 .<br />

“Noi vogliamo glorificare la guerra…”<br />

Abbiamo letto in alcuni testi che la guerra va intesa come lotta, come “gettare il cuore oltre<br />

l’ostacolo”, ma non ci sembra sufficiente a capire l’atteggiamento dei Futuristi che furono in<br />

generale convinti interventisti e in molti si arruolarono volontari <strong>nel</strong>la Prima guerra mondiale.<br />

E’ anche vero che può servirci ricordare che questa guerra ha costituito uno spartiacque<br />

perché fino ad allora il combattimento non conosceva i cadaveri in putrefazione di Verdun,<br />

i gas asfissianti, le mitragliatrici che riducevano gli uomini in brandelli urlanti, e neppure le<br />

bombe che infierivano sui civili <strong>nel</strong>le città, la guerriglia e le imboscate… Si poteva pensare<br />

ancora, a quei tempi, al confronto leale fra nemici che si rispettavano, agivano secondo<br />

regole e concedevano agli sconfitti l’onore delle armi.<br />

Soprattutto abbiamo riflettuto con l’insegnante come, <strong>nel</strong>la nostra civiltà, la guerra era<br />

la condizione che permetteva all’uomo di diventare eroe. Non solo quindi il ricordo del<br />

Risorgimento era presente <strong>nel</strong>le giovani generazioni di inizio secolo, ma anche Maratona, le<br />

Termopili, Roncisvalle, termini che rivestono ancora per noi ( probabilmente non per tutti e<br />

non per molto) un significato.<br />

E, d’altra parte, la Francia non ha Giovanna D’Arco come patrona e come inno la Marsigliese,<br />

un canto di battaglia? E noi Italiani, tanti anni dopo la stagione futurista, non abbiamo scelto<br />

un inno nazionale che ci invita a “stringerci a coorte”’?<br />

Quando pensiamo alla guerra come condizione nobile per l’uomo abbiamo accostato – in<br />

realtà su suggerimento dell’insegnante – il pensiero dei Futuristi a quello espresso <strong>nel</strong><br />

Medioevo da un sirventese del XII secolo.<br />

Bella è per me la calca degli scudi<br />

dai colori vermigli e azzurri<br />

delle insegne e dei gonfaloni,<br />

di diversi colori istoriati;<br />

…<br />

E provo grande allegria<br />

quando vedo in battaglia schierati<br />

cavalieri e cavalli armati.<br />

…<br />

Ah! Scontrarsi a migliaia e centinaia<br />

sì che dopo di noi se ne canti le gesta!<br />

Trombe, tamburi, bandiere e pennoni,<br />

insegne e cavalli neri e bianchi<br />

presto vedremo: come sarà bello vivere!<br />

Si porterà via la ricchezza agli usurai<br />

e per la strada non trascorreranno più<br />

i giorni tranquilli, né borghesi senza fastidi<br />

é mercanti che verranno dalla Francia… 12<br />

“Noi vogliamo combattere contro il femminismo…glorificare il disprezzo della<br />

donna”<br />

Va subito chiarito un equivoco: per i Futuristi femminismo non ha il significato che noi gli<br />

attribuiamo, cioè rivendicazione di parità di diritti ma anche di responsabilità con gli uomini. Questo<br />

è confermato dallo stesso Marinetti che dice .” le suffragette sono le nostre migliori collaboratrici,<br />

poiché quanti più diritti e poteri esse otterranno alla donna,… tanto più essa cesserà di essere un<br />

focolare – noi diciamo focolaio – di passione sentimentale e di lussuria” 13 .<br />

Accanto alla “donna veleno” viene combattuta la donna fragile e sentimentale, sognante e<br />

decadente.<br />

Abbiamo letto una poesia di Diego Valeri, “Ottobre a Venezia” che in modo chiaro identifica<br />

una Venezia curiosamente simile a quella combattuta dai Futuristi (eppure Valeri ama la sua<br />

città natale) con un tipo di donna sensuale e crepuscolare da loro detestata.<br />

Fin dall’inizio la città è presentata con tinte non proprio amate dai nostri artisti:<br />

Questi grigi di perla e grigi rosa<br />

e grigi verde in cui l’acqua ed il cielo<br />

sembran vanire come dietro un velo<br />

d’uguale lontananza favolosa.<br />

…<br />

Ma è <strong>nel</strong>la terza strofa che avviene la trasformazione di Venezia in una figura femmine di<br />

forte suggestione:<br />

Venezia giace languida e disfatta;<br />

e se un raggio di sol rompendo il folto<br />

della nebbia le palpita sul volto<br />

socchiude appena i gialli occhi di gatta.<br />

Niente donne veline, dunque, ma neppure le classiche mamme italiche, sempre pronte a<br />

vezzeggiare i loro pargoli già cresciuti. Siamo sicuri che i Futuristi avrebbero preferito le<br />

madri spartane che, come dice la tradizione, consegnavano ai figli in partenza per la guerra<br />

lo scudo dicendo: “O con questo o su questo”.<br />

E FINALMENTE, DOPO LE PAROLE, I QUADRI<br />

In realtà prima di guardare i dipinti abbiamo letto e commentato insieme ancora parole:<br />

questa volta il Manifesto tecnico della pittura futurista, che ci è sembrato in realtà non facile<br />

da capire. Ci mancano probabilmente le basi, per usare un linguaggio scolastico. Abbiamo<br />

provato a passare dalle parole ai dipinti dai dipinti alle parole ed alla fine ci è stato dato un<br />

compito. Dovevamo scegliere tra le riproduzioni a disposizione e, senza leggere didascalie<br />

o commenti critici, cercare di capire che cosa gli autori volevano comunicarci. Ci è<br />

stato chiesto: “Quali quadri ti hanno colpito di più? Perché?”.<br />

Ecco alcune delle nostre risposte:<br />

“In questo quadro c’è molta animazione e vitalità: con una corsa veloce,<br />

un movimento quasi frenetico le persone convergono verso il centro, dove<br />

si svolge la rissa. Gli uomini, <strong>nel</strong> loro correre veloce, diventano quasi dei<br />

segni neri, mentre le donne che partecipano alla lotta da protagoniste<br />

mantengono, coi loro vestiti eleganti, i colori smaglianti.<br />

Dal caffè erompono con forza, quasi accecanti, i bagliori della luce<br />

elettrica”.<br />

[Gloria, Paola e Elisa]<br />

160 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 161 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Umberto Boccioni, Rissa in<br />

galleria.


Umberto Boccioni<br />

Visioni simultanee<br />

Carica di lancieri.<br />

Gaetano Previati, L’eroica<br />

Umberto Boccioni, La città<br />

che sale .<br />

progetto 7 Alla ricerca dei futuristi progetto 7 Alla ricerca dei futuristi<br />

“Sono molto belli e accesi i colori che sottolineano la<br />

vita animata e frenetica della città moderna. Tutto è<br />

vivo e si muove. La spettatrice si fa in due per riuscire<br />

a vedere tutto, proprio tutto : più che osservare<br />

partecipa, ficca il suo naso curioso e puntuto dovunque<br />

e prende parte all’allegro turbinare di cose, case,<br />

persone…”.<br />

[Andrea e Simone]<br />

“Ritroviamo qui il tema<br />

del combattimento eroico:<br />

uomini, cavalli in corsa, vessilli che sventolano sulle lance<br />

formano un unico grande movimento impetuoso ed inarrestabile.<br />

L’impeto si esprime in un turbinare di zampe, l’assalto si<br />

muove lungo la linea delle lance aguzze. L’azzurro e il grigio in<br />

contrasto con i bruni dei nemici in trincea e dello sfondo evocano<br />

l’armatura dei cavalieri antichi”.<br />

[Giorgio, Lorenzo e Alessandro]<br />

<strong>Il</strong> secondo esercizio di lettura dei dipinti ha utilizzato invece il confronto: abbiamo preso<br />

alcuni quadri futuristi, che ci hanno particolarmente colpito e li abbiamo accostati ad opere<br />

abbastanza vicine <strong>nel</strong>lo spazio e <strong>nel</strong> tempo, scelti perché hanno qualche somiglianza nei<br />

soggetti o nei temi. Ci rendiamo naturalmente conto che i nostri confronti sono abbastanza<br />

arbitrari e i commenti poco competenti, ma il nostro sforzo è stato rivolto a comprendere un<br />

po’ meglio la novità e la specificità degli autori futuristi.<br />

Questi due quadri sono stati accostati per la somiglianza tra i cavalli che mal<br />

sopportano le redini, oltre che per le pen<strong>nel</strong>late dall’andamento curvo che<br />

sottolineano il movimento delle teste degli animali, in contrasto con le linee oblique<br />

delle briglie impugnate dagli uomini. E qui si ferma la somiglianza. I cavalli, pur<br />

focosi, del primo dipinto si lasciano condurre dall’auriga, mentre gli uomini di<br />

Boccioni vengono trascinati dai cavalli del cantiere, pronti a trasformarsi in tanti<br />

Pegaso. <strong>Il</strong> movimento vorticoso al centro della scena si trasmette, in alto a destra,<br />

<strong>nel</strong>lo slancio verticale degli edifici in costruzione e, sulla sinistra, <strong>nel</strong>la processione<br />

inarrestabile di uomini in marcia, guidati da un tram. La forza degli dei è scesa<br />

sulla terra, <strong>nel</strong>lo sforzo di edificazione del mondo moderno.<br />

Nessuna somiglianza se non <strong>nel</strong> tema in questi dipinti che presentano entrambi<br />

l’avanzare delle masse <strong>nel</strong>la storia. Avanzare forte e pacato <strong>nel</strong> primo dipinto,<br />

dirompente e agitato <strong>nel</strong> secondo. I colori del primo quadro sono quelli della<br />

terra, <strong>nel</strong> secondo quelli forti, allegri, contrastanti della città e della rivolta. Qui<br />

la gente costituisce un cuneo che penetra e travolge tutto, il rosso trasmette lo<br />

stato d’animo degli uomini, focosi e determinati. Le linee di forza della loro spinta<br />

travolge ogni cosa. Abbiamo letto in alcuni testi che Russolo non era un granchè<br />

come pittore, essendo un musicista d’avanguardia, ma a noi quest’opera è piaciuta<br />

molto e pensiamo che anche Marinetti ne sia stato soddisfatto.<br />

Questi due quadri sono stati<br />

dipinti <strong>nel</strong> medesimo anno, il 1911<br />

ed entrambi rappresentano una<br />

donna, vista da dietro, con le mani<br />

raccolte, che guarda davanti a sé,<br />

protendendosi in avanti. Incredibile<br />

che queste due opere abbiano<br />

tanti elementi in comune, perché ci<br />

sembrano distanti anni-luce.<br />

Nel primo il paesaggio è<br />

sfumato,quasi evanescente,<br />

con colori come il verdino e il<br />

violetto sicuramente detestati dai<br />

Futuristi; <strong>nel</strong> secondo, infatti, i<br />

colori sono tanti, netti e squillanti.<br />

La differenza non sta soltanto <strong>nel</strong><br />

paesaggio romantico e crepuscolare di campagna al quale viene contrapposto<br />

l’immagine viva e dinamica della città in piena luce. <strong>Il</strong> paesaggio del dipinto di<br />

Landi sfuma in lontananza e sembra portare con sé la malinconica signora in primo<br />

piano; le case, le persone, la luce, tutti gli elementi del secondo quadro assediano<br />

la donna al balcone che, anche se non le vediamo il volto, immaginiamo curiosa e<br />

partecipe.<br />

I CONFRONTI IMPROPONIBILI<br />

(Chi disprezza ama?)<br />

Accostando quadri vicini <strong>nel</strong> tempo, abbiamo scoperto le differenze.<br />

Abbiamo invece provato, un po’ per gioco (ma non del tutto) ad accostare ad alcune opere<br />

dei Futuristi quadri o sculture lontani <strong>nel</strong> tempo, appartenenti a quei capolavori del passato<br />

del quale che i nostri artisti volevano fare piazza pulita.<br />

162 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 163 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Angelo Landi, L’attesa<br />

(Tramonto).<br />

Umberto Boccioni, Visioni<br />

simultanee.


Leonardo, La Gioconda<br />

Umberto Boccioni, Volumi<br />

orizzontali.<br />

progetto 7 Alla ricerca dei futuristi progetto 7 Alla ricerca dei futuristi<br />

Questi i risultati del nostro test semiserio:<br />

È proprio lei, la detestata – per la verità da Marinetti – Gioconda, a ritornare<br />

<strong>nel</strong>la figura dinamica ma composta della madre dell’autore, con le mani raccolte<br />

in grembo e in primo piano, <strong>nel</strong> contorno ovale che racchiude, nonostante la<br />

scomposizione, la figura, nei toni non chiassosi<br />

del dipinto, <strong>nel</strong> volto appena appena girato e<br />

luminoso, <strong>nel</strong> paesaggio intorno alla persona<br />

ritratta?<br />

È possibile rappresentare il movimento<br />

che “taglia” lo spazio, scolpire la rapidità<br />

dell’incedere, che non riguarda solo la persona,<br />

ma che permea la realtà che sta intorno – <strong>nel</strong>la<br />

quale lascia il segno –, senza portare <strong>nel</strong>l’anima la<br />

divinità antica?<br />

Nike di Samotracia.<br />

Umberto Boccioni, Forme<br />

uniche della continuità.<br />

Niente di più in contrasto della staticità di Guidoriccio e<br />

il dinamismo del cavaliere moderno. E allora? Eppure la<br />

figura di Boccioni non sta cavalcando per sport né per<br />

divertimento: è un cavaliere alla conquista del suo mondo.<br />

Là ci sono da conquistare fortificazioni, torri e castelli, qui<br />

fabbriche e tralicci.<br />

Dopo il confronto col passato, quello con il futuro.<br />

Sempre di calciatori si tratta, ma non c’è dubbio su quale<br />

farebbe la gioia di un allenatore dei nostri giorni. <strong>Il</strong> primo giochicchia lezioso,<br />

invece il secondo è esplosivo, corre frenetico in tutto il campo, forte di testa, di<br />

gambe e di cuore. “Attacca lo spazio”, come si usa dire oggi.<br />

Ciao, Mascotte di Italia 2000.<br />

Umberto Boccioni,<br />

Dinamismo di un footballer.<br />

164 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 165 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Simone Martini, Guidoriccio<br />

da Fogliano.<br />

Umberto Boccioni, Elasticità.


Trovato il futurista?<br />

progetto 7 Alla ricerca dei futuristi progetto 7 Alla ricerca dei futuristi<br />

ANDIAMO AL MUSEO<br />

È giunto ora il momento di uscire dalla classe ed andare al Museo di Santa Giulia dove<br />

ci attende una mostra di quadri futuristi, appartenenti ai Musei civici e qui esposti <strong>nel</strong><br />

Centenario del <strong>Futurismo</strong> proprio per il nostro progetto didattico.<br />

Che cosa avrebbero detto i Futuristi se ci avessero visto arrivare <strong>nel</strong>le due salette a loro<br />

destinate entrando in un millenario monastero benedettino, sfiorando colonne con antichi<br />

capitelli, gettando un’occhiata sui sottostanti mosaici di domus romane e passando tra<br />

elementi architettonici e sculture della remota età comunale?<br />

Probabilmente “tutto ok”. In fondo, per arrivare “sulla cima del mondo” dalla quale Martinetti<br />

& C. lanciavano la loro “sfida alle stelle” non avevano dovuto poggiare i loro piedi su strati di<br />

civiltà come noi camminiamo con i nostri sui diversi livelli della nostra città? E poi la breve<br />

durata della mostra non è più vicina alla loro sensibilità che non la collocazione stabile in una<br />

sala dell’odiato museo?<br />

Da parte nostra ci affrettiamo all’appuntamento con “Le vie del <strong>Futurismo</strong>” di buon passo,<br />

prima che i dipinti riprendano la loro tranquilla e riservata esistenza nei depositi.<br />

Dopo il rientro a scuola, abbiamo dedicato un paio<br />

d’ore a ricordare i quadri e a discutere sull’impressione<br />

che ci avevano lasciato. Ci siamo poi divisi i compiti:<br />

uno o più di noi hanno scelto un dipinto ed hanno<br />

raccolto i giudizi loro e dei compagni.<br />

Questa rosa dei venti ci serve per orientarci <strong>nel</strong>la<br />

pittura futurista. Abbiamo ricavato le coordinate dal<br />

Manifesto tecnico. Ci rendiamo conto che il nostro<br />

disegno è troppo ordinato e precisino per l’arte che<br />

vogliamo giudicare: i Futuristi ne avrebbero inventata<br />

una più dinamica e multicolore. Ma una bussola deve<br />

essere precisa, non fantasiosa.<br />

“All’ingresso della mostra ci accoglie questo grande ritratto che<br />

fatichiamo a collegare al movimento futurista, anche se sappiamo che<br />

il pittore Romolo Romani, unico <strong>bresciano</strong> in mostra, era fra i firmatari<br />

del primo Manifesto dei pittori futuristi pubblicato su un volantino di<br />

“Poesia”. Per la verità ci sembrava un ritratto abbastanza convenzionale<br />

e realistico, prima che lo guardassimo un po’ più da vicino: allora ci<br />

ha colpito il contrasto tra l’espressione intensa volto, tratteggiato con<br />

grande cura a matita, e alcuni tratti della figura come le mani, appena<br />

abbozzate. Anche lo sfondo,che in un primo momento ci sembrava un<br />

tradizionale paesaggio divisionista è ottenuto applicando dense virgole<br />

di colore che, invece di delineare chiaramente il paesaggio, lo rendono<br />

sfumato, quasi evanescente.”<br />

[Luca]<br />

166 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 167 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

“In un primo momento questo<br />

dipinto non ci è piaciuto<br />

particolarmente: forse preferiamo<br />

opere meno astratte, <strong>nel</strong>le quali<br />

possiamo riconoscere figure o<br />

personaggi. Poi ci ha colpito il<br />

dinamismo della composizione, il<br />

modo vivace di assemblare ritagli,<br />

caratteri tipografici e tocchi di<br />

colore per celebrare, forse, la<br />

velocità con la quale i giornali ci<br />

coinvolgono <strong>nel</strong> caotico svolgersi<br />

degli avvenimenti.<br />

[Paola e Francesco C.]<br />

“L’alpino è ritratto in una posa statica, quasi stanca, con le spalle curve e il<br />

viso rivolto verso il basso. Ma i colori vivaci, la scomposizione della figura e<br />

dell’ambiente in figure geometriche accostate con grande libertà e dipinte<br />

con i tocchi veloci della tecnica divisionista rendono, a nostro parere,<br />

questa scena più vivace e dinamica.”<br />

[Giorgio e Francesco B.]<br />

“Pur così diversi i due ritratti hanno<br />

qualcosa in comune: la scomposizione<br />

del personaggio che comunque<br />

risulta fortemente caratterizzato, la<br />

compenetrazione figura-ambiente. Alcuni<br />

di noi preferiscono il primo per i colori<br />

vivaci e chiari, per l’ambiente più ricco di<br />

elementi che movimentano la scena, per<br />

le lame di luce che favoriscono la fusione<br />

della figura con quanto la circonda. Altri<br />

sono colpiti dall’intensità di espressione e<br />

di atteggiamento dello scrittore ritratto, dalla forza degli occhi e del pugno<br />

serrato, dalla piega sprezzante della bocca, dalla ribellione delle ciocche<br />

scomposte. La scomposizione ci sembra ottenere un forte effetto plastico e<br />

la dinamicità della scena è esaltata dalle forme coniche e avvolgenti della<br />

manica e dei panneggi. Piacciono anche i colori per la contrapposizione dei<br />

bruni con il verde e l’azzurro deciso”.<br />

[Giorgio, Alessandro e Alberto]<br />

Romolo Romani, Ritratto di<br />

Giacomo Dalai.<br />

A sinistra, Mario Nannini,<br />

La Nazione.<br />

Achille Lega, Alpino al caffè<br />

Achille Lega, Ritratto della<br />

madre.<br />

Sotto, Neri Nannett, Ritratto<br />

dello scrittore Rivosecchi.


