Capitolo 4 - Dipartimento di Filosofia
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il fatto che i fisici non furono in grado <strong>di</strong> osservare le tracce lasciate dai positroni in una camera a<br />
bolle fino quando la loro esistenza non fu postulata (nel 1928) da Paul Dirac (1902-1984). Quando<br />
i fisici delle particelle ripensano agli esperimenti condotti negli anni che precedettero la comparsa<br />
del lavoro <strong>di</strong> Dirac, trovano chiari segni del fatto che i positroni erano stati completamente ignorati<br />
dai loro predecessori.<br />
Anche in altri casi ciò che viene osservato, o che viene ritenuto osservabile, è contaminato dalla<br />
teoria. Secondo la teoria del moto <strong>di</strong> Galileo solo i moti relativi possono essere osservati, e <strong>di</strong><br />
conseguenza, siccome la terra non si muove relativamente a noi, noi non avvertiamo il suo moto<br />
intorno al sole. Secondo i suoi oppositori, invece, ogni tipo <strong>di</strong> moto è osservabile, e <strong>di</strong> conseguenza<br />
l’esperienza quoti<strong>di</strong>ana <strong>di</strong>mostra che la terra non si muove. Galileo e gli aristotelici non<br />
concordavano neanche su cosa fosse possibile osservare con il telescopio. Secondo Galileo il<br />
telescopio, una volta tarato su Giove, mostrava chiaramente che il pianeta aveva delle lune, mentre i<br />
suoi critici dubitavano dell’affidabilità del nuovo strumento. Gli astronomi contemporanei sono<br />
d’accordo con Galilei circa le lune <strong>di</strong> Giove. Tuttavia sembra anche che Galilei abbia scambiato per<br />
lune gli anelli <strong>di</strong> Saturno, e che in certi casi abbia scambiato delle illusioni ottiche per crateri sulla<br />
nostra luna.<br />
Un altro argomento a sostegno della tesi secondo la quale l’osservazione è carica <strong>di</strong> teoria fa<br />
riferimento al fatto che non sembra esserci soluzioni <strong>di</strong> continuità tra i casi in cui qualcuno osserva<br />
qualcosa e i casi in cui qualcuno inferisce qualcosa. Supponiamo ad esempio che qualcuno <strong>di</strong>ca <strong>di</strong><br />
stare vedendo un aereo a reazione in cielo; non sta in realtà vedendo solo un punto e una scia <strong>di</strong><br />
vapore, e quin<strong>di</strong> solo inferendo che si tratta <strong>di</strong> un aereo? Analogamente, si <strong>di</strong>ce che gli scienziati<br />
osservino il passaggio della corrente elettrica in un filo attraverso il movimento dell’ago <strong>di</strong> un<br />
amperometro, o l’illuminazione <strong>di</strong> una lampa<strong>di</strong>na; ma non sarebbe più corretto <strong>di</strong>re che in entrambi<br />
i casi la presenza della corrente è inferita piuttosto che osservata <strong>di</strong>rettamente? Certe entità, come<br />
alberi o uccelli, sono chiaramente percepibili, ma che <strong>di</strong>re <strong>di</strong> batteri, molecole e campi<br />
elettromagnetici? Va anche detto che per descrivere oggetti osservabili talvolta utilizziamo il<br />
linguaggio teorico, come quando parliamo <strong>di</strong> “accendere il gas”, “forno a microonde” e “processore<br />
<strong>di</strong> silicio”, etc. Sembra cioè che una larga parte del nostro linguaggio sia carica <strong>di</strong> teoria, e che<br />
pertanto spesso descriviamo come esempi <strong>di</strong> osservazione <strong>di</strong>retta casi nei quali, in senso stretto,<br />
abbiamo semplicemente inferito la presenza <strong>di</strong> qualcosa.<br />
L’idea secondo la quale il linguaggio che utilizziamo per descrivere l’osservazione è carico <strong>di</strong> teoria<br />
non va comunque confusa con quella secondo la quale l’osservazione stessa è carica <strong>di</strong> teoria. È<br />
plausibile sostenere che la linea <strong>di</strong> <strong>di</strong>visione tra termini osservativi e termini teorici, nel linguaggio,<br />
sia in<strong>di</strong>stinta, ma la tesi secondo la quale l’osservazione stessa, piuttosto che il tipo <strong>di</strong> cose che<br />
osserviamo e il modo in cui le descriviamo, sia <strong>di</strong> fatto con<strong>di</strong>zionata dalle teorie che accettiamo è<br />
molto più controversa. Il filosofo Paul Churchland sostiene che la percezione è “plastica”, nel<br />
senso che la natura e il contenuto della percezione sensoriale sono determinati dalle teorie alle quali<br />
siamo abituati a pensare e tramite le quali descriviamo il mondo: “we learn, from others, to<br />
perceive the world as everyone else perceives it” (Churchland 1979: 7).Secondo lui il modo in<br />
cui percepiamo il mondo può subire drastici cambiamenti col tempo, se solo accettiamo nuove<br />
teorie.<br />
Jerry Fodor propone invece una concezione opposta: “given the same stimulations, two<br />
organisms with the same sensory/perceptual psychology will quite generally observe the same<br />
things” (Fodor 1984: 24). Fodor sostiene che parte delle nostre credenze sia <strong>di</strong>rettamente fissata<br />
dall’osservazione, cioè tramite l’attivazione dei sensi, e che sia <strong>di</strong>stinta dalle credenze ottenute per<br />
inferenza. Chi, come lui, si oppone alle conclusioni ra<strong>di</strong>cali <strong>di</strong> Churchland e Kuhn invoca la<br />
<strong>di</strong>stinzione tra “vedere che …” e semplicemente “vedere”. Chi manca dei concetti rilevanti<br />
chiaramente non può vedere che c’è un bicchiere d’acqua, ma può vedere il bicchiere d’acqua,<br />
come risulta evidente quando, incuriosito, lo prende in mano. Si può quin<strong>di</strong> sostenere che, nella<br />
scienza, per vedere che un pianeta occupa una certa porzione <strong>di</strong> cielo è necessario teorizzarlo come