FRANCESCO GUCCINI - Università degli Studi di Pavia
FRANCESCO GUCCINI - Università degli Studi di Pavia
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Perché l’uomo, quello eterno, quello <strong>di</strong> sempre, non trova mai sfogo e fine. Tutto in lui è<br />
rime<strong>di</strong>o del momento, e il mistero <strong>di</strong> se stesso, comunque, prima o poi riapparirebbe <strong>di</strong><br />
nuovo.<br />
Sta <strong>di</strong> fatto che da “La locomotiva” in poi Guccini esce dalla osteria, entra nel giro, anzi<br />
inventa lui stesso quel “giro” che sono i concerti dal vivo, davanti a migliaia <strong>di</strong> persone. Il<br />
messaggio per pochi, la parola conviviale, quasi da simposio archilocheo, trova il suo<br />
naturale sfogo in platee sempre più ampie. Mitizzato dal fascino <strong>di</strong> una canzone, Guccini<br />
viene riletto, ripercorso a ritroso, amato, compreso. “La locomotiva” ha fatto da ariete, da<br />
punta <strong>di</strong> <strong>di</strong>amante, ma ora l’identificazione contagia e si propaga tra i giovani proprio sui<br />
temi più gucciniani del dubbio, del tempo che fugge, dell’intuizione, dell’orlo della verità,<br />
che tutti si sentono dentro e uguali e così personali.<br />
Guccini costruirà <strong>di</strong> qui in poi una crescente, solida, prorompente reiterazione <strong>di</strong> sé e del<br />
suo tema, variando in modo incre<strong>di</strong>bile le forme, mutando coor<strong>di</strong>nate alle parabole, in<br />
perfetta coerenza ideale tra passato e futuro. Continuerà a concepire la verità come<br />
inesistente, laddove “esiste solo la carnevalesca volontà <strong>di</strong> giocare una scelta. Il dubbio<br />
assiduo è l’unica certezza”.<br />
Il non colto, il vagheggiato, la fuga del tempo, la labilità dell’amore, ma pure il senso del<br />
porto, il luogo natale, così come la provvisorietà e l’incommensurabile dolcezza <strong>di</strong> alcuni<br />
attimi <strong>di</strong> vita sono alla base del suo concetto <strong>di</strong> “medesimezza umana” (come <strong>di</strong>ceva<br />
Gramsci), per il quale è sintomatica la “canzone quasi d’amore”. La “medesimezza” è<br />
un’uguaglianza esistenziale fra gli uomini che si coglie solo a cercarla, a pensarla: non<br />
appare e non te la senti addosso se svicoli o ti per<strong>di</strong> negli effetti e nella funzione del<br />
quoti<strong>di</strong>ano. Più viva, più forte, più determinante si configura in chi è spiazzato, o senza<br />
collare, o <strong>di</strong>verso, o stanco, o deluso, per chi insomma è “pecora nera”, non nel senso<br />
amorale del termine, ma decentralizzato, fuori dal coro delle ovvietà. La medesimezza è<br />
riconoscersi <strong>di</strong> un’unica e faticosa umanità proprio nel confronto <strong>di</strong> quei particolari, <strong>di</strong><br />
quegli stimoli, <strong>di</strong> quegli istinti che sono iscritti in noi da sempre e sono naturali e quin<strong>di</strong><br />
“neri” rispetto ad un’omologazione sociale imperturbabile, <strong>di</strong>stratta, lieta <strong>di</strong> rimuovere che<br />
ci fa “bianchi”.<br />
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