Lucio Venna, Simultaneità.<br />

Mario Nannini, Figure +<br />

paesaggio.<br />

R.M. Baldessari, Treno dei<br />

feriti.<br />

Gino Galli, Dinamismo<br />

meccanico e animale.<br />

progetto 7 Alla ricerca dei futuristi progetto 7 Alla ricerca dei futuristi<br />

“I due paesaggi con figure in un primo momento<br />

ci erano sembrati abbastanza simili per la<br />

scomposizione e la compenetrazione dei piani; in<br />

entrambi il soggetto è ancora leggibile e questa<br />

riconoscibilità dà sicurezza a noi abituati ad una<br />

pittura più classica. Ci è stato fatto notare come<br />

in questi dipinti non è presente la prospettiva<br />

che conferisce profondità ma anche distacco tra<br />

ambiente e figure: i diversi piani sono decisamente<br />

avvicinati a noi, quasi “sbattuti un faccia”<br />

per coinvolgerci meglio. Ci sembra però che,<br />

nonostante il titolo, Simultaneità sia più statico<br />

rispetto al dinamismo del secondo dipinto”.<br />

[Rebecca]<br />

“All’inizio la<br />

scena dipinta ci è<br />

sembrata troppo<br />

statica per un quadro futurista, anche se forse ciò<br />

è dovuto al tema dolente dell’arrivo dei soldati dal<br />

fronte; poi abbiamo notato i potenti fasci di luce<br />

elettrica che illuminano con effetto drammatico<br />

la scena. L’ambiente della stazione è tutt’altro<br />

che realistico e la prospettiva non è certo quella<br />

tradizionale: alla scomposizione dell’ambiente si associa quello del nome della<br />

città. I colori, meno chiassosi che in altri quadri, sono particolarmente adatti, con<br />

il contrasto tra il livido grigio-verde della scena e il giallo dei fasci di luce, ad<br />

esprimere i dolore della situazione.<br />

[Lorenzo e Luca]<br />

“È ai primi posti <strong>nel</strong>le nostre preferenze questo<br />

dipinto che accosta due soggetti come il cavallo<br />

e la motocicletta, simbolo del dinamismo e<br />

della velocità. La strada – con le sue linee<br />

oblique convergenti – corre verso l’orizzonte, il<br />

paesaggio ai lati fugge via veloce, le distanze<br />

si annullano e perfino il cielo ci viene incontro.<br />

Ci piacciono i colori e la contrapposizione delle<br />

linee curve e rette.<br />

[Greta, Alessandro e Simone]<br />

“Due quadri del<br />

medesimo autore ci sembrano esprimere bene l’idea<br />

stessa del dinamismo attraverso la circolarità delle<br />

forme che sembrano roteare <strong>nel</strong>lo spazio attraversate<br />

da linee curve che paiono lampi di luce. Moto, luce,<br />

colori vivaci e forti ci fanno apprezzare quell’oggetto<br />

misterioso che è per noi la pittura astratta”<br />

[Francesca]<br />

Julius Evola<br />

Five o’ clock tea.<br />

Fucina-studio di rumori.<br />

168 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 169 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

“Questo è uno dei dipinti che ha riscosso tra di noi<br />

maggior successo: ci è apparso chiaro il movimento<br />

dei pesci espresso attraverso la simultaneità:<br />

vediamo il muso che si avvicina al vetro e la coda<br />

che guizza.<br />

I segni colorati del loro girare in tondo formano un<br />

gioco di linee quasi astratto. Ci piacciono i colori<br />

brillanti e le lame di luce, ci danno un senso di<br />

dinamica allegria.”<br />

[Paola e Claudia]<br />

“Questo è il dipinto che è piaciuto di più: i colori, applicati a piccoli<br />

tocchi decisi, accentuano il dinamismo affidato alle linee che partono<br />

sinuose per acquistare in seguito un forte slancio verso l’alto. Ci<br />

sembra che le forme astratte trasformino un paesaggio di vette in<br />

un’ascensione dell’anima. I colori sono intensi e luminosi. È retorica<br />

dire che qui si trovano unite poesia e forza?”<br />

[Elisa]<br />

“In confronto agli altri quadri<br />

questo ci è sembrato poco<br />

futurista, nonostante la scomposizione<br />

geometrica più evidente negli abiti e <strong>nel</strong>lo<br />

sfondo sulla destra, lo sfondo lasciato<br />

grezzo, le pen<strong>nel</strong>late nervose e il collage<br />

con gli inserti di giornale.<br />

Forse è l’atmosfera da piazza di paese,<br />

provinciale e silenziosa – lontana dalla<br />

vita caotica ma ottimistica della città tanto<br />

amata da Boccioni – che ci spiazza.”<br />

[Gloria]<br />

“A scuola abbiamo lavorato con dipinti di Futuristi della prima generazione<br />

e fino a questo momento abbiamo ritrovato echi della loro pittura nei<br />

diversi quadri della mostra. Questo però ci sembra completamente diverso<br />

per la vivacità dei colori stesi in modo uniforme, per le forme solide e<br />

tondeggianti, per una specie di allegria contagiosa che il dipinto trasmette,<br />

con lo scherzetto dell’ombra che assume una vita propria dietro alla<br />

bagnante con l’ombrellino. Depero ci è sembrato meno serio, più lieve e<br />

scherzoso dei suoi amici Boccioni, Carrà , Russolo e ci è venuta in mente<br />

una sua fotografia che lo ritrae simile ad un folletto un po’ cresciuto.<br />

Contemporaneamente ci siamo ricordati di alcuni versi di Aldo Palazzeschi,<br />

che in un’altra poesia si era definito “<strong>Il</strong> saltimbanco dell’anima mia”.<br />

…<br />

<strong>Il</strong> poeta si diverte,<br />

pazzamente,<br />

smisuratamente!<br />

Non lo state a insolentire,<br />

lasciatelo divertire<br />

…<br />

[Gloria e Isidora]<br />

Gino Galli, Insieme dinamico<br />

e coloristico di una pesciera.<br />

Gerardo Dottor, Forze<br />

ascensionali.<br />

A sinistra, Emilio Notte, La<br />

piazza.<br />

Sotto, Fortunato Depero,<br />

Bagnanti.


progetto 7 Alla ricerca dei futuristi progetto 7 Alla ricerca dei futuristi<br />

DA UN’IGNORANZA AD UN’ASSENZA<br />

Ritornati a scuola, confrontate le nostre impressioni, abbiamo scoperto di avere qualcosa<br />

di nostro da dire sui quadri che abbiamo visto, ma non siamo certamente sembrati così<br />

loquaci alla dottoressa Bersotti che ci ha accolti in mostra, ci ha invitati ad osservare e ci ha<br />

stimolato con domande alle quali abbiamo risposto a monosillabi.<br />

Qual era la ragione della nostra performance poco disinvolta?<br />

Le poche righe che il nostro libro di Arte dedica ad ogni argomento trattato non sono certo<br />

sufficienti a dare ai più interessati di noi qualcosa di più di una superficiale conoscenza.<br />

Diapositive, filmati aiutano, ma non sostituiscono un’esperienza dal vivo come quella che<br />

abbiamo appena commentato. Per fare solo un esempio, noi possiamo ben aver letto<br />

sul testo di storia le caratteristiche della città dell’età comunale, ma niente può sostituire<br />

una passeggiata tra le strette vie dietro S. Faustino e nessuna lettura si dà più l’idea<br />

dell’ammassamento urbano <strong>nel</strong>la città comunale che vedere la cupoletta di S. Faustino in<br />

riposo soffocata dagli edifici che le stanno intorno.<br />

Possiamo dimenticare il teorema di Pitagora, ma finchè campiamo sapremo riconoscere<br />

un’altana.<br />

E accanto al Rinascimento spiegato sui libri, quello di Raffaello e Leonardo, noi possiamo<br />

affiancare quello – vissuto dal vivo – di Romanino e Moretto presenti <strong>nel</strong>le chiese e<br />

soprattutto in Pinacoteca.<br />

Ma dopo il Settecento, arrivati all’età contemporanea, più nulla.<br />

Eppure sulla copertina di un Oscar Mondatori che raccoglie le poesie di Montale abbiamo<br />

riconosciuto il dipinto “Forze ascensionali” di Dottori e con stupore abbiamo letto che si trova<br />

in “Brescia, Civica Galleria d’Arte Moderna”. Quale galleria?<br />

Abbiamo chiesto un po’ in giro ed un insegnante della nostra scuola si è ricordato di aver<br />

visitato, mentre frequentava il liceo artistico, la galleria, che aveva sede in Santa Giulia. Una<br />

collocazione provvisoria, se è vero che a fianco erano ospitati i profughi dalla Libia.<br />

Per questa galleria erano stati acquistati i dipinti futuristi che abbiamo visto noi, accanto<br />

ad alcune opere qui collocate, appartenenti ad un famoso collezionista nostro concittadino,<br />

Achille Cavellini che dal 1947 aveva raccolto, a detta degli esperti, la più ricca collezione<br />

privata italiana di dipinti – italiani e stranieri – del secondo dopoguerra. Sembrava che il<br />

comune fosse interessato ad acquisirla, ma purtroppo non si è fatto nulla e le opere sono<br />

state vendute altrove.<br />

Da allora il monastero è stato ristrutturato, è nato il Museo della Città, ma<br />

contemporaneamente i dipinti e le sculture moderne hanno preso la via dei depositi, dai quali<br />

sono emersi in poche sporadiche occasioni o per essere prestate a mostre lontano dalla<br />

nostra città.<br />

Paradossalmente, <strong>nel</strong> 1982, mentre con un nuovo Regolamento l’Amministrazione Comunale<br />

stabiliva i compiti della Galleria d’arte moderna contemporanea, questa era in realtà un<br />

fantasma. Le uniche opere visibili, ma a pochi, sono i numerosi pezzi che continuano ad<br />

arredare uffici pubblici, ambienti “a rischio” dal punto di vista della conservazione.<br />

<strong>Il</strong> centenario del <strong>Futurismo</strong> è stata l’occasione per ritrovare, restaurare, ed offrire a noi<br />

studenti queste tele: e se fossero solo l’avanguardia di esposizioni più ricche? Bisogna aver<br />

fiducia <strong>nel</strong> futuro!<br />

IN GIRO PER LA CITTÀ<br />

In ogni classe c’è sempre un futurista (ma i prof continuano a preferire i passatisti).<br />

Prima di uscire insieme sul <strong>territorio</strong> abbiamo dato uno sguardo rapido alla società bresciana<br />

di inizio secolo.<br />

Abbiamo aperto la bresciana “Storia per date dalla preistoria al 1980” di Franco Nardini e fra<br />

gli avvenimenti riportati per il fatidico 1909 leggiamo:<br />

25 aprile A seguito di referendum popolare favorevole (89,6%) l’A.S.M. assume il servizio<br />

di produzione e distribuzione di elettricità a Brescia.<br />

4 luglio C’è gran festa <strong>nel</strong>l’alta Valcamonica: il<br />

treno arriva a Edolo. Nello stesso giorno a Brescia<br />

si apre in corso Magenta il Salon Parisien: è il primo<br />

cinematografo.<br />

8 agosto Si apre a Brescia con grande successo<br />

l’Esposizione internazionale di elettricità.<br />

8 settembre Nella campagna di Montichiari.si tiene il<br />

primo circuito aereo internazionale di Brescia con gare<br />

obbligatorie e libere. L’americano Curtiss vola per 50<br />

chilometri e il francese Rougier, salendo a m. 198,50,<br />

batte il record del mondo in altezza…” .<br />

Brescia sembra essere quasi la capitale del<br />

<strong>Futurismo</strong>!<br />

LE DUE ANIME DELLA CITTÀ<br />

Effettivamente la nostra città, produttrice di armi, “Brescia la ferrea” cantata da Carducci si è<br />

sempre dedicata alla lavorazione dei metalli e vede fiorire molte officine di piccole dimensioni<br />

– ma di grande professionalità – che si specializzano <strong>nel</strong>la meccanica. Sul finire del secolo Paolo<br />

170 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 171 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>


progetto 7 Alla ricerca dei futuristi progetto 7 Alla ricerca dei futuristi<br />

Bertolotti apre in città una concessionaria di automobili, i fratelli Chizzolini mettono in funzione<br />

un’officina che si occupa di automobili e si deve all’inventiva di Giovanni Rovetta un cambio dei<br />

rapporti di velocità tra motori e ruote.<br />

Nel 1908 la neonata fabbrica di automobili Brixia Zust partecipa al giro del mondo New York-Parigi.<br />

Ecco sfrecciare lungo corso Zanardelli, l’auto potente del Cav. Florio che, soddisfatto della sua<br />

partecipazione alla riuscitissima”Settimana automobilistica” del 1904, deciderà di istituire per gli<br />

anni seguenti la ricca Coppa Florio, con ben 20.000 lire di premio per il vincitore del circuito Brecia-<br />

Cremona-Mantova-Brescia.<br />

I temerari che sfrecciavano con sprezzo del pericolo, e talvolta con rischio dell’incolumità degli<br />

spettatori, erano comunque a Brescia sempre applauditi da una folla festante.<br />

Nel 1909, come abbiamo visto, Brescia diventa la capitale del volo aereo.<br />

Al Primo Circuito internazionale aereo di Brescia assiste, <strong>nel</strong>la pianura<br />

di Montichiari, il bel mondo, personalità come D’Annunzio, Toscanini,<br />

Puccini ed il re Vittorio Emanuele III onorò della sua preseza: fra i giornalisti<br />

venuti da tutto il mondo un giovane Franz Kafka manda il suo resoconto<br />

dell’avvenimento.<br />

Moderna <strong>nel</strong>l’animo, Brescia artisticamente era lontana dalle novità delle<br />

avanguardie.<br />

Abbiamo messo fianco a fianco i manifesti che pubblicizzano i grandi<br />

eventi automobilistici e aviatorii, con una Vittoria alata seminuda (in quello<br />

del 1906) o (<strong>nel</strong> 1909) più castigata e riconoscibile ma ugualmente<br />

svolazzante, trasformata in entrambi i casi in un tipo femminile sicuramente<br />

detestato dai Futuristi.<br />

Passati numerosi anni, due dipinti futuristi mostrano una ben diversa<br />

interpretazione della velocità e si preparano ad influenzare i manifesti<br />

successivi.<br />

A questo fermento industriale e sportivo <strong>nel</strong>la nostra città non<br />

corrispondeva un uguale spirito di ricerca e di modernità in altri campi.<br />

All’inizio del nuovo secolo “la realtà culturale della città appare<br />

inadeguata” 14 ai tempi. <strong>Il</strong> sostegno e la promozione culturale è affidata infatti all’Ateneo,<br />

benemerito per la riscoperta di Brescia romana e per la fondazione del Museo Patrio, ma portato<br />

a “privilegiare, <strong>nel</strong> campo delle arti, l’indirizzo storicistico rispetto a prospettive più moderne” 15 .<br />

Una Brescia dalla doppia anima, dunque: lo stesso D’Annunzio che apprezza il rombo dei circuiti<br />

automobilistici e partecipa alle avventure<br />

aviatorie la pone, dedicandole una poesia, tra le<br />

“Città del silenzio”.<br />

A Brescia non c’è un’Accademia: gli aspiranti<br />

artisti sperano <strong>nel</strong> “Pensionato Brozzoni”,<br />

una borsa di studio che permette ai vincitori<br />

di andarsene per completare gli studi,<br />

un’occasione di crescita ma spesso anche di<br />

distacco definitivo dalla città.<br />

D’altra parte il gusto dei committenti bresciani<br />

non ama le opere dei Ritrattisti, degli Internisti,<br />

dei Laghettisti, dei Montagnisti irrisi oltre i loro<br />

demeriti <strong>nel</strong> Manifesto dei pittori futuristi?<br />

Anche a questa città operosa, ma artisticamente<br />

provinciale, i nostri artisti portano il loro<br />

messaggio rivoluzionario.<br />

Abbiamo ricavato le precedenti informazioni da<br />

testi trovati <strong>nel</strong>le Biblioteche di quartiere 16 .<br />

Per sapere, invece, come i Bresciani abbiano<br />

accolto il “verbo” di Marinetti & C bisogna<br />

andare in Emeroteca, dove sono raccolte pubblicazioni dell’epoca, che danno notizia delle “Serate<br />

futuriste”. Dato il poco tempo a disposizione per la nostra ricerca ed il desiderio di insegnanti di<br />

diverse discipline di averci tutti per loro in classe, abbiamo fatto ricorso all’aiuto del dottor Ennio<br />

Ferraglio che ha letto per noi con attenzione gli articoli di La Provincia e de La senti<strong>nel</strong>la bresciana,<br />

che hanno preceduto e seguito l’esibizione di Marinetti al teatro Sociale.<br />

Questa vignetta di Boccioni illustra bene,<br />

forse con un pizzico di autoironia, lo spirito<br />

delle Serate futuriste: l’allegra confusione, i<br />

protagonisti sopra le righe, l‘orchestra senza<br />

violini ma ricca di tromboni e grancasse. E in<br />

mezzo l’esaltazione e la rissa.<br />

In fondo senza la rissa o, per lo meno, una<br />

forte contestazione a cui rispondere per<br />

le rime, i Futuristi non potevano ritenersi<br />

soddisfatti.<br />

In un libro del 1915, che la nostra insegnante<br />

ha ritrovato <strong>nel</strong>la sua biblioteca, “Guerra,<br />

sola igiene del mondo” pubblicato in francese 5 anni prima e, come compare <strong>nel</strong> riquadro sotto il<br />

titolo, “Tradotto (scopo propaganda) oggi”, la prima pagina è dedicata al gruppo: l’organigramma,<br />

diremmo con una parola moderna.<br />

Come si vede bene, un nutrito gruppo di artisti si occupa della propaganda e ne sono specificati i<br />

mezzi: PUGNI-MEGAFONO-LANCIO MANIFESTI.<br />

Poteva una serata futurista essere un semplice comizio con esibizione<br />

letteraria al seguito?<br />

Forse solo <strong>nel</strong>la prima delle due serate, quella del 2 febbraio 1914,<br />

Brescia ha risposto alle attese non tanto per “la folla enorme, comprese<br />

numerose e distinte signore”, quanto per il provocatorio lancio dal<br />

loggione, prima che Marinetti aprisse bocca, di “una pioggia di frutti, di<br />

erbaggi e di sudicerie”. Ma se la folla del loggione era in tumulto per<br />

“l’esposizione della parte politica del programma contenente un fiero e<br />

animoso attacco contro i socialisti”, ecco Marinetti ripetere instancabile<br />

l’apostrofe “imbecilli” con voce stentorea. Secondo noi si sarà goduto<br />

quei parecchi minuti di caos nei quali “vi furono, oltre a clamori e fischi e<br />

urli di protesta, dei pugilati” 17 .<br />

Non sappiamo se il nostro avrà gradito di più i ”fischi altissimi” o gli<br />

“applausi fragorosi”.<br />

Meno soddisfacente deve essere stata la Serata del 7 febbraio 1922,<br />

se “il pubblico <strong>bresciano</strong> è stato generalmente benevolo…durante lo<br />

