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Flamma fumo est proxima (Dove c'è fumo c'è fiamma ... - Cineas

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<strong>Flamma</strong> <strong>fumo</strong> <strong>est</strong> <strong>proxima</strong><br />

(<strong>Dove</strong> c’è <strong>fumo</strong> c’è <strong>fiamma</strong>)<br />

Paolo Cardillo<br />

pcardillo@alice.it<br />

1. Introduzione<br />

Pur essendo qualcosa di molto familiare, un incendio è un fenomeno<br />

sorprendentemente complesso. Tutti sappiamo che cos’è un incendio e lo<br />

riconosciamo quando lo vediamo, tuttavia quale è una sua esatta definizione?<br />

Un incendio è una reazione chimica che coinvolge la rapida ossidazione, cioè la<br />

combustione, di un combustibile con un comburente e conseguente generazione<br />

di calore e di una <strong>fiamma</strong> visibile.<br />

Combustibile + Ossidante → Prodotti di combustione + Energia (calore)<br />

Solitamente, un incendio si verifica quando una fonte di calore (innesco) entra in<br />

contatto con un materiale combustibile. Infatti, come per tutte le reazioni chimiche,<br />

per iniziare una reazione di combustione è necessario fornire una data energia di<br />

attivazione.<br />

Quindi per avere una combustione devono essere presenti contemporaneamente<br />

il combustibile, l’ossigeno e l’innesco in opportune condizioni e rapporti. Qu<strong>est</strong>o<br />

fatto è solitamente rappresentato dal cosiddetto triangolo del fuoco (Fig. 1).<br />

Fig. 1 – Triangolo del fuoco


Se manca uno dei lati del triangolo, l’incendio non si verificherà; se uno dei lati è<br />

rimosso l’incendio si <strong>est</strong>inguerà. Il triangolo del fuoco costituisce il punto di<br />

partenza per tutti i metodi di prevenzione e di lotta antincendio.<br />

Se il combustibile è un solido o un liquido deve essere preriscaldato per generare<br />

una quantità di vapori sufficiente per formare una miscela in<strong>fiamma</strong>bile con<br />

l’ossigeno dell’aria.<br />

2. Stechiometria della combustione<br />

Consideriamo le reazioni di combustione completa del metano in ossigeno (1) e in<br />

aria (2):<br />

CH4 + 2O2 → CO2 + 2H2O (1)<br />

CH4 + 2O2 + 2(3,76)N2 → CO2 + 2H2O + 2(3,76)N2 (2)<br />

Si nota che i prodotti di combustione (CO2 e H2O) sono gli stessi in entrambe le<br />

reazioni ma, nel caso dell’aria bisogna considerare anche la presenza dell’azoto<br />

che, essendo inerte, non partecipa alla reazione di combustione e si ritrova<br />

inalterato anche a d<strong>est</strong>ra. Poiché l’aria è costituita dal 21% di ossigeno e dal 79%<br />

di azoto è facile calcolare che per ogni mole di ossigeno presente nella reazione<br />

avremo 3,76 moli di azoto (79/21 = 3,76).<br />

Normalmente si dice che le reazioni, così come scritte sopra, sono<br />

stechiometricamente bilanciate, nel senso che il combustibile e il comburente sono<br />

presenti in un rapporto tale per cui tutto il carbonio è ossidato a CO2 e tutto<br />

l’idrogeno a H2O. In qu<strong>est</strong>o caso è molto facile calcolare la concentrazione<br />

stechiometrica del metano (% in vol.) e dell’aria (sempre % in vol., detta anche<br />

aria teorica). Per esempio, per la reazione (2):<br />

Le moli totali dei reagenti sono:<br />

CH4 + 2O2 + 7,52N2 → CO2 + 2H2O + 7,52N2<br />

1CH4 + 2O2 + 7,52N2 = 10,52 per cui la concentrazione stechiometrica del metano<br />

sarà 1/10,52 x 100 = 9,5 % e quella dell’aria sarà 9,52/10,52 x 100 = 90,5 %.<br />

La conoscenza delle concentrazioni stechiometriche è molto importante sia ai fini<br />

dell’ottimizzazione della combustione che per la sicurezza.<br />

Per esempio, se il rapporto tra combustibile e comburente non è quello<br />

stechiometrico (eccesso o difetto di un reagente rispetto all’altro) tra i prodotti della<br />

combustione ritroviamo il reagente in eccesso o, se l’aria è in difetto, anche<br />

dell’ossido di carbonio CO.<br />

Per quanto riguarda la sicurezza, la reazione stechiometrica, per tutti combustibili,<br />

è quella più reattiva e quindi è quella che genera la pressione d’esplosione più alta<br />

(perché è quella che genera la quantità di calore maggiore), è quella che ha<br />

l’energia di accensione e la temperatura di autoaccensione più basse, la velocità<br />

di propagazione della <strong>fiamma</strong> più alta, ecc.


3. Calore di combustione/Potere calorifico<br />

Tutte le reazioni di combustione sono chiaramente esotermiche e quindi<br />

avvengono con rilascio di calore. E’ possibile ricavare per calcolo, nei casi<br />

semplici, o sperimentalmente qu<strong>est</strong>a quantità di calore (calore di combustione,<br />

ΔHc). Consideriamo qualche caso semplice:<br />

• C + O2 → CO2 ΔHc = -393,50 kJ/mol<br />

• H2 + 1/2O2 → H2O ΔHc = -240,96 “<br />

• CO + 1/2O2 → CO2 ΔHc = -283,00 “<br />

• CH4 + 2O2 → CO2 + 2H2O(g) ΔHc = -802, 3 “<br />

• CH4 + 2O2 → CO2 + 2H2O(l) ΔHc = -890,3 “<br />

Il ΔHc ha sempre il segno meno. In qu<strong>est</strong>i casi il ΔHc può essere facilmente calcolato<br />

conoscendo i calori di formazione dei reagenti e dei prodotti (ΔHf ) e applicando la legge<br />

di Hess:<br />

ΔHc = Σ ΔHf prodotti - Σ ΔHf reagenti<br />

Molti calori di formazione si trovano in apposite compilazioni oppure sul sito<br />

http://webbook.nist.gov/chemistry.<br />

Per gli esempi precedenti i rispettivi calori di formazione sono:<br />

• C, O2, H2 (i ΔHf degli elementi, per convenzione, sono uguali a 0)<br />

• CO2 = -393,5 kJ/mol<br />

• H2O g = -241,8 “<br />

• H2O l = -285,8 “<br />

• CH4 = -74,8 “<br />

Consideriamo l’ultima reazione, la combustione del metano con l’acqua allo stato<br />

liquido:<br />

CH4 + 2O2 → CO2 + 2H2O(l), per la legge di Hess avremo<br />

ΔHc = [(-393,5) + (-285,8 x2)] – [(-74,8) + (0)] = -965,1 + 74,8 = -890,3 kJ/mol<br />

