I GIORNALI DEL GIORNO DOPO Le Monde L’architecture dans tous ses éclats à Ve n i s e […] <strong>Il</strong> tema scelto da Sejima suggerisce un gran calderone benevolo che lascia immaginare il felice incontro tra umanità e contesto di vita. L’effetto è una miscela molto piacevole e curiosa. La maggior parte degli invitati sembra aver abbandonato l’architettura e l’urbanistica a favore di installazioni che ricordano quelle di una biennale di arti plastiche […]. Del resto, all’Arsenale, Kazuyo Sejima ha invitato un grande artista di ispirazione ecologista che di professione non fa l’architetto. Si tratta del danese Olafur Eliasson che mette in mostra inattese spirali d’acqua che si materializzano nell’oscurità illuminate da una luce stroboscopica. E degno di nota è anche l’architetto giapponese Junya Ishigami, la cui opera si compone di fili impercettibili così tesi che già dal primo giorno hanno ceduto al passaggio di un gatto, mentre lo Studio Mumbai (India) presenta una curiosa composizione di pezzi di impalcatura e strumenti di carpenteria, forma ultima della dispersione dell’architettura. Alcuni dei partecipanti rimangono più vicini alla realtà. Un esempio è il padiglione giapponese, graziosa riflessione sulla casa, lo spazio vitale e i legami di vicinato. Altri invece fanno della Biennale un campionato di narcisismo. È il caso del teorico Hans Ulrich O b r i s t, che si ritrae come un intervistatore di centinaia di personalità, offrendo un’interminabile perorazione che risulta in un muro di nomi celebri. Troviamo ancora difficile, infine, identificare il legame tra il tema e il lavoro dell’architetto cinese Wang Shu: una semplice cupola autoportante in legno, incontro tra le strutture asiatiche e una delle forme classiche dei monumenti occidentali. […] Sejima ama i progetti visionari. Ma quando si tratta di presentare il suo lavoro espone una serie di costruzioni realizzate in Giappone che appaiono leggere e fluttuanti come nuvole. È altrettanto concreta quando offre un’anticipazione del lavoro a Taïchung di To y o I t o, presso il cui studio ha lavorato. Come Sejima, Ito è campione di un’architettura che sfugge alle legge di gravità; tuttavia il suo progetto è massiccio, un formidabile intreccio di vuoti e pieni, tutto forza e struttura, la cui densità è tanto difficile da determinare quanto quella del g r u y è r e f r a n c e s e . Anche i padiglioni nazionali hanno la forte tendenza a far svanire la realtà costruita o a ritornare alle origini del rifugio abitativo, utilizzando soprattutto il legno. In questo gioco di costruzione, gli antichi paesi dell’est si rivelano dei veri campioni, come la Repubblica Ceca, che fa sorgere dal disordine degli alberi una struttura sorprendentemente ordinata: un messaggio senza dubbio poetico lanciato in risposta a un tempo di crisi che si annuncia duraturo. <strong>Il</strong> C i l e, invece, nella crisi s’immerge del tutto, presentando le strategie per far fronte ai terremoti. <strong>Il</strong> Regno del Bahrain, infine, racconta il lamento dei popoli esiliati dalla terra ferma e costretti a rifugiarsi sul mare o sulle spiagge a causa della speculazione edilizia. E la Francia? Dominique Perrault ha moltiplicato il disordine di cinque grandi agglomerati francesi, il cui disegno e destino rispondono all’ideale del ricongiungimento tra l’uomo e l’architettura. Infine, rimane l’archistar Rem Koolhaas […] che offre una riflessione radicale e significativa sulla nozione di patrimonio. Domande senza risposta, le sue, che ci lasciano non senza una certa angoscia nonostante l’ironia e la causticità che lo caratterizzano. Frédéric Edelmann, 30 agosto 2010 El País Se buscan arquitectos de urgencia Cosa determina la vita delle persone? Le decisioni piccole o quelle grandi? L’architetto Kazuyo Sejima pensa che siano quelle piccole a scatenare l’infelicità o rendere possibile una vita tranquilla. Spiega di averlo imparato dagli architetti che hanno studiato le persone e i loro comportamenti prima di dedicarsi all’analisi delle forme. La lista è lunga: da Cedric Price, Rem Koolhaas o Lina Bo Bardi a non architetti, come l’artista Olafur Eliasson o il regista Wim We n d e r s. Per questo l’architettura scelta da Sejima non vuole cambiare il mondo, ma la vita delle persone che lo popolano […]. Per studiare le relazioni tra l’architettura e le persone (e lo spazio come origine di queste relazioni) Sejima espone le fotografie di Walter Niedermayr, che illustrano lo spazio pubblico in Iran, il meraviglioso studio (ricostruito letteralmente) degli architetti