Il Laboratorio Ott 2008 - Grande Oriente D'Italia - Lombardia
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La <strong>Grande</strong> Guerra e le donne<br />
Donne, donne, donne … Ma insomma, cosa volete? Vi<br />
abbiamo generati tutti, dal primo all’ultimo, vi abbiamo<br />
nutriti e fatti crescere, vi abbiamo consolati e<br />
supportati … Dall’inizio dei tempi.<br />
Con il primo conflitto, mondiale il soggetto si trova<br />
disarmato di fronte a uno “choc” cosmico. Si spezza cioè,<br />
traumaticamente, l’articolazione fra percezione, esperienza<br />
e memoria. L’entusiasmo, che allo scoppio della guerra<br />
aveva colto i più – intellettuali e non, in tutti i paesi<br />
belligeranti – si decompone nella “democrazia della morte”.<br />
La “guerra”, fino ad allora immaginata e vagheggiata<br />
come la massima espressione di esperienza autentica e di<br />
fuoruscita dalle soffocanti quotidianità materiali verso una<br />
dimensione di superiorità spirituale, si rivela il luogo in<br />
cui ogni destino individuale naufraga nella “terra di nessuno”,<br />
nell’indifferenza di un processo anonimo. Nel<br />
monumento al Milite Ignoto, che non può evocare né<br />
alcun ricordo né alcun volto in nessuna memoria e che<br />
quindi li evoca tutti, si esprime emblematicamente la maschera<br />
impersonale del carnaio bellico. Come Ernst Jünger<br />
avrebbe osservato nel 1930, l’esperienza reale della guerra<br />
si rivela non diversa dal lavoro in fabbrica, con il “preciso<br />
ritmo di lavoro di una turbina alimentata col sangue”,<br />
in cui gli uomini ridotti a “materiale umano” sono<br />
resi disponibili alla “mobilitazione totale”. Ciò rendeva<br />
radicalmente diversa la guerra del 1914-1918, la cosiddetta<br />
“<strong>Grande</strong> Guerra”, da tutte le altre guerre che la storia ci<br />
ha tramandato.<br />
In essa la “comunità di guerra” ruota attorno alla morte<br />
e al sacrificio, al sangue e alla terra, incorporandosi in un<br />
organismo contraddittoriamente unito dallo stesso “destino”,<br />
diventa il modello dell’intera società. Questa esperienza<br />
comunitaria porta con sé le premesse per la cancellazione<br />
della distinzione fra militari e civili, fra fronte interno<br />
e linea del fuoco. La comunità del popolo, grazie a<br />
questo suo carattere intrinsecamente guerresco, si identifica<br />
col cameratismo e con l’esperienza virile. L’esperienza<br />
emblematica della grande guerra è l’esperienza del<br />
fronte e della trincea. I “reduci” sono gli uomini – e le<br />
donne – che da esso hanno fatto ritorno.<br />
L’esercizio della memoria, personale e storica, può<br />
pertanto riattivarsi e il passato può essere riformulato<br />
non tanto negli eventi puntuali quanto nel loro senso.<br />
Alludo alla ormai consolidata storia delle donne, a quella<br />
“storiografia di genere” che, sull’onda di una consapevolezza<br />
acquisita attraverso i movimenti femministi, ha<br />
rivendicato un doppio diritto per le donne, quello di “essere<br />
nella storia” e quello di “avere una storia”. La storia<br />
ha mantenuto un lungo silenzio e una cecità ipocrita e<br />
Valeria Succi<br />
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colpevole sull’universo femminile, in questo caso con la<br />
scusa di esserle estranea e, in modo particolare, estranea<br />
alla guerra, ambito prettamente maschile. Col procedere<br />
dell’assimilazione, più necessaria che pensata, la storia<br />
non solo ha dovuto rendere visibile la partecipazione e il<br />
coinvolgimento delle donne nella guerra, ma ha anche e<br />
necessariamente dovuto fornire elementi indispensabili<br />
per la comprensione del suo ruolo sociale e dei suoi significati<br />
antropologico, psicologico, simbolico e mentale.<br />
Questa “ammissione” ridefinisce la loro presenza non più<br />
nei termini di un rapporto conflittuale o casuale, in un<br />
braccio di ferro eroico o in un eterno subire, ma bensì<br />
calandola in un contesto di relazioni e di mediazioni. In<br />
una concezione meno militante, forse, ma anche meno<br />
“militare” perché il mondo femminile, fattosi soggetto storico,<br />
attesta la presenza della donna e conferma la sua<br />
voce partendo dalle situazioni e dalle condizioni della<br />
quotidianità.<br />
La ricerca di testimonianze e di eventi al femminile<br />
nella storia della Prima Guerra mondiale è sconcertantemente<br />
faticosa ed i suoi risultati appaiono scarni e marginali.<br />
Non ci sono testimonianze, non ci sono storie ricche<br />
di particolari: nessuna donna ha lasciato una memoria<br />
della sua esperienza al fronte o nelle corsie affollate da<br />
mutilati e moribondi. Vivere in sordina è forse una necessità<br />
– e, mi si lasci dire, dovrebbe essere una lezione per<br />
tutti – ma è anche e spesso una scelta che le donne<br />
fanno per evitare conflitti. E fu per l’appunto proprio<br />
questo conflitto – il primo ad aver travolto il mondo in<br />
una guerra estenuante e sanguinosa, fatta di posizione,<br />
trincea, attacco frontale, scontro fisico – ad aver indotto<br />
le donne, per la prima volta, a farsi soggetto della storia,<br />
partecipando in modo attivo non in trincea ma nel quotidiano,<br />
nella sostituzione dei posti di lavoro che l’uomo in<br />
trincea aveva lasciato “vuoti”. Donne che lasciano il focolare<br />
– cui erano state da sempre relegate, ma che costituiva<br />
anche un riparo – e si gettano nella mischia, si<br />
rendono visibili, danno un contributo decisivo alla prosecuzione<br />
di un conflitto di sangue, ancorché aborrito<br />
perché non risponde alla visione femminile della vita sociale.<br />
Nelle fabbriche – nelle quali erano fino ad allora<br />
entrate solo per estrema necessità e nelle quali la loro<br />
prestazione veniva ritenuta di “qualità inferiore” e quindi<br />
sottopagata – si trovano improvvisamente a ricoprire ruoli<br />
“maschili”. Con quali reazioni? Non si arrendono, non si<br />
scoraggiano, affrontano il loro nuovo ruolo con semplicità,<br />
entusiasmo e senso di sacrificio; partecipano empaticamente<br />
alla sorte degli “uomini”, non solo del proprio<br />
uomo, del proprio padre o del proprio fratello, ma di tutti<br />
coloro che combattono. Anche se a loro non è stato<br />
chiesto se volevano la guerra – le donne non avevano