Come si vede nel caso del metano (ma qu<strong>est</strong>o vale per tutti i combustibili che<br />

contengono idrogeno) si ottengono due valori del ΔHc secondo lo stato fisico<br />

dell’acqua che si forma tra i prodotti di combustione: liquida o allo stato di vapore<br />

(gas). La differenza è fornita dal calore di evaporazione dell’acqua (44 kJ/mol a<br />

25°C). Nelle fiamme, negli incendi, nella maggior parte delle combustioni<br />

industriali, l’acqua rimane come vapore e, di conseguenza, è più appropriato<br />

utilizzare il dato con l’acqua come vapore.<br />

Si definisce potere calorifico di un combustibile la quantità di calore generata nella<br />

combustione totale dall’unità di peso (kg per i solidi e i liquidi) o di volume m 3 (per i<br />

gas). Per i combustibili che contengono idrogeno o umidità, si distinguono due<br />

poteri calorifici:<br />

Potere calorifico superiore, quando l’acqua è considerata allo stato liquido;


Potere calorifico inferiore, quando l’acqua è considerata allo stato di vapore.<br />

La relazione tra i due poteri calorifici è data da:<br />

PCI = PCS - 600 x (U + 9H)<br />

__________________<br />

<strong>Dove</strong> U = percentuale in peso di acqua (umidità) contenuta nel combustibile<br />

H = percentuale di idrogeno contenuto nel combustibile<br />

600 = kcal necessarie all’evaporazione di 1 kg di acqua.<br />

Ai fini pratici, come già detto, si utilizza maggiormente il potere calorifico inferiore<br />

con l’acqua allo stato di vapore. Il potere calorifico di un generico combustibile può<br />

essere determinato:<br />

Sperimentalmente con la bomba calorimetrica, in cui una quantità nota di<br />

combustibile è bruciata completamente (in ossigeno sotto pressione).<br />

Assumendo le condizioni adiabatiche (cioè senza scambio di calore con<br />

l’ambiente), la quantità di calore rilasciata è calcolata dall’aumento di<br />

temperatura (ΔT) del calorimetro (immerso in un bagno d’acqua) e del suo<br />

contenuto.<br />

Mediante calcolo se si conosce la stechiometria della combustione o l’analisi<br />

elementare.<br />

4. Temperatura adiabatica di <strong>fiamma</strong><br />

Torniamo per un attimo alle due reazioni di combustione stechiometriche (1) e (2)<br />

del metano con ossigeno e aria: in entrambe le reazioni una mole di metano<br />

reagisce con due moli di ossigeno; poiché è presente, in entrambi i casi, la stessa<br />

quantità di combustibile la quantità di calore rilasciata sarà la stessa per le due<br />

reazioni. Diversa è invece la temperatura finale raggiunta dai gas di combustione:<br />

nel caso dell’aria, l’azoto che non partecipa alla reazione di combustione,<br />

assorbirà una parte del calore generato agendo come diluente termico, per cui la<br />

temperatura finale raggiungibile sarà minore rispetto alla combustione con il solo<br />

ossigeno.<br />

La temperatura finale teorica raggiungibile da una combustione, denominata<br />

temperatura adiabatica di <strong>fiamma</strong>, può essere calcolata manualmente per sistemi<br />

relativamente semplici. Per applicazioni più complicate si ricorre ad appositi<br />

software.<br />

Consideriamo, come esempio di calcolo manuale, la combustione stechiometrica<br />

del propano (C3H8) in aria a 25 °C.<br />

C3H8 + 5O2 + 18,8N2 →3CO2 + 4H2O + 18,8N2<br />

100<br />

ΔHc = -2044 kJ/mol<br />

Poiché ΔHc = cp x ΔT, dove cp è il calore specifico medio dei prodotti di<br />

combustione e ΔT è l’aumento adiabatico di temperatura potremo scrivere ΔT =<br />

ΔHc/cp.


I calori specifici dei singoli gas sono reperibili in apposite compilazioni oppure sul<br />

sito del NIST già ricordato prima.<br />

Nella Tabella 1 sono riportati i calori specifici medi dei prodotti della reazione<br />

d’interesse.<br />

Tabella 1 - Calori specifici medi di alcuni prodotti di combustione<br />

moli J/mol °C J/°C<br />

CO2 3 54,3 162,9<br />

H2O 4 41,2 164,8<br />

N2 18,8 32,7 614,8<br />

Totale 942,5<br />

Perciò il ΔT risulterà:<br />

ΔT = 2044000/942,5 = 2169 °C Tfin = 2169 + 25 = 2194 °C<br />

Molto facilmente possiamo verificare che in ossigeno, senza l’assorbimento di<br />

calore da parte dell’azoto, il ΔT adiabatico sarà molto più alto. Togliendo dal totale<br />

del calore specifico della tabella il contributo delle 18,8 moli di azoto, il cp della<br />

nuova miscela sarà 327,7 J/°C per cui ΔT = 2044000/327,7 = 6238 °C Tfin =<br />

6238 + 25 = 6263 °C.<br />

La temperatura raggiungibile durante la combustione può essere calcolata con un<br />

procedimento analogo anche per concentrazioni diverse da quella stechiometrica.<br />

5. Combustibili<br />

I combustibili (sia quelli naturali sia quelli sintetici) sono in genere di natura<br />

organica, ossia costituiti prevalentemente da Carbonio e Idrogeno (anche se<br />

talvolta sono presenti mod<strong>est</strong>e quantità di Ossigeno, Azoto, Zolfo). Tra i<br />

combustibili inorganici possiamo ricordare l’idrogeno, l’ammoniaca, l’ossido di<br />

carbonio, alcuni metalli. La lista dei materiali che possono bruciare è quindi molto<br />

lunga e non bisogna dimenticare che in qu<strong>est</strong>a lista devono rientrare non solo<br />

elementi e composti ma anche loro miscele (gas naturale, benzina, legno, carta,<br />

polimeri, ecc.).<br />

Inizialmente, il combustibile può essere sotto forma di gas, liquido o solido a<br />

temperatura ambiente. Come già anticipato, i combustibili liquidi e solidi devono<br />

essere sufficientemente riscaldati per produrre vapori.<br />

5.1.Combustibili gassosi<br />

I combustibili gassosi (e i vapori) miscelati con l’aria sono in<strong>fiamma</strong>bili o esplodibili<br />

(i due termini sono sinonimi) solo entro un ristretto intervallo di concentrazioni<br />

definito dal limite inferiore L i e dal limite superiore L s .<br />

Nella Tabella 2 sono riportati i limiti di in<strong>fiamma</strong>bilità di alcuni gas e vapori.