172 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 173 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Da sinistra:<br />

Gerardo Dottori, La corsa.<br />

Tullio Raniero Mariani,<br />

Turbine Aereo.<br />

Fortunato Depero, Locandina<br />

pubblicitaria,1928.


progetto 7 Alla ricerca dei futuristi progetto 7 Alla ricerca dei futuristi<br />

svolgersi del programma…diversamente da quanto succedeva parecchi anni or sono” 18 . È proprio<br />

segno, come ritiene l’articolista, che il pubblico ha compreso il futurismo o non piuttosto che ormai<br />

Brescia, che per Martinetti “se non è futurista non è neppure passatista” guarda ormai a questi<br />

avvenimenti con curiosità e divertimento, non certo con passione?<br />

La doppia anima di Brescia si mostra anche <strong>nel</strong>l’aspetto urbanistico e architettonico. Da un lato<br />

vengono velocemente abbattute le vecchie mura che per secoli hanno “costretto” la città e ne<br />

soffocano l’espansione, dall’altro i nuovi edifici rispecchiano un gusto “retrò” e storicista: stile<br />

neogotico per chiese e villette, neorinascimentale per le palazzine della prima periferia, neobarocco<br />

per gli edifici più grandi, il tutto condito con un pizzico di liberty, ma soprattutto con un insieme di<br />

motivi decorativi che soddisfano la fantasia dei committenti.<br />

Siamo partiti dalla nostra scuola – in una giornata fredda e nebbiosa – e, per giungere <strong>nel</strong> centro<br />

storico, abbiamo attraversato la fascia costruita in prossimità delle mura.<br />

Avevamo, come bibbia, ancora un manifesto, “L’architettura futurista” di Sant’Elia, che ci indicava<br />

come distinguere il bene dal male anche in questo campo. In realtà, fra gli scritti letti, ci è sembrato<br />

il più facile da capire.<br />

Ed ecco, in una casa costruita dopo la grande Guerra<br />

“la gioconda insalata di colonnine ogivali, di foglione<br />

secentesche, di archiacuti gotici, di pilastri egiziani, di<br />

volute rococò…” 19 .<br />

Ed ancora, in una<br />

palazzina d’impronta<br />

neorinascimentale,<br />

“il solito bussolotto<br />

passatista di mattone e<br />

di pietra”, unito ad un<br />

balconcino che ricorda<br />

quello di Giulietta e<br />

Romeo.<br />

Proprio a ridosso di Porta Pile, oggi piazzale Cesare Battisti, troviamo questa pittoresca villa<br />

neomedievale dell’architetto Egidio Dabbene, il medesimo che, quasi di fronte, firma per casa<br />

Migliorati un audace accostamento eclettico che vede una leggiadra decorazione liberty sopra un<br />

edificio bugnato che sembra un’imprendibile fortezza.<br />

Già ormai all’interno della città vecchia abbiamo visitato<br />

il Santuario delle Grazie, dell’architetto-artista Tagliaferro,<br />

che lo progetta sia negli spazi che negli arredi (rilievi,<br />

mobili, ferri battuti…) in uno stile prevalentemente<br />

neogotico di grande suggestione, grazie anche agli<br />

affreschi preraffaelliti di Faustini e Bertolotti.<br />

Sant’Elia si sarà rivoltato <strong>nel</strong>la tomba, ma alcuni di noi<br />

hanno trovato il santuario molto bello – e molto caldo<br />

– visto che eravamo infreddoliti!<br />

La nostra meta era però Piazza della Vittoria, l’intervento<br />

moderno realizzato tra il 1929 e il 1932, <strong>nel</strong> cuore<br />

storico della città tra le tre storiche piazze della Loggia,<br />

del Duomo e del Mercato del Lino.<br />

PIAZZA DELLA VITTORIA: FUTURISTA O PASSATISTA?<br />

A giudicare dallo scarso amore di una parte della<br />

popolazione, che la giudicava troppo moderna,<br />

sembrerebbe prevalere in questo intervento lo spirito<br />

futurista.<br />

A cominciare dalla riflessione, alla base della loro filosofia,<br />

che ciò che era nuovo e funzionale <strong>nel</strong><br />

passato diventa privo di senso <strong>nel</strong> presente.<br />

Da una ricerca fatta da studenti della nostra<br />

scuola alcuni anni fa, abbiamo appreso<br />

che il quartiere delle Pescherie era, <strong>nel</strong><br />

Cinquecento, il meglio che la Repubblica<br />

veneta aveva concepito per organizzare<br />

con igiene e decoro, oltre che senza frodi, il<br />

sistema dei mercati della carne, del pesce e dei cereali.<br />

Quello che era un quartiere modello si era però trasformato, alla fine<br />

dell’Ottocento, in un “nucleo impuro… ingombrato e oppresso da una selva di<br />

luride catapecchie… intersecato di viuzze luride fiancheggiate da lerci abituri… ”,<br />

come scrivevano i giornali dell’epoca.<br />

Ritroviamo qui – più forti – gli accenti del primo Manifesto, “lo scricchiolar dell’ossa dei palazzi<br />

moribondi sulle loro barbe di umida verdura”, solo che la mancanza di luce a Brescia non<br />

permetteva nemmeno all’umido muschio di<br />

crescere.<br />

Futurista è anche la rapidità con la quale si<br />

fa piazza pulita di un intero quartiere, come si<br />

può notare <strong>nel</strong>l’immagine delle demolizioni.<br />

E poi la ricostruzione.<br />

<strong>Il</strong> cantiere del primo grattacielo italiano in<br />

cemento armato, la torre INA, ricorda certo,<br />

con lo slancio verticale e la struttura di ferro<br />

“la città che sale”.<br />

Quando però si tratta di rivestire il grattacielo,<br />

ecco i mattoni rossi ricordare il glorioso<br />

passato da libero comune della nostra città, come i rivestimenti di marmo bianco di altri edifici<br />

rimandano alla gloria di Roma imperiale. <strong>Il</strong> marmo rosa di Verona serve, <strong>nel</strong>l’arengario - altro nome<br />

che arriva dritto dritto dal Medioevo - ad effigiare gli avvenimenti principali della storia di Brescia,<br />

mentre la disposizione circolare delle formelle scolpite dal Maraini ricollegano la rivoluzione fascista<br />

al periodo augusteo della nostra città.<br />

Ed i riferimenti storici non finiscono qui; dopo il passato romano e comunale, ecco la celebrazione<br />

del periodo veneto. La forma ad elle della piazza riprende la<br />

vicina piazza della Loggia, ma costituisce un omaggio a piazza<br />

S.Marco di Venezia; con la Basilica divenuta il laico palazzo delle<br />

poste ed il campanile di S. Marco che ha assunto l’aspetto del<br />

grattacielo INA.<br />

Nell’immagine di sinistra il palazzo Perogalli riprende lo stile<br />

della loggia del Capitanio di Palladio, caratterizzata dalle<br />

imponenti colonne che giungono fino al tetto.<br />

Nella fotografia d’epoca la facciata del Palazzo della RAS<br />

richiamava, con la sua policromia, il celebre Palazzo Ducale di<br />

Venezia.<br />

Se dunque vogliamo trovare il vero spirito futurista, dobbiamo<br />

cercarlo in altri interventi: <strong>nel</strong>la galleria Tito Speri, che buca<br />

il colle Cidneo per collegare centro e parte nord della città<br />

174 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 175 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Tullio Crali, Incuneandosi<br />

<strong>nel</strong>l’abitato.<br />

Una vignetta, riferita ad<br />

un altro intervento può<br />

tranquillamente sottolineare<br />

la veloce costruzione di<br />

Piazza della Vittoria.


A. Sant’Elia, La città nuova.<br />

progetto 7 Alla ricerca dei futuristi<br />

in espansione, <strong>nel</strong> cavalcavia Kennedy, dal nome contemporaneo ma<br />

progettato prima dell’ultima guerra per superare la ferrovia che limita<br />

ormai la città, <strong>nel</strong> progetto della prima autostrada italiana, la Brescia-<br />

Milano, così moderna da costituire un esempio per il Nuovo Mondo, se<br />

ingegneri statunitensi vennero a Brescia per studiarla.<br />

Parlano le insegnanti<br />

Ancora una precisazione metodologica. Le osservazioni prodotte in<br />

autonomia dagli alunni sono state riquadrate o messe tra virgolette. Nelle<br />

diverse attività svolte dagli insegnanti e dalla dottoressa Bersotti in classe,<br />

al museo o in città sono state poste al gruppo degli alunni domande-stimolo perché riuscissero<br />

(anche in collaborazione coi compagni) a trarre dai testi, dai dipinti, dalle opere che avevano davanti<br />

i temi, il linguaggio e l’intenzione comunicativa degli autori.<br />

La sintassi con la quale sono state riordinate e trascritte le loro osservazioni orali e scritte appartiene<br />

agli insegnanti: sono nostri i “d’altra parte”, i “da un lato”, i “dunque”e gli “allora” posposti.<br />

<strong>Il</strong> linguaggio, invece, che non è quello usato spontaneamente dai ragazzi della scuola media <strong>nel</strong>le<br />

loro usuali comunicazioni, è frutto di un impegno di insegnanti e alunni per utilizzare la ricchezza<br />

e la competenza linguistica che spesso i giovani dimenticano di possedere. Ricchezza e proprietà<br />

della nostra lingua che vanno salvati dall’estinzione almeno come la foca monaca o l’orso panda.<br />

NOTE<br />

1 F. T. MARINETTI, Manifesto del <strong>Futurismo</strong>, in Marinetti e il<br />

<strong>Futurismo</strong>, Milano, Mondatori, 1973.<br />

2 Ibidem.<br />

3 Ibidem.<br />

4 Ibidem.<br />

5 Ibidem.<br />

6 Ibidem.<br />

7 MIMNERMO, Al modo delle foglie, in S. QUASIMODO, Lirici<br />

greci, Milano, Mondatori, 1960.<br />

8 F. T. MARINETTI, Manifesto del <strong>Futurismo</strong>, in op. cit.<br />

9 Ibidem.<br />

10 A. SANT’ELIA, L’architettura futurista, in Marinetti e il<br />

<strong>Futurismo</strong>, Milano, Mondatori, 1973.<br />

11 A. PALAZZESCHI, Umberto Boccioni: itinerario di<br />

un’avventura critica, in L’opera completa di Boccioni, Milano,<br />

Rizzoli, 1969.<br />

12 J. LE GOFF, La civiltà dell’Occidente medievale, Sansoni<br />

editore.<br />

13 F. T. MARINETTI, Contro l’amore e il parlamentarismo, in<br />

Guerra sola igiene del mondo, Milano, edizioni futuriste di<br />

“Poesia”, 1915.<br />

14 BRUNO PASSAMANI, Brescia fra tradizione e moderno, in<br />

Brescia postromantica e liberty 1980-1915, Brescia, Grafo<br />

edizioni, 1985.<br />

15 Ibidem.<br />

16 In particolare Aeroporti del Garda, BAMS edizioni, 1999 e<br />

ALBERTO REDAELLI, <strong>Il</strong> rombo <strong>nel</strong> cuore, Brixia edizioni, 1994.<br />

17 ENNIO FERRAGLIO, <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong>la stampa locale:<br />

cronache dall’esempio di Brescia, in Futuristi in Queriniana,<br />

Compagnia della stampa Massetti Rodella editori, 2009.<br />

18 A. SANT’ELIA, L’archietttura futurista, in op. cit.<br />

19 Ibidem.<br />

Chi e dove Liceo classico “Arnaldo” di Brescia<br />

Classi coinvolte Seconda liceo corso E<br />

Docenti referenti Molinari Paolo, Pierfabio Panazza<br />

L’occasione, determinata dalle iniziative volte a ricordare anche a Brescia il centenario di<br />

nascita del <strong>Futurismo</strong>, ha indirizzato lo spunto di ricerca della classe II E del Liceo Classico<br />

“Arnaldo” <strong>nel</strong> tentativo di approfondire il discorso su uno dei momenti più discussi e difficili<br />

della storia italiana.<br />

Aderendo al progetto delle “Le <strong>Vie</strong> dell’Arte: <strong>Il</strong> futurismo <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>: simbolo,<br />

astrazione, modernità”, si è pensato di cogliere lo spunto offerto dalla concomitante apertura<br />

della mostra appositamente pensata e realizzata per questo progetto.<br />

<strong>Il</strong> percorso espositivo, con sede <strong>nel</strong>le sale del Museo della Città e curato di Elena Lucchesi<br />

Ragni con Maurizio Mondini, si è rivelato particolarmente interessante, essendo presentate<br />

numerose opere pittoriche da anni conservata nei depositi e quindi sostanzialmente inedite o<br />

superficialmente conosciute. Oltre alle sei opere di Romolo Romani, il più noto dei rappresentati<br />

bresciani del movimento futurista in quanto firmatario, con<br />

Boccioni, Carrà, Russolo, Bonzagni, del primo Manifesto dei<br />

pittori futuristi, pubblicato agli inizi del 1910 sulla rivista diretta<br />

da Tommaso Filippo Marinetti “Poesia”, il nucleo di notevole<br />

interesse è costituito da quattordici dipinti di ambito futurista,<br />

acquistate dai Musei Civici <strong>nel</strong> 1964 dalla Galleria La Medusa<br />

di Roma. In particolare hanno sollecitato lattenzione degli<br />

studenti due opere di notevole impatto visivo ed emotivo: Treno<br />

dei feriti di Roberto Marcello Baldessari, soprannominato Iras, e<br />

Alpino al bar di Achille Lega.<br />

In previsione del programma curricolare da affrontare<br />

l’anno prossimo e sollecitati dal lavoro di approfondimento<br />

che un nutrito gruppo di studenti sta facendo all’interno<br />

del progetto “I giovani e la memoria”, operante presso il<br />

Liceo. Composto da docenti e alunni, accomunati da un<br />

vivo interesse per la formazione civile, culturale e umana, si<br />

fonda su una continua integrazione tra “forza del presente”,<br />

realtà del passato e memoria collettiva, soprattutto del<br />

“900. Tali ragioni hanno convinto dell’opportunità di<br />

integrare l’analisi iconografica e storico artistica dei due<br />

dipinti con un approfondimento di taglio più strettamente<br />

storiografico, al fine di mettere in luce i fatti e gli<br />

avvenimenti che hanno determinato e condizionato le scelte<br />

espressive dei futuristi.<br />

176 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 177 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

progetto 8 <strong>Il</strong> futurismo, la guerra, la politica:<br />

un approccio storico e artistico<br />

Copertina del saggio di<br />

Emilio Gentile “La nostra<br />

sfida alle stelle”. Futuristi in<br />

politica oggetto di particolare<br />

approfondimento da parte<br />

della classe.


Copertina del catalogo della<br />

mostra <strong>Futurismo</strong> e futurismi,<br />

a cura di Pontus Hulten<br />

e inaugurata a Venezia in<br />

palazzo Grassi (1986).<br />

Copertina del catalogo<br />

della mostra <strong>Futurismo</strong><br />

1909-2009. Velocità +<br />

arte + azione, a cura di<br />

Giovanni Lista e Ada Masoero<br />

inaugurata a Milano presso<br />

Palazzo Reale in occasione<br />

del centenario futurista<br />

(2009).<br />

progetto 8 <strong>Il</strong> futurismo, la guerra, la politica progetto 8 <strong>Il</strong> futurismo, la guerra, la politica<br />

In particolare è stata di importante aiuto la lettura del testo di Emilio<br />

Gentile, “La nostra sfida alle stelle”. Futuristi in politica, Roma-Bari, Laterza<br />

Editori, 2009.<br />

<strong>Il</strong> lavoro di coordinamento, attuato dal prof. Paolo Molinari (Storia e<br />

Filosofia) e dal prof. Pierfabio Panazza (Storia dell’arte), è consistito<br />

<strong>nel</strong>l’individuare all’interno del gruppo classe, due gruppi di ricerca che,<br />

scambiandosi periodicamente <strong>nel</strong>l’arco di circa tre mesi i risultati del loro<br />

lavoro, indirizzassero la loro attenzione sia sul versante dell’analisi storica,<br />

sia su quello dell’approfondimento sul piano estetico. In particolare, oltre<br />

al testo di Emilio Gentile, si sono<br />

tenuti presenti i cataloghi delle<br />

mostre sull’arte futurista <strong>Futurismo</strong><br />

e futurismi, a cura di Pontus Hulten,<br />

Milano, Bompiani, 1986; Aspetti del<br />

futurismo <strong>nel</strong>le collezioni bresciane,<br />

mostra a cura di Alessandra Corna<br />

Pellegrini e Bruno Passamani,<br />

Brescia, Apollonio, 2006; <strong>Futurismo</strong><br />

1909-2009. Velocità + arte + azione, a cura di<br />

Giovanni Lista e Ada Masoero, Milano, Skira, 2009.<br />

La voce della storia<br />

<strong>Il</strong> primato italiano: un dogma futurista<br />

“Ritti sulla cima del mondo, noi scagliammo, una volta<br />

ancora, la nostra sfida alle stelle!..”<br />

Con questa frase si concludeva il manifesto del futurismo, scritto da Filippo Tommaso<br />

Marinetti e pubblicato il 20 febbraio 1909 come editoriale sul quotidiano di Parigi “Le<br />

Figaro”.<br />

Nacque così un nuovo movimento di avanguardia che annunciava un nuovo ruolo degli artisti<br />

<strong>nel</strong>la vita politica. Questo nuovo modo di pensare e di agire, tramite “serate futuriste”, creò<br />

in molte città europee delle reazioni scandalizzate nei benpensanti e delle acclamazioni da<br />

parte dei giovani artisti. <strong>Il</strong> novello movimento artistico praticava con l’azione la ribellione<br />

contro l’ottimismo e il moralismo convenzionale dell’Europa liberale inneggiando alla guerra<br />

e alla rivoluzione. Prima del futurismo, <strong>nel</strong> vecchio Continente, altri gruppi di intellettuali si<br />

erano ribellati contro la cultura e l’arte. Ma l’originalità del movimento futurista sta <strong>nel</strong> suo<br />

completo rifiuto del passato.<br />

L’uomo nuovo vagheggiato dal futurismo era una creatura primordiale, animata da istinti<br />

violenti di conquista e di dominio, avidamente disposta a vivere nuove esperienze, a<br />

sperimentare nuove forme di cultura, di arte, di poesia, a dominare la natura trasformandola.<br />

Doveva essere in continua lotta con se stesso e con gli altri per non rimanere imprigionato<br />

<strong>nel</strong> tempo e <strong>nel</strong>lo spazio. E da un’iniziale esaltazione dell’aggressività si passò poi alla<br />

glorificazione della guerra come “sola igiene del mondo”.<br />

Marinetti, dopo la conquista della Libia, definì l’essenza dell’atteggiamento politico futurista<br />

affermando il dominio della parola Italia su libertà. Ricordando il decorso della parola libertà<br />

durante gli ultimi avvenimenti, disse che la parola doveva acquistare il massimo fulgore, il<br />

massimo valore dinamico.<br />

L’italianità diventò per i futuristi una categoria esistenziale. Si può affermare, inoltre, che<br />

non vennero mai elaborati né un concetto sociologico della modernità, né la definizione di<br />

italianità dai futuristi.<br />

Boccioni a sua volta asseriva doti di sintesi e superiorità degli italiani rispetto ai nordici. Con<br />

il futurismo l’Italia riconferma il suo primato dovuto in primis alla nazionalità che scaturisce<br />

fondamentalmente da una profonda volontà e da una caratteristica sensibilità, il cui carattere<br />

fondamentale era lo spirito costruttivo e organizzativo.<br />

La differenza tra il nazionalismo futurista e il movimento nazionalista massimamente<br />

rappresentato da Corradini consisteva <strong>nel</strong>l’avversare il clericalismo e l’autoritarismo.<br />

