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siciliano - malastrada film

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I Siciliani 136<br />

Gli esseri<br />

Una di notte. C'è stata pioggia, ora c'è un vento triste<br />

che piega le cime degli alberi. Ronzio di auto che<br />

corrono, le ruote fanno sull'asfalto viscido quel sibilo<br />

sottile, come lo scricchiolio di un lungo leucoplasto<br />

che venga strappato velocemente dalla pelle. Improvvisamente<br />

il rumore lacerante di una fermata, il botto<br />

cupo di lamiere, un orribile fragore di cristalli. Nel silenzio,<br />

rimane solo il suono del clacson che s'è sfasciato<br />

nell'urto e continua però egualmente a suonare,<br />

ma fievolmente, un lamento ininterrotto.<br />

Dalla finestra scorgo tutto il viale, quattro file di<br />

lampade gialle che si perdono nel buio, le facciate deserte<br />

dei palazzi pieni d'ombre d'alberi che sbattono<br />

inquiete, e laggiù all'angolo una macchina rossa di<br />

sbieco sul marciapiede, contro un palo di ferro, accanto<br />

a un albero spezzato. È sola, non ci sono figure<br />

umane attorno poiché probabilmente sono rimaste incastrate<br />

e svenute lì dentro; una delle frecce luminose<br />

continua a lampeggiare adagio e il clacson è sempre<br />

incantato, un gemito quasi umano. Sembra l'agonia<br />

di una piccola bestia rossa, in mezzo al deserto.<br />

Poi si vedono due fari di un'auto che scendono veloci<br />

per il viale, due occhi bianchi e rotondi che corrono<br />

avanti, ma d'un tratto rallentano, si accostano<br />

cautamente al marciapiede, si fermano. altre due coppie<br />

di fari che arrivano, una dopo l'altra, veloci, e rallentano<br />

anch'esse, si accostano adagio, ed altre due<br />

ancora che manovrano cautamente per avvicinarsi:<br />

sembrano davvero occhi di animali impauriti che arrivino<br />

da lontano, annusi ma quella piccola auto rossa<br />

che muore. Altre auto rallentano, sfiorando adagio<br />

quell'angolo di viale, hanno l'atteggiamento di chi ha<br />

solo un attimo di curiosità e ribrezzo e partono via.<br />

Non si vedono essere umani, non s'è accesa una sola<br />

luce alle finestre dei palazzi, non si è spalancata una<br />

porta, né si sente una voce, un grido, e tutto finisce<br />

cosÌ: con un'auto che accelera verso un'ospedale, le<br />

altre che si dileguano ad una ad una, la macchina rossa<br />

spenta, muta, i fanali sfondati, i fili del clacson<br />

strappati. Morta oramai! E pioggia, raffiche di ombre<br />

sulle facciate dei palazzi. Tutto si è concluso senza che<br />

apparisse una sola creatura umana ...<br />

Giustiw<br />

Il giudice presidente, con quei capelli e quelle basette<br />

candide, aveva una faccia da antico romano e, vestito<br />

com'era di nero, faceva un bellissimo contrasto<br />

seduto accanto al Crocifisso. Non c'era un solo particolare<br />

che non contribuisse a formare in lui la figura<br />

solenne del magistrato.<br />

«Leggiamo la sentenza!» annunciò il giudice presidente.<br />

Era un uomo di grande scienza, ma vanitoso;<br />

guardava in giro per vedere l'impressione che facevano<br />

le sue parole.<br />

«lo non voglio sapere la sentenza!» disse l'imputato,<br />

un giovane biondo e triste, ma i carabinieri gli serrarono<br />

le manette per zittirlo. Ed il giudice presidente<br />

cominciò a leggere lentamente:<br />

«Siete condannato all'ergastolo per avere ucciso un<br />

vecchietto allo scopo di rubargli mille lire». Fece una<br />

pausa sapiente e chiese: «Avete niente da<br />

aggiungere?».<br />

Il giovane ebbe un sorriso amaro: «Per avere quelle<br />

mille lire avrei ucciso anche due vecchi se fosse stato<br />

necessario».<br />

«Giustizia è fatta!» concluse il giudice. E veramente<br />

quelle parole, pronunciate da un uomo con la cappa<br />

nera ed i capelli canuti, ebbero un suono profondo<br />

e solenne nell'aula. Il giudice si volse allora gravemente<br />

per andare via, ma lo richiamò la voce dell'imputato:<br />

«Non esiste giustizia! - disse l'imputato - Signor<br />

giudice, un giorno di luglio del 1954, voi avete ucciso<br />

due formiche che passeggiavano sul vostro tavolo, e<br />

sette anni orsono, in campagna, avete infilzato con<br />

uno spillo una farfalla, bruciandola poi con un fiammifero!».<br />

.<br />

«Non è vero!» eclamò il giudice presidente, ma già<br />

le palpebre cominciavano a battergli rapidamente.<br />

«Invece è vero - continuò implacabile l'imputato -<br />

Avete bruciato quella farfalla per rallegare un vostro<br />

nipotino. E vi siete messo anche a ridere! Lo so!».<br />

«Ragioniamo - disse il giudice, improvvisamente<br />

pallido e conciliante - Quelle erano bestioline! Che<br />

c'entra?»<br />

«Non è che fossero bestioline - incalzò il condannato.<br />

- Erano creature deboli, ecco, e non avevano un<br />

tribunale per condannarvi. Per questo le avete uccise .<br />

Ma anche il vecchio che ho assassinato per mille lire<br />

era debole come una farfalla ... »<br />

«Non è vero che io abbia ucciso quelle formiche -<br />

gridò di colpo il giudice presidente - Sono innocente.<br />

Portate via quell'uomo. Via all'ergastolo ... !».<br />

Si abbatté ansimante sul seggio, circondato da tutti<br />

i magistrati. I carabinieri trascinarono via l'imputato,<br />

fecero sfollare l'aula a colpi di bandoliera ...

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