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Carlo Sgorlon - Udine Cultura

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uno spazio di salvezza che viene presto messo in crisi dalla violenza del combattimento e dalla ferocia<br />

con cui i cosacchi reagiscono alla situazione storica dentro la quale si sentono condannati a soffocare.<br />

Il male si incarna nel violento e distruttivo Burlak, mentre Urvàn possiede un filtro meditativo che gli<br />

consente di tenere a bada gli istinti barbarici della sua razza. Marta vede subito negli invasori stranieri<br />

delle vittime della storia, e li accoglie come tali nel cerchio della sua protezione:<br />

A Marta i cosacchi facevano pena. Tutti le facevano compassione, i soldati che rischiavano la vita sui fronti, i<br />

partigiani che stavano a morire di freddo sulle montagne, i prigionieri, gli sbandati, i dispersi. Ma i cosacchi più di tutti le<br />

provocavano uno stringimento di cuore doloroso perché sentiva che non avevano più una patria né un destino. 5<br />

In altra sede, ho ipotizzato che <strong>Sgorlon</strong> continuasse a guardare a uno dei modelli della sua operazione<br />

letteraria, cioè Elsa Morante, e che la concezione del male e del sacrificio delle creature umili<br />

che la Morante mette al centro del suo grande affresco epocale, La Storia, venga ripresa nel racconto<br />

del genocidio dei cosacchi, un genocidio sommerso e dimenticato. Al confronto con la misera maestra<br />

Ida Ramundo, madre di creature destinate alla morte e quindi portatrice sulla propria carne delle tragedie<br />

del secolo, Marta, il personaggio di <strong>Sgorlon</strong>, assomma su di sé i modelli mitici di Penelope e di<br />

Circe, è oggetto d’amore e nello stesso tempo conosce i ritmi eterni del mondo naturale al di là della<br />

storia, non diventa madre perché implicitamente è già madre di tutti, sa risolvere le contraddizioni della<br />

storia nell’abbraccio di una femminilità cosmica.<br />

Quando <strong>Sgorlon</strong> affronta il suo ultimo, impegnativo romanzo, tutti i motivi del mito e della visione<br />

scientifica dell’universo che ho elencato acquistano un nuovo spessore. Il circolo Swedemborg è<br />

un romanzo di idee, come lo era stato in precedenza Il velo di Maya, e si tratta di idee incarnate in figure<br />

concrete, uomini e donne, dalla cui collaborazione nasce una nuova immagine dell’universo. Come<br />

l’Alvar dell’Uomo di Praga, anche il protagonista del nuovo romanzo possiede le caratteristiche dell’avventuriero<br />

la cui origine mitica conferisce un ruolo privilegiato. Ermes si rivela esplicitamente, fin dal<br />

nome, l’incarnazione dello spirito Mercurio che <strong>Sgorlon</strong> ricava dalle letture di Jung: abile, colto, intuitivo,<br />

Ermes è il portatore di un messaggio salvifico che si oppone al pensiero comune, alla doxa, e cerca<br />

di realizzare la sua missione con un concreto e complesso progetto intellettuale. Come Alvar, Ermes è<br />

“alchimista della fortuna”, è imprendibile e indefinibile, sente la vastità del cosmo come un problema<br />

personale da risolvere nel nome dell’intera umanità:<br />

Lo attiravano, come sempre, i problemi metafisici, quelli che parlavano delle questioni di fondo dell’Essere, perché<br />

di esse possedeva un sentimento vastissimo e intenso. Cercava anche di scoprirne il motivo, e riteneva di aver trovato<br />

la risposta: sentiva infinitamente e profondamente di far parte del sistema infinito del Reale.<br />

Tutto ciò che egli era veniva da spazi e da tempi infinitamente lontani, nella sconfinata storia dell’universo, che<br />

era cominciata chissà dove e chissà quando. Lui non era soltanto Ermete Lunati Eudòxios, perché, come tutti, veniva da<br />

entità e forze vertiginosamente remote, da infinite generazioni del passato, da mutamenti e trasformazioni arcanamente<br />

numerose della Vita. 6<br />

Proprio perché discendente del dio Mercurio, Ermete possiede la leggerezza e la mobilità del<br />

pensiero che gli consentono di non restare invischiato nella pesantezza materiale del mondo. In lui si<br />

tirano le somme di un pensiero antichissimo, che risale ai greci, ai mistici, a Giochino da Fiore e a Giordano<br />

Bruno, un pensiero che guarda alle cose sempre tenendo presente un altro aspetto nascosto, per<br />

5 <strong>Carlo</strong> <strong>Sgorlon</strong>, L’armata dei fiumi perduti, Milano, Mondadori, 1985, p. 77.<br />

6 <strong>Carlo</strong> <strong>Sgorlon</strong>, Il circolo Swedenborg, Milano, Mondadori, 2010, p. 66.<br />

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