L’obiettivo era comune ai due movimenti: fondere l’italianità con l’assimilazione della<br />

modernità. Restavano differenti i metodi e l’atteggiamento verso la tradizione. Per Corradini<br />

la tradizione assumeva tutti i connotati di miglior collante possibile. <strong>Il</strong> futurismo, invece,<br />

rifiutò la tradizione storica come elemento di fusione per la legittimazione del nazionalismo.<br />

Boccioni, infatti, afferma che gli italiani erano senza passato, con chiara lettura contrastante<br />

tra modernità e culto della tradizione. Mentre il futurismo predicava un nazionalismo<br />

libertario, il movimento nazionalista di Corradini era imperniato sulla tradizione storica.<br />

Anticipatori di una nuova grandezza italiana, i futuristi dovevano avere il coraggio, secondo<br />

Boccioni, di distruggere e calpestare il passato. <strong>Il</strong> modello da creare era l’italiano nuovo,<br />

moderno. Marinetti sosteneva per l’italiano moderno l’odio del vecchio e l’amore del nuovo,<br />

determinando in sostanza una netta separazione fra nazionalismo e storicismo.<br />

Guerra e rivoluzione divenivano, pertanto, esperienze pedagogiche per la nascita di<br />

una nuova etica del coraggio. L’esaltazione della guerra era un carattere essenziale<br />

dell’entusiasmo futurista, che naturalmente aspirava all’ espansione coloniale ed auspicava<br />

per l’Italia una costante e maggiore aggressività <strong>nel</strong>la politica estera.<br />

Futuristi alla guerra<br />

Dopo lo scoppio della guerra <strong>nel</strong> 1914, i futuristi furono sicuramente i primi interventisti a<br />

manifestare in piazza le proprie ideologie a favore dell’interventismo italiano. Futuristi come<br />

Boccioni e Marinetti, che era considerato il leader di questo movimento, davano spesso<br />

voce alle proprie idee in luoghi pubblici quali la galleria Vittorio Emanuele, come attesta un<br />

documento del prefetto di Milano. <strong>Il</strong> più delle volte queste pubbliche dimostrazioni trovavano<br />

la disapprovazione popolare ed erano accompagnate da slogan che inneggiavano Francia e<br />

Italia e sbeffeggiavano l’Austria o la Germania<br />

I futuristi, infatti, consideravano la Francia la loro seconda patria intellettuale e appoggiavano<br />

e promuovevano la lotta per il primato della cosiddetta “civiltà latina” su quella teutonica, cui<br />

si univano propositi di espansionismo coloniale e mito della potenza italiana.<br />

178 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 179 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Filippo Tommaso Marinetti,<br />

Sintesi futurista della guerra,<br />

1914.


Filippo Tommaso Marinetti,<br />

Parole in libertà –<br />

Irredentismo, 1914 (Lugano,<br />

coll. privata).<br />

progetto 8 <strong>Il</strong> futurismo, la guerra, la politica progetto 8 <strong>Il</strong> futurismo, la guerra, la politica<br />

La guerra venne quindi accolta, oltre che per questi motivi, anche per realizzare l’idea futurista<br />

di una vita eroica. L’adesione ad essa fu totale ma disciplinata. Dopo la dichiarazione di<br />

guerra da parte dell’Italia <strong>nel</strong> 1915, persone appartenenti a gruppi di futuristi, tra cui lo stesso<br />

Marinetti, decisero di arruolarsi poiché ansiosi di combattere. Al fronte si mescolavano felicità<br />

e orgoglio con una rinnovata e rafforzata sensibilità per il tragico, in un continuo gioco di<br />

vita-morte. Accanto alle esperienza personali, vi era l’idea della guerra come rigenerazione<br />

collettiva, che avrebbe preparato l’uomo ad una nuova vita proiettata verso il futuro.<br />

Nonostante le delusioni dei lunghi anni passati in trincea e la cocente disillusione di una<br />

guerra breve, i futuristi non persero lo spirito entusiasta della guerra, lasciandosi travolgere<br />

dall’innovazione portata da essa e sicuri del fatto che la guerra avrebbe accelerato la<br />

rivoluzione futurista. L’accordo fra l’esperienza bellica degli arditi e il futurismo generò un<br />

nuovo tipo di italiano, l’arditofuturista.<br />

In conseguenza della guerra i futuristi iniziarono a rivendicare il ruolo di profeti armati<br />

della nuova Italia e si autonominarono ispiratori e guide della “rivoluzione italiana” per il<br />

dopoguerra. I propositi dell’azione politica futurista furono indicati da Emilio Settimelli <strong>nel</strong><br />

1917, e da qui ebbe inizio il nuovo corso <strong>nel</strong>la politica futurista, volta all’azione concreta. <strong>Il</strong><br />

29 luglio “L’Italia futurista” pubblicò un articolo di Marinetti, Movimento politico futurista, che<br />

raccoglieva i manifesti politici del 1909, del 1911 e del 1913, per rivendicare al futurismo<br />

il vanto e il merito di aver percorso la rinascita dell’italianismo e di aver profetizzato lo<br />

sconvolgimento rivoluzionario che avrebbe prodotto la guerra.<br />

Di grande interesse fu l’articolo di Settimelli, <strong>Il</strong> massacro dei Pancioni, segno che proponeva<br />

un orientamento diverso e nuovo per la politica del futurismo.<br />

”<strong>Il</strong> futurismo è democrazia. Noi siamo per la forza libera. Riconosciamo tutti i diritti alle<br />

classi lavoratrici e produttrici”. Al tipo dell’italiano nuovo, Settimelli aggiunge un’altra qualità,<br />

generata dalla fusione dell’inventività artistica con il senso pratico e la capacità di azione<br />

insegnata dalla guerra: la duttilità. I futuristi decidevano ora di passare alla vita politica, di<br />

vivere a contatto con le maggioranze affinché fossero accolti favorevolmente.<br />

“La duttilità futurista sarà la nuova tempera dei nuovi italiani”. L’arte non era che una parte<br />

del programma futurista. Sarà la parte più sviluppata e di maggior successo, ma non certo<br />

quella ritenuta – dagli stessi intellettuali futuristi – quella più rilevante.<br />

<strong>Il</strong> partito politico futurista<br />

L’11 febbraio 1918, in seguito alla disfatta di Caporetto, “L’Italia Futurista” pubblica il<br />

Manifesto del Partito Futurista italiano. Scritto da Marinetti troviamo al suo interno, oltre ai<br />

motivi tradizionali del nazionalismo modernista, un nuovo corredo di riforme istituzionali e<br />

sociali, un significativo accantonamento del bellicismo e dell’antisocialismo e una decisa<br />

presa di posizione contro il Vaticano e il clericalismo. <strong>Il</strong> punto più importante è la conclusione,<br />

dove si afferma la partecipazione attiva del futurismo alla politica. Marinetti cominciò presto<br />

a propagandare al fronte le idee del movimento politico futurista e <strong>nel</strong> luglio 1918 decide di<br />

lanciare l’idea di un partito politico futurista, definendolo come “nuova religione morale della<br />

forza e della velocità della novità del record e dell’oblio igienico”. Importante è l’intervento di<br />

Mario Carli <strong>nel</strong>l’agosto del 1918 grazie alle cui iniziative i rapporti tra arditismo e futurismo,<br />

prima, e tra arditofuturismo e fiumanesimo (impresa di Gabriele D’Annunzio tra il settembre<br />

1919 e il dicembre 1920), poi, andranno a congiungersi maggiormente. In seguito, con<br />

la collaborazione di Marinetti, Carli riesce a trasfigurare gli arditi in futuristi della politica,<br />

candidandoli ad essere la nuova aristocrazia dirigente della nuova Italia.<br />

<strong>Il</strong> nuovo partito politico futurista, fissate norme, regole, gerarchie, si presentava come<br />

180 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 181 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Carlo Carrà, Manifestazione<br />

interventista, 1914, collage<br />

su cartone (Venezia, Peggy<br />

Guggenheim Collection -<br />

Gianni Mattioli Collection).


progetto 8 <strong>Il</strong> futurismo, la guerra, la politica progetto 8 <strong>Il</strong> futurismo, la guerra, la politica<br />

un’associazione unita che, come affermava Roma futurista, tendeva a dar voce ai veri<br />

rappresentanti della nazione, a dare a tutte le classi educazioni e coscienza italiana: “Per<br />

la libertà, per la fraternità, contro l’assurda uguaglianza […]. Per il frutto del lavoro ai<br />

lavoratori”.<br />

Che cos’è il <strong>Futurismo</strong>? Fra le nozioni elementari presenti sul manifesto politico, è futurista<br />

“chi ama la vita, l’energia, la gioia, la libertà, il progresso, il coraggio, la novità, la praticità, la<br />

velocità”. Nella politica è futurista chi vuole abolire il papato, il parlamentarismo, il senato e<br />

la burocrazia, chi vuole abolire ogni forma di parassitismo industriale e capitalistico. Nell’arte<br />

è futurista chi odia i musei, i cimiteri, le biblioteche, il culturalismo, l’imitazione del passato e<br />

chi vuole rinvigorire e rallegrare l’arte italiana.<br />

Proposte che lasciano perplessi, ma che esprimono e trasmettono tanta voglia di cambiare,<br />

di respirare <strong>nel</strong>l’aria nuove e idee giovani e di rompere con un passato spesso doloroso e<br />

malinconico.<br />

“Noi futuristi vogliamo liberare la nostra razza sentimentale dall’orribile incubo della gelosia<br />

e del romanticismo estenuante, vogliamo che la donna in quanto femmina sia considerata<br />

un’animale da prendersi e niente più; in quanto anima e cervello un compagno degnissimo<br />

di tutta la considerazione e l’affetto”. Così Settimelli affermava riguardo alla concezione<br />

futurista della donna: l’antifemminismo del futurismo artistico prevaleva anche <strong>nel</strong> futurismo<br />

politico.<br />

<strong>Il</strong> partito futurista era particolarmente sensibile nei confronti dei giovani: “Non colpire mai i giovani<br />

mai”. Così Marinetti raccomandava a Carli, per il timore di allontanarli: il giovanilismo infatti fu uno<br />

dei miti principali del nuovo partito. “<strong>Il</strong> domani ai giovani […] <strong>Il</strong> mondo <strong>nel</strong>le loro mani!”.<br />

Uno dei principi fondamentali della politica futurista era quello di educare i giovani contro<br />

la vecchia scuola e contro la famiglia. Gino Galli proponeva al giovane: “Deridi il vizioso,<br />

bastona l’ubriaco, deridi il prete che veste come le donne; non inginocchiarti mai, non<br />

piangere mai […] considera come tuo nemico chiunque ti impedisca di urlare, cantare,<br />

ridere, correre, saltare liberamente”.<br />

Democrazia futurista<br />

La nuova democrazia italiana che veniva a formarsi avrebbe educato tutte le classi alla fede<br />

<strong>nel</strong>l’italianità, alla coesione più completa per trarre il massimo bene per tutti. In Democrazia<br />

futurista (1919) Marinetti cercò di giustificare il futurismo politico, rivendicando il nuovo<br />

partito come “unico <strong>nel</strong>la storia concepito e attuato da artisti”. Dopo il contributo allo<br />

sforzo bellico, i futuristi sentivano il bisogno di partecipare alla direzione politica dell’Italia,<br />

proponendo il proprio sogno rinnovatore e il proprio programma di libertà: il nascente partito<br />

futurista prospettava una libera democrazia che traesse la propria potenza dall’energia di<br />

tutto il popolo. <strong>Il</strong> futurismo politico risultava anticlericale, antimonarchico, antiparlamentare<br />

e antisindacalista e indicava abolizione del matrimonio, oltre a quelle di polizie e questure,<br />

ma faceva propria la partecipazione politica femminile, una vera e propria “rivoluzione<br />

antropologica” col fine di creare il “cittadino eroico”, coraggioso e pronto al rischio ma libero<br />

da tutto (anche dalla burocrazia statale) e indipendente. La massima libertà si sarebbe<br />

ottenuta riducendo leggi e burocrazia (sostituibile dall’italianità), facendo però grande<br />

affidamento sul patriottismo individuale, la “sublimazione di quell’attaccamento rispettoso<br />

che le buone e forti aziende ispirano ai loro partecipanti”. In politica estera rifiutava la<br />

Società delle Nazioni, in quanto la paura di una nuova guerra o di una rivoluzione era<br />

considerata una “indegnità”. La Società delle Nazioni significava quindi per i futuristi la<br />

negazione dell’interventismo militare; i propositi di espansione, infatti, erano prevalenti. In un<br />

articolo del 12 agosto 1917 Paolo Orano scriveva “La Dalmazia è nostra. Sarà nostra!”. Ma<br />

non mancavano le opinioni contrastanti: da una parte si schierava chi rivendicava l’Adriatico,<br />

Nizza, la Savoia e Malta, dall’altra chi sperava in un futurismo politico internazionale,<br />

proclamando che “l’uomo non è libero se non è egualmente libero in tutto il mondo”.<br />

<strong>Il</strong> nuovo partito politico futurista, associazione di temperamenti affini ed uniti per realizzare<br />

la “rivoluzione italiana”, come dice Enrico Rocca in “Roma Futurista” del 1919, è votato al<br />

sovvertimento di tutti quelli che allora erano considerati valori positivi. Si pensi all’esaltazione<br />

delle qualità della guerra, la feroce critica nei confronti di un utopico livellamento sociale ed<br />

economico e al favore con cui si guarda alla “dittatura dell’intelligenza”.<br />

Nel documento “Che cos’è il futurismo-nozioni elementari”, Marinetti, Settimelli e Carli,<br />

prima di presentare un’esposizione d’arte futurista, tratteggiano le caratteristiche, le idee<br />

e la condotta di chi è futurista <strong>nel</strong>la vita, <strong>nel</strong>la politica e <strong>nel</strong>l’arte. Per esempio, è futurista<br />

<strong>nel</strong>la vita chi è energico, coraggioso, pratico, audace; in politica è futurista chi desidera<br />

abolire il papato, il parlamentarismo, il senato, la burocrazia, le polizie (incoraggiando la<br />

difesa personale), l’esercito permanente (per sostituirlo con un esercito volontario); infine,<br />

è futurista <strong>nel</strong>l’arte chi odia ruderi, musei, cimiteri, biblioteche, l’imitazione del passato. Pur<br />

citando solo alcune delle caratteristiche dell’uomo futurista ideale si nota come ci si ostini<br />

<strong>nel</strong> prendere le distanze dal passato, dalla tradizione, per incoraggiare le creazioni ardite dei<br />

giovani, rivolti al futuro senza rimorsi né malinconie.<br />

Nella seconda parte del documento è presente una breve storia delle radici del futurismo in<br />

Italia, dove, a differenza di tutte le capitali europee, esso è stato denigrato da reazionari, preti<br />

e moralisti. <strong>Vie</strong>ne poi distinto il movimento futurista politico dal movimento futurista artistico,<br />

spesso incompreso e osteggiato, perché sempre in anticipo sulla lenta sensibilità del popolo,<br />

che si esprime in modo immediato attraverso il partito politico.<br />

Nel dibattito sul manifesto politico vi erano posizioni contrastanti su temi sociali e<br />

istituzionali. Nel campo istituzionale, per esempio, tra i futuristi politici prevaleva<br />

l’orientamento repubblicano, sebbene essi non volessero identificarsi con i seguaci di<br />

Mazzini. Giuseppe Bottai, deciso assertore della repubblica, <strong>nel</strong>l’ ”Ultimo appello” di “Roma<br />

Futurista” asserisce: così come abbiamo servito con fedeltà ed onore Sua Maestà oggi siamo<br />

disposti a sbarazzarcene il più cortesemente possibile.<br />

Posizioni contrastanti intervenivano anche sul tema dell’anticlericalismo. Per Marinetti e la<br />

maggior parte dei futuristi politici costituiva uno degli obiettivi principali del nuovo partito e<br />

Peloggio, <strong>nel</strong>le sue “Proposte” del 19 gennaio 1919, ribadisce che materialismo e ateismo<br />

devono regnare <strong>nel</strong> mondo futuro. Altri invece non accettavano che si distruggesse la<br />

venerazione dell’uomo verso l’ignoto che domina l’universo e chiedevano perfino di creare il<br />

prete futurista.<br />

182 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 183 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Giacomo Balla, La Guerra,<br />

1916 (Unicredit Group<br />

Collection).