Tabella 2 - Limiti di in<strong>fiamma</strong>bilità di alcuni gas e vapori (a temperatura<br />

e pressione ambiente e con aria come comburente)<br />

Li, % vol Ls, % vol Li, % vol Ls, % vol<br />

Idrocarburi Idrocarburi<br />

Metano 5 15 Etilene 2,7 37<br />

Etano 3 12,4 Propilene 2,4 11<br />

Propano 2,1 9,5 Butilene 2,0 9,6<br />

Butano 1,8 8,4 Butadiene 2,0 9,6<br />

Pentano 1,4 7,8 Acetilene 2,5 100<br />

Esano 1,2 7,4 Benzene 1,3 7,9<br />

Eptano 1,0 6,7 Toluene 1,2 7,1<br />

Ottano 0,9 Xilene 1,1 6,4<br />

Nonano 0,8 Etilbenzene 1,0 6,7<br />

Decano 0,7 5,6 Stirene 1,1 6,1<br />

Alcoli Eteri<br />

A. metilico 6,7 36 E. metilico 3,4 18<br />

A. etilico 3,3 19 E. etilico 1,9 48<br />

A. propilico 2,2 14 E. isopropilico 1,4 21<br />

A. butilico 1,7 12 E. vinilico 1,7 27<br />

Ossido etilene 3,0 100<br />

Ossido propilene 2,8 37<br />

Aldeidi Chetoni<br />

Acetaldeide 4,0 60 Acetone 2,6 31<br />

Acroleina 2,8 31 Metil etil chetone 1,9 10<br />

Crotonaldeide 2,1 16<br />

Acidi/Anidridi Esteri<br />

A. acetico 5,4 Acetato metile 3,2 16<br />

An. acetica 2,7 10 Acetato etile 2,2 11<br />

Am. ftalica 1,2 9,2 Acetato vinile 2,6 13,4<br />

Ammine Inorganici<br />

Metilammina 4,2 21 Ammoniaca 15 28<br />

Dimetilammina 2,8 14,4 Idrazina 4,7 100<br />

Trimetilammina 2,0 12 Idrogeno 4,0 75<br />

Etilammina 3,5 14 Ossido di carbonio 12,5 74<br />

Dietilammina 1,6 10 Solfuro di carbonio 4,0 44<br />

Per definizione, qu<strong>est</strong>i due limiti rappresentano la minima e la massima concentrazione<br />

di combustibile (solitamente espressa come percentuale in volume nella<br />

miscela combustibile-aria) che può sostenere la propagazione della <strong>fiamma</strong>.<br />

Miscele in cui la concentrazione del combustibile è al di sotto del limite inferiore<br />

non sono in<strong>fiamma</strong>bili. Miscele in cui la concentrazione del combustibile è al di<br />

sopra del limite superiore non sono in<strong>fiamma</strong>bili. Tutte le miscele in cui la<br />

concentrazione del combustibile è compresa tra i due limiti sono in<strong>fiamma</strong>bili (cioè<br />

la <strong>fiamma</strong> si propaga attraverso l’intera miscela).<br />

5.1.1 Parametri che influenzano le caratteristiche d’in<strong>fiamma</strong>bilità<br />

Le caratteristiche d’in<strong>fiamma</strong>bilità dei gas e dei vapori sono influenzate da diversi<br />

parametri. I più importanti sono:<br />

- direzione di propagazione della <strong>fiamma</strong> (posizione della sorgente d’innesco)<br />

- forma e dimensioni del reattore di prova<br />

- natura del comburente


- temperatura e pressione<br />

- presenza di gas inerti o di altri gas in<strong>fiamma</strong>bili.<br />

Un importante fattore che influisce sui limiti d’in<strong>fiamma</strong>bilità è la posizione della<br />

sorgente d’innesco. Da un punto di vista della sicurezza, la determinazione dei<br />

limiti d’in<strong>fiamma</strong>bilità è più conservativa con propagazione verso l'alto.<br />

Se si determina l'in<strong>fiamma</strong>bilità in recipienti sufficientemente grandi, l'effetto del<br />

raffreddamento delle pareti è quasi trascurabile (per esempio in recipienti sferici).<br />

Se le misure sono effettuate in cilindri stretti, occorre considerare che i limiti si<br />

allargano a mano a mano che cresce il rapporto diametro/altezza del tubo. Poiché<br />

il calore è trasferito dal fronte di <strong>fiamma</strong> alle pareti del tubo per irraggiamento,<br />

conduzione e convezione, il diametro deve essere tale che l'effetto raffreddante<br />

delle pareti non abbia influenza sulla propagazione della <strong>fiamma</strong>.<br />

Molti combustibili che non sono in<strong>fiamma</strong>bili in aria possono invece accendersi e<br />

bruciare in ossigeno (per esempio alcuni idrocarburi alogenati).<br />

Per i gas e vapori il limite inferiore in ossigeno differisce di poco rispetto a quello in<br />

aria, mentre il limite superiore è molto più elevato. Sono noti pochi dati sui limiti<br />

d’in<strong>fiamma</strong>bilità con ossidanti diversi dall'aria o dall'ossigeno.<br />

Nella Tabella 3 sono riportati i limiti d’in<strong>fiamma</strong>bilità di alcuni combustibili in<br />

miscela con diversi ossidanti, a 25° C e pressione atmosferica.<br />

Tabella 3 - Limiti d’in<strong>fiamma</strong>bilità di alcuni combustibili in miscela con diversi<br />

ossidanti<br />

Aria Ossigeno Cloro<br />

Li Ls Li Ls Li Ls<br />

Metano 5 15 5,1 61 5,6 70<br />

Etano 3 12,4 3 66 6,1 58<br />

Etilene 2,7 36 2,9 80 - -<br />

Idrogeno 4 75 4 94 4 89<br />

La temperatura influenza notevolmente le caratteristiche d’in<strong>fiamma</strong>bilità, perché<br />

agisce sulla tensione di vapore, sulla velocità di reazione, sui limiti<br />

d’in<strong>fiamma</strong>bilità, sulla velocità di propagazione della <strong>fiamma</strong>, sulla tendenza<br />

all'autoaccensione, ecc.<br />

Solitamente, un aumento di temperatura produce un allargamento dell'intervallo<br />

d’in<strong>fiamma</strong>bilità, cioè il limite inferiore si abbassa mentre quello superiore si alza. I<br />

limiti variano linearmente con la temperatura e l'effetto si fa sentire soprattutto sul<br />

limite superiore. Nella Fig. 2 sono riportati, come esempio, i limiti d’in<strong>fiamma</strong>bilità<br />

dell'etilene in aria, a diverse temperature e a pressione atmosferica.


