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Il 30 marzo 2004 la<br />
Camera e il Senato della<br />
Repubblica italiana hanno<br />
approvato la legge n. 92<br />
che istituisce il “10<br />
febbraio quale Giorno del<br />
ricordo al fine di<br />
conservare e rinnovare la<br />
memoria della tragedia<br />
degli italiani e di tutte le<br />
vittime delle foibe,<br />
dell’esodo dalle loro terre<br />
degli istriani, fiumani e<br />
dalmati nel secondo<br />
dopoguerra e della più<br />
complessa vicenda del<br />
confine orientale”.<br />
10 FEBBRAIO:<br />
Giorno del ricordo<br />
di Pierangela Bianco<br />
Così recita all’art. 1 una legge che<br />
arriva con quasi sessanta anni da<br />
quei tragici fatti durante i quali<br />
quelle povere vittime dell’odio, dell’intolleranza,<br />
della violenza totalitarista sono<br />
state oggetto di rimozione, di negazione,<br />
addirittura di falsificazione. Ma<br />
i fatti non cessano di esistere perché<br />
qualcuno vuole ignorarli e seppellire per<br />
sempre una memoria scomoda, una memoria<br />
con cui non si ha il coraggio o<br />
non si vuole fare i conti. Viene il momento<br />
in cui le vittime gridano più forte<br />
dei loro assassini, prevalgono<br />
sull’ignavia di alcuni e sul cinismo di<br />
altri. Su quelle tombe dimenticate, senza<br />
fiori, senza nomi, senza commemorazioni<br />
ufficiali, senza bandiere e autorità<br />
a ricordarli, per 50 anni è regnato<br />
il silenzio dei vivi, che ha offeso il silenzio<br />
dei morti e ucciso un’altra volta<br />
quegli uomini.<br />
Le foibe ricordano l’orrore assoluto di<br />
quelle stragi, reso ancora più dramma-<br />
tico perché quei posti sono sempre stati<br />
visti dalla popolazione locale come<br />
maledetti, sconsacrati, bocche infernali,<br />
immondezzaio aperto e profondo dove<br />
venivano gettati rifiuti di ogni genere<br />
e tutto ciò che si doveva o si voleva dismettere,<br />
occultare, dimenticare. Dopo<br />
tanti anni però è venuto il momento di<br />
aprire gli armadi, tirare fuori gli scheletri,<br />
superare ipocrisie e omissioni. E’<br />
venuto il momento di commemorare<br />
quelle migliaia di italiani trucidati dai<br />
titini: una parte furono infoibati, la maggior<br />
parte morirono per fame, malattia,<br />
violenze, maltrattamenti nei campi di<br />
concentramento o furono uccisi dai soldati<br />
durante le operazioni di raccolta e<br />
di trasferimento verso i campi di morte.<br />
Ancora oggi non siamo in grado di<br />
dire quanti siano stati gli infoibati,<br />
quanti i deportati, quanti gli uccisi in<br />
prigionia. Eppure per decenni il dibattito<br />
sui numeri ha suscitato più interesse<br />
di quello sulle cause, le responsabi-