COPERTINA:Layout 1 - Homolaicus
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NONCREDO<br />
che versa il suo sangue per rivelare l’arbitrarietà<br />
e insieme la forza rigeneratrice della Legge.<br />
Così, nella finzione del dramma, la violenza si è<br />
trasfigurata in un racconto di morte e di rinascita<br />
che, pur consumato dal tempo, è diventato il<br />
simbolo degli insuccessi spesso immeritati e del<br />
coraggio spesso ignorato che mettiamo quotidianamente<br />
in campo nella nostra esistenza di<br />
ogni giorno.<br />
In tempi ormai remotissimi, la vittima sacrificale<br />
era un essere umano – scelto nel proprio<br />
gruppo per qualche dote o merito eccezionale,<br />
oppure scelto tra i migliori dei nemici vinti;<br />
poi fu sostituito da un animale pregiato dal<br />
gruppo e infine da oggetti simbolici prodotti<br />
dalla creatività artistica umana. Così si rafforzò<br />
l’illusione che le culture umane progredissero<br />
in un processo di incivilimento. Ma la violenza<br />
arbitraria del gruppo dominante, proprio in<br />
quanto sacralizzata, perfezionò le proprie tecniche<br />
di sopraffazione godendo il privilegio<br />
della piena legittimità ed ebbe modo di perseverare<br />
nell’iniquità delle leggi fino ai nostri<br />
giorni. Come dimostrano le efferatezze, i genocidi<br />
e gli stermini che le nostre culture continuano<br />
a produrre anche oggi, all’inizio del<br />
terzo millennio dell’era cristiana.<br />
» Il rito e il mito<br />
Anche presso molte specie animali i conflitti<br />
vengono depotenziati mediante ritualizzazioni<br />
che trasferiscono parte della loro forza in disponibilità<br />
alla cooperazione sociale. La difesa del<br />
territorio, l’accoppiamento, il controllo del<br />
branco sono tipici motivi di conflitto, ma solo la<br />
predazione inter-specifica termina inevitabilmente<br />
in modo cruento; la maggior parte dei<br />
conflitti interni alla specie terminano con comportamenti<br />
di sottomissione di uno dei due contendenti,<br />
a tutto vantaggio della cooperazione.<br />
Ma nella nostra specie lo smistamento della violenza<br />
non può realizzarsi solo attraverso la<br />
gestualità stereotipata dei comportamenti di<br />
resa e sottomissione, perché le attività profane<br />
Anno II - n.7 settembre / ottobre 2010<br />
legittimate dal sacro – la caccia, la pesca, la coltivazione<br />
dei vegetali, la domesticazione degli<br />
animali (estesa come schiavitù a quella dei propri<br />
simili), il commercio, le tecniche, le tecnologie<br />
industriali, il denaro e le metamorfosi della<br />
finanza – hanno coinvolto e catturato il potenziale<br />
comunicativo del linguaggio verbale, che<br />
insieme alla posizione eretta e alla dissociazione<br />
dell’erotismo dalla riproduzione, costituisce la<br />
differenza specifica della socialità umana.<br />
Di fatto, i rituali del sacro si sono trasformati in<br />
miti, cioè in racconti verbali, perché la trasfigurazione<br />
della violenza doveva interiorizzarsi<br />
nell’immaginario individuale prima ancora di<br />
manifestarsi in un comportamento collettivo.<br />
La specificità comunicativa del linguaggio verbale<br />
è infatti quella di usare segnali che non<br />
funzionano in presa diretta con la realtà, ma<br />
solo come combinazioni convenzionali di suoni<br />
modulati dalla voce individuale del parlante<br />
(consonanti e vocali) – in modi diversi secondo<br />
le diverse lingue che le culture umane hanno<br />
elaborato –, e le combinazioni di suoni si rapportano<br />
non solo alle percezioni visive e sonore<br />
presenti, ma anche allo sterminato repertorio<br />
di immagini, schemi e ricordi sonori, gesti e<br />
contatti accumulato nelle nostre reti neurali nel<br />
corso di migliaia di anni. Tra l’organo di emissione<br />
– la voce – e l’organo di ricezione – l’orecchio<br />
– i segnali verbali si associano a tutti i<br />
sistemi di segnalazioni più elementari utilizzati<br />
anche dagli altri animali: visivo, sonoro, mimico,<br />
gestuale, tattile e persino a quello chimicoolfattivo,<br />
meno sviluppato che nelle altre specie<br />
viventi, ma comunque utile per riconoscere la<br />
vicinanza di risorse alimentari, per evitare le<br />
sostanze pericolose e per avvicinare il partner<br />
sessuale.<br />
Passando attraverso il canale audio-vocale i<br />
nostri racconti e i nostri discorsi diventano<br />
auto-comunicativi, e grazie alla loro convenzionalità,<br />
diventano anche auto-riflessivi perché<br />
ci consentono di parlare indefinitamente<br />
dei discorsi che abbiamo appena formulato o<br />
formulato in passato. Se dunque l’apparato<br />
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