Le orchidee spontanee del piacentino - Osservatorio Trebbia
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FLORA E VEGETAZIONE DEL PIACENTINO<br />
Il patrimonio floristico <strong>del</strong>la provincia<br />
di Piacenza conta circa 1600 specie<br />
censite, comprese felci ed equiseti, con<br />
una spiccata diversificazione nelle diverse<br />
fasce altitudinali, da ricondurre sia alle<br />
variazioni dei parametri climatici, sia alla<br />
diversa incidenza <strong>del</strong>l’azione <strong>del</strong>l’uomo sul<br />
paesaggio e sugli ecosistemi naturali.<br />
L’attuale assetto vegetazionale e floristico<br />
<strong>del</strong> nostro territorio va fatto risalire alla<br />
fine <strong>del</strong>l’ultimo periodo glaciale, circa<br />
10.000 anni fa. Gli sconvolgimenti<br />
climatici <strong>del</strong> Quaternario, noti come glaciazioni,<br />
hanno letteralmente spazzato<br />
via dal continente europeo la flora <strong>del</strong><br />
Terziario, lasciando solo poche ma significative<br />
testimonianze: fra queste specie<br />
relitte ricordiamo, per il nostro territorio,<br />
l’Agrifoglio (Ilex aquifolium), la Felcetta<br />
lanosa (Notholaena marantae), esclusiva<br />
<strong>del</strong>le ofioliti, e il raro Astragalus sirinicus,<br />
piccolo arbusto spinoso presente, con<br />
un piccolo popolamento, sulla cima di<br />
Monte <strong>Le</strong>sima.<br />
Con l’aumento <strong>del</strong>la temperatura ed il ritiro<br />
dei ghiacciai, presenti anche sul nostro<br />
Appennino, diverse piante dei climi freddi<br />
(alpine ed artico-alpine) hanno trovato<br />
degli ambienti rifugio in poche stazioni<br />
in prossimità dei crinali più alti: è il caso<br />
ad esempio <strong>del</strong> Pino uncinato di Monte<br />
Nero, stretto parente <strong>del</strong> Pino mugo <strong>del</strong>le<br />
Alpi, che è riuscito a sopravvivere sino ai<br />
nostri giorni colonizzando i ghiaioni più<br />
scoscesi ed esposti.<br />
Durante il postglaciale, l’alternarsi di<br />
periodi più freddi e più caldi ha portato<br />
alla graduale sostituzione <strong>del</strong>la vegetazione<br />
microterma con quella attuale; in<br />
particolare un numeroso contingente di<br />
specie mediterranee è penetrato in diverse<br />
ondate, corrispondenti alle fasi più calde,<br />
nel nostro territorio e ne caratterizza<br />
tuttora la flora (circa il 14% <strong>del</strong>le specie),<br />
soprattutto nella fascia collinare. Fra le<br />
più tipiche specie stenomediterranee<br />
ricordiamo il Timo (Thymus vulgaris) e la<br />
Valeriana rossa (Centranthus ruber), diffusi<br />
sui versanti rocciosi <strong>del</strong>la Val <strong>Trebbia</strong>.<br />
Sull’Appennino uno degli aspetti più significativi<br />
è dato dalla relativamente recente<br />
(circa 400 anni fa) espansione <strong>del</strong> Faggio,<br />
di Enrico Romani, Museo Civico di Storia Naturale di Piacenza<br />
che oggi domina il paesaggio forestale fra<br />
i 1000 ed i 1700 m.<br />
Ma è stata soprattutto l’azione <strong>del</strong>l’uomo<br />
a caratterizzare il nostro attuale paesaggio<br />
vegetale, sia direttamente, con la<br />
messa a coltura dei suoli e le bonifiche,<br />
sia indirettamente, con l’introduzione,<br />
spesso involontaria, di specie esotiche.<br />
L’impronta <strong>del</strong>l’attività umana è massima<br />
nella pianura: già a partire dalla<br />
colonizzazione romana ha preso avvio la<br />
lenta ma inesorabile opera di distruzione<br />
<strong>del</strong>la foresta primigenia, dominata dalla<br />
Farnia (Quercus robur), che ricopriva l’intera<br />
pianura dal Piemonte all’Adriatico. Ad<br />
epoche ancor più remote va fatta risalire<br />
l’introduzione, dalle steppe <strong>del</strong> vicino<br />