indiani Studio Mumbai, gli schizzi che la scomparsa Lina Bo Bardi realizzava come lavoro preparatorio a qualunque edificio, le inquietanti fontane illuminate di Olafur Eliasson o la nube di Matthias Schuler (Transsolar) e Tetsuo Kondo [ … ] Sejima ha anche invitato a partecipare paesi mai presenti prima: Albania, Iran, Malesia o il Regno del Bahrain, nel cui padiglione - di nuovo letteralmente - ci si può accomodare per un momento in un’abitazione tipica. La presenza spagnola va al di là del padiglione nazionale, per il cui allestimento si è preferito, solo all’ultimo momento, spostare a Venezia la mostra Solar Decathlon, che indaga la realizzazione di abitazioni che funzionano a energia solare […] Fra i progetti spagnoli, quello di Selgas Cano […], il risultato di uno 8 | IL MAGAZINE DELL’<strong>ARC</strong><strong>HITET</strong><strong>TURA</strong> Lunga vita alla Biennale! È un «giocattolo» da 30 milioni di dollari, ma ne vale la pena La Biennale di architettura di Venezia è forse sopravvissuta alla sua utilità? In quasi tutte le Biennali, a partire dal 1980, i curatori hanno detto di voler creare una mostra non tanto per gli architetti, quanto per il pubblico. Per Vittorio Greg o t t i, ad esempio, se si trattava di presentare l’architettura «la comunicazione con il pubblico era praticamente impossibile», ma poi, quando è diventato curatore delle prime mostre di architettura della Biennale prima della 1. Mostra internazionale di Architettura, ha detto: «Ho voluto dichiarare in modo chiaro e inequivocabile che la Biennale è aperta al pubblico, alla città di Venezia e ai non addetti ai lavori». Persino P a olo Portoghesi, curatore della nota mostra del 1980 «Strada Novissima» che si tenne all’Arsenale, sosteneva che l’architettura aveva per- so la capacità di «parlare alla gente comune». Ma dietro la creazione delle sue facciate cinematografiche su entrambi i lati dell’Arsenale si trovava proprio questa mancanza di comunicatività. All’apertura della mostra, la stampa specializzata internazionale cala sulla Serenissima per due o tre giorni, c r i t i c a n d one l’elitarismo e l’assenza di legami con i reali problemi urbani del mondo. Se in parte questo riflette l’onnipresenza della comunicazione e delle immagini in rete, c’è anche la sensazione che sarebbe meglio spendere il denaro per risolvere questio- Per gli architetti e i media i n c o n t r a r e vecchi colleghi e voci importanti e conversare ad alto livello è una delle grandi doti della Biennale. È ciò che la salva dalla f r i v o l e z z a , r e n d e n d o l a degna di p r o s e g u i r e malgrado i costi “ ” ni più urgenti, come la povertà e l’esigenza di pensare alloggi sociali accessibili. So per esperienza che allestire un padiglione nazionale in Biennale costa più di 400.000 dollari: sembra che quest’anno quello austriaco superi gli 800.000 dollari mentre i tedeschi, pur esponendo solo disegni, ne hanno sborsati comunque 650.000. Sommando padiglioni, Arsenale e Giardini, per non parlare di feste e biglietti aerei, si tratta di un affare da 20-30 milioni di dollari, un festeggiamento di due mesi sempre più appariscente. Le critiche alla Biennale spesso ruotano attorno al fatto che Arsenale e padiglioni nazionali mostrano opere che si potrebbero definire «arte» piuttosto che architettura. Eppure il problema di ogni mostra di architettura, nei musei o nelle gallerie, è: come si può esibire il frutto del lavoro degli architetti - disegni, prospetti e sezioni, persino rendering - senza annoiare il pubblico? Ironicamente, un modo per comunicare le idee architettoniche è la realizzazione di esposizioni che si potrebbero definire «installazioni artistiche». La strategia di solito consiste nel prendere un concetto architettonico, come «spazio», «esperienza» o addirittura l’idea di «comunicazione» di Portoghesi, e cercare di riprodurlo in un audace gesto teatrale. E questo è proprio ciò che è accaduto quest’anno all ’A r s e n a l e. Entrando nel grande edificio delle C o r d e r i e ci si trova di fronte una serie di installazioni: la nuvola del giapponese Tetsuo Kondo con gli ingegneri ambientali Tr a ns s o l a r, le enormi travi in equilibrio dell’architetto spagnolo Antón García-Abril e persino l’installazione di O l afur Eliasson, con spruzzi d’acqua catturati da tremule luci stroboscopiche. Tutte impiegano strategie diverse ben note alla Biennale d’arte, come i cambiamenti di scala (le travi di García-Abril), i teatrali trompe l’oeil (Eliasson) e le installazioni artistiche (la nuvola di Kondo). Mettendo da parte la pretesa che