Umberto Boccioni, <strong>Il</strong> bevitore,<br />

1914 (Milano, Civico Museo<br />

d’Arte Contemporanea).<br />

progetto 8 <strong>Il</strong> futurismo, la guerra, la politica progetto 8 <strong>Il</strong> futurismo, la guerra, la politica<br />

<strong>Futurismo</strong> e fascismo<br />

A partire dal 1919 la presenza e l’adesione dei futuristi influì sul fascismo, inteso come<br />

movimento politico. Entrambi basavano la loro alleanza sull’ideale combattentista e<br />

interventista, operando in chiave nazionalista e antibolscevica. Più che per il movimento<br />

era forte l’ammirazione per la persona di Mussolini, che per Carrà si presentava come<br />

l’incarnazione del “dramma di una generazione”.<br />

Un atro futurista che esprime simpatia per Mussolini, più precisamente per il suo giornale, é<br />

Emilio Settimelli; <strong>nel</strong> 1919 l’artista riconosceva il ruolo che Mussolini ebbe <strong>nel</strong>la costituzione<br />

dei Fasci Futuristi e ne ammira l’ingegno e il temperamento da “lottatore coraggioso”.<br />

Diversamente Marinetti, che ebbe un rapporto più stretto con il dittatore, lo incontrò<br />

personalmente molte volte e partecipò con lui alle prime dimostrazioni violente del partito<br />

fascista, sempre <strong>nel</strong> 1919. Tuttavia Marinetti non aveva un’alta considerazione del duce, a<br />

causa del suo temperamento e della sua aspirazione alla ricchezza; ecco cosa scrisse di lui:<br />

“Non è un gran cervello. <strong>Vie</strong>ne dal popolo e non lo ama più. Ogni giorno è diverso.”<br />

Oltre ad un legame personale nei confronti di Mussolini, i futuristi si riconoscevano quasi<br />

completamente <strong>nel</strong> fascismo. Secondo Marinetti, membro della commissione esecutiva dei<br />

fasci di combattimento, il fascismo rappresentava “una concezione politica assolutamente<br />

futurista, cioè antitradizionale, pratica, eroica, rivoluzionaria”. Vincenzo Fani Ciotti<br />

(soprannominato Volt), pur essendo critico verso Mussolini, riteneva il programma dei fasci<br />

“sostanzialmente identico al programma del partito politico futurista”. Pensava che le due<br />

istituzioni avrebbero finito per fondersi, poiché lo spirito che le animava era uno: quello<br />

dell’Italia dei combattenti. I movimenti non si fusero mai, probabilmente perché entrambi<br />

erano propensi a mantenere la propria autonomia. <strong>Il</strong> merito che i futuristi attribuivano a<br />

Mussolini era quello di aver introdotto in politica un tipo di organizzazione che appariva<br />

congeniale agli artisti e agli intellettuali futuristi, agevolando così il loro attivismo politico.<br />

Mussolini era certamente un politico conforme al futurismo, per la sua giovinezza, per<br />

la sua personalità, il passato di rivoluzionario convertito all’italianismo, per lo stile di vita<br />

e di lotta. La sua visione della vita moderna coincideva con l’immagine della modernità<br />

del nazionalismo modernista e del futurismo. Tuttavia, da parte di Mussolini, nonostante<br />

l’ostentazione della sua sensibilità per l’avanguardia artistica, la spregiudicatezza futurista<br />

veniva pur sempre giudicata ostica, a causa del suo senso estetico che tutto sommato<br />

risentiva di pregiudizi formali e moralistici tradizionali. Quando, <strong>nel</strong> novembre 1914, fondò<br />

“il Popolo d’Italia” per sostenere la campagna interventista, che gli costò l’espulsione dal<br />

partito socialista, Mussolini si rivolse agli scrittori di “La Voce” e di “Lacerba” per avere la<br />

collaborazione dell’avanguardia modernista. Successivamente, alla fine del 1918, quando<br />

dovette scegliere una via per la lotta politica, trovò tra i futuristi e gli arditi i compagni di<br />

strada più entusiasti, i più idealmente e psicologicamente affini. Poiché spesso i futuristi<br />

erano fra i dirigenti centrali e periferici dell’organizzazione fascista e fra i suoi più attivi<br />

militanti, riesce certamente difficile distinguere, <strong>nel</strong>la fluidità del fascismo del Diciannove,<br />

le più svariate componenti che vi confluirono. Le connessioni che avvicinavano futurismo<br />

e fascismo <strong>nel</strong> loro atteggiamento verso la vita erano l’irrazionalismo, l’antistoricismo, il<br />

pessimismo antropologico, l’entusiasmo tragico e attivo, il senso del movimento e il mito<br />

del futuro. Inoltre è molto importante il contributo del futurismo alla formazione dello stila<br />

fascista: <strong>nel</strong>le minoranze attive lo stile di comportamento ha una funzione fondamentale per<br />

definire l’identità dei valori <strong>nel</strong> gruppo. Ciò è tanto più importante per le minoranze attive<br />

che credono <strong>nel</strong> primato dell’azione: anche quando si dichiarano anti-ideologiche, la loro<br />

ideologia implicita si manifesta soprattutto <strong>nel</strong>le forme di organizzazione e <strong>nel</strong>le pratiche di<br />

lotta. <strong>Il</strong> fascismo, <strong>nel</strong>la sua fase originaria, fu largamente mutuato dal futurismo.<br />

<strong>Il</strong> fascismo assimilò lo stile arditofuturista, con l’idea di virilità e di antagonismo che esso<br />

esprimeva. Col tempo e con le trasformazioni delle forme originarie di lotta, il nucleo<br />

originario dello stile futurista incorporato dal fascismo si alterò. Lo stile fascista diede enfasi<br />

all’ordine e alla ritualità comunitaria, piuttosto che all’antagonismo. Dopo il congresso<br />

184 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 185 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Gerardo Dottori, Miracolo<br />

di luci volando (Virata sotto<br />

temporale), 1932 (Roma,<br />

Galleria Nazionale d’Arte<br />

Moderna).


progetto 8 <strong>Il</strong> futurismo, la guerra, la politica progetto 8 <strong>Il</strong> futurismo, la guerra, la politica<br />

fascista di Milano ( 23-25 maggio 1920), Marinetti, Carli e Nannetti, <strong>nel</strong> giugno, presero<br />

le distanze dai fasci di combattimento perché ritenevano che il fascismo fosse diventato<br />

conservatore e monarchico. Gli storici hanno accettato la giustificazione marinettiana ed<br />

hanno attribuito all’opportunismo di Mussolini la svolta a destra del fascismo, che avrebbe<br />

reso impossibile la convivenza con il futurismo rivoluzionario, repubblicano e ferocemente<br />

anticattolico. Questa interpretazione ha certo un fondo di verità, ma insiste troppo come<br />

cause della rottura sul calcolo interessato di Mussolini e sulla svolta fascista <strong>nel</strong> congresso<br />

del 1920.<br />

In realtà, i dissensi fra Marinetti e Mussolini, durante il congresso, furono soltanto un<br />

pretesto per recidere clamorosamente un’ alleanza che, per i futuristi, era in crisi da tempo.<br />

I motivi della fine dei rapporti col fascismo vanno ricercati principalmente <strong>nel</strong>le vicende<br />

del futurismo politico dopo le elezioni del novembre 1919. La sconfitta disgregò le poche<br />

forze fasciste e disorientò il futurismo. La diagnosi esatta di questa, fin dal suo inizio, fu<br />

fatta da Mannarese su “Roma Futurista”, il 14 dicembre 1919. Egli sostiene che, sorto con<br />

la guerra e con il compito preciso di condurla fino alla vittoria, ad ogni costo, il futurismo<br />

abbia adempiuto brillantemente la sua missione. Ottenuto il trionfo delle armi, il movimento<br />

si è però trovato <strong>nel</strong>la incomoda situazione dell’uomo che ha raggiunto l’ideale, ma vuole<br />

ancora lottare. La scapigliata gioventù futurista ha visto spegnersi con la guerra l’ideale<br />

che la illuminava, si è trovata senza uno scopo preciso. Dopo quasi un anno di agitazioni e<br />

di iniziative per cercare di conseguire risultati per la loro rivoluzione italiana, i futuristi non<br />

riuscivano ad avere sufficiente entusiasmo per continuare ad inseguire, senza successo,<br />

questo mito.<br />

La disillusione<br />

All’inizio del 1920 Roma Futurista passò sotto la direzione di Bottai, Balla, Galli e Rocca che<br />

annunciarono: “Non sarà un organo esclusivamente politico ma bensì: plastico, letterario,<br />

parolibero, musicale, rumorista, cinematografico e politico”. Per volere di Marinetti anche<br />

quel poco di politica rimanente venne abbandonato, nonostante la decisione non fosse<br />

condivisa dagli altri. Bottai, fascista antimonarchico, confidò di avere un’immensa fiducia<br />

<strong>nel</strong> futurismo, non nei futuristi. Vedendo infatti afflosciarsi lo spirito rivoluzionario si allontanò<br />

progressivamente dal futurismo, criticando l’atteggiamento marinettiano di “rimesticamento<br />

malinconico delle prime forme e delle prime manifestazioni futuriste” condiviso da molti<br />

giovani che copiavano ciò che i futuristi avevano fatto un decennio prima; tale atteggiamento,<br />

comprese Bottai, avrebbe portato all’esaurimento del movimento. Le stesse critiche confluirono<br />

poi <strong>nel</strong> libro di Ferruccio Vecchi Arditismo civile (Milano, Libreria ed. de L’Ardito, 1920).<br />

La gravità della crisi del futurismo politico e la divisione fra i gruppi che <strong>nel</strong> 1919 avevano<br />

costituito il fronte della “rivoluzione italiana” antibolscevica sono testimoniati da una serie<br />

di polemiche. Riguardo alle dimissioni di Marinetti dal fascismo, Celso Morisi sostenne che<br />

“rappresentavano solo un atto puramente personale senza ripercussioni ed influenze ulteriori<br />

sensibili”. Mussolini fece mostra di ignorare pubblicamente la rottura con i futuristi, ma in<br />

privato definiva Marinetti uno “stravagante buffone che vuol fare della politica e che nessuno,<br />

nemmeno io, prende sul serio”. Soltanto <strong>nel</strong>l’ottobre successivo parlò di un “processo<br />

automatico di purificazione e di chiarificazione”, che aveva allontanato dal fascismo i<br />

nostalgici dei vecchi partiti. I commenti più aspri vennero da “L’Ardito”, che con un articolo<br />

di M.Sammarco, “<strong>Il</strong> futurismo è morto?”, pubblicato il 27 giugno, scrisse che le dimissioni<br />

di Marinetti erano la manifestazione del “fallimento letterario” del futurismo, che già morto<br />

tentava di mostrarsi vivo assumendo atteggiamenti rivoluzionari. Bottai adottò invece un<br />

atteggiamento equanime cercando di capire le ragioni dei futuristi. Definì il futurismo un<br />

movimento di “innegabile importanza”, una reazione di fronte “ai patriottismi archeologici<br />

e alle smancerie classicheggianti in cui eravamo subissati”. Pensava che il futurismo fosse<br />

giunto al punto critico e che si dovesse uscire dall’equivoco di un rivoluzionarismo confuso.<br />

Fin dall’aprile, Bottai manifestò il suo fastidio per il ribellismo diciannovista. Si allontanò dal<br />

futurismo cercando di trovare una nuova via, “partendo soprattutto da concetti formativi ed<br />

educativi di una nuova elite; era convinto che la situazione del paese non consentisse la<br />

prosecuzione di una contestazione confusionaria che poteva giovare soltanto ai “rivoluzionari<br />

bolscevichi”. Egli sperava di favorire la trasformazione del futurismo che definiva un<br />

“movimento nostro”. Però, pochi giorni dopo la pubblicazione dell’opuscolo di Marinetti “Al<br />

di là del comunismo”, uscito <strong>nel</strong>l’agosto 1920, Bottai prese apertamente posizione contro<br />

il rivoluzionarismo futurista giudicandolo anarchico e passatista. “Speravo in un profondo<br />

senso d’umanità, in un’audacia meditata, e trovo invece un magnifico sforzo di originalità,<br />

cui non posso aderire, per non vederne le possibilità di bene attuale per l’Italia”.<br />

La rottura dell’alleanza fra futurismo e fascismo era solo un aspetto della crisi che investiva<br />

la convivenza dei movimenti della “rivoluzione italiana”, che fu concepita dal fascismo come<br />

restaurazione dello Stato da parte dei ceti borghesi. Ciò rappresentò invece il fallimento<br />

del sogno degli artisti futuristi, desiderosi di guidare una rivoluzione politica e morale per<br />

trasformare l’Italia.<br />

Nell’estate del 1920 il fascismo mostrò la volontà di assumere una funzione organizzatrice<br />

della politica delle classi medie. <strong>Il</strong> nuovo realismo fascista era inconciliabile con l’entusiasmo<br />

futurista per lo sperimentalismo anarcoide, rivoluzionario e italianista attuato <strong>nel</strong>la cittàstato<br />

dannunziana. Quando Marinetti e Carli lasciarono i fasci, i futuristi fiumani, come<br />

Forti, Cerati, Tozzetti-Targioni, Soldi e Somenzi, plaudirono: “Siamo con voi! Era tempo che i<br />

186 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 187 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Enrico Prampolini, Figura<br />

<strong>nel</strong>lo spazio I (Organismo<br />

<strong>nel</strong>lo spazio), 1937 (Rovereto,<br />

Mart).


Tullio Crali, Acrobazie in cielo,<br />

1930 (Coll. privata).<br />

progetto 8 <strong>Il</strong> futurismo, la guerra, la politica progetto 8 <strong>Il</strong> futurismo, la guerra, la politica<br />

futuristi riprendessero il loro posto di combattimento, soli, contro tutti i panciafichisti, contro<br />

tutti i tentativi di conciliazione impossibili. Pochi saremo più forti.”<br />

Futuristi contro Mussolini<br />

Fiume rappresentò per i futuristi il luogo ideale della “rivoluzione italiana”; l’impresa<br />

dannunziana venne vista da questi stessi artisti come un modello da imitare e assimilare.<br />

L’andata di Marinetti a Fiume rappresentò una sorta di legittimazione da parte di chi era<br />

stato precursore della “rivoluzione italiana”, ma egli si rese subito conto che d’Annunzio non<br />

era disposto a condividere con i futuristi il comando dell’impresa e ancor meno a seguire i<br />

consigli che lo stesso Marinetti gli propinava.<br />

<strong>Il</strong> 19 settembre il fondatore del futurismo considerava ormai conclusa la sua esperienza<br />

fiumana e il 30 settembre ripartì da Fiume, camuffato da ferroviere.<br />

I futuristi continuarono comunque ad alimentare il fiumanesimo, riconoscendo <strong>nel</strong><br />

governo dannunziano la prima realizzazione della rivoluzione futurista: “oggi comanda<br />

la poesia”, proclamava Carli. Mario Carli fu la figura più attiva del futurismo politico, egli<br />

fuse ne La Testa di Ferro (pubblicata a Fiume <strong>nel</strong> febbraio 1920) sia le caratteristiche<br />

dell’arditofuturismo che quelle del fiumanesimo.<br />

Ma anche a Fiume si riscontravano diffidenze da parte degli ambienti moderati verso il<br />

perpetuo ribellismo futurista; dal punto di vista pratico, la situazione mutò a danno dei<br />

futuristi a partire dall’aprile 1920; due mesi dopo Carli trasferì il suo giornale a Milano.<br />

Ancora una volta, l’entusiasmo rivoluzionario si scontrava con il realismo politico.<br />

L’ultima fase del futurismo politico può essere definita come “estate di San Martino” ed<br />

era caratterizzata da un rinascente fervore rivoluzionario. Nel pieno delle lotte operaie,<br />

il futurismo cercò di dare effetto al vecchio progetto di unire tutti i ribelli e condurli alla<br />

“rivoluzione italiana”. Questa nuova fase di “futurismo rosso” diede l’avvio a numerose<br />

polemiche con gli anarchici, che accusavano il futurismo a causa della passata alleanza con<br />

il fascismo; Carli – rispondendo a queste accuse – sottolineava il carattere libertario del<br />

movimento e protestava la diversità del futurismo dal fascismo, attenuata soltanto dalla fede<br />

nazionalista e italianista.<br />

<strong>Il</strong> futurismo politico si schierò a favore dei lavoratori e questa nuova alleanza – proposta da<br />

Forti – era il passo più avanzato fatto dal futurismo verso la nazionalizzazione del proletariato<br />

e la bolscevizzazione del futurismo. La rivoluzione piccolo borghese del futurismo si sarebbe<br />

realizzata quindi attraverso la rivoluzione sociale del proletariato.<br />

Nel settembre fu istituita a Roma l’Avanguardia futurista romana per far propaganda al<br />

fiumanesimo futurista; <strong>nel</strong> novembre, La Testa di Ferro lanciò l’invito a fondare club futuristi,<br />

perché “l’ora impone la massima attività di propaganda e il massimo di collegamento”.<br />

<strong>Il</strong> futurismo è passato da critica al fascismo ad antifascismo vero e proprio dopo l’abbandono<br />

della causa fiumana. Nel 1920, in un articolo, Mario Carli rievocava l’alleanza del 1919 con<br />

le forze fasciste per l’attuazione di riforme politiche e sociali, raccontando che inizialmente<br />

vi era una piena fiducia, in quanto il futurismo era un movimento apartitico, e quindi venne<br />

deciso di portare un vigoroso impulso al fascismo; in seguito, l’unico obiettivo fascista<br />

si dimostrò essere la lotta al bolscevismo, ma secondo Carli, ciò non bastava, perchè si<br />

sarebbe dovuto invece migliorare l’Italia. Infine l’autore criticava il bieco antibolscevismo<br />

fascista e il fatto che non appartenenti al partito entrassero <strong>nel</strong>le file dello stesso.<br />

188 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 189 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Fortunato Depero, Ingranaggi<br />

di guerra, 1923-26.


progetto 8 <strong>Il</strong> futurismo, la guerra, la politica progetto 8 <strong>Il</strong> futurismo, la guerra, la politica<br />

Secondo Carli l’unica speranza di cambiamento era rappresentato dai giovani fascisti,<br />

ma l’accettazione del trattato di Rapallo tra Italia e Jugoslavia e la mancata difesa della<br />

causa fiumana ruppero anche l’ultima speranza. L’ordine lirico del futurismo fiumanista era<br />

l’antitesi dell’ordine politico che il fascismo perseguiva per creare uno Stato nuovo.<br />

Allontanatosi dalla corrente del nazionalismo modernista, in seno al quale il futurismo aveva<br />

esordito <strong>nel</strong>la vicenda politica italiana della Grande Guerra, il movimento fiumano subì una<br />

profonda metamorfosi. I concetti della “rivoluzione italiana” intesa come sfida alle stelle<br />

e conquista della sovraumanità, cementata sul trinomio “modernità, italianità, potenza”,<br />

mutarono <strong>nel</strong>la ripresa di quegli ideali individualistici ed anarchici che tanto i futuristi<br />

avevano criticato. Ed è proprio l’atteggiamento di Marinetti a costituire l’elemento più<br />

interessante: il totale rifiuto della retorica della modernità, il patetico e malinconico ritorno<br />

dell’arte quale fonte vitale, distrazione dalla quotidianità e dalla ossessione politica. Nell’anno<br />

1919 e nei primi mesi del 1920, il futurismo politico aveva cercato di allearsi ai nuovi<br />

movimenti radicali per tentare e spingere l’entusiasmo rivoluzionario, aderendo al fascismo,<br />

all’impresa di Fiume, collaborando allo stesso tempo con la piccola borghesia nazionalista<br />

e con la sinistra anarchica e bolscevica. Dopo il 1920, <strong>nel</strong> momento in cui morirono o si<br />

trasformarono quei movimenti, anche il futurismo vide il suo fatale declino. Venne criticato<br />

e accusato di allontanare i giovani dalla politica e di promuovere una rivoluzione intesa<br />

solamente <strong>nel</strong> suo aspetto estetico. Le ultime azioni del futurismo politico avvennero a<br />

Milano con il tentativo di un complotto armato anarchico-futurista. Mario Carli, che venne<br />

arrestato in quell’occasione insieme a Carlo Cerati, decise poi di lasciare il futurismo,<br />

esprimendosi con dure parole nei confronti di Martinetti, accusandolo di voler costruire da<br />

solo un movimento artistico senza la collaborazione dei veri protagonisti e di coloro che lo<br />

avevano creato. Così il futurismo politico cessò di esistere, divenendo fuga dalla modernità<br />

sia come era concepita dal nazionalismo modernista, sia <strong>nel</strong> suo carattere proprio di società<br />

di massa, concentrandosi esclusivamente sull’individuo e dichiarando la fine dell’ambizione<br />

futurista. Con l’ascesa del fascismo e della modernità totalitaria, vennero delusi tutti i sogni<br />

rivoluzionari del futurismo che si dovette adattare al nuovo regime sopprimendo ogni ideale<br />

di democrazia. <strong>Il</strong>ludendosi ancora di marciare verso la conquista dell’impero e del primato<br />

italiano, continuarono a tenere la testa alta tra le file del partito fascista, pur coscienti ormai<br />

di aver perso la sfida verso la modernità.<br />

La voce dell’arte<br />

Uno dei temi tema cruciali <strong>nel</strong>l’immaginario futurista è sicuramente la guerra, sia per<br />

motivazioni di tipo ideologico, sia per ragioni che possiamo definire contingenti. La guerra<br />

è conflittualità naturale: la forza in grado di rigenerare sia la vita del singolo, sai quella della<br />

collettività, così come l’arte. “Non v’è più bellezza, se non <strong>nel</strong>la lotta. Nessuna opera che non<br />

abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro”; “Noi vogliamo glorificare la guerra<br />

– sola igiene del mondo – il militarismo...”. “La Guerra [...] è una legge della vita. Vita =<br />

aggressione. Pace universale = decrepitezza e agonia delle razze. [...] Soltanto la guerra sa<br />

svecchiare, accelerare, aguzzare l’intelligenza umana, alleggerire ed aerare i nervi...”, dice<br />

