Pier Augusto Breccia, Exodus, 1987, da «Il senso e l’idea», mostra a Palermo, Palazzo Ziino, 22 febbraio-27 aprile 2003
Seduto su un luccicante velivolo della Malesian Airlines, comincio il “toto” posto: chi siederà accanto a me? Magari una bellissima ragazza malese, pelle scura e liscia, vestita in stile orientale, occhi scuri, tratti occidentalizzanti. Seduta accanto a me, alla fine del viaggio innamorata pazza di me e… vissero felici e contenti. “È libero il posto? Sembra sia il mio!”. Il mio assenso rimase quasi soffocato dalla delusione. In quel momento vidi solo un signore distinto, sui settanta, capelli “cromati”, lineamenti italiani meridionali, forse siciliano, elegante, con portamento signorile, ma… non precisamente una fortuna per me. Aveva sicuramente viaggiato molto, e sapeva pure lui quanto fosse importante il rapporto col vicino di posto. L’aereo, ottimamente decollato (sfida che ritengo sempre ardimentosa per l’uomo) si assestò, pigramente, sulla invisibile traiettoria “stradale” dell’etere che porta a Roma. “Quale spirito buono l’ha condotta per questi paesi dell’Asia orientale?”. La dolcezza con cui pose la domanda mi invitò ad aprire la storia della mia vita a pagina uno; ma non potevo certo stressarlo con tutte le mie analisi e le mie vicende. “Sono stato in due missioni di salesiani, per dare un mio contributo a chi soffre”. Lui intuì che all’interno del “chi soffre” non c’erano solo persone malate e denutrite, che colonizzano villaggi di cartone, paglia e lamiera, nel cuore della Malesia; c’ero anche io. La mia vita era andata in pezzi. Almeno parlo della vita che avevo disegnato nel mondo dell’Ordine. Ero un uomo preciso nei suoi ritmi, regolare, studiavo e lavoravo, viaggiavo per piacere e respiravo, quotidianamente, con una compagna di vita che avevo sposato dopo dodici anni di fidanzamento. Ma lo zingaro che si nascondeva in me e che avevo perfettamente imbrigliato per anni, era sopravvissuto all’incantesimo e si rivelava al naturale dopo pochi mesi di matrimonio. Ora mi sentivo un nomade, vivevo senza appartenere ad una terra, ad un luogo, ad altre persone. Ero pericolosamente sganciato, galleggiante su onde d’inquietudine alte e costanti. Una mattina realizzo che sono stato sbattuto fuori dal mondo dell’Ordine. Decido di partire per stare lontano dalla disgrazia, per strapparle l’anima mia, sempre più nera, alcolica, esorbitata. “Che ti aspetti di trovare laggiù? I tuoi problemi si imbarcheranno con te, ti seguiranno. È inutile mettere un oceano in mezzo” disse un mio caro amico, forse l’unico in quel momento di vento forte, così violento da disperdere le parole di chi ci vuole bene. f u o r i s a c c o La pozzanghera sotto il ciglio Raffaele PACIOCCA 32 La conversazione scorre tra uno sguardo e l’altro ai giornali. Dopo due ore si tace. Sono stato ascoltato, con qualche interruzione, da un uomo saggio, per nulla turbato dalle mie difficoltà. Nulla di speciale – osserva – è la cosa più semplice del mondo innamorarsi di un’altra. Abbandonarsi al fascino della trasgressione, del bacio di un’altra bocca, del sospiro di un altro corpo, delle carezze di un altro calore, delle parole di una diversa armonia vitale. Il profilo inusuale di una donna sconosciuta. La curiosità per il nuovo non ha alcun limite. Ma le conseguenze sono notevoli. Quelle immediate sono quasi un lutto; il rapporto famigliare alterato, gli equilibri violati; il perdono umano oscillante; l’orgoglio una bestia difficile da domare. Meno vistose ma più sovversive sono le implicazioni filosofiche. Quando si lascia una famiglia, oppure si perde una famiglia, perché la situazione è equivalente, si abbandona il mondo dell’Ordine. Non tutti gli uomini hanno bisogno dell’ordine per vivere ma di sicuro il mondo dell’ordine è primigenio e originario, mentre quello del disordine è derivato. Molti hanno bisogno di sapere che rientrando a casa dall’onesto lavoro, troveranno una famiglia affettuosa, un pasto caldo, una buona lettura, un bel film in televisione, la partita da vedere con gli amici. La famiglia, il lavoro, gli amici, i veri e semplici valori morali. Ma che succede in quell’altro mondo? Chi ci abita, chi lo popola? Succede che la cena forse non c’è, forse ci sono solo scatolette in frigo, da vuotare ed ingurgitare, c’è solitudine, c’è una televisione che serve per addormentarsi sulla poltrona, per stordirsi un po’. Ma questo mondo è popolato da esseri umani che provengono dall’altra frangia. Ecco allora perché il racconto, asciutto e ricco di suspense per gli esiti di un intrigo internazionale degno di una interpretazione di Paul Newman, diventa splendida vicenda di filosofia. Vede, io la conosco poco, ma ho figli della sua età, leggo in lei come in un libro aperto, tranne le vere cifre. Quelle le sa lei. – Le so e non le so. Mi aiuto anche con l’esperienza. Così un giorno un tale che fa il vigile urbano, come me e, come secondo lavoro, il carrozziere, venne a raccontarmi la sua conversione. Aveva le mani grosse e tagliuzzate, sporche di anni di grasso e cere d’auto. Ero abituato a vederlo nel nostro parco auto mentre scrostava telai di vecchie vetture solide e famose. Erano così vecchie che io, da piccolo, avevo giocato con i modellini. Stava davanti alla mia scriva