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Figli maestri - La Repubblica

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42 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 28 OTTOBRE 2007<br />

la lettura<br />

Halloween<br />

MAX BROOKS<br />

Il primo caso che vidi fu in un villaggio<br />

remoto che ufficialmente non<br />

aveva nome. Gli abitanti lo chiamavano<br />

“Nuovo Dachang”, più che altro<br />

per una forma di nostalgia. <strong>La</strong> loro<br />

patria precedente, “Vecchio Dachang”,<br />

era esistita sino all’epoca dei Tre<br />

Regni, con fattorie e case e persino alberi<br />

che si diceva fossero secolari. Quando la<br />

Diga delle Tre Gole fu terminata, e le acque<br />

del bacino di riserva cominciarono a salire,<br />

Dachang era già stato in gran parte<br />

smontato, mattone per mattone, e poi ricostruito<br />

su un terreno più elevato. [...]<br />

L’ospedale era tranquillo. [...] Ero stanco,<br />

mi facevano male i piedi e la schiena.<br />

Stavo uscendo a fumare una sigaretta e<br />

guardare l’alba quando sentii fare il mio<br />

nome. <strong>La</strong> centralinista di quella notte era<br />

nuova e non capiva bene il dialetto. C’era<br />

stato un incidente, o una malattia. Era<br />

un’emergenza, questo era chiaro, e se per<br />

favore potevamo mandare subito aiuto.<br />

Che potevo dire? I dottori più giovani, i<br />

ragazzini che pensano che la medicina sia<br />

solo un modo per gonfiare il conto in banca,<br />

non sarebbero certo andati ad aiutare<br />

qualche nongminsolo per il piacere di portare<br />

aiuto. Immagino di essere, in fondo al<br />

cuore, ancora un vecchio rivoluzionario.<br />

«Il nostro dovere è di essere responsabili<br />

nei confronti del popolo». Quelle parole significano<br />

ancora qualcosa per me... e cercai<br />

di ricordarmelo mentre la mia Deer<br />

rimbalzava e sbatteva sulle strade sterrate<br />

che il governo si era impegnato, ma mai accinto,<br />

ad asfaltare. [...]<br />

Ce n’erano sette, tutti su dei lettini, tutti<br />

a malapena coscienti. Gli abitanti del paese<br />

li avevano spostati nella nuova sala riunioni<br />

comunale. Il pavimento e le pareti<br />

erano di nudo cemento. L’aria era fredda e<br />

umida. Ci credo che sono malati, pensai.<br />

Chiesi agli abitanti del paese chi si era preso<br />

cura di loro. Risposero che nessuno l’aveva<br />

fatto, perché non era «sicuro». Notai<br />

che la porta era stata chiusa a chiave da fuori.<br />

Gli abitanti del paese erano chiaramente<br />

terrorizzati. Stavano rannicchiati e bisbigliavano;<br />

alcuni si erano messi in disparte<br />

e pregavano. Il loro atteggiamento<br />

mi riempì di rabbia, non contro di loro, cer-<br />

Max Brooks, figlio del regista Mel, ha sviluppato una genialità<br />

diversa da quella del padre ma altrettanto maniacale:<br />

è il più grande esperto mondiale di zombi. Prima ha scritto<br />

un manuale per combatterli, ora un romanzo in cui l’umanità<br />

è colpita dal solito virus misterioso che sforna cadaveri<br />

ancora in vita. Sembra un horror, forse è una metafora<br />

chi di capire, non contro quegli individui,<br />

ma contro ciò che rivelavano del nostro<br />

paese. Dopo secoli d’oppressione straniera,<br />

sfruttamento e umiliazione, stavamo finalmente<br />

rivendicando il nostro giusto<br />

ruolo di Impero del Mezzo dell’umanità.<br />

Eravamo la superpotenza più ricca e dinamica<br />

del mondo, padroni di tutto, dallo<br />

spazio cosmico al cyberspazio. Era l’alba di<br />

quello che il mondo stava finalmente riconoscendo<br />

come il “Secolo cinese”, eppure<br />

molti di noi vivevano ancora come questi<br />

contadini ignoranti, refrattari e superstiziosi<br />

come i popoli primitivi della cultura<br />

Yangshao.<br />

