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n.3 2005 n.3 2005 - Alpesagia

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14<br />

Il 30 marzo 2004 la<br />

Camera e il Senato della<br />

Repubblica italiana hanno<br />

approvato la legge n. 92<br />

che istituisce il “10<br />

febbraio quale Giorno del<br />

ricordo al fine di<br />

conservare e rinnovare la<br />

memoria della tragedia<br />

degli italiani e di tutte le<br />

vittime delle foibe,<br />

dell’esodo dalle loro terre<br />

degli istriani, fiumani e<br />

dalmati nel secondo<br />

dopoguerra e della più<br />

complessa vicenda del<br />

confine orientale”.<br />

10 FEBBRAIO:<br />

Giorno del ricordo<br />

di Pierangela Bianco<br />

Così recita all’art. 1 una legge che<br />

arriva con quasi sessanta anni da<br />

quei tragici fatti durante i quali<br />

quelle povere vittime dell’odio, dell’intolleranza,<br />

della violenza totalitarista sono<br />

state oggetto di rimozione, di negazione,<br />

addirittura di falsificazione. Ma<br />

i fatti non cessano di esistere perché<br />

qualcuno vuole ignorarli e seppellire per<br />

sempre una memoria scomoda, una memoria<br />

con cui non si ha il coraggio o<br />

non si vuole fare i conti. Viene il momento<br />

in cui le vittime gridano più forte<br />

dei loro assassini, prevalgono<br />

sull’ignavia di alcuni e sul cinismo di<br />

altri. Su quelle tombe dimenticate, senza<br />

fiori, senza nomi, senza commemorazioni<br />

ufficiali, senza bandiere e autorità<br />

a ricordarli, per 50 anni è regnato<br />

il silenzio dei vivi, che ha offeso il silenzio<br />

dei morti e ucciso un’altra volta<br />

quegli uomini.<br />

Le foibe ricordano l’orrore assoluto di<br />

quelle stragi, reso ancora più dramma-<br />

tico perché quei posti sono sempre stati<br />

visti dalla popolazione locale come<br />

maledetti, sconsacrati, bocche infernali,<br />

immondezzaio aperto e profondo dove<br />

venivano gettati rifiuti di ogni genere<br />

e tutto ciò che si doveva o si voleva dismettere,<br />

occultare, dimenticare. Dopo<br />

tanti anni però è venuto il momento di<br />

aprire gli armadi, tirare fuori gli scheletri,<br />

superare ipocrisie e omissioni. E’<br />

venuto il momento di commemorare<br />

quelle migliaia di italiani trucidati dai<br />

titini: una parte furono infoibati, la maggior<br />

parte morirono per fame, malattia,<br />

violenze, maltrattamenti nei campi di<br />

concentramento o furono uccisi dai soldati<br />

durante le operazioni di raccolta e<br />

di trasferimento verso i campi di morte.<br />

Ancora oggi non siamo in grado di<br />

dire quanti siano stati gli infoibati,<br />

quanti i deportati, quanti gli uccisi in<br />

prigionia. Eppure per decenni il dibattito<br />

sui numeri ha suscitato più interesse<br />

di quello sulle cause, le responsabi-

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