DIPINTI ANTICHI - wannenes
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GIUSEPPE NUVOLONE<br />
(Milano 1619-1703)<br />
Figura femminile (Sofonisba ?)<br />
Olio su tela, cm 77 x 61,3<br />
Stima € 10.000 - 15.000<br />
Provenienza:<br />
Finarte Milano, 16 marzo 1994,<br />
lotto 66<br />
Bibliografia:<br />
F.M. Ferro, Nuvolone. Una famiglia<br />
di pittori nella Milano del<br />
‘600, Soncino 2003, p. 239 e tavola<br />
LVII<br />
Il dipinto è stato reso noto da Filippo Maria Ferro in occasione del suo recente volume monografico dedicato ai due fratelli<br />
Nuvolone: Carlo Francesco (1609-1662) e Giuseppe (1619-1703) ed è poi stato pubblicato da F. Frangi e A. Morandotti<br />
(2004, n. 68, p. 207).<br />
A fronte di una indubbia affinità stilistica tra le opere dei due fratelli sono oggi più agevolmente distinguibili grazie all’attento<br />
lavoro critico di Ferro, che ha raccolto un vasto repertorio di immagini e ha circostanziato l’attività dei due pittori, così da poterne<br />
rilevare le differenza, pur nella contiguità culturale e di stile.<br />
Sofonisba, figura “romantica”, molto amata dalla pittura barocca, è forse da riconoscersi in questa figura di giovane, come<br />
ha suggerito Ferro. Ella è colta in tutta la sua sensualità femminile, in una tela da stanza che la veda unica e isolata protagonista.<br />
La stessa fanciulla riappare nelle vesti di Rebecca in un dipinto di collezione milanese che Ferro mette a confronto con<br />
il nostro (Ferro 2003, cit. ) e che si avvicina alla nostra tela anche per qual modo di trattare le superifici e gli incarnati tipici<br />
di Giuseppe. Nella ricerca di uno sfumato e della morbidezza di incarnati e panni, riesce a rendere una delicatezza acerba e<br />
una dolce naturalezza che quanto più gli riesce in soggetti meno affollati, se non addirittura a figure singole. E’ qui che si manifesta<br />
al meglio il suo barocco intimo e non trionfale.<br />
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GIOVANNI BATTISTA MERANO<br />
(Genova, 1632 - Piacenza, 1698)<br />
San Pietro<br />
Olio su tela, cm 88,5X73<br />
Stima € 10.000 - 12.000<br />
La prossimità di quest’opera coi modi pittorici di Valerio Castello - nella leggerezza del tocco, nel vibrare dei contorni, nella<br />
lievità dei panni - si spiega una sua collocazione tra le primizie artistiche del suo allievo Giovanni Battista Merano. Assai diverso,<br />
questi, nella sua fare matura, una volta morto il maestro e spostatosi egli a nutrirsi di cultura emiliana direttamente in<br />
quelle terre, ma qui ancora fortemente suggestionato dalla lezione dei suoi maestri genovesi: non solo Valerio, ma anche Giovanni<br />
Andrea de Ferrari.<br />
Scorgiamo bene in questo San Pietro, da una lato, il naturalismo di Giovanni Andrea - evidente nel viso di vecchio, per esempio<br />
- dall’altro, la concezione dinamica della figura nello spazio e la libertà di segno insegnata da Valerio.<br />
Sebbene si tratti di una composizione serrata e non certo di ampio respiro, il pittore riesce a infondere movimento e pathos<br />
alla figura, che si volge su se stessa, occupa trasversalmente lo spazio e si dispone su un incrocio di diagonali, movimentando<br />
non poco l’immagine.<br />
Il confronto con il Mosé che fa scaturire l’acqua dalla roccia, datato 1675 (A. Orlando, Stefano Magnasco e la cerchia di Valerio<br />
Castello, fig. 22 p. 27) fornisce una duplice indicazione: la figura di Mosé è molto simile al san Pietro, e ne conforta quindi<br />
l’attribuzione; ma la trattazione là più disegnativa e più compatta delle figure aiuta a comprendere il progressivo allontanarsi<br />
del Merano dalla maniera di Valerio. Si può dunque datare il San Pietro ben prima di quella tela del 1675, e probabilmente<br />
anche prima del viaggio a Parma, ossia intorno al 1648-50 circa (Orlando 2006).<br />
Anna Orlando<br />
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