Marinetti <strong>nel</strong> manifesto In quest’anno futurista indirizzato agli “studenti d’Italia” e datato 29<br />

settembre 1914.<br />

E in effetti, dopo solo cinque anni dalla pubblicazione del primo Manifesto futurista, la<br />

guerra scoppia in tutta la sua virulenza squassando l’intero Vecchio Continente. La polemica<br />

futurista investe, com’è noto, il ritardato ingresso dell’Italia <strong>nel</strong>le operazioni militari e a<br />

quel periodo si rifanno alcune delle più note opere futuriste, basti citare le “dimostrazioni<br />

interventiste” di Balla (1915), le tavole parolibere di connessione bellica di Marinetti, ma<br />

anche i dipinti di Sironi (1915), di Conti (1918).<br />

In quest’ottica possiamo inserire la riflessione legata all’analisi dei due dipinti delle collezioni<br />

bresciane che più di altri sono connessi a tematiche di questa natura.<br />

Roberto Marcello (Iras) Baldessari, Treno dei feriti<br />

Roberto Marcello Baldessari (1894-1965), soprannominato Iras, nativo di Innsbruck<br />

da genitori roveretani, formatosi prima presso la Scuola Elisabettiana di Rovereto, poi<br />

all’Accademia di Venezia e infine alla Scuola di Santa Croce di Firenze, conobbe lungo l’arco<br />

della sua vita tutti i maggiori esponenti della principale avanguardia artistica italiana. Dopo<br />

una prima fase di aderenza ai modi pittorici boccioniani, Baldessari, stabilitosi a Firenze,<br />

sentirà l’influsso dell’ambiente futurista toscano, entrando in contatto coi più famosi pittori<br />

del tempo. Successivamente i suoi viaggi per l’Europa lo porteranno a conoscere artisti come<br />

Vorfemberge-Gildewart e Kurt Schwitters, che lo avvicineranno alla poetica Dada, mai però<br />

recepita dal pubblico italiano. Durante gli anni Trenta, accanto ad esperimenti <strong>nel</strong> solco del<br />

Secondo futurismo e dell’areopittura, si volgerà verso un recupero del figurativo, in linea con<br />

il clima del Ritorno all’ordine, che allora dominava la cultura artistica italiana ed europea. Egli<br />

si è concentrato soprattutto sulla pittura e <strong>nel</strong>l’incisione ed ha percorso la via del <strong>Futurismo</strong><br />

prima boccioniano e poi fiorentino.<br />

<strong>Il</strong> periodo in cui la sua arte è da considerarsi più matura è quello tra il 1918 e il 1922, <strong>nel</strong>le<br />

cui opere è da riconoscersi l’affinamento delle tipologie delle sue figure, la bilanciatura dei<br />

cromatismi, spesso dei bagni di apparente monocromia e infine l’inserimento di lettere e<br />

parole, non a collage ma dipinte.<br />

<strong>Il</strong> Treno dei feriti, del 1917-18, introduce una “meditazione umana” sul tema della guerra<br />

futurista che certo prende le distanze dai proclami interventisti del futurismo ortodosso,<br />

avvicinandosi piuttosto ad una revisione ideologico-sociale . Baldessari ricorda un episodio<br />

della sua vita durante il quale, accompagnato alla stazione di Vicenza dall’amico Rosai in<br />

partenza per il fronte, questi gli raccontò di avere ucciso un soldato-pittore mostrandogli<br />

pure un piccolo bloc-notes fitto di scritte e di disegni: “Leggi, tu che sai il tedesco” – gli disse<br />

porgendoglielo – “Capisci, voglio mandarlo ai suoi dopo la guerra, voglio dir loro che non ne<br />

ho colpa. È venuto giù come una valanga, non potevo scansarlo neanche a volerlo, capisci. Ed<br />

era un pittore come noi, un fratello! Capisci, devo ritornare lassù ad ammazzare altri fratelli,<br />

capisci!... Porca guerra sporca!”. Per Baldessari fu l’inizio di una sorta di incrinatura, una<br />

falla <strong>nel</strong> sistema che modificò i suoi rapporti con l’ortodossia futurista. Di lì a poco l’artista si<br />

volse decisamente alla rimeditazione di Cézanne e quindi si avviò ad una greve ricostruzione<br />

plastica vicina alla poetica del Novecento, al ritorno al rigore, al primitivismo, all’ordine che<br />

ha caratterizzato il primo dopoguerra dopo i furori delle avanguardie. Dopo questo periodo ha<br />

inizio per lui una serie di lunghi viaggi attraverso tutta l’Europa.<br />

190 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 191 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Roberto Marcello Baldessari,<br />

Treno dei feriti, 1917-18<br />

(Brescia, Civici Musei d’Arte<br />

e Storia).


Achille Lega, Alpino al bar,<br />

1917 (Brescia, Civici Musei<br />

d’Arte e Storia).<br />

progetto 8 <strong>Il</strong> futurismo, la guerra, la politica progetto 8 <strong>Il</strong> futurismo, la guerra, la politica<br />

L’opera, datata 1917-18, è un olio su cartone delle dimensioni di 35 x 61,5 cm, fi rmata<br />

in basso a destra “R.M. Baldessari”, venne realizzata dopo la profonda ed emozionante<br />

esperienza vissuta alla stazione di Vicenza, dove arrivavano i treni carichi dei feriti nei<br />

combattimenti al fronte.<br />

Esiste una seconda versione del dipinto, più grande della prima, ma meno espressiva;<br />

<strong>nel</strong> primo dipinto Baldessari è vicino alla scomposizione cubista; le fi gure infatti appaiono<br />

solide, sintetiche, colorate con pen<strong>nel</strong>late decise e forti, quasi a dare l’idea di quegl’istanti<br />

drammatici vissuti a Vicenza.<br />

Achille Lega, Alpino al bar<br />

<strong>Il</strong> dipinto, un olio su cartone di dimensioni 66,8 x 49 cm, è una delle più signifi cative<br />

opere di Achille Lega, nativo della provincia di Ravenna, pittore e incisore il quale si forma<br />

giovanissimo a Firenze sull’esempio degli ultimi rappresentanti della pittura macchiaiola,<br />

e frequenta, intorno al 1914, lo studio di Lodovico Tommasi. Abbandonata l’Accademia di<br />

Belle Arti, si avvicina all’ambiente della rivista “Lacerba” e, <strong>nel</strong> 1916, aderisce al movimento<br />

futurista, iniziando a frequentare il caffè delle Giubbe Rosse. Stringe amicizia con Carrà<br />

e soprattutto con Soffi ci e Conti con cui comincia a sperimentare la scomposizione,<br />

deformazione e sintesi degli oggetti e della fi gura. Nel 1917 dipinge “Ritratto della madre”,<br />

<strong>nel</strong> quale si ravvisano echi della pittura boccioniana, e “Vibrazioni atmosferiche di un<br />

aeroplano in volo”, uno dei primi esempi di aeropittura. Nel 1919, nonostante dipinga<br />

nuovi quadri futuristi, la sua ricerca avanguardistica comincia ad esaurirsi. <strong>Il</strong> ritorno dalla<br />

guerra di Soffi ci suo ‘maestro ideale’, determina la sua adesione al “ritorno all’ordine” che<br />

lo accomuna a quasi tutti gli altri componenti del gruppo futurista fi orentino. Nel 1922<br />

allestisce la sua prima mostra personale, tenuta alla Galleria Gon<strong>nel</strong>li di Firenze. In quel<br />

periodo si lega all’ambiente novecentista toscano, specializzandosi <strong>nel</strong>la pittura di paesaggio;<br />

collabora con disegni e scritti d’arte alla rivista “<strong>Il</strong> Selvaggio” e, <strong>nel</strong> 1926 e 1929, prende<br />

parte alle mostre milanesi del Novecento italiano.<br />

L’opera è datata 1917, una delle sue prime produzioni dunque dopo l’adesione alla corrente<br />

del movimento futurista, e ricorda molto il dipinto “<strong>Il</strong> bevitore” di Boccioni del 1914; in questo<br />

quadro però Lega realizza una composizione meno dinamica e stende il colore a piccoli<br />

tocchi di spatola, accentuando l’effetto statico dell’insieme.<br />

La fi gura di alpino, a mezzo busto seduto al tavolo di un caffè davanti ad una bottiglia e ad<br />

un bicchiere di vino, è isolata e immota <strong>nel</strong>l’atmosfera rarefatta del silenzio pensoso. Si tratta<br />

di un dipinto lontano dalle rutilanti atmosfere del futurismo vitalistico, mentre qui è molto<br />

evidente l’infl uenza del cubismo, soprattutto <strong>nel</strong>la composizione del volto e delle mani.<br />

I due dipinti bresciani più strettamente connessi alla tematica bellica, entrambi realizzati<br />

<strong>nel</strong> 1917 (l’anno cruciale per l’intero primo confl itto mondiale e sicuramente tragico e<br />

drammatico anche per i combattenti italiani), rappresentano una versione che potremmo<br />

defi nire quasi “introspettiva” della pittura futurista connessa alla rappresentazione della<br />

guerra.<br />

L’alpino di Achille Lega è ormai lontano dalle assordanti manifestazioni interventiste di Carlo<br />

Carrà e dalle dichiarazioni audaci di Marinetti sulla guerra o dalle sue parole in libertà in<br />

favore della svolta militarista della politica estera italiana. A prevalere sono, invece, il senso<br />

estremo dell’esistenza ed il dolore della vita umana sacrifi cata in una immane carnefi cina<br />

collettiva.<br />

Baldessari stigmatizza questi sentimenti anche con scelte cromatiche attutite ed una<br />

composizione strutturata secondo un ritmo rettilineo e ripetitivo, lontano sia dal senso<br />

vorticoso e dirompente della Guerra di Giacomo Balla del 1916, sia dalla successiva<br />

aeropittura di Gerardo Dottori, di Enrico Prampolini, di Tullio Crali, ma anche distante dalle<br />

ironiche e oniriche visioni di Fortunato De Pero. Un <strong>Futurismo</strong> più composto che, pur<br />

accogliendo aspetti innovativi e aggiornati rispetto alle posizioni dei principali fenomeni di<br />

“avanguardia”, è capace di guardare al dramma e alla sofferenza umane con una sensibilità<br />

poetica prossima a Ungaretti e a Saba.<br />

La Classe 2 Liceo Corso E<br />

Ballini Michela, Betti<strong>nel</strong>li Chiara, Bolla Cristiano, Calandra M. Giovanna, Cinquini Ketryn, Comini<br />

Beatrice, Conforti Francesca, Di Giacomo Sara, Faccin Enrico, Feltri Ester, Ghidini Marta, Ghidoni<br />

Flavia, Giffoni Enzo, Granziero Silvia, Guerini Anna, Losio Andrea Giorgia, Maggini Emanuele,<br />

Masserdotti Anna, Mondini Valentina, Mordenti Silvia, Pancheri Vittoria, Petteni Davide, Rizzini Daniele,<br />

Spiazzi Anna, Zani Paolo<br />

192 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 193 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>


194 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 195 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Fondazione Ugo Da Como<br />

progetto 9 <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong>. “Composizioni dinamiche”<br />

progetto 10 Uccidiamo il chiaro di luna


Chi e dove Scuola Statale Secondaria di Primo Grado “C.Tarello” di Lonato<br />

Classi coinvolte Terze<br />

Docente referente Marina Casari<br />

progetto 9 <strong>Il</strong> futurismo:<br />

composizioni dinamiche<br />

Anche quest’anno la partecipazione al progetto “le vie dell’arte”è stato un’occasione in più per<br />

sostenere quella che ritengo sia la principale finalità degli insegnanti di Educazione Artistica <strong>nel</strong>la<br />

scuola: avvicinare i ragazzi all’arte, affinché familiarizzino con processi immaginativi e creativi utili<br />

a comprendere il mondo circostante ed anche per fare emergere le potenzialità e la creatività di<br />

ognuno.<br />

<strong>Il</strong> laboratorio è stato proposto ad alunni dalle classi terze della scuola secondaria di primo grado “C.<br />

Tarello” di Lonato, perché l’argomento poteva essere maggiormente compreso da questi ragazzi che<br />

<strong>nel</strong> loro programma di studi trattano il Novecento.<br />

Vi hanno aderito 25 alunni.<br />

L’attività è stata avviata prendendo in considerazione soprattutto l’innovazione stilistica e la<br />

sperimentazione pittorica portata avanti dagli artisti futuristi, tralasciando l’aspetto ideologico.<br />

Ho proposto ai partecipanti la lettura di alcune opere futuriste; osservandone dettagliatamente gli<br />

aspetti compositivi e cromatici, analizzandone i contenuti, che cosa ci comunicano e perché.<br />

Inizialmente ci siamo soffermati sull’uso delle linee e sul loro significato.<br />

Dopo questa prima osservazione, i ragazzi sono passati alla fase operativa in un’esercitazione grafica,<br />

con l’uso di forme geometriche semplici e linee oblique, curve, a spirale, ecc. per esprimere “come i<br />

futuristi” l’idea del movimento.<br />

Dagli esercizi grafici sono poi passati alla trasformazione dei disegni in bassorilievi in creta, arricchiti<br />

con testure e scritte.<br />

Anche la colorazione dei bassorilievi è stata realizzata dopo aver fatto alcune considerazioni sul colore<br />

“futurista” ed osservato come questi artisti <strong>nel</strong>le loro opere, rinforzassero l’idea di movimento anche<br />

attraverso la frammentazione del colore steso in tante pen<strong>nel</strong>late che seguono gli andamenti lineari.<br />

In una fase successiva, avendo già acquisito una certa familiarità con la creta, ci siamo spinti<br />

oltre, prendendo spunto dalle opere di: Depero, Balla , Boccioni, Dottori, Severini; i ragazzi hanno<br />

rielaborato il paesaggio di Lonato, partendo da fotografie aeree, messe gentilmente a disposizione dal<br />

signor Mimini, lonatese appassionato di volo.<br />

Dopo la colorazione e cottura degli elaborati ciascun alunno ha creato un titolo adatto per la propria<br />

opera.<br />

progetto 9 <strong>Il</strong> futurismo: composizioni dinamiche<br />

196 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 197 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>


progetto 9 <strong>Il</strong> futurismo: composizioni dinamiche progetto 9 <strong>Il</strong> futurismo: composizioni dinamiche<br />

198 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 199 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>


progetto 9 <strong>Il</strong> futurismo: composizioni dinamiche progetto 9 <strong>Il</strong> futurismo: composizioni dinamiche<br />

200 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 201 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>


progetto 9 <strong>Il</strong> futurismo: composizioni dinamiche progetto 9 <strong>Il</strong> futurismo: composizioni dinamiche<br />

Elenco alunni che hanno partecipato:<br />

3A<br />

Albini Matteo, “movimento”<br />

Boulhalib Selma, “natura selvaggia”<br />

El Fetouaki Ibtisam, “dall’automobile”<br />

Gariup Sheryl, “paesaggio”<br />

Huss Nicolas, “movimento”<br />

<strong>Il</strong>luzzi Antonia, “paesaggio”<br />

Molinari Paola, “paesaggio”<br />

Mussa Matteo, “futuro in futuro”<br />

Ramazzotti Enrico, “movimento”<br />

3B<br />

Cerantola Massimo, “stati d’animo”<br />

Facchinetti Anna, “il gatto”<br />

Franceschini Irene, “Triangoli in movimento”<br />

202 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 203 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Maffi etti Palolo, “ritratto”<br />

Manfrè Luca, “il trenino partorito dal sole”<br />

Pereno Laura, “dall’aereo”<br />

Pluda Giulia, “paesaggio”<br />

Russi Sonia, “forme, colori, movimento”<br />

Salodini Giovanni, “sulla città”<br />

Trivini Stefano, “trenino partorito dal sole”<br />

3C<br />

Rambotti Nicola, “incuneandosi <strong>nel</strong>l’abitato”<br />

3D<br />

Adou Mare, “dinamico”<br />

Soregotti Michele, “composizione”<br />

3E<br />

Bordiga Simone, “L’ordine e il caos”<br />

Carpani Marzia, “forme geometriche”<br />

Roberti Marina, “pasticcio di colori e forme”


Ugo Da Como, a destra, Filippo<br />

Tommaso Marinetti.<br />

Chi e dove Liceo Paritario Paola Di Rosa - Lonato del Garda (Brescia)<br />

Classi coinvolte Quarta Liceo Scientifico - Quarta Liceo Pedagogico e Linguistico<br />

Docente referente anno scolastico 2008-2009<br />

Stefania Pozzi (lettere), Maria Gioia Casagrande (storia dell’arte)<br />

anno scolastico 2009-2010<br />

Stefania Pozzi (lettere), Luisa Rodella (laboratorio trattamento testi)<br />

progetto 10 Uccidiamo il chiaro di luna<br />

Quando gridammo: “Uccidiamo il chiaro<br />

di luna!” noi pensammo a te, vecchia<br />

Venezia fradicia di romanticismo!<br />

(F.T. Marinetti, U. Boccioni, C. Carrà, L. Russolo, Contro Venezia<br />

passatista, 27 aprile 1910)<br />

Introduzione<br />

Ugo Da Como (18691941) - Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944): che<br />

cosa può accomunare due personalità significative della storia e della cultura<br />

italiana, se non il fatto che siano contemporanee?<br />

Ugo Da Como, dopo il ritiro dalla scena politica <strong>nel</strong>la casa di Lonato,<br />

sembra non curarsi delle provocazioni che andavano suggerendo i Futuristi<br />

a seguito della prima pubblicazione del Manifesto di Marinetti in Francia.<br />

Eppure sul lago di Garda e <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>, non lontano da Lonato,<br />

vive un personaggio come D’Annunzio, che si apre alle novità e partecipa<br />

intensamente al diattito culturale in atto.<br />

Non solo: proprio a Desenzano ha sede la Scuola di Alta velocità<br />

dell’Aeronautica militare e a Montichiari si realizza il primo circuito aereo<br />

<strong>bresciano</strong>...<br />

<strong>Il</strong> confronto tra l’atteggiamento del senatore Ugo Da Como, impegnato a dar<br />

vita alla sua importante Casa-Museo secondo una moda ancora ottocentesca,<br />

e i primi segnali di rinnovamento che si intravedono sul Garda è stato<br />

l’oggetto di tale progetto, che ha<br />

visto a conclusione del percorso la realizzazione del<br />

Lunario lonatese 2010 intitolato Garda dinamico: tra<br />

classicismo e modernità.<br />

I primi anni del Novecento sono stati segnati da forti<br />

cambiamenti culturali; la nascita di molte avanguardie<br />

determinano profonde trasformazioni nei canoni<br />

artistici-letterari. I principali movimenti, fatta eccezione<br />

per il <strong>Futurismo</strong>, si sviluppano fuori dall’Italia, che è<br />

dibattuta tra l’attaccamento alla tradizione e l’apertura<br />

alle innovazioni cui non sono estranee le scoperte<br />

tecnologiche e i nuovi mezzi di trasporto. Siamo <strong>nel</strong><br />

clima della Belle Epoque che vede Parigi come centro<br />

di irradiazione di novità con l’Esposizione Universale<br />

del 1889 durante la quale si inaugura la Tour Eiffel.<br />

progetto 10 Uccidiamo il chiaro di luna<br />

Con il nuovo secolo tutto diventa più rapido, <strong>nel</strong>l’arco di un decennio conquiste di<br />

incomparabile importanza cambiano il volto del mondo: macchine a vapore, motori a<br />

scoppio, elettricità…: se prima si viaggiava in carrozza o a cavallo, ora ci si muove in<br />

treno e in nave, si sfreccia in automobile. Si sperimentano ardite tecniche di volo, le città si<br />

illuminano di lampioni elettrici e i cieli si anneriscono dei fumi delle ciminiere.<br />

