Carlo Sgorlon - Udine Cultura

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nore”. Per esempio le prefazioni, sempre illuminanti, che Lui scrisse per autori locali, di solito editi dalla
Filologica: Bortolussi, Iacumin, Maria Forte, Novella Cantarutti, Renato Appi... E ancora, per Siro Angeli
e Dino Menichini, in una collana della Fondazione CRUP, da Lui stesso ideata. Ricordo che quando gli
proposero di inaugurarla con una sua opera – rivelo molto probabilmente una novità – Carlo, generoso
e riservato com’era, disse: «No. Io mi impegno a partecipare come consulente, se volete, come prefatore,
ma non voglio approfittare di questa occasione. Preferisco che sia dedicata, per quanto possibile,
ad autori friulani validissimi, che però, per varie ragioni, non hanno avuto il successo che meritavano».
Detto questo a titolo introduttivo, vorrei brevemente illustrare il percorso di ricerca da me seguito
per questo intervento.
Può essere un nobile esercizio intellettuale quello di risalire alla personalità di uno scrittore
attraverso la personalità dei personaggi dallo stesso creati nei romanzi, ma ho potuto verificare che si
possono raggiungere gli stessi risultati percorrendo il sentiero degli scritti minori e della ricca produzione
giornalistica, perché Sgorlon era sempre introspettivo e attento biografo di se stesso, e palesava
chiaramente la sua visione del mondo e della storia umana: naturalmente mi sono poi impegnato a
verificare la corrispondenza fra gli esiti della mia ricerca, e i suoi romanzi, i più archetipici, soprattutto
Prime di sere, e Gli dèi torneranno.
Il percorso da me seguito era anche, in qualche misura, inevitabile, perché nessun personaggio
di nessun romanzo avrebbe potuto rivelare quel che l’Autore pensava, ad esempio, della grafia del
friulano, mentre negli scritti “minori” o in qualche articolo di giornale possiamo trovare dichiarazioni
esplicite al riguardo.
Mi avvicinai a Carlo prima delle sue vittorie ai premi letterari e molto prima che le sue opere
fossero tradotte in altre lingue e apprezzate a livello internazionale.
La nostra amicizia nacque da una recensione su “Friuli d’oggi” per il romanzo Prime di sere nel
1970, Premio della Società Filologica Friulana. Ero rimasto affascinato proprio dal suo bel friulano centro-collinare,
dalla sua lingua narrativa, non soltanto dalla trama del romanzo, che trovai profondamente
friulano anche in senso archetipico. E negli anni che seguirono ho sempre consigliato la lettura di quel
romanzo a quanti volevano avvicinarsi al nostro mondo e imparare o reimparare la nostra piccola lingua.
C’è una frase in Prime di sere, che l’ergastolano di ritorno pronuncia guardando il paesaggio,
ma non già “la plere dal Quarnan” – splendida immagine, quella era sempre lì, chissà da quanto tempo
– bensì guardando la società: «A ‘nd îsal ancjemò di cjaradôrs, vie pal mont?» 1 Questa frase mi aveva
colpito perché diventa simbolo di un cambiamento totale, radicale, di una società in cui l’ex ergastolano
ormai è spaesato
dopo trent’anni di “non vita”, come scrive appunto Sgorlon. Ma non siamo tutti prigionieri di un
passato che non riconosciamo più nel presente?
Lui diceva che ero stato il suo primo recensore, e io rispondevo: “No, Carlo, ho fatto un pezzo
giornalistico, non sono un critico”.
Nella mia entusiastica recensione su “Friuli d’oggi”, scrissi che Prime di sere era senz’altro un
dono, inaspettato, insperato, per la letteratura in friulano. Per quale letteratura? Non tanto per la poesia,
posto che, com’è risaputo, la letteratura in friulano può vantare dei “pezzi da novanta” – basterebbe
citare Pasolini, per esempio, Novella Cantarutti e altri eccellenti poeti – quanto per la produzione
in prosa. Ebbene, nel 1970, un anno che io considero fondamentale anche per la pubblicazione della
Storia del Friuli di Gian Carlo Menis, che contiene l’etnogenesi del popolo friulano, e per altre ragioni,
1 Carlo Sgorlon, Prime di sere, Udine, Società filologica friulana, 1971, p. 67.