gliabile capacità teatrale. Fatto è che fra tutte le popolazioni italiane e probabilmente europee, catanesi e napoletani, per vocazione, per divertimento, per capacità psicofisica sono anche i più portati alla recitazione, cioè alla interpretazione di personaggi diversi da quelli che sono, e non a caso sono dunque le due popolazioni più teatrali. Gli piace, si divertono, ci riescono; pensate che formidabile teatro, ineguagliabile, sarebbe stato quello che avesse posto accanto Angelo Musco e Raffaele Vivi ani o sarebbe quello che riuscisse a porre, l'uno con l'altro, l'uno contro l'altro, sullo stesso palcoscenico Turi Ferro e Eduardo De Filippo. . C'è sempre una differenza sostanziale. Il napoletano fa teatro (e quindi nella vita imbroglia, finge, recita, ricamuffa) con sentimento, il catanse con ironia, il napoletano in fondo crede al personaggio che interpreta sulla scena o rappresenta nella vita, sia esso camorrista o mendicante, comandante di flotta come Lauro e malvivente Come Michele o' pazzo, collera, pietà, dolore, invocazione, devozione sono sentite e autentiche. Il catanese invece sta dentro il personaggio con distacco, beninteso tecnicamente in modo perfetto, in modo che nessuno mai capisca come egli sia in realtà un altro, ma in verità se ne fotte, la sua volontà, anzi il suo più intimo piacere non è quello di commuovere gli altri, ma come volgarmente si suoi dire, prenderli per il culo e quanto più tutto questo è perfetto, tanto più il catanese si diverte, e si ritiene effettivamente migliore. Lui individuo naturalmente. Poiché c'è anche questo. Che il napoletano, uomo solo, si sente partecipe di quella cosa segreta, fantastica che è l'essere napoletano, la napoletanità, il mondo straordinario di musiche, dolori, invenzioni, miseria, poesia, speranze, bellezza che è Napoli nel suo insieme, case, gente, mare, colori, violenza, mentre il catanese, pur essendo catanese perfettamente anche nello scheletro, ritiene di essere esclusivo cioè unico esemplare vivente con idee, pensieri, sogni, violenze, desideri, capacità evocatrici, potenza sessuale, fantasia erotica, istrioneria, genio di recitazione sono impareggiabilmente suoi e di nessun altro. Tutti così, da Giovanni Verga allo spazzino, il genio e l'analfabeta. Sicché Nella foto a sinistra un villaggio residenziale nella zona nord di Catania. Costruzioni essenziali, eleganti. Probabilmente Catania ha i quartieri residenziali più confortevoli d'Italia. L'acqua non manca Quasi mai. Nella pagina a destra: la popolana non ha potuto più sopportare la mancanza di acqua: ha divelto le basole, messo a nudo la conduttura, e pompa acqua direttamente con un tubo. Anche questa è una maniera di risolvere i problemi: l'individuo contro tutti. AI diavolo la Società, visto peraltro che la società, per conto suo, se ne frega. Catania è fatta da un milione di catanesi, tutti con la stessa anima ed ognuno convinto di avere un'anima propria, singola e ineguagliabile. C'è qualcosa di filosofico in tutto questo. Di positivo e negativo. Di attivo e passivo. La sindrome. Emanuele Kant ci si sarebbe rotto la testa. Catania dunque integralmente siciliana tuttavia profondamente diversa da qualsiasi altra cosa o luogo, o popolazione, o difetto, o virtù dei siciliani. Il <strong>siciliano</strong> silenzioso, triste, duro, antico, maestoso come i palermitani, amaro come i nisseni, mite come i ragusani, sognante come i siracusani, e invece il catanese che parla sempre, ride, grida, sfotte, il catanese allegro, senza amore che non sia anzitutto per se stesso, senza sogni che non siano i suoi personaggi e inconfessabili, il catanese che nel profondo ritiene probabilmente perfezione erotica nutrire desiderio solo per se stesso. Questo catanese che per essere tale, certamente ha in dispregio la violenza e l'assassinio: essendo già il migliore, l'unico, che bisogno ha della violenza per dimostrarlo, basta l'ironia, ecco l'ironia dà veramente un senso compiuto e definitivo di perfezione all'individuo, homo katanensis, ironia per tutto, anche per la morte che è una cosa dovuta, trappola, scherzo, infamia, beffa organizzata da qualcuno che non si sa chi e non si sa perché, astuto e sfottente che si sente ancora più fantasioso, briccone, astuto e sfottente di un catanese e al quale va apposta altrettanta ironia, e se possibile anche uno sberleffo. Il mese scorso è morto un amico mio, il medico diceva: ma no, stia sereno, roba da niente, una piccola nevralgia, ma lui aveva capito perfettamente che aveva solo due settimane, convocò gli amici, comunicò loro l'imminenza della morte, gli amici sapevano che era vero, ma finsero che fosse uno scherzo; ma smettila, ma vaffanculo! recitarono tutta la sera, si abbuffarono, andarono insieme a puttane. La sindrome. Una città che ritiene di non aver bisogno della violenza, poiché gli basta l'ironia, che si inventa, e realmente diventa la prima città mafiosa. Giuseppe Fava
Sindrome Catania I Siciliani 59