I Futuristi inneggiano al progresso che avanza, proiettandosi fiduciosi verso il futuro.<br />

Su tutto dominano i nuovi miti della modernità: dinamismo, velocità, progresso.<br />

Così scrivono gli artisti futuristi: “L’arte, prima di noi, fu ricordo, rievocazione angosciosa di<br />

un Oggetto perduto (felicità, amore, paesaggio) perciò nostalgia, statica, dolore, lontananza.<br />

Col <strong>Futurismo</strong>, invece, l’arte diventa arte-azione, cioè volontà, ottimismo, aggressione,<br />

possesso, penetrazione, gioia, realtà brutale, splendore geometrico delle forze, proiezione in<br />

avanti. Dunque l’arte diventa Presenza, nuovo Oggetto, nuova realtà creata cogli elementi<br />

astratti dell’universo. Le mani dell’artista passatista soffrivano per l’Oggetto perduto; le<br />

nostre mani spasimavano per un nuovo Oggetto da creare”. (da Balla - Depero, Ricostruzione<br />

futurista dell’universo, 1915).<br />

Elettricità o chiaro di luna?<br />

“Si udì gridare <strong>nel</strong>la solitudine aerea degli<br />

altipiani: – Uccidiamo il chiaro di Luna!<br />

Alcuni accorsero alle cascate vicine;<br />

gigantesche ruote furono innalzate, e le<br />

turbine trasformarono la velocità delle acque in<br />

magnetici spasimi che s’arrampicarono a dei<br />

fili, su per alti pali, fino a dei globi luminosi e<br />

ronzanti.<br />

Fu così che trecento lune elettriche<br />

cancellarono coi loro raggi di gesso<br />

abbagliante l’antica regina verde degli amori”.<br />

(F.T. Marinetti, Uccidiamo il chiaro di luna,<br />

aprile 1909).<br />

“Uccidiamo il chiaro di luna”: così intitolava<br />

Marinetti il secondo Manifesto futurista<br />

pubblicato <strong>nel</strong>l’aprile del 1909, dichiarando<br />

apertamente guerra a tutti i sentimentalismi,<br />

che per anni avevano influenzato il mondo<br />

letterario e poetico.<br />

<strong>Il</strong> mito romantico della luna, simbolo di<br />

sublime e misterioso, fissato <strong>nel</strong>le parole di<br />

tanti poeti e illustrato nei dipinti di tanti pittori,<br />

cede rapidamente il passo alla celebrazione<br />

della luce artificiale. <strong>Il</strong> lampione elettrico (che<br />

Giacomo Balla raffigurò <strong>nel</strong> famoso dipinto<br />

Lampada ad arco, Museum of Modern Art<br />

di New York, 1909-1911), diventa il simbolo<br />

del nuovo mondo e l’incantata immagine della<br />

luna si trasforma in un semplice retaggio del<br />

passato.<br />

Anche <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> gli anni tra fine Ottocento e inizio Novecento sono segnati dal<br />

rapido diffondersi dellelettricità. Lonato del Garda è uno dei primi centri della provincia a<br />

dotarsi di luce elettrica fin dal luglio del 1888.<br />

Nel 1889 la società milanese Fraschini, Porta & C. inaugura <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> a<br />

Calvagese sul Chiese una centrale idroelettrica, che negli anni seguenti diventerà una delle<br />

204 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 205 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Luce artificiale a Bedizzole<br />

(disegno ispirato al quadro di<br />

Giacomo Balla, Lampada ad<br />

arco, 1909-1911, New York,<br />

Museum of Modern Art).


Chiaro di luna sul lago<br />

a Desenzano (disegno<br />

liberamente ispirato a un<br />

dipinto della Fondazione<br />

Ugo Da Como con dedica in<br />

francese à mon amis Molmenti<br />

e firma di R. Curtis, 1848).<br />

Estasi <strong>nel</strong> vento a Desenzano<br />

(il disegno riproduce il<br />

monumento all’Alta Velocità di<br />

Desenzano).<br />

progetto 10 Uccidiamo il chiaro di luna progetto 10 Uccidiamo il chiaro di luna<br />

più importanti del <strong>territorio</strong>; <strong>nel</strong> 1905 nasce<br />

la Società elettrica bresciana che più tardi<br />

avrà il monopolio <strong>nel</strong>l’erogazione dei servizi<br />

energetici pubblici e privati. Alla fine del<br />

1908 la provincia di Brescia conta già 206<br />

impianti funzionanti; oltre 120 comuni<br />

sono provvisti di illuminazione elettrica, 70<br />

stabilimenti industriali, quasi sempre edificati<br />

nei pressi dei bacini idrici, possiedono<br />

impianti propri per il movimento dei<br />

macchinari, per l’illuminazione dei laboratori<br />

e degli uffici.<br />

Non solo: proprio <strong>nel</strong>lo stesso anno di<br />

pubblicazione del primo Manifesto futurista,<br />

il 9 agosto 1909 Brescia ospita levento<br />

dellEsposizione dellElettricità.<br />

<strong>Il</strong> nuovo mito avanza, travolgendo il vecchio.<br />

Marinetti e i futuristi proclamano: “Alzati<br />

Paolo, afferra quella ruota!… io ti proclamo<br />

guidatore del mondo!… ma ahimè, noi non<br />

potremmo bastare al gran lavoro del binario<br />

futurista! <strong>Il</strong> nostro cuore è ancora pieno di un ciarpame immondo: code di pavoni, pomposi<br />

galli da banderuole, leziosi fazzoletti profumati!” ( da F.T. Marinetti, Uccidiamo il chiaro di<br />

luna, aprile 1909).<br />

E ciarpame appaiono ai loro occhi i versi con cui Leopardi si rivolgeva incantato alla<br />

luna, ciarpame sono i dipinti romantici come quello conservato in Fondazione Da Como<br />

raffigurante un chiaro di luna sul lago. <strong>Il</strong> quadro, datato 1848 a firma di R. Curtis, con dedica<br />

in francese à mon amis Molmenti, rimane allora silenzioso e timido testimone di un passato<br />

che i futuristi vogliono mettersi alle spalle: “Venga finalmente il regno della divina Luce<br />

Elettrica, a liberare Venezia dal suo venale chiaro di luna da camera ammobiliata” (da F.T.<br />

Marinetti, U. Boccioni, C. Carrà, L. Russolo, Contro Venezia passatista, 27 aprile 1910).<br />

206 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 207 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

La pallida dea, che dall’alto illumina le notti<br />

romantiche sul lago, cede il posto alla luce<br />

artificiale, energia di svecchiamento che<br />

aggredisce la cultura classicista.<br />

Ebbrezza del volo o ossessione<br />

dell’antico?<br />

“L’aeroplano che plana, si tuffa, si impenna,<br />

crea un ideale osservatorio ipersensibile<br />

appeso dovunque <strong>nel</strong>l’infinito, dinamizzato<br />

inoltre dalla coscienza stessa del moto che<br />

muta il valore e il ritmo dei minuti e dei<br />

secondi di visione-sensazione. <strong>Il</strong> tempo e lo<br />

spazio vengono polverizzati dalla fulminea<br />

constatazione che la terra corre velocissima<br />

sotto l’aeroplano immobile”. (Balla,<br />

Benedetta, Depero, Dottori, Fillia, Marinetti,<br />

Prampolini, Somenzi, Tato, Manifesto della<br />

aeropittura, 1929)<br />

<strong>Il</strong> volo è per i futuristi ebbrezza, energia<br />

vitale, corsa contro il tempo.<br />

<strong>Il</strong> <strong>territorio</strong> del basso Garda <strong>bresciano</strong> è stato testimone nei primi anni del Novecento di<br />

importanti eventi legati al volo. Lungo la Padana Superiore, che da Desenzano corre verso<br />

Rivoltella, circa a metà tragitto sulla sinistra sono ancora visibili le strutture della base<br />

Visione aerea di Lonato<br />

(disegno ispirato al quadro<br />

di Tullio Crali, Incuneandosi<br />

<strong>nel</strong>l’abitato, 1939, Rovereto,<br />

Mart).<br />

Un giro vorticoso sui paesi<br />

del Basso Garda tra il rosso<br />

dei tetti, il verde dei prati, il<br />

blu dello specchio d’acqua<br />

(disegno ispirato all’opera di<br />

G.Dottori, Volo su paese, 1930,<br />

Perugia, collezione T. Loreti).


Automobile in corsa sul ponte<br />

di Calcinatello (disegno ispirato<br />

a Velocità d’automobile di<br />

Giacomo Balla, 1913, Milano,<br />

Galleria d’Arte Moderna).<br />

In volo su Montichiari<br />

(disegno ispirato al manifesto<br />

pubblicitario del Primo Circuito<br />

Aereo <strong>bresciano</strong>).<br />

progetto 10 Uccidiamo il chiaro di luna progetto 10 Uccidiamo il chiaro di luna<br />

aeronautica per il Reparto Alta Velocità dell’aeronautica militare aperto <strong>nel</strong> 1928 e attivo fino<br />

al 1932. La scelta per tale base era caduta sull’idroscalo di Desenzano, a quel tempo più al<br />

servizio personale di D’Annunzio che dell’Aeronautica Italiana.<br />

La nascita di una scuola per addestrare i piloti al volo di alta velocità fu ritenuta necessaria<br />

dopo l’esito della corsa internazionale Coppa Schneider vinta dagli inglesi a Venezia <strong>nel</strong><br />

settembre 1927. L’addestramento doveva abilitare i piloti a compiere lo speciale tipo di volo<br />

richiesto dal regolamento della gara, che consisteva <strong>nel</strong> percorrere per 7 volte un circuito di<br />

50 km a forma di triangolo acutangolo. Nell’aprile del 1928 <strong>nel</strong> cielo del Garda si ha il primo<br />

volo di idrocorsa che dà inizio all’attività della scuola di velocisti. <strong>Il</strong> 5 maggio 1928 Francesco<br />

Agello fa il suo ingresso all’idroscalo di Desenzano.<br />

Tra le più belle giornate vissute dai<br />

ragazzi della celebre V rossa spicca<br />

quella del 23 ottobre 1934, quando<br />

il maresciallo Francesco Agello<br />

batte il precedente record di velocità<br />

raggiungendo il limite di 709,202 km/<br />

h. Alle ore 14.56 Agello decolla su un<br />

apparecchio Macchi Castaldi 72 con<br />

motore Fiat AS6 per tentare il primato.<br />

L’impresa gli vale una medaglia d’oro<br />

per “l’eccezionale valore e ardire”.<br />

Oggi l’idroscalo di Desenzano<br />

dorme <strong>nel</strong> gran sonno dei ricordi,<br />

memorie che sarebbero più<br />

degnamente conservate e ammirate<br />

se l’ex aerobase venisse dotata di<br />

un museo con esposti i cimeli del<br />

glorioso Reparto Alta Velocità e<br />

se il grande parco fosse aperto al<br />

pubblico, dedicato a coloro che qui si<br />

immolarono per il civile progresso della<br />

tecnica e della scienza aviatoria.<br />

A ricordo della Scuola d’Alta Velocità a<br />

Desenzano in Piazza Matteotti resta il<br />

monumento, opera dello scultore Quaglino e<br />

dell’architetto Bordignon, che raffigura il corpo<br />

aerodinamico di una donna colpita dal vento<br />

mentre si libra alto <strong>nel</strong>l’aria alla conquista degli<br />

spazi infiniti del cielo.<br />

A Montichiari fin dal 1909 esisteva un<br />

campo di volo che negli anni seguenti<br />

diventa il luogo di addestramento per i nuovi<br />

piloti d’aereo; proprio lì si svolge dall’8 al<br />

20 settembre 1909 il Primo Circuito Aereo<br />

<strong>bresciano</strong>, prima competizione aerea d’Italia,<br />

i cui partecipanti, aviatori italiani e stranieri,<br />

gareggiano in velocità, altezza e pilotaggio.<br />

Ospite d’eccezione è lo stesso Gabriele<br />

D’Annunzio (a lui si deve il termine velivolo:<br />

“vocabolo di aurea latinità, velivolus, parola<br />

leggera, fluida, rapida”) che, decollato con<br />

l’americano Curtiss e l’italiano Calderara,<br />

dichiara: “È una cosa divina. Non penso che<br />

a volare ancora”. L’evento sarà seguito da<br />

migliaia di spettatori, tra i quali anche Kafka<br />

che ne farà un resoconto giornalistico.<br />

Certamente il senatore Ugo Da Como sembra<br />

vivere ai margini di questa realtà, ancora<br />

profondamente legato a valori e ideali del<br />

Risorgimento italiano, di cui si era nutrito,<br />

e proteso a offrire il proprio personale<br />

contributo alla costruzione del Paese.<br />

D’altra parte in una realtà come quella bresciana, ancora così marginale o provinciale<br />

rispetto alle grandi aree europee che vedono fiorire le avanguardie artistiche e letterarie, Ugo<br />

Da Como non appare così desueto: solo pochi infatti sanno aprirsi senza riserve al nuovo,<br />

come sa fare D’Annunzio, primo fra gli artisti italiani a lasciarsi travolgere dall’ondata di<br />

entusiasmo per il mondo della scienza e della tecnica che contagiò i futuristi.<br />

Vittoria alata o automobile?<br />

“Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si arricchita di una bellezza nuova: la<br />

bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a<br />

serpenti dall’alito esplosivo... un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è<br />

più bello della Vittoria di Samotracia”. (F.T. Marinetti, Manifesto del <strong>Futurismo</strong>, 1909)<br />

La Vittoria alata di Brescia venne ritrovata il 20 luglio 1826 fra le rovine del Foro <strong>bresciano</strong><br />

e subito destò meraviglia e ammirazione. Si trattava di un bronzo bellissimo, cui si attribuì<br />

il significato di Vittoria (per le ali trovate staccate a terra) divenendo ben presto immagine<br />

simbolo della lotta per la libertà e l’indipendenza, che si andava in quegli anni combattendo.<br />

La statua (Vittoria che regge lo scudo o Afrodite che riflette la sua immagine <strong>nel</strong>lo specchio?)<br />

attirò l’attenzione anche del senatore Ugo Da Como, che ne volle una copia di dimensioni<br />

ridotte per la sala principale della sua Biblioteca, ritenendola opera di rara bellezza, di<br />

classica perfezione e armonia. Così egli la decantò in un suo scritto pubblicato <strong>nel</strong> 1926 a<br />

cento anni dal ritrovamento:<br />

“La Vittoria <strong>nel</strong>la purezza del suo splendido isolamento continua a scrivere le parole<br />

immortali della tradizione”.<br />

208 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 209 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Eleganza classica (riproduzione<br />

della statua della Vittoria alata<br />

<strong>nel</strong>la Sala della Vittoria della<br />

Biblioteca Ugo Da Como,<br />

Lonato del Garda).


Automobile sulla gardesana<br />

occidentale (disegno ispirato a<br />

Dinamismo di un automobile<br />

di Luigi Russolo, 1912-1913,<br />

Parigi, Museo Nazionale di Arte<br />

Moderna).<br />

progetto 10 Uccidiamo il chiaro di luna progetto 10 Uccidiamo il chiaro di luna<br />

Essa è esempio di bellezza sublimata e perfetta <strong>nel</strong> gioco delle proporzioni e <strong>nel</strong>l’equilibrio<br />

plastico e anche al visitatore più distratto suggerisce immediatamente sentimenti di serenità,<br />

calma, dolcezza, meditazione. Al bronzo <strong>bresciano</strong> bene si addicono le parole con cui<br />

Winckelmann definisce la bellezza classica: “nobile semplicità e calma grandezza”.<br />

Ma agli occhi dei Futuristi quella statua, ammirata da artisti e letterati, fissata nei versi<br />

immortali di Carducci e D’Annunzio, non è altro che il segno di un tempo passato, che<br />

deve lasciare il posto a una nuova bellezza: quella dell’automobile da corsa (pensata da<br />

Marinetti ancora al maschile; sarà poi D’Annunzio ad attribuirle il genere femminile), il nuovo<br />

mito del movimento futurista, che in essa vede rappresentato il dinamismo della società<br />

proiettata verso il futuro.<br />

L’automobile, che comincia a diffondersi anche sulle nostre strade nei primi anni del<br />

Novecento, è tema che ispira molti pittori futuristi, da Giacomo Balla a Luigi Russolo, che<br />

la rappresentano <strong>nel</strong> suo correre veloce;<br />

l’automobile è appena percepibile, il suo<br />

rapido passaggio è una sensazione. Linee,<br />

punti di fuga, curve di accelerazione, moto<br />

sinusoidale delle ruote esprimono velocità e<br />

movimento, simultaneità e dinamismo: “Noi<br />

vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il<br />

volante, la cui asta ideale attraversa la terra,<br />

lanciata a corsa essa pure sul circuito della<br />

sua orbita”. (F.T. Marinetti, Manifesto del<br />

<strong>Futurismo</strong>, 1909).<br />

D’Annunzio, ammaliato dall’automobile<br />

come dalle donne, sarà tra i primi italiani a<br />

possedere un’automobile. Lungo l’elenco<br />

delle automobili da lui acquisite a partire dal<br />

1909, ma fra le tante meritano di essere<br />

ricordate la mitica Fiat T4 con cui entrò<br />

trionfalmente in Fiume e l’ultima posseduta,<br />

la celebre Isotta Fraschini modello 8b,<br />

targata RA 52 ad indicare Regia Aeronautica,<br />

perché appartenente ad un generale di<br />

Brigata aerea che aveva il privilegio di disporre di un autista militare della vicina scuola d’Alta<br />

Velocità di Desenzano.<br />

La passione per l’automobile come quella per il volo (l’artista prese il brevetto <strong>nel</strong> 1909 a<br />

Montichiari) spinse D’Annunzio ad incontrare Tazio Nuvolari che aveva partecipato al Circuito<br />

del Garda disputato a Salò il 22 maggio del 1921.<br />

Qualche anno più tardi, <strong>nel</strong> marzo del 1927 prenderà il via, proprio dal <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>,<br />

la prestigiosa Mille Miglia, la corsa automobilistica più<br />

famosa d’Italia, che prevede un percorso a forma di otto<br />

da Brescia a Roma e ritorno, su una distanza di circa<br />

1.600 km (corrispondenti a circa mille miglia, da cui<br />

deriva il nome), passando anche attraverso Lonato e<br />

Desenzano.<br />

Memoria o esaltazione? Passatismo o Progresso?<br />

“Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli! ...<br />

Perchè dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo<br />

sfondare le misteriose porte dell’Impossibile? <strong>Il</strong> Tempo<br />

e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già <strong>nel</strong>l’assoluto,<br />

poiché abbiamo già creata l’eterna velocità<br />

onnipresente”. (F.T. Marinetti, Manifesto del <strong>Futurismo</strong>,<br />

1909).<br />

In piazza Martiri della Libertà a Lonato del Garda l’1<br />

ottobre 1924 venne collocato, per interessamento del<br />

senatore Ugo Da Como, il monumento a gloria dei<br />

Caduti della I guerra mondiale. Si voleva così ricordare<br />

l’eroismo di chi per la patria e per la libertà seppe dare<br />

la vita, compiendo umilmente il proprio dovere. Le<br />

figure, realizzate in bronzo su disegno di Luigi Contratti,<br />

sono fuse <strong>nel</strong> bronzo dei cannoni donati dall’allora<br />

Ministero della Guerra. Ma il monumento non cede alla<br />

retorica futurista dell’esaltazione della guerra, facendosi<br />

210 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 211 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Manifesto interventista a<br />

Sirmione (disegno ispirato a<br />

Manifestazione interventista di<br />

Carlo Carrà, 1914, Collezione<br />

privata di Arte moderna).<br />

In memoria dei Caduti<br />

(il disegno riproduce il<br />

Monumento ai Caduti <strong>nel</strong>la<br />

piazza Martiri della Libertà<br />

di Lonato del Garda in una<br />

semplificazione formale futurocubista<br />

alla Depero).