Ero ancora perso in quella mia pomposa<br />

critica culturale quando mi inginocchiai<br />

per visitare la prima paziente. Aveva la febbre<br />

alta, a quaranta, ed era scossa da tremori<br />

violenti. Appena cosciente, piagnucolò<br />

un po’ quando cercai di muoverle<br />

braccia e gambe. Aveva una ferita sull’avambraccio<br />

destro, il segno di un morso.<br />

Quando la esaminai più da vicino, mi resi<br />

conto che non era stato causato da un animale.<br />

Il raggio del morso e i segni dei denti<br />

erano sicuramente stati causati da un piccolo,<br />

o forse giovane, essere umano. Anche<br />

se ipotizzai che fosse quella la causa dell’infezione,<br />

la ferita in sé era sorprendentemente<br />

pulita. Chiesi, di nuovo, chi si era<br />

preso cura di quelle persone. Di nuovo, mi<br />

risposero nessuno. Sapevo che non poteva<br />

essere vero. <strong>La</strong> bocca umana è zeppa di<br />

batteri, anche più di quella del cane più<br />

sporco. Se nessuno aveva pulito la ferita di<br />

questa donna, perché il taglio non brulicava<br />

di infezioni?<br />

Esaminai gli altri sei pazienti. Mostravano<br />

tutti sintomi simili, avevano tutti ferite<br />

simili in diverse parti del corpo. Chiesi a un<br />

uomo, il più lucido del gruppo, chi o cosa<br />

avesse causato queste ferite. Mi disse che<br />

era successo quando avevano cercato di<br />

«domarlo».<br />

«Domare chi?», chiesi.<br />

Trovai il “paziente zero” dietro la porta<br />

chiusa a chiave di una casa abbandonata<br />

dall’altra parte del paese. Aveva dodici anni.<br />

Polsi e piedi erano legati con della corda<br />

da imballaggio di plastica. Nonostante<br />

avesse sfregato la pelle contro i lacci, non<br />

c’era sangue. Non c’era sangue neanche<br />

nelle altre ferite, nemmeno su quelle più<br />

profonde che aveva su gambe e braccia, né<br />

intorno al grande buco che aveva al posto<br />

dell’alluce destro. Il ragazzino si dimenava<br />

come un animale; un bavaglio attutiva i<br />

suoi grugniti.<br />

Gli abitanti del villaggio cercarono di<br />

trattenermi. Mi avvisarono di non toccarlo,<br />

perché era «maledetto». Li ignorai e presi<br />

guanti e mascherina. <strong>La</strong> sua pelle era<br />

fredda e grigia come il cemento sul quale<br />

giaceva. Non riuscii a trovare il battito cardiaco<br />

né le pulsazioni al polso. Aveva occhi<br />

spiritati, spalancati e affossati nelle orbite.<br />

Rimasero fissi su di me come quelli di una<br />

bestia predatrice. Durante tutta la visita fu<br />

inspiegabilmente ostile, allungava verso<br />

di me le mani legate e provava a mordermi<br />

attraverso il bavaglio. I suoi movimenti<br />

L’ultima guerra dei morti viventi<br />

CULT<br />

Un’immagine<br />

tratta dal film<br />

di George A.<br />

Romero,<br />

<strong>La</strong> notte dei morti<br />

viventi (1968)<br />

erano così violenti che dovetti chiedere a<br />

due tra gli abitanti del paese più robusti che<br />

mi aiutassero a tenerlo fermo. All’inizio<br />

non si mossero, rannicchiati davanti alla<br />

porta come due coniglietti. Spiegai che<br />

non c’era alcun rischio d’infezione se usavano<br />

guanti e mascherina.<br />

Quando scossero la testa, trasformai la<br />

richiesta in un ordine, anche se non avevo<br />

alcuna autorità legale per farlo. Ma bastò. I<br />

due buoi s’inginocchiarono accanto a me.<br />

Uno teneva i piedi del ragazzo, mentre l’altro<br />

gli stringeva le mani. Cercai di prelevare<br />

un campione di sangue e invece tirai<br />

fuori solo una sostanza marrone e viscosa.<br />

Mentre stavo togliendo l’ago, il ragazzo ricominciò<br />

a lottare con violenza.<br />

Uno dei miei<br />

“inservienti”,<br />

quello responsabile<br />

delle<br />

<strong>Repubblica</strong> Nazionale

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