Fig. 2 – Influenza della temperatura sui limiti d’in<strong>fiamma</strong>bilità dell’etilene<br />

Anche la pressione influenza la velocità di reazione, la velocità di propagazione<br />

della <strong>fiamma</strong> e i limiti d’in<strong>fiamma</strong>bilità. In generale pressioni più alte tendono ad<br />

allargare l'intervallo d’in<strong>fiamma</strong>bilità, pressioni più basse a r<strong>est</strong>ringerlo. Con la<br />

riduzione della pressione, i limiti d’in<strong>fiamma</strong>bilità si avvicinano tra loro: a livelli di<br />

pressione molto bassi la propagazione della <strong>fiamma</strong> può essere talmente<br />

ostacolata che la miscela diventa non esplosiva. Aumentando la pressione,<br />

invece, l'intervallo d’in<strong>fiamma</strong>bilità si <strong>est</strong>ende, soprattutto come conseguenza<br />

dell'innalzamento del limite superiore.<br />

Nella Fig. 3 sono riportati i limiti d’in<strong>fiamma</strong>bilità dell'etilene in aria, a diverse<br />

pressioni e a temperatura ambiente.<br />

Fig. 3 – Influenza della pressione sui limiti di in<strong>fiamma</strong>bilità dell’etilene<br />

L'intervallo d’in<strong>fiamma</strong>bilità di un gas o di un vapore con l'aria è sempre meno<br />

<strong>est</strong>eso di quello dello stesso combustibile con l'ossigeno; l'azoto presente nell'aria<br />

e che non reagisce chimicamente nella combustione è, come ormai sappiamo, da<br />

considerare un diluente che diminuisce l'in<strong>fiamma</strong>bilità. La presenza di gas inerti<br />

(N2, CO2, ecc.) abbassa notevolmente il limite superiore d’in<strong>fiamma</strong>bilità del


combustibile, senza far variare sensibilmente quello inferiore. In tal modo il campo<br />

d’in<strong>fiamma</strong>bilità si r<strong>est</strong>ringe sempre più; continuando nell'aggiunta dell’inerte fino a<br />

che i due limiti praticamente coincidono si delimita il "diagramma d’in<strong>fiamma</strong>bilità"<br />

entro il quale tutti i punti corrispondono a miscele la cui composizione permette la<br />

propagazione della <strong>fiamma</strong>; al di fuori tutti i punti corrispondono a miscele non<br />

in<strong>fiamma</strong>bili (Fig. 4).<br />

Fig. 4 - Influenza dell'aggiunta di gas inerti, vapor d'acqua e inibitori sui limiti<br />

d’in<strong>fiamma</strong>bilità di miscele metano-aria<br />

Un gas inerte è tanto più efficace nel diminuire l'in<strong>fiamma</strong>bilità quanto più è alto il<br />

suo calore specifico. Nella Tabella 4 sono confrontati i valori massimi di gas inerti<br />

da aggiungere all'aria per ridurre l'in<strong>fiamma</strong>bilità del metano e i loro calori<br />

specifici.<br />

Tabella 4 - Effetto di diversi gas inerti sull'in<strong>fiamma</strong>bilità del metano<br />

Gas inerte % in vol. calore specifico, cal/mol °C<br />

Argo 51 5<br />

elio 39 5<br />

azoto 37 7<br />

vapor d'acqua 29 8,1<br />

anidride carbonica 24 8,9<br />

tetracloruro di carbonio 13 19<br />

Dal diagramma d’in<strong>fiamma</strong>bilità è possibile determinare, con semplici<br />

considerazioni geometriche, la percentuale minima di ossigeno che consente<br />

ancora la propagazione della <strong>fiamma</strong>. Nella Tabella 5 sono riportati, a titolo di<br />

esempio, i valori del MOC di alcuni combustibili.<br />

Tabella 5 - Ossigeno minimo di sicurezza di alcuni combustibili<br />

N2 CO2 N2 CO2<br />

Acetato di metile 11 13,5 Acetone 11,5 14<br />

Acido solfidrico 7,5 11,5 Alcol etilico 10,5 13<br />

Alcol metilico 10 12 Benzene 11,4 14<br />

1,3-Butadiene 10,5 13 n-Butano 12 14,5


1-Butene 11,5 14 Ciclopropano 11,5 14<br />

n-Eptano 11,5 14,5 n-Esano 12 14,5<br />

Etano 11 13,5 Etere etilico 10,5 13<br />

Etere metilico 10,5 13 Etilene 10 11,5<br />

Formiato di metile 10 13,5 Idrogeno 5 5,2<br />

Isobutano 12 15 Isobutilene 12 15<br />

Isopentano 12 14,5 Metano 12 14,5<br />

Metil etil chetone 11 13,5 Ossido di<br />

carbonio<br />

5,5 5,5<br />

5.2. Combustibili liquidi<br />

Nel caso di combustibili liquidi i limiti possono essere espressi oltre che in<br />

percentuale in volume anche in termini di temperatura. La temperatura più bassa<br />

alla quale il vapore, sviluppato dal liquido, forma con l'aria una miscela che si<br />

in<strong>fiamma</strong> sotto l'azione di una sorgente di accensione è definita punto di<br />

in<strong>fiamma</strong>bilità (flash point). Valori sperimentali del punto d’in<strong>fiamma</strong>bilità di singoli<br />

liquidi sono reperibili in letteratura. La Tabella 6 riporta il punto di in<strong>fiamma</strong>bilità di<br />

alcuni solventi.<br />

Tabella 6 - In<strong>fiamma</strong>bilità di alcuni combustibili liquidi<br />

Li,% vol. PI, °C<br />

acetone 2,6 -18<br />

acrilonitrile 3 0<br />

benzene 1,4 -11<br />

solfuro di carbonio 1,0 -30<br />

cicloesano 1,3 -18<br />

etere etilico 1,8 -45<br />

acetato di etile 2,5 -4<br />

eptano 1,05 -4<br />

esano 1,2 -26<br />

alcol metilico 7,3 11<br />

toluene 1,27 4<br />

Il punto d’in<strong>fiamma</strong>bilità è un’importante proprietà di un liquido in<strong>fiamma</strong>bile dal<br />

punto di vista della sicurezza, perché consente di valutare il pericolo d’incendio e<br />

di esplosione connesso con le operazioni d’immagazzinamento, maneggio e<br />

trasporto. I liquidi con punto d’in<strong>fiamma</strong>bilità relativamente basso richiedono<br />

particolari precauzioni, mentre punti d’in<strong>fiamma</strong>bilità superiori a 50-60 o C perdono<br />

gradualmente il loro significato in relazione alla sicurezza.<br />

Spesso l'interesse pratico è focalizzato sul punto d’in<strong>fiamma</strong>bilità di miscele<br />

multicomponenti dei seguenti tipi: miscele in cui tutti i componenti sono<br />

in<strong>fiamma</strong>bili e miscele in cui alcuni componenti non sono in<strong>fiamma</strong>bili.<br />