L’ossessione dell’antico (il<br />

disegno raffigura il giardino<br />

della Casa-Museo Ugo Da<br />

Como a Lonato del Garda).<br />

progetto 10 Uccidiamo il chiaro di luna progetto 10 Uccidiamo il chiaro di luna<br />

al contrario monito per tutti, ben sapendo<br />

quanto la vittoria sia costata in termini di<br />

giovani vite e quanto dolore essa abbia<br />

comportato.<br />

Così se da una parte il ricordo si fa commosso<br />

ringraziamento e silenziosa partecipazione<br />

alle sofferenze patite, dall’altra i Futuristi<br />

inneggiano alla guerra come sola igiene<br />

del mondo, gesto distruttore, sfida temeraria.<br />

Ma la guerra non è solo violenza, aggressività,<br />

forza travolgente; essa è per i Futuristi “la<br />

sintesi culminante e perfetta del progresso<br />

(velocità aggressiva + semplificazione violenta<br />

degli sforzi verso il benessere)” (da Marinetti,<br />

In quest’anno futurista, 1915), che proietta<br />

l’uomo verso il futuro.<br />

Guerra e progresso procedono insieme, e il<br />

futurista sarà il cantore appassionato di una<br />

civiltà nuova segnata dalle “folle agitate dal<br />

lavoro, dal piacere o dalla sommossa”.<br />

La città moderna con il “fervore notturno degli<br />

arsenali e dei cantieri incendiati da violente<br />

lune elettriche” (F.T. Marinetti, Manifesto del<br />

<strong>Futurismo</strong>, 1909) affascina i futuristi. Cavalli<br />

quasi volanti tra case in costruzione, fabbriche<br />

e ciminiere sono per Boccioni i simboli<br />

stessi della trasformazione e del progresso<br />

inarrestabile della società che avanza.<br />

Conservazione o distruzione?<br />

“Noi vogliamo distruggere i musei, le<br />

biblioteche, le accademie d’ogni specie e combattere contro il moralismo, il femminismo e<br />

contro ogni viltà opportunistica o utilitaria” (F.T. Marinetti, Manifesto futurista, febbraio 1909).<br />

Nel loro primo Manifesto i futuristi proclamano la distruzione dei Musei.<br />

Certamente il <strong>Futurismo</strong> fu un fenomeno di rottura, ma non ebbe una generale adesione<br />

della società italiana, dal momento che l’Italia si sentiva particolarmente legata alla propria<br />

tradizione classica. E così, proprio negli stessi anni in cui Marinetti esprime la necessità<br />

di svecchiare la cultura italiana, bollando come passatisti i conservatori della tradizione<br />

letteraria e culturale in genere, Ugo Da Como, rappresentante della classe dirigente<br />

ottocentesca, dà vita a Lonato alla sua Casa-Museo.<br />

Dopo aver acquistato <strong>nel</strong> 1906 la quattrocentesca dimora veneta del podestà, la fa<br />

restaurare dall’architetto <strong>bresciano</strong> Antonio Tagliaferri e la trasforma <strong>nel</strong>la sede della sua<br />

entusiasmante attività di collezionista. Essa è la casa di uno studioso, in cui vengono raccolte<br />

opere di varie epoche e di vario genere, tra le quali i moltissimi libri della sua importante e<br />

ricca biblioteca. Da Como concepisce la casa come un luogo in cui riaccostarsi al passato,<br />

facendo “rivivere” l’antico stanza dopo stanza. <strong>Il</strong> senatore condivide la sua passione con altri<br />

collezionisti della zona come l’amico Pompeo Molmenti (sottosegretario alle Belle Arti); quasi<br />

ossessionato dalla ricerca di reperti antichi non si limitata a ricercare dipinti, mobili e oggetti,<br />

ma anche frammenti in pietra, marmo o terracotta, capitelli, lastre tombali, stemmi nobiliari,<br />

con cui decora, a imitazione dei palazzi podestarili toscani, la facciata della sua abitazione.<br />

La sua estraneità alle avanguardie, che si andavano profilando in quel periodo, non<br />

impedisce comunque al Da Como di aprirsi alle novità che la tecnologia proponeva; la casa<br />

disponeva infatti di molte comodità come impianto di riscaldamento centralizzato, luce<br />

elettrica, telefono e radio. <strong>Il</strong> senatore possedeva anche un’automobile. Tutto ciò era richiesto<br />

dal ruolo istituzionale che Da Como ricopriva e dalle necessità amministrative. È certo che i<br />

moderni oggetti antiestetici come i termosifoni erano mascherati dietro mobili in stile antico.<br />

La casa-museo rispecchia tutte le caratteristiche dei musei ottocenteschi, che prevedevano<br />

l’ambientazione di dipinti, oggetti, mobili in una precisa contestualizzazione.<br />

Per volontà esplicita del senatore la Casa del Podestà, cui si aggiunse anche la Rocca<br />

acquistata successivamente, è oggi proprietà di una Fondazione cui egli stesso la destinò,<br />

perché non andasse perduto ciò che aveva raccolto con lo scopo di “promuovere e<br />

incoraggiare gli studi stimolandone l’amore nei giovani”.<br />

Anche Fortunato Depero (1892-1960), esponente di spicco del movimento futurista, in<br />

apparente contrasto con la forte dichiarazione del Manifesto stesso, <strong>nel</strong> 1957 concepisce<br />

l’idea di una sorta di casa-museo e impiega ogni energia <strong>nel</strong>la sua realizzazione,<br />

progettandone la struttura e l’arredamento, al fine di esporre i propri lavori e offrire alla città<br />

di Rovereto un punto di incontro.<br />

Ma la sua casa non è quella di un collezionista, bensì quella di un artista; egli espone la sua<br />

produzione artistica ed essa diventa lo specchio della sua identità e luogo di ritrovo per gli<br />

intellettuali amanti della modernità.<br />

La Casa d’arte Depero, casa-futurista <strong>nel</strong> cuore della città storica, viene inaugurata <strong>nel</strong><br />

1959, ma l’artista muore prima di completarne il progetto.<br />

L’edificio, divenuto di proprietà del Mart di Rovereto, dopo essere stato chiuso a lungo, è oggi<br />

aperto al pubblico, grazie al restauro dell’architetto Renato Rizzi; il visitatore può ammirare<br />

più di tremila opere, tra cui disegni, dipinti, arazzi, “quadri in stoffa” come li chiama Depero<br />

stesso, mobili, giocattoli, manifesti pubblicitari per grandi marchi, come il famoso cane a sei<br />

zampe per l’ENI e la bottiglietta del Campari Soda.<br />

212 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 213 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Lonato dinamica (disegno<br />

ispirato al quadro di Umberto<br />

Boccioni, Città che sale, 1910,<br />

New York, The Museum of<br />

Modern Art).


Sirmione investita dal<br />

progresso futurista (disegno<br />

ispirato ai paesaggi fantastici di<br />

Fortunato Depero).<br />

Le nuove mode in vetrina a<br />

Ciliverghe (disegno ispirato<br />

alla fotografi a – a fi rma di<br />

Antonio Paoletti – di un<br />

manifesto pubblicitario di inizio<br />

Novecento).<br />

progetto 10 Uccidiamo il chiaro di luna progetto 10 Uccidiamo il chiaro di luna<br />

Per concludere<br />

Superare il passato non signifi ca<br />

distruggerlo né rinnegarlo; guardare<br />

in avanti, aprirsi al nuovo non signifi ca<br />

rigettare le proprie radici, non riconoscersi<br />

appartenenti a una cultura o a una<br />

tradizione che ha sicuramente ancora<br />

qualcosa da dirci.<br />

Conservare come fece Ugo Da Como<br />

consente a noi oggi di ricostruire la<br />

nostra storia e di apprezzare quanto di<br />

bello fu costruito o pensato; ci consente<br />

di raccoglierne la memoria per rifl ettere,<br />

imparare e progredire.<br />

“Vogliamo liberare questo paese dalla sua<br />

fetida cancrena di professori, d’archeologi,<br />

di ciceroni e d’antiquarii. Già per troppo<br />

tempo l’Italia è stata un mercato di rigattieri.<br />

Noi vogliamo liberarla dagl’innumerevoli<br />

musei che la coprono tutta di cimiteri<br />

innumerevoli. Musei: cimiteri!... Musei:<br />

dormitori pubblici in cui si riposa per sempre accanto ad esseri odiati o ignoti! Musei: assurdi<br />

macelli di pittori e scultori che vanno trucidandosi ferocemente a colpi di colori e di linee, lungo<br />

pareti contese!<br />

Suvvia! date fuoco agli scaffali delle biblioteche!... Sviate il corso dei canali, per inondare i musei!<br />

I più anziani, fra noi, hanno trent’anni: ci rimane dunque almeno un decennio, per compier<br />

l’opera nostra. Quando avremo quarant’anni, altri uomini più giovani e più validi di noi, ci<br />

gettino pure <strong>nel</strong> cestino, come manoscritti inutili. - Noi lo desideriamo!” (da F.T. Marinetti,<br />

Manifesto del <strong>Futurismo</strong>, 1909).<br />

Se davvero si fosse avverato quanto Marinetti e i suoi amici andavano predicando, noi oggi<br />

non potremmo ammirare neppure le loro opere.<br />

Ma forse le parole di Marinetti e dei suoi compagni futuristi signifi cano altro.<br />

All’inizio del Novecento esse, pur suonando come fortemente trasgressive, miravano a<br />

scuotere un’Italia ancora troppo ripiegata<br />

sul suo passato e poco aperta ad accogliere<br />

le nuove modalità interpretative del reale<br />

e poco disponibile a sperimentare nuove<br />

strade.<br />

Ai nostri giorni quelle stesse parole ci<br />

richiamano a non fare dei musei luoghi di<br />

morti, a non visitarli con semplice nostalgia o<br />

rammarico per ciò che è stato e non è più.<br />

Se il museo non diventa realtà viva,<br />

partecipata e stimolante, luogo aperto al<br />

confronto e al dibattito, forse aveva ragione il<br />

grande artefi ce del <strong>Futurismo</strong>.<br />

Ma per Ugo Da Como non è così: dalle sale<br />

silenziose della sua Biblioteca ci viene il<br />

richiamo a metterci in ascolto per raccogliere<br />

un’eredità inestimabile. Hic mortui vivunt,<br />

pandunt oracula muti: così è scritto sulla<br />

parete a lato del grande camino. Qui i morti<br />

vivono e muti diffondono oracoli.<br />

Lunario lonatese 2010: Garda dinamico tra<br />

classicismo e modernità<br />

La realizzazione del Calendario artistico conclude il<br />

progetto didattico; esso propone un percorso attraverso<br />

il <strong>territorio</strong> gardesano tra miti nuovi e miti antichi, ideali<br />

futuristi e suggestioni romantiche, rivisitando luoghi del<br />

<strong>territorio</strong> lonatese e gardesano che furono protagonisti di<br />

eventi signifi cativi in tale senso.<br />

I disegni illustrativi dei singoli mesi e le relative didascalie<br />

sono stati realizzati dagli studenti.<br />

Molti disegni si ispirano a quadri futuristi ricontestualizzati<br />

<strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong>: ad esempio la lampada ad arco di<br />

Balla illumina la notte di Bedizzole, l’automobile di Russolo<br />

corre sulla gardesana occidentale, l’aereo di Crali si getta<br />

in picchiata su Lonato.<br />

Questo il percorso realizzato:<br />

I di copertina: Visione aerea di Lonato (disegno ispirato<br />

al quadro di Tullio Crali, Incuneandosi <strong>nel</strong>l’abitato, 1939,<br />

Rovereto, Mart)<br />

II di copertina: Sirmione investita dal progresso futurista<br />

(disegno ispirato ai paesaggi fantastici di Fortunato<br />

Depero)<br />

IV di copertina: Un giro vorticoso sui paesi del Basso<br />

Garda tra il rosso dei tetti, il verde dei prati, il blu dello<br />

specchio d’acqua (disegno ispirato all’opera di G.Dottori,<br />

Volo su paese, 1930, Perugia, collezione T. Loreti).<br />

Gennaio: L’ossessione dell’antico (il disegno raffi gura il<br />

giardino della Casa-Museo Ugo Da Como a Lonato del<br />

Garda)<br />

Febbraio: Luce artifi ciale a Bedizzole (disegno ispirato al<br />

quadro di Giacomo Balla, Lampada ad arco, 1909-1911,<br />

New York, Museum of Modern Art)<br />

Bibliografi a<br />

AA.VV., La fondazione Ugo Da Como. Guida al<br />

complesso monumentale, Brescia, Grafo 2005<br />

Ugo Ughi e Vincenzo Pialorsi, Ugo Da Como. Cenni<br />

biografi ci, in “Commentari dell’Ateneo di Brescia”<br />

per l’anno 1971, Brescia1973<br />

Andreoli Annamaria, D’Annunzio, Bologna, <strong>Il</strong><br />

Mulino 2004<br />

Andreoli Annamaria (a cura di), Album D’Annunzio,<br />

Milano, Mondadori 2004<br />

Giordano Bruno Guerri, D’Annunzio, Milano,<br />

Mondatori 2008<br />

Giordano Bruno Guerri, Filippo Tommaso Marinetti,<br />

Milano, Mondadori 2009<br />

Claudia Salaris, <strong>Futurismo</strong>. La prima avanguardia,<br />

Art e dossier n. 252 febbraio 2009, Giunti, Firenze<br />

Sabrina Carollo, I futuristi. La storia, gli artisti, le<br />

opere, Firenze, Giunti 2004<br />

AA.VV., L’Afrodite ritrovata, Milano, Skira 2003<br />

Sitografi a<br />

www.futurismo.altervista.org<br />

www.brescialeonessa.it/industria/800-900<br />

www.comune.lonato.brescia.it<br />

www.aeroclubbrescia.it/storia<br />

214 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong> 215 Le vie dell’arte <strong>Il</strong> <strong>Futurismo</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>bresciano</strong><br />

Marzo: Eleganza classica (riproduzione della statua<br />

della Vittoria alata <strong>nel</strong>la Sala della Vittoria della<br />

Biblioteca Ugo Da Como, Lonato del Garda)<br />

Aprile: Lonato dinamica (disegno ispirato al quadro di<br />

Umberto Boccioni, Città che sale, 1910, New York, The<br />

Museum of Modern Art)<br />

Maggio: Automobile in corsa sul ponte di Calcinatello<br />

(disegno ispirato a Velocità d’automobile di Giacomo<br />

Balla, 1913, Milano, Galleria d’Arte Moderna)<br />

Giugno: Chiaro di luna sul lago a Desenzano (disegno<br />

liberamente ispirato a un dipinto della Fondazione Ugo<br />

Da Como con dedica in francese à mon amis Molmenti<br />

e fi rma di R. Curtis, 1848)<br />

Luglio: Automobile sulla gardesana occidentale<br />

(disegno ispirato a Dinamismo di un automobile di<br />

Luigi Russolo, 1912-1913, Parigi, Museo Nazionale di<br />

Arte Moderna)<br />

Agosto: Manifesto interventista a Sirmione (disegno<br />

ispirato a Manifestazione interventista di Carlo Carrà,<br />

1914, Collezione privata di Arte moderna)<br />

Settembre: In volo su Montichiari (disegno ispirato<br />

al manifesto pubblicitario del Primo Circuito Aereo<br />

<strong>bresciano</strong>)<br />

Ottobre: Estasi <strong>nel</strong> vento a Desenzano (il disegno<br />

riproduce il monumento all’Alta Velocità di Desenzano).<br />

Novembre: In memoria dei Caduti (il disegno<br />

riproduce il Monumento ai Caduti <strong>nel</strong>la piazza<br />

Martiri della Libertà di Lonato del Garda in una<br />

semplifi cazione formale futuro-cubista alla Depero)<br />

Dicembre: Le nuove mode in vetrina a Ciliverghe<br />

(disegno ispirato alla fotografi a – a fi rma di Antonio<br />

Paoletti – di un manifesto pubblicitario di inizio<br />

Novecento)<br />

Percorso didattico<br />

<strong>Il</strong> progetto ha messo a confronto miti antichi,<br />

incarnati <strong>nel</strong> personaggio di Ugo Da Como, e<br />

suggestioni moderne, articolandosi in alcune fasi:<br />

• conoscenza della fi gura di Ugo Da Como<br />

e della sua Casa-Museo e rifl essione sul suo<br />

mondo spirituale, sul lavoro da lui realizzato di<br />

conservazione di un ricco e vario patrimonio<br />

storico-artistico e librario <strong>nel</strong>la consapevolezza di<br />

lasciare ai posteri qualcosa di signifi cativo per le<br />

generazioni future;<br />

• enucleazione, attraverso la Casa-Museo,<br />

di alcuni miti-simbolo che per Ugo Da Como<br />

rappresentano la tradizione, i valori di riferimento,<br />

quali la bellezza classica, il ricordo degli antichi, la<br />

memoria storica;<br />

• lettura e analisi di alcuni fra i Manifesti<br />

futuristi meno noti, quali Uccidiamo il chiaro di<br />

luna, Contro Venezia passatista, Ricostruzione<br />

futurista dell’universo; individuazione di alcuni<br />

nuovi miti caratterizzanti il <strong>Futurismo</strong> (velocità,<br />

dinamismo, rottura con il passato…)<br />

• visita a mostre e musei sul <strong>Futurismo</strong> (mostra<br />

sul <strong>Futurismo</strong>, Palazzo reale, Milano 2009, Mart di<br />

Rovereto e Casa d’Arte di Depero;<br />

• ricerca sul <strong>territorio</strong> gardesano di segnali di<br />

novità legati al futurismo;<br />

• elaborazione del Lunario lonatese 2010;<br />

• rifl essione conclusiva sul signifi cato e il valore<br />

di una Casa-Museo come quella di Ugo Da Como.<br />

Obiettivi e competenze:<br />

Conoscenza del <strong>territorio</strong> e della sua storia<br />

Conoscenza di movimenti storico-artistici<br />

Capacità di analizzare e interpretare testi e opere<br />

darte<br />

Capacità di enucleare temi e problemi<br />

Capacità di interpretare e confrontare fatti e opere<br />

Capacità di ricerca, catalogazione e<br />

problematizzazione<br />

Produzione di testi e di composizioni grafi che<br />

Metodi e strumenti:<br />

Incontri con l’esperto (il conservatore della Casa<br />

Museo Ugo Da Como)<br />

Lezioni frontali<br />

Ricerche sul <strong>territorio</strong><br />

Visite guidate a mostre e musei<br />

Letture, documentazioni, relazioni<br />

Realizzazione di un Calendario artistico

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