oriente, <strong>del</strong>le colture di cereali (grano,<br />
orzo, segale): ad esse si accompagnava<br />
una ricca flora commensale (archeofite),<br />
in cui spiccavano Papaveri e Fiordalisi,<br />
oggi in buona parte relegata alla fascia<br />
collinare e <strong>del</strong>la bassa montagna a causa<br />
<strong>del</strong> massiccio uso di diserbanti.<br />
Attualmente sono pochi gli ambienti di<br />
pianura caratterizzati da un buon grado<br />
di naturalità, per lo più circoscritti agli<br />
alvei dei torrenti e alle poche aree golenali<br />
<strong>del</strong> Po non ancora alterate da opere di<br />
bonifica e regimazione. Fra i più interessanti<br />
ricordiamo gli ambienti dei conoidi<br />
dei nostri corsi d’acqua appenninici, e<br />
in particolare le ampie fasce di greto<br />
stabilizzato, su cui si insediano popolamenti<br />
xerici di erbe e piccoli arbusti,<br />
spesso provenienti dai versanti collinari e<br />
montani: riescono così a penetrare nella<br />
pianura piante diffuse a quote maggiori,<br />
come la Santoreggia (Satureja montana),<br />
l’Issopo (Hyssopus officinalis), l’Eliantemo<br />
(Helianthemum nummularium), il Salice<br />
ripaiolo (Salix eleagnos) e alcune <strong>orchidee</strong><br />
selvatiche.<br />
<strong>Le</strong> incisioni dei conoidi separano le propaggini<br />
collinari, i pianalti terrazzati,<br />
che si protendono sulla pianura e che<br />
in alcuni casi (La Bastardina, Bosco di<br />
Croara, Bosco Verani) ospitano estese<br />
coperture forestali, costituite da querceti<br />
più o meno termofili provvisti di un ricco<br />
ed interessante corteggio floristico.<br />
Il paesaggio collinare, ancora pesante-<br />
mente segnato dall’impronta antropica, si<br />
presenta come un complesso mosaico di<br />
ambienti artificiali (diffusi sono i vigneti,<br />
ma anche colture di cereali e foraggere) e<br />
naturali (boschetti, siepi, praterie postcolturali,<br />
alvei di torrenti, pendii scoscesi,<br />
zone franose); la diversificazione ambientale<br />
viene ulteriormente accentuata dalla<br />
presenza diffusa di incolti, aree marginali<br />
e fasce di transizione (ecotoni). La flora<br />
ne risulta arricchita rispetto alla pianura, e<br />
più termofila, almeno alle basse quote, soprattutto<br />
per l’incidenza di un significativo<br />
contingente di specie mediterranee.<br />
In alcune vallate (Val d’Arda, Valle Ongina)<br />
i versanti sono spesso contraddistinti da<br />
estese formazioni calanchive: qui l’instabilità<br />
e l’ostilità <strong>del</strong> substrato hanno<br />
impedito non solo la sua messa a coltura,<br />
ma anche l’affermarsi <strong>del</strong>la copertura<br />
vegetale naturale. L’ambiente presenta<br />
però aspetti di estremo interesse, sia per<br />
la presenza di specie caratteristiche, come<br />
la Scorzonera <strong>del</strong>le argille (Podospermum<br />
canum), sia per la diffusione, sui suoli<br />
un po’ più stabilizzati e meno acclivi, di<br />
lembi più o meno estesi di pratelli xerici<br />
ricchi di specie termofile e in cui crescono<br />
numerose <strong>orchidee</strong>. <strong>Le</strong> creste calanchive<br />
e le testate dei canaloni sono colonizzati<br />
dalla Ginestra (Spartium junceum), che<br />
con le sue vistose fioriture caratterizza il<br />
paesaggio primaverile di queste vallate.<br />
Salendo di quota i coltivi si fanno sempre<br />
più radi, lasciando sempre più spazio<br />
alla copertura forestale, qui rappresentata<br />
dal bosco misto caducifoglio, in<br />
cui predominano diversi tipi di Querce<br />
(Quercus pubescens e Q. cerris), il Carpino<br />
nero (Ostrya carpinifolia), l’Orniello<br />
(Fraxinus ornus), il Ciavar<strong>del</strong>lo (Sorbus<br />