I componenti non in<strong>fiamma</strong>bili solitamente hanno un effetto inibente, nel senso<br />

che l'intervallo d’in<strong>fiamma</strong>bilità della miscela risulterà più ristretto o addirittura<br />

annullato.<br />

6. Energia di accensione<br />

L’energia minima di accensione è definita come la quantità minima di energia<br />

termica rilasciata in un punto di una miscela in<strong>fiamma</strong>bile che provoca la<br />

propagazione della <strong>fiamma</strong> lontano dal punto d’innesco. L'energia di accensione


varia al variare della concentrazione del combustibile e tende a un minimo in<br />

prossimità della concentrazione stechiometrica; inoltre l'energia di accensione<br />

aumenta drasticamente in prossimità delle concentrazioni corrispondenti ai limiti<br />

d’in<strong>fiamma</strong>bilità (Tabella 7).<br />

Tabella 7 - Energia minima di accensione di alcuni vapori<br />

combustibile Emin, mJ combustibile Emin, mJ<br />

acetato di etile 1,4 acetone 1,1<br />

alcol isopropilico 0,6 alcol metilico 0,2<br />

benzene 0,5 cicloesano 1,4<br />

cicloesene 0,5 ciclopentano 0,5<br />

ciclopropano 0,2 dimetilsolfuro 0,5<br />

etere dietilico 0,5 isoottano 1,3<br />

solfuro di carbonio 0,01 tetraidrofurano 0,5<br />

7. Autoaccensione<br />

La temperatura di autoaccensione è la temperatura più bassa cui una miscela<br />

combustibile-comburente deve essere portata perché si accenda<br />

spontaneamente. Al di sotto di qu<strong>est</strong>a temperatura, per provocare l'accensione<br />

della miscela, si deve usare una sorgente <strong>est</strong>erna (<strong>fiamma</strong>, scintilla, filamento<br />

caldo, ecc.) mentre al di sopra ciò non è necessario (Tabella 8).<br />

Tabella 8 - Temperatura di autoaccensione di alcuni solventi, °C<br />

acetone 465 acetonitrile 524<br />

alcol metilico 385 alcol etilico 363<br />

cicloesano 245 dimetilacetammide 354<br />

dimetilformammide 445 dimetilsolfossido 215<br />

diossano 180 esano 225<br />

etere etilico 160 etere di petrolio 287<br />

metil cellosalve 285 piridina 482<br />

tetraidrofurano 321 solfuro di carbonio 90<br />

La temperatura di autoaccensione può essere definita solo tenendo conto del<br />

sistema in cui la determinazione viene eseguita. Così, sperimentando in sistemi in<br />

flusso, in sistemi statici, in reattori di differenti materiali ecc. si ottengono differenti<br />

temperature di autoaccensione.<br />

La temperatura di autoaccensione risente degli stessi fattori che influenzano la<br />

velocità delle reazioni in fase gassosa:<br />

volume del reattore e sua geometria (rapporto superficie /volume)<br />

stechiometria (rapporto combustibile/ossigeno)<br />

presenza di inerti (N2, CO2, vapor d'acqua, ecc. )<br />

pressione<br />

ritardo all'accensione<br />

presenza di additivi (promotori, inibitori)<br />

effetti superficiali (catalisi)<br />

stato fisico del combustibile (nebbia, vapore).


8. Violenza delle esplosioni<br />

Il termine "violenza" ha solo un significato intuitivo; gli effetti di un'esplosione<br />

possono essere espressi con grandezze fisiche misurabili come ad esempio la<br />

pressione massima che si origina durante l'esplosione e velocità massima di<br />

aumento della pressione (Fig. 5).<br />

Fig. 5 – Tipica curva dell’aumento di pressione in una prova sperimentale<br />

Dalla conoscenza di tali parametri si ricavano orientamenti verso l'impiego di<br />

materiali più resistenti o di spessori maggiori o di dispositivi di sicurezza.<br />

La pressione che si genera in seguito ad una esplosione dipende dalla quantità<br />

totale di energia svolta durante la combustione ed è funzione della concentrazione<br />

di combustibile presente nella miscela; pertanto la pressione massima si ottiene<br />

solitamente nei dintorni della quantità stechiometrica del combustibile.<br />

9. Combustibili solidi<br />

9.1. Esplodibilità di polveri<br />

Il termine “polvere” indica lo stato di suddivisione spinta in cui si trova una<br />

sostanza solida. Esplosioni di polveri possono avvenire in ogni attività in cui si<br />

maneggiano materiali solidi finemente suddivisi (metalli, sostanze organiche,<br />

polimeri, resine, carboni, legno, ecc.); la polvere può essere il prodotto finale di<br />

una lavorazione o di un processo o un sottoprodotto indesiderato. Persino<br />

sostanze molto comuni come la farina di grano, la polvere di cacao, lo zucchero a<br />

velo, il tè, il caffè, quando sono trattate, sotto forma di polvere, su scala industriale<br />

in processi di macinazione, trasporto, separazione, essiccamento, presentano un<br />

pericolo d'esplosione, spesso mascherato dal loro aspetto familiare.<br />

Una polvere combustibile o ossidabile può esplodere quando - dispersa in<br />

un'atmosfera contenente sufficiente ossigeno per sostenere la combustione - è<br />

innescata da una sorgente di accensione di appropriata energia. Pertanto, ogni<br />

materiale solido in polvere che può bruciare in aria, può dar luogo a un'esplosione


con una violenza e con una velocità di reazione che aumentano con il grado di<br />

suddivisione del materiale.<br />

La reazione di ossidazione è chiaramente esotermica: normalmente, in un solido,<br />

il calore generato è facilmente assorbito; in una polvere, invece, l'area superficiale<br />

su cui avviene l'ossidazione è molto <strong>est</strong>esa e le dimensioni delle particelle molto<br />

piccole perciò si verifica un aumento di temperatura con conseguente aumento<br />

della velocità di ossidazione che genera ulteriore calore in modo esponenziale.<br />

La Figura 6a mostra come un pezzo di legno, una volta acceso, bruci liberando il<br />

calore in un tempo relativamente lungo. La stessa massa tagliata in pezzi più<br />

piccoli, brucia più velocemente (Figura 6b) poiché aumenta l’area superficiale in<br />

contatto con l’aria. Aumentando ulteriormente la suddivisione, riducendo i pezzi di<br />

legno in piccole particelle, dell’ordine di 0,1 mm o meno, e sospendendo tali<br />

particelle in aria sotto forma di nube la velocità della reazione di combustione<br />

diventa molto elevata. La combustione di una tale nube di polvere è un’esplosione<br />

(Figura 6c).<br />

Se la nube è dispersa all'aperto, il risultato della combustione è una vampata che,<br />

solitamente, non sviluppa pressioni pericolose. Se invece la nube è confinata (per<br />

esempio in un'apparecchiatura, un silo, un serbatoio, ecc.) si genera un aumento<br />

di pressione solitamente distruttivo.<br />

Fig. 6 - Diverso comportamento alla combustione di un solido secondo il suo grado di<br />

suddivisione<br />

Le esplosioni di polveri presentano diverse analogie con le esplosioni gassose,<br />

specialmente per quanto riguarda le reazioni coinvolte e quando la polvere ha una<br />

granulometria inferiore a 5 m. Tuttavia, esistono significative differenze che<br />

rendono lo studio delle polveri più difficile rispetto a quello dei gas e vapori.<br />