l’architettura abbia una sua noiosa e ipocrita sicurezza delle proprie convinzioni solo quando affronta povertà e degrado ambientale, i progetti della Biennale di quest’anno hanno un forte impatto sugli spettatori. Quando l’architettura è esibita così, si perde però il legame con l’ambiente urbano che la contraddistingue. Troppo spesso ciò che resta non è architettura ma «design». L’aspetto importante della Biennale è che, a prescindere dalle singole opinioni su ruolo e significato dell’architettura nella società contemporanea, chiunque può trovare qualcosa da amare o da odiare, a ulteriore conferma del fatto che può esistere una mostra d’ar- chitettura incentrata su oggetti che parlano persino quando sono immersi nelle crude esigenze della vita e della protesta urbana. <strong>Il</strong> catalogo del padiglione del B ah r a i n spiega che il paese sta svendendo la sua costa al miglior offerente, ma che gli abitanti si oppongono a questa tragedia costruendo baracche abusive sul litorale. Anche il padiglione degli Stati Uniti, che lega l’architettura ai problemi quotidiani della pratica contemporanea, la storia del kibbutz di I s r a e l e, l’installazione della Gran Bretagna e la piccola riproduzione della laguna veneta valgono la fatica di andare fino a Venezia. Ho molto apprezzato anche la montagna di gabbie per uccelli della P o l o n i a, che permettono di arrampicarsi fino alla cima e saltare in un abisso nero di gommapiuma, aggiunte degne di nota all’esperienza, alle sfide e al discorso sull’architettura. E a proposito di discorso, è un tratto tipico della Biennale che sedi come la bolla gonfiabile di r a u m l a b o r, le conferenze organizzate dalla rivista «Volume» al p a d i g l i o n e o l a n d e s e e le soirée al Dark Side Club di Robert White diano ad architetti e me- dia l’opportunità di discutere, lamentarsi e parlare dello stato della professione. Per gli architetti e i media, questa è una delle grandi doti della Biennale: i n c o n t r a r e vecchi colleghi e voci importanti e conversare ad alto livello su ciò che hanno gradito o meno. Posso assicurarvi che il livello della discussione e del dialogo in Biennale supera di gran lunga quello di ogni altro convegno, fiera o esibizione del calendario internazionale di architettura e, tutto sommato, è ciò che la salva dalla frivolezza, rendendola degna di proseguire malgrado i costi. Infine, se ricordate il colorato padiglione nomade a tenda che ogni ora si spostava in un punto diverso dei Giardini o il tubo giallo dell’E s t o n i a che correva dal padiglione russo a quello tedesco (senza che loro lo sapessero) - scaltri progetti della Biennale del 2008 -, quest’anno dovete amare la partecipazione croata. Una mattina sono andato ad aspettare la chiatta-padiglione realizzata in Croazia per poter essere riutilizzata a ogni Biennale, ma non è mai arrivata perché non è riuscita ad attraccare vicino ai Giardini. È proprio per progetti come questo, concepiti da giovani architetti con budget limitati che per far parte del dibattito internazionale sull’architettura contano solo su creatività e passione, che si continua a tornare a Venezia ogni due anni. Lunga vita alla Biennale di architettura! William Menking
PEOPLE MEET IN <strong>ARC</strong>HITECTURE (Arsenale e Palazzo delle Esposizioni) Atelier Bow-Wow. House Behaviorology Modelli dell’accogliente abitare nipponico Selgas Cano. Vacuum Pack-ing (on Room 25) Merzbau architettonico sottovuoto Pezo von Ellrichshausen Architects. Detached Autocitazionismo compiaciuto Amid.cero9. Palacio del Cerezo en Flor, Valle del Jerte, Spagna Ma la valle stava bene anche senza il friendly-meteorite Cedric Price. Venic Venic Omaggio a un maestro degli spazi meeting Lina Bo Bardi. Sesc Fábrica da Pompéia Perché Hadid non è la prima modernista radicale Kazuyo Sejima & Associates + Office of Ryue Nishizawa. Inujima Art House e Teshima Art Museum Sejima autore f e renziale 1 Oma - Office for Metropolitan Architecture. Preservation Koolhaas da teorico del Junkspace a sacerdote della tutela OpenSimSim. Opensimsim.net Strumenti virtuali di partecipazione dePaor architects. 4am Teatrino concettuale (dell’assurdo) Aires Mateus. Voids Spazi per sottrazione (ma ci restano tot mc di plastico…) Oma Fiona Tan. Cloud Island Le voci degli abitanti di Inujima: Sejima autore f e renziale 2 Christian Kerez. Some Structural Models and Pictures Va bene il minimalismo, però… Noero Wolff Architects. Strangeness and familiarity Scuole in contesti socialmente difficili: finalmente, «People meet in Arc h i t e c t u re » !