torminalis) e l’Acero opalo (Acer opulifolium).<br />
Il querceto misto si presenta con<br />
diverse varianti, che dipendono dalla<br />
tipologia <strong>del</strong> substrato e dalle condizioni<br />
climatiche stazionali, ma tutte hanno in<br />
comune la modalità di sfruttamento da<br />
parte <strong>del</strong>l’uomo: la ceduazione. Questa<br />
forma di governo consente un utilizzo<br />
più intensivo <strong>del</strong> bosco, soprattutto per<br />
la produzione di legna da ardere, ma se i<br />
tagli sono troppo ravvicinati può portare<br />
ad un loro degrado, e comunque tende<br />
a favorire l’espansione di quelle essenze<br />
forestali, come il Carpino nero, in grado di<br />
ricacciare più vigorosamente, a discapito<br />
<strong>del</strong>le Querce e di altri alberi.<br />
Nel querceto troviamo un ricco corteggio<br />
floristico, con numerosi arbusti e piante<br />
erbacee; fra queste ultime ricordiamo<br />
le geofite, provviste di organi di riserva<br />
sotterranei e in grado di fiorire molto<br />
precocemente, prima che la volta <strong>del</strong>le<br />
chiome si chiuda; fra le più significative<br />
ricordiamo: le Anemoni (Anemone<br />
nemorosa e A. trifolia), il Dente di cane<br />
(Erythronium dens-canis), il Bucaneve<br />
(Galanthus nivalis), la Scilla (Scilla bifolia)<br />
e l’Erba trinità (Hepatica nobilis). Alcune<br />
specie consentono poi di caratterizzare<br />
meglio la tipologia <strong>del</strong> querceto: così la<br />
Felce aquilina (Pteridium aquilinum) e il<br />
Brugo (Calluna vulgaris) indicano un substrato<br />
acido, mentre il Pungitopo (Ruscus<br />
aculeatus), specie termofila, è limitato ai<br />
boschi collinari.<br />
Già dalla bassa collina e fino alla fascia<br />
montana sono molto diffusi i castagneti.<br />
Nonostante il Castagno (Castanea sativa)<br />
accompagni da sempre la storia <strong>del</strong>le<br />
nostre popolazioni montane, e per diversi<br />
secoli abbia costituito una risorsa preziosa<br />
per il loro sostentamento, occorre<br />
ricordare come la diffusione di questa<br />
pianta sia avvenuta ad opera <strong>del</strong>l’uomo,<br />
che già al tempo dei Romani la reintrodusse<br />
un po’ ovunque lungo tutta la penisola.<br />
Il Castagno è infatti una di quelle specie<br />
che vennero spazzate via dall’Europa nel<br />
corso <strong>del</strong>l’ultima glaciazione, e sopravvisse<br />
solo in alcune stazioni rifugio nei<br />
Balcani e forse nell’Italia meridionale. La<br />
coltura <strong>del</strong> Castagno ha subito da noi un<br />
drastico regresso, sia per lo spopolamento<br />
<strong>del</strong>le zone montane, sia per l’attacco<br />
di parassiti fungini. I castagneti da frutto<br />
sono divenuti piuttosto rari (ricordiamo<br />
quello di Castagnola, in Val d’Aveto) e<br />
sono stati sostituiti anch’essi dal ceduo.<br />
Dal punto di vista floristico e vegetazionale,<br />
il Castagno si sovrappone alla fascia<br />
dei querceti, fino a penetrare in quella<br />
<strong>del</strong>le faggete, prediligendo suoli profondi<br />
e sciolti, e mal tollerando quelli calcarei,<br />
argillosi e troppo umidi.<br />
Fra le zone di particolare interesse naturalistico<br />
spicca, nella fascia dei querceti,<br />
l’area di Rocca d’Olgisio, in Val Tidone:<br />
si tratta di una vera e propria “isola termofila”,<br />
caratterizzata da una orografia<br />
tormentata, in cui i boschi termofili di<br />
Roverella, Cerro e Castagno si alternano<br />
a dirupi rocciosi, forre, cespuglieti e coltivi,<br />
e in cui l’insediamento umano, molto<br />
antico, ha lasciato traccia anche nella<br />
flora, per la presenza di specie sfuggite<br />
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