Perché avvenga un'esplosione di polvere deve essere presente un certo grado di<br />

turbolenza per disperdere la polvere in una sospensione (nube). Le esplosioni<br />

gassose possono invece avvenire anche con il gas in uno stato quiescente; inoltre<br />

le miscele gassose sono omogenee e consistono di particelle di dimensioni<br />

molecolari. Al contrario le sospensioni di polveri in aria formano un sistema<br />

eterogeneo; inoltre contengono particelle di dimensioni diverse, sempre però<br />

molto più grandi e quindi più pesanti delle molecole gassose e che tendono a<br />

depositarsi a causa della gravità. Data la differenza di densità tra i due<br />

componenti, la miscela, la concentrazione di una sospensione è solitamente<br />

espressa come peso di polvere per volume di aria (mg/l o g/m 3 ). In comune con i


gas in<strong>fiamma</strong>bili, le polveri miscelate con l'aria esibiscono un limite inferiore e un<br />

limite superiore d’in<strong>fiamma</strong>bilità o di esplodibilità (i due termini sono sinonimi).<br />

La determinazione sperimentale del limite superiore d’in<strong>fiamma</strong>bilità di una<br />

polvere presenta notevoli difficoltà, perché bisogna essere certi che la nube<br />

costituente il sistema eterogeneo polvere-aria abbia concentrazione uniforme e<br />

che non si formino zone in cui la concentrazione della polvere sia inferiore a quella<br />

corrispondente al limite superiore d’in<strong>fiamma</strong>bilità. Poiché è <strong>est</strong>remamente raro<br />

che negli impianti e nelle attività industriali nubi di polvere possano essere<br />

mantenute in concentrazioni sopra il limite superiore d’in<strong>fiamma</strong>bilità (e quindi al di<br />

fuori dell'intervallo pericoloso), l'interesse per qu<strong>est</strong>o limite è piuttosto scarso: ben<br />

pochi valori sono stati determinati sperimentalmente e le concentrazioni trovate<br />

cadono tra 2 e 6 g/l.<br />

Nella Tabella 9 sono confrontati gli intervalli d’in<strong>fiamma</strong>bilità di alcuni gas/vapori e<br />

di alcune polveri.<br />

Tabella 9 - Limiti d’in<strong>fiamma</strong>bilità di alcuni gas/vapori e di alcune polveri<br />

Li, %<br />

vol.<br />

Li, mg/L Ls, % vol. Ls, mg/L<br />

metano 5,0<br />

Gas/Vapori<br />

38 15 126<br />

etilene 2,7 35 36 700<br />

benzene 1,3 47 7,9 300<br />

acetone 2,6 70<br />

Polveri<br />

13 390<br />

acido acetilsalicilico 15 2-6 g/L<br />

acido benzoico 11 "<br />

resina epossidica 12 "<br />

fenolo formaldeide 15 "<br />

polietilene 38 "<br />

Nella Fig. 7 sono confrontati i dati di esplodibilità del metano e della polvere di<br />

polietilene; anche la concentrazione del metano è espressa su base massa per<br />

unità di volume di aria (g/m 3 ). La curva del metano mostra, ben definiti, il limite<br />

inferiore e il limite superiore; quella del polietilene mostra il limite inferiore (uguale<br />

a quello del metano) ma non il limite superiore.<br />

Fig. 7 - Confronto tra i limiti d’in<strong>fiamma</strong>bilità del metano e della polvere di<br />

polietilene


Le reazioni esplosive polveri-aria sono influenzate da numerosi parametri, come le<br />

miscele gas-aria: composizione chimica, natura del comburente, reattività e potere<br />

calorifico, distribuzione granulometrica delle particelle e loro forma, grado di<br />

dispersione o agglomerazione, concentrazione di polvere nella nube, grado di<br />

turbolenza, condizioni ambientali (temperatura, pressione, umidità), energia<br />

d’innesco e posizione dell’innesco, geometria del volume nel quale avviene la<br />

combustione, ecc.<br />

9.1.1.Dimensioni delle particelle<br />

La reattività di un materiale in polvere differisce enormemente da quella allo stato<br />

compatto ed è funzione del suo grado di suddivisione, ossia della sua<br />

granulometria. Le polveri fini sono più facilmente in<strong>fiamma</strong>bili di quelle più<br />

grossolane. La ragione sta nel fatto che la velocità della reazione è determinata<br />

dalla diffusione dell'ossigeno all'interno della sostanza: quanto maggiore è il grado<br />

di compattezza del solido, tanto più lenta risulterà la combustione. A parità di<br />

massa, la reattività dipende dalla superficie esposta, ovvero dall'area superficiale<br />

della particella. Man mano che le dimensioni delle particelle di una polvere<br />

diminuiscono la superficie specifica aumenta, per cui la polvere brucia più<br />

facilmente, è più facilmente disperdibile e rimane più a lungo in sospensione.<br />

Anche la pressione massima d'esplosione e la velocità massima di aumento della<br />

pressione aumentano al diminuire della granulometria mentre diminuiscono<br />

l'energia minima di accensione e la concentrazione minima esplodibile (limite<br />

inferiore) (Fig. 8).<br />

È difficile indicare una granulometria massima delle particelle al di sopra della<br />

quale non si ha più l'esplosione, poiché le diverse polveri hanno meccanismi di<br />

combustione differenti. Dall'esperienza tuttavia si può presumere che polveri con<br />

particelle di diametro superiore a 500 m non siano esplodibili. Qu<strong>est</strong>o non<br />

significa che polveri di tali dimensioni non costituiscano un pericolo: diverse<br />

operazioni (es. trasporto pneumatico) possono provocare lo sminuzzamento delle<br />

particelle con formazione di frazioni più fini.<br />

Fig. 8 - Influenza del diametro delle particelle sull'energia minima e sulla<br />

concentrazione minima esplodibile della polvere di polietilene


9.1.2.Umidità<br />

In generale, ma non per tutte le polveri, la presenza di umidità tende a diminuire<br />

l'esplodibilità. Infatti, all'aumentare dell'umidità le particelle di polvere diventano più<br />

coesive e producono agglomerati che sono più difficili da disperdere e quindi più<br />

difficili da accendere. Inoltre, parte del calore di combustione è consumato per<br />

vaporizzare l'umidità. Un aumento nella percentuale d'umidità provoca un<br />

aumento della temperatura di accensione, dell'energia di accensione e della<br />

concentrazione minima esplodibile.<br />

10. In<strong>fiamma</strong>bilità di solidi<br />

Anche se sono spesso coinvolti gas e liquidi, la maggior parte degli incendi<br />

