Scarica documento [Pdf - 667 KB] - Cesvot
Scarica documento [Pdf - 667 KB] - Cesvot
Scarica documento [Pdf - 667 KB] - Cesvot
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
mente. Ci si è accorti che i “beni culturali” possono essere fonte di investimenti, di reddito e di<br />
occupazione, nonché strumento di formazione collettiva.<br />
Mi esprimo sinteticamente in termini di “beni culturali”, ma in tale espressione sono<br />
compresi anche i beni ambientali, perché il patrimonio culturale nel suo insieme è costituito dal<br />
patrimonio storico artistico e da quello paesaggistico e il loro insieme costituisce l’ambiente<br />
culturale nel quale viviamo ed al quale ci riferiamo.<br />
Dall’organizzazione elitaria dell’inizio del secolo, estetica degli anni ’30 e degli anni<br />
’40, si è passati ad un concetto più vicino alla società nel suo complesso, si è giunti cioè al concetto<br />
di “fruizione”. Questo termine inizia ad essere usato intorno al 1975, nelle riforme avviate<br />
dalle leggi sui “beni culturali”. Si è sostenuto che fruizione non è sinonimo del corrispondente<br />
“godimento pubblico” previsto nelle leggi più vecchie, ma risponde bene al concetto di<br />
avvicinamento del beni culturali alla società.<br />
Questo cambiamento ha comportato, negli anni dal ’70 al ’75, sul piano organizzativo,<br />
l’incorporazione della direzione generale delle Antichità e Belle Arti del Ministero della<br />
Pubblica Istruzione, nel nuovo Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali. L’organizzazione<br />
e la nascita del pensare che il mondo dei beni culturali doveva essere anche un mondo di investimenti,<br />
un mondo che richiedeva maggiori risorse, sia pubbliche sia private, perché la conservazione<br />
e la valorizzazione non erano operazioni da risolvere con poco impegno. Ricordo che<br />
per anni lo sforzo principale di tutti i ministri dei beni culturali e ambientali è stato quello di<br />
sensibilizzare i colleghi del Ministero del Tesoro, sulla vastità del nostro patrimonio culturale e<br />
sulla difficoltà di valorizzarlo, amministrarlo, conservarlo e recuperarlo in assenza di adeguati<br />
finanziamenti. Alcuni sono riusciti a spuntare una maggiore attenzione dei ministri finanziari.<br />
Tuttavia devo ricordare che il trend di crescita c’è stato dal ‘74-’75 in poi.<br />
Ricordo ancora un po’ di apprensione – non so che cosa sia successo in concreto nell’ambito<br />
pisano – quanto accadde negli anni attorno al 1984 con la legge sui giacimenti culturali,<br />
che per prima destinò una grossa fetta di risorse ai beni culturali con uno stanziamento di<br />
oltre 600 miliardi di lire. Non tutte le esperienze organizzate con quei finanziamenti furono<br />
positive, però segnarono una svolta nel nostro settore.<br />
Per quanto riguarda la presenza dei beni culturali nella società civile il processo ha<br />
richiesto più tempo. Occorre attendere gli anni ’90. Ci si è resi conto che il solo sforzo pubblico<br />
non era sufficiente. Il patrimonio culturale è talmente grande e vasto che gli organismi pubblici<br />
da soli non possono sostenere il peso della sua conservazione, restauro e valorizzazione.<br />
In quegli anni sono state lanciate le prime forme di partecipazione privato-pubblico. In verità<br />
una prima significativa norma in questo settore è stata la legge Scotti-Formica, sul regime fiscale<br />
dei beni culturali. È stata una legge copiata dal sistema americano ed inglese: la defiscalizzazione<br />
degli oneri di conservazione. Questo è il suo filo conduttore.<br />
La sua applicazione è iniziata molto gradualmente, anche se ci furono grandi annunci<br />
al momento dell’approvazione.<br />
La legge offriva grandi opportunità, purtroppo tarpate da una mentalità del fisco un po’<br />
retrograda. Devo dirlo apertamente. In questo caso, il nemico dei beni culturali, è stato il fisco.<br />
“I gabellieri” sono abituati ad avere nelle mani il denaro contante e a loro non andava a genio<br />
che, anziché pagare denaro contante, i contribuenti finanziassero opere di manutenzione dei<br />
beni culturali, o cedessero addirittura allo Stato dei beni culturali. Questa mentalità vive ancora<br />
oggi, anche se attenuata e mitigata da altri avvenimenti, ma dal 1980 quella legge non ha<br />
ancora un regolamento di attuazione perché, pur avendone predisposti almeno quattro versioni,<br />
con sforzi di non poco conto, con un anno e più per ogni elaborazione, non si è mai arrivati<br />
all’approvazione a causa della resistenza da parte del Ministero delle Finanze a veder sostituita<br />
l’entrata monetaria con la prestazione di servizi o con la valorizzazione dei beni culturali.<br />
33