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FRANCESCO GUCCINI - Università degli Studi di Pavia

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Sono più famoso che in quel tempo<br />

quando tu mi conoscevi,<br />

Non più amici, e un pubblico che<br />

ascolta le canzoni in cui credevi,<br />

E forse ridono <strong>di</strong> me, ma in fondo la<br />

coscienza pura, non rider se <strong>di</strong>co<br />

questo, ride chi ha nel cuore l’o<strong>di</strong>o<br />

e nella mente la paura.<br />

Ma non devi credere che questo<br />

abbia cambiato la mia vita;<br />

E’ una cosa piccola <strong>di</strong> ieri che<br />

domani è già finita,<br />

Son sempre qui vivermi addosso,<br />

ho dai miei giorni quanto basta, ho<br />

dalla gloria quel che posso<br />

Cioè qualcosa che andrà presto<br />

quasi come i sol<strong>di</strong> in tasca.<br />

Non lo crederesti ho quasi chiuso<br />

tutti gli usci all’avventura,<br />

Non perché metterò la testa a<br />

posto, ma per noia o per paura.<br />

Non passo notti <strong>di</strong>sperate, su quel<br />

che ho fatto o quel che ho avuto; le<br />

cose andate sono andate<br />

Ed ho per unico rimorso le<br />

occasioni che ho perduto.<br />

Sono ancora aperte come un<br />

tempo le osterie <strong>di</strong> fuori porta,<br />

Ma la gente che ci andava a bere<br />

fuori o dentro è tutta morta.<br />

Qualcuno è andato per formarsi,<br />

chi per seguire la ragione, chi<br />

perché stanco <strong>di</strong> giocare,<br />

Bere il vino, sputtanarsi ed è una<br />

morte un po’ peggiore.<br />

Il solito topos del successo che elimina la purezza<br />

naif è qui ben calcolato, sincero. La crisi genera<br />

insicurezza. Ha il timore <strong>di</strong> cantare cose fuori dal<br />

tempo, da quel tempo. La massima finale fa parte<br />

delle sue tipiche sparate.<br />

Colpo <strong>di</strong> reni, levata d’orgoglio: la mia vita non<br />

l’han cambiata né i sol<strong>di</strong>, né le delusioni. La vita è<br />

un battito <strong>di</strong> ciglia, va e viene, non si fa mettere<br />

nel sacco, né definire. Gloria e sol<strong>di</strong> sono<br />

ectoplasmi.<br />

Qui la confessione si fa atroce. E la <strong>di</strong>fesa dell’io<br />

è accanita: sono io a scegliere il mio “surplace”, io<br />

perché son stufo. Non è il mondo a cambiarmi,<br />

Qui vien fuori la “consolatio anceps”: Guccini <strong>di</strong>ce<br />

una cosa e ne pensa un’altra, manda tutto a<br />

puttane ma in fondo ci crede ancora.<br />

La chiusa è ancora un colpo d’ala. Le due azioni<br />

(formarsi – seguire una ragione) sono all’antitesi<br />

col suo mondo, ma tant’è, c’è chi le prende in<br />

considerazione. Peggio, molto peggio barattare<br />

l’infanzia perenne del pensiero (giocare) con le<br />

finte sicurezze che la vita propone.<br />

In tutta la canzone Guccini gioca andate e ritorni,<br />

rimbalzi e trattenute: a volte sembra serissimo,<br />

persino sconfortato, ma subito dopo ha guizzi<br />

d’antico credo. Mente a se stesso, sa benissimo<br />

<strong>di</strong> non voler cambiare, ma il momento è brutto, gli<br />

amici <strong>di</strong>sertano, la voglia <strong>di</strong> mandar tutto a<br />

puttane è fortissima.<br />

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