riguarda sostanze combustibili solide, naturali, sintetiche o semi-sintetiche. Come<br />

già anticipato, la combustione di solidi e liquidi richiede la loro iniziale conversione<br />

nello stato gassoso. Per i liquidi qu<strong>est</strong>o avviene attraverso l’evaporazione; i solidi,<br />

a meno che non sublimino, devono invece subire una decomposizione chimica<br />

(pirolisi) per produrre componenti volatili a basso peso molecolare che possono<br />

passare in fase gassosa.<br />

Con i solidi, generalmente, si hanno due tipi di combustione: con <strong>fiamma</strong> o con<br />

braci (smouldering, glowing). La combustione con <strong>fiamma</strong> è quella più comune,<br />

soprattutto nei primi stadi dell’incendio, ed è dovuta alla formazione di gas di<br />

decomposizione. Verso la fine dell’incendio prevale la combustione a brace che è<br />

caratterizzata da temperature, sulla superficie del materiale, relativamente alte.<br />

La combustione a brace può essere alimentata anche in un’atmosfera sotto<br />

ossigenata (16 % di ossigeno). In qu<strong>est</strong>i casi, se si soffia dell’aria su una brace, la<br />

debole <strong>fiamma</strong> bluastra che si origina è comunemente attribuibile alla<br />

combustione dell’ossido di carbonio ad anidride carbonica.<br />

10.1. Carico di incendio (Fire Load)<br />

Il carico d’incendio è definito come il potenziale termico della totalità dei materiali<br />

combustibili contenuti in uno spazio, ivi compresi i riv<strong>est</strong>imenti dei muri, delle<br />

pareti provvisorie, dei pavimenti e dei soffitti. Convenzionalmente è espresso in kg<br />

di legno equivalente (potere calorifico inferiore 4.400 kcal/kg).<br />

L’equazione è la seguente:<br />

dove gi<br />

q = Σ (gi x Hi)/4.400 x A<br />

= quantità in Kg del generico combustibile i<br />

Hi = potere calorifico in Kcal/Kg del generico combustibile i<br />

4.400 = potere calorifico in Kcal/Kg del legno<br />

A = superficie in pianta del locale (m 2 )<br />

Serve soprattutto ai progettisti per verificare se le strutture degli edifici civili sono in<br />

grado di sopportare l’incendio generato dai prodotti e dalle sostanze combustibili<br />

presenti nell’ambiente (Tabella 10).


Tabella 10 – Potere calorifico di alcuni materiali<br />

10.2. Trasferimento del calore<br />

Il trasferimento di calore è il fattore predominante negli incendi, perché influenza<br />

l’accensione, la propagazione della <strong>fiamma</strong> e la sua <strong>est</strong>inzione. Inoltre, il<br />

trasferimento di calore è responsabile delle varie evidenze fisiche e chimiche che<br />

r<strong>est</strong>ano sul luogo dell’incendio e che vanno interpretate per stabilirne sia l’origine<br />

sia le cause.<br />

Il trasferimento di calore è misurato in termini di flusso di energia per unità di<br />

tempo (kilowatt). Quanto maggiore è la differenza di temperatura tra gli oggetti<br />

tanto più alta sarà la velocità di trasferimento del calore.<br />

Il trasferimento di calore avviene attraverso tre meccanismi: conduzione,<br />

convezione e irraggiamento.<br />

10.2.1.Conduzione<br />

La conduzione è la forma di trasferimento del calore entro i solidi quando una<br />

porzione della massa è riscaldata. L’energia (il calore) è trasferita dalla zona<br />

riscaldata a quella non riscaldata con una velocità che dipende dalla differenza di<br />

temperatura tra le due aree e dalle proprietà fisiche del materiale (conducibilità<br />

termica, densità e calore specifico). La conducibilità termica di alcuni combustibili<br />

molto comuni come la carta e il legno è <strong>est</strong>remamente bassa, mentre quella dei<br />

metalli è molto alta. Il rame, per esempio, ha una conducibilità 2000 volte più alta<br />

del legno.<br />

Qu<strong>est</strong>o spiega perché, in un corto circuito, si può verificare la fusione dell’isolante<br />

anche a notevole distanza dal punto d’inizio, data l’elevata conducibilità termica<br />

dei fili di rame. Qu<strong>est</strong>o spiega anche perché la superficie di una trave può essere<br />

severamente bruciata da una parte (quella esposta alla <strong>fiamma</strong>) e risultare<br />

inalterata dalla parte opposta.<br />

10.2.2.Convezione<br />

Materiali Potere calorifico<br />

Legno( arredi, infissi, soffitti) ΔH = 4.400 kcal/kg<br />

Tessuti( tendaggi ) ΔH = 8.000 kcal/kg<br />

Carta e cartone ( libri, manoscritti ) ΔH = 4.050 kcal/kg<br />

Abiti ΔH = 4.600 kcal/kg<br />

La convezione è il trasferimento di energia provocato dal movimento di liquidi o<br />

gas caldi dall’innesco a una parte più fredda dell’ambiente circostante. Il calore è<br />

trasferito per convenzione a un solido quando i gas caldi passano sulle superfici<br />

più fredde. La velocità di trasferimento di calore dipende dalla differenza di<br />

temperatura, dall’area superficiale esposta ai gas caldi e dalla loro velocità. Nei<br />

primi stadi di un incendio, la convezione gioca il ruolo più importante nel muovere i<br />

gas caldi dell’incendio verso l’alto.


10.2.3.Irraggiamento<br />

L’irraggiamento è il trasferimento di energia da una superficie calda a una più<br />

fredda attraverso onde elettromagnetiche (nell’infrarosso, come accade<br />

nell’irraggiamento della terra da parte del sole). Quando si sviluppa un incendio in<br />

una struttura, tutte le superfici saranno riscaldate dall’irraggiamento termico e<br />

quando la temperatura raggiunge quella di accensione qu<strong>est</strong>i materiali<br />

contribuiranno all’incendio. In incendi di notevoli dimensioni non è raro vedere<br />

coinvolte costruzioni vicine, serbatoi, ecc.<br />

11. Sequenza di un incendio confinato<br />

Un incendio in uno spazio definito (es. in una stanza) progredisce in diversi stadi<br />

di sviluppo, spesso distinguibili (Figg.9 a-d).<br />

Il primo stadio è quello di sviluppo che inizia al momento dell’innesco con la<br />

<strong>fiamma</strong> che è localizzata e l’incendio è regolato dal combustibile. In altre parole, la<br />

propagazione della <strong>fiamma</strong> è regolata non dalla disponibilità di ossigeno (che è<br />

quello normale presente nell’ambiente) ma dalla configurazione, massa e<br />

geometria del materiale combustibile. Una colonna di fumi caldi inizia a salire<br />

verso l’alto a causa di moti convettivi accumulandosi sotto il soffitto.<br />

L’innalzamento del <strong>fumo</strong> richiamerà ulteriore ossigeno al di sotto della <strong>fiamma</strong><br />

