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Bilancio sociale integrale - Fondazione PRO.SA

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2009 2010 2009 2010 2009 2010<br />

I Beneficiari dei Progetti<br />

Il rapporto con i beneficiari degli interventi è mediato dalla figura del responsabile del progetto, che vive a<br />

diretto contatto con loro e dedica la massima attenzione all'impatto,e alla valutazione successiva di tale<br />

impatto che i progetti hanno nel miglioramento delle condizioni di vita dei destinatari. I beneficiari sono al<br />

centro del sistema degli stakeholders. Una centralità che pone gli interessi ei beneficiari al di sopra degli<br />

interessi di ogni altro stakeholder .<br />

Mi chiamo Sao e sono sieropositiva, come Chudsad, mio marito.<br />

Ci siamo conosciuti al Garden of Eden, il centro di accoglienza dei religiosi camilliani a<br />

Rayong. Per come la vedo io, non c'è nome più adatto. Qui ho trovato davvero quello<br />

che fa della mia vita un paradiso: ho accesso alle cure, una casa, una compagno che<br />

mi vede bella nonostante la malattia, un posto dove crescere mio figlio. Not è sano.<br />

Suo padre non c'è mai stato: ha abusato di me e poi mi ha lasciato. Ero povera, senza<br />

documenti, sola, e anche incinta. Ero disperata. La mia vita è cambiata quando ho<br />

incontrato padre Giovanni al centro di Rayong, dove ho partorito: lui ha accolto me e il<br />

mio bambino al Camillian Social Center, dove si sono occupati di noi per molti anni. Io<br />

avevo bisogno degli antiretrovirali e Not di assistenza, perché Not non è intelligente<br />

come gli altri bambini. Grazie alle cure ricevute, con il tempo sono diventata più forte,<br />

e sono stata trasferita al Garden of Eden. Qui ho incontrato Chudsad e ora siamo una<br />

famiglia. Sentirlo dire: “tuo figlio è anche il mio” mi riempie il cuore. Not frequenta la<br />

scuola dell'obbligo, mentre io e mio marito lavoriamo qui al centro, nella fabbrica dove<br />

si produce il fertilizzante organico destinato alla concimazione dei nostri orti e alla<br />

vendita. Io sono molto contenta di avere un lavoro, mi ha aiutato a riacquistare dignità<br />

e fiducia in me stessa. Chudsad, che sa leggere e scrivere, a differenza di me, è stato<br />

da poco promosso capo reparto. Sono così orgogliosa di lui! Il Garden of Eden, inoltre,<br />

ci offre la possibilità di assentarsi dal lavoro quando abbiamo bisogno di cure, senza<br />

l'incubo di rimanere disoccupati, come succede nelle altre ditte in Thailandia. Qui<br />

posso lavorare, guadagnarmi uno stipendio, occuparmi della mia casa e della mia<br />

famiglia, e anche di me stessa. Insieme a noi ci sono una quarantina di persone al<br />

centro, siamo molto uniti e si vive in un bel clima di amicizia e solidarietà. I nostri vicini sono Khao e sua moglie, la<br />

dolce Wandee. Anche loro si sono conosciuti al Garden of Eden. Khao era stato dato per spacciato due anni fa,<br />

mentre oggi è un gran lavoratore e un buon marito. “Adesso sono felice”, mi ha raccontato. “Ho un lavoro vero e<br />

posso aiutare Wandee, che è cieca. Non devo più chiedere niente a nessuno. A volte mi fa un po' male la schiena, ma<br />

è niente rispetto a come stavo prima. Mi sembra di essere tornato a vivere!” Sono pienamente d'accordo con Khao.<br />

Lavorare qui è la cosa più bella che mi sia capitata… a parte aver conosciuto Chudsad.<br />

Sao<br />

Amici per la pelle<br />

Non ricordo come siamo arrivati in ospedale. So che avevo tanto male alla faccia e ad un braccio e che quando<br />

aprivo gli occhi vedevo che la mamma era molto agitata. Sentivo la sua voce e quella del papà dire che stavamo<br />

andando al St. Camillus M. Hospital. Io non c'ero mai stato, ma poi ho imparato a conoscerlo bene, perché per molti<br />

mesi è diventata la nostra casa. Che sbadato, non vi ho ancora detto il mio nome. Mi chiamo Boaz. E mi sono<br />

ustionato. Un po' sul viso, il collo, il braccio destro. Com'è successo? A Karungu accade abbastanza spesso. Noi<br />

viviamo in una capanna di fango, legno e paglia, come la maggior pare delle famiglie di questa zona. Il motivo più<br />

comune per cui ci si scotta sono le pentole, che di solito stanno in equilibrio su tre pietre. A noi bambini piace<br />

guardare il fuoco sotto la pentola o sbirciare dentro per vedere cosa ci sarà per cena. Non abbiamo la televisione,<br />

non abbiamo libri o matite per colorare. Ci divertiamo a guardare il fuoco. La mamma di solito ha tante cose da fare<br />

prima che torni papà, perciò mentre cucina fa anche dell'altro e capita che restiamo da soli davanti alla pentola. E<br />

allora è un attimo. Un movimento veloce, un pizzico di curiosità in più… Ed è fatta. Altre volte i bambini si bruciano il<br />

sedere, perché si siedono sul jiko, il fornellino a carbone che le mamme usano per cucinare. Così basso e rotondo<br />

sembra proprio una sedia. Però scotta. E poi c'è il vento, che di notte soffia forte. Con la capanna di legno e paglia e<br />

un fuocherello non del tutto spento sull'uscio, la casa si incendia in un istante. Capita che la famiglia sia dentro,<br />

magari sta dormendo. Un incubo. Oppure c'è chi rovescia la pentola o una lampada per sbaglio. La mamma dice che<br />

succede quando un bambino o un adulto ha un attacco di una malattia che si chiama epilessia, che da queste parti è<br />

abbastanza comune. Al St. Camillus i medici e gli infermieri mi hanno curato e ora la mia pelle sta molto meglio e non<br />

porto più le bende. Quando mi hanno lasciato alzarmi dal letto, non volevo più tornare in reparto: era così bello poter<br />

correre e giocare in giardino. Anche la mia mamma finalmente sorrideva. Durante uno dei miei giri da esploratore, ho<br />

conosciuto Dedrick e la sua mamma. Mi piace Dedrick. Deve avere un anno o poco più e ancora non parla, e anche<br />

lui è ustionato, più di me. Ha perso un orecchio. Deve essersi spaventato tantissimo. Vado spesso a trovarlo, faccio<br />

dei giochi con lui o vicino a lui, per fargli vedere che anch'io mi sono bruciato ma ora sto bene! Si può essere amici<br />

anche così. Tra poco mi dimettono, finalmente torno a casa. Se posso riabbracciare la mia famiglia è grazie<br />

all'ospedale. Per fortuna che c'è!<br />

Boaz<br />

(Testimonianza raccolta da Angela Zanella)

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