(Fig. 9 a). Se ci sono materiali solidi combustibili al di sopra della <strong>fiamma</strong> sia la<br />

convezione sia il contatto diretto della <strong>fiamma</strong> provocano la propagazione<br />

dell’incendio verso l’alto e verso il basso producendo la tipica impronta a V (Fig.<br />

10).<br />

Fig. 10 – Si nota sulla parete la tipica impronta a V


Nel secondo stadio, quello dello sviluppo, viene consumato ulteriore combustibile<br />

con intensificazione dell’incendio, con le fiamme che si espandono in tutte le<br />

direzioni. Sotto il soffitto si raccoglie uno strato caldo e denso di <strong>fumo</strong> e di gas di<br />

combustione che irraggia il calore all’intorno. Qu<strong>est</strong>o strato non contiene solo<br />

nero<strong>fumo</strong> ma anche prodotti tossici (ossido di carbonio, acido cianidrico, acido<br />

cloridrico, acroleina, ecc.). A meno che l’ambiente in cui si è originato l’incendio<br />

non sia ermeticamente sigillato, il <strong>fumo</strong> e i gas di combustione si propagheranno in<br />

altri ambienti. La temperatura del soffitto comincia ad aumentare rapidamente<br />

mentre il pavimento è ancora relativamente freddo. E’ ancora possibile<br />

sopravvivere nella stanza a livello del pavimento (Fig. 9 b).<br />

L’incendio continua ad aumentare d’intensità e lo strato di <strong>fumo</strong> e gas di<br />

combustione comincia ad abbassarsi sempre più (aumenta di spessore) e può<br />

accadere che qualche gas incombusto raggiunga la sua temperatura di<br />

accensione. Quando l’accensione dello strato superiore risulta in un incendio che<br />

si <strong>est</strong>ende dal soffitto attraverso la stanza, si ha il fenomeno definito Rollover.<br />

Qu<strong>est</strong>o fenomeno provoca un ulteriore rapido aumento della temperatura del<br />

soffitto ed anche un aumento del calore irraggiato verso il basso nella stanza. In<br />

qu<strong>est</strong>o modo possono innescarsi incendi secondari. In qu<strong>est</strong>o stadio l’incendio è<br />

ancora regolato dal combustibile.<br />

Quando lo strato superiore raggiunge una temperatura di circa 600 °C, si è<br />

generato sufficiente calore da provocare l’accensione simultanea di tutto il<br />

materiale combustibile della stanza. Qu<strong>est</strong>o è il Flashover (Fig. 9 c). Una volta<br />

che si è verificato il flashover è impossibile sopravvivere. La temperatura a livello<br />

del soffitto supera 1100 °C e a livello del pavimento supera 600 °C. Nel momento


del flashover l’incendio è ancora regolato dal combustibile; tuttavia, se l’incendio<br />

r<strong>est</strong>a confinato nell’ambiente originale diventa pr<strong>est</strong>o regolato dall’ossigeno. Il<br />

rapido aumento di temperatura associato al flashover generalmente provoca la<br />

rottura delle fin<strong>est</strong>re, con conseguente fornitura di un’illimitata quantità di<br />

ossigeno, con l’incendio che torna a essere regolato dal combustibile.<br />

Il tempo necessario perché un incendio, dal suo stadio iniziale, arrivi al flashovere<br />

dipende dalla quantità e qualità di combustibile presente, dalla geometria<br />

dell’ambiente, dalla ventilazione.<br />

Alla fine, il combustibile viene consumato, nell’ambiente l’ossigeno scende al di<br />

sotto del 15-16 %, le fiamme vive si <strong>est</strong>inguono e r<strong>est</strong>a una combustione covante.<br />

Qu<strong>est</strong>o stadio è noto come smoldering stage (decadimento). Ci sono ancora<br />

un’alta temperatura e un accumulo di fumi e gas di combustione: a qu<strong>est</strong>o punto<br />

l’incendio è regolato dall’ossigeno (Fig. 9 d).<br />

La temperatura può essere superiore quella di accensione dei gas accumulati,<br />

pertanto se nuovo ossigeno entra nell’ambiente il <strong>fumo</strong> e i gas incombusti che si<br />

sono formati possono dar luogo a una esplosione. Qu<strong>est</strong>o tipo di esplosione è<br />

nota come Backdraft, che è il fenomeno più temuto dai vigili del fuoco.<br />

12. Determinazione del punto di origine<br />

Ogni incendio è diverso dagli altri dato che sono differenti le strutture coinvolte, il<br />

carico d’incendio, i tipi d’innesco, il flusso d’aria, la ventilazione e molte altre<br />

variabili. In generale, un incendio brucia più a lungo in prossimità del punto di<br />

origine, con i danni che saranno maggiori. La posizione del punto di origine<br />

influenza la velocità di crescita della <strong>fiamma</strong> come pure il tempo necessario per<br />

raggiungere il flashover. Ovviamente, più è alto il soffitto e più è <strong>est</strong>esa l’area in<br />

cui si verifica l’incendio più lenta sarà la propagazione della <strong>fiamma</strong> e maggiore<br />

sarà il tempo per il flashover.<br />

Quando l’incendio si genera lontano dalle pareti o da altri ostacoli verticali, l’aria<br />

fredda può fluire liberamente nella colonna da tutte le direzioni miscelandosi con i<br />

gas di combustione, raffreddando la parte superiore del pennacchio e diminuendo<br />

la velocità di riscaldamento e allungando il tempo per il flashover. Se invece la<br />

colonna calda è contro una parte piatta, la capacità dell’aria di miscelarsi con i gas<br />

caldi è ridotta di circa la metà rispetto al caso precedente per cui la <strong>fiamma</strong> sarà<br />

più alta e la velocità di aumento della temperatura dei gas sotto il soffitto sarà


massima. Una situazione ancora più drastica si avrà quando la <strong>fiamma</strong> si propaga<br />

da un angolo della stanza.<br />

I danni creati dalla <strong>fiamma</strong>, dall’irraggiamento, dai gas caldi e dal <strong>fumo</strong> lasciano<br />

tracce che vengono utilizzate soprattutto per identificare il punto di origine. Qu<strong>est</strong>e<br />

tracce comprendono effetti termici sui materiali, tipo carbonizzazione (charring),<br />

ossidazione, consumo di combustibile, depositi di nero<strong>fumo</strong>, distorsioni, fusioni,<br />

variazione dei colori, collassi strutturali, ecc. Anche il colore del <strong>fumo</strong> e della<br />

<strong>fiamma</strong> possono indicare, anche se non in modo certo, il tipo di materiale<br />

combustibile che sta bruciando.<br />

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