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Suoni e canti, villotte e serenate - Il Progetto Integrato Cultura

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<strong>Suoni</strong> e <strong>canti</strong>, <strong>villotte</strong> e <strong>serenate</strong><br />

a cura di Ivano Urli<br />

Fig. 1 - Gruppo musicale pronto per una serenata.<br />

Rumori, <strong>canti</strong>, sonorità si alzano e sovrastano le<br />

parole e voci del comune colloquiare nelle case,<br />

pei cortili, lungo le borgate. Le voci degli animali,<br />

innanzitutto. Canti (clocjâ, cocodâ), muggiti<br />

(mungulâ), ragli (rontâ), nitriti (sgagnî), belati<br />

(beâ), grugniti (rugnâ). I rumori, poi, cadenzati,<br />

ripetuti, variegati nell’alternarsi di strumenti e<br />

materiali, degli artigiani dentro le polverose e<br />

buie loro bottegucce: il falegname (marangon), il<br />

fabbro (fari), il calzolaio (cjaliâr), il meccanico di<br />

biciclette, il contadino che dà di cote o batte col<br />

martello (batadoriis) e rinnova il filo della falce.<br />

I fragori del tempo, nello scrosciare, rimbombare,<br />

fischiare della pioggia, del tuono, del vento<br />

durante il temporale, o i silenzi ovattati, appena<br />

incrinati da qualche voce del paese sotto una<br />

nevicata. E poi il suono delle campane, nel vario<br />

alfabeto del loro linguaggio e scampanio ora festoso,<br />

solerte, invitante, ora invece triste, dolente,<br />

pensoso, a discrezione degli avvenimenti e del sacrestano<br />

che tira e lascia andare, come sa ben lui,<br />

le corde. <strong>Il</strong> vocio dei bambini a stormo nel cortile<br />

della scuola, della canonica o in piazza, a sera,<br />

sotto l’ordito in cielo delle rondini in picchiata.<br />

Sale poi, da ogni dove, dai campi, dai lavatoi sulle<br />

rogge, dalle chiese e dalle case il cantare corale<br />

della gente. Si canta in tutte le stagioni, a ogni<br />

età, ambiente, circostanza. Si canta di giorno, du-<br />

Scheda n° 5. 1. 29<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Integrato</strong> <strong>Cultura</strong> del Medio Friuli<br />

rante il lavoro collettivo per la campagna e nelle<br />

case, nei richiami dei gruppi da campo in campo,<br />

o nelle aie fra i tonfi delle pannocchie lanciate da<br />

più mani affaccendate, dal cumulo da scartocciare<br />

che via via si riduce verso il cumulo crescente<br />

delle pannocchie scartocciate e ridenti, bianche<br />

o rosse. Si canta stendendo in autunno sopra un<br />

coppo le ampie foglie profumate del tabacco, o a<br />

primavera inoltrata mentre si puliscono dalla loro<br />

lanugine i bozzoli dei bachi, appagati e grati di<br />

quel primo guadagno dell’annata.<br />

Capita frequentemente, nella minuscola bottega<br />

di calzolaio di Provino Lauçane, Bertin di Sclaunicco<br />

dalla argentina voce tenorile, che sa tutte<br />

le canzoni, si siede accanto al banchetto e canta<br />

mentre Provino batte col martello dalla testa tonda<br />

brocche (brucjis) e bullettoni (brucjons) sulle<br />

suole degli scarponi militari. Dietro la porta accanto<br />

tendono l’orecchio, mandando a memoria<br />

le parole e la melodia dei <strong>canti</strong>, Dusuline e Taresine<br />

Jacuç, cognate, che poi cantano, imitando Bertin<br />

sui loro campi magri di via della Doline (“Vola,<br />

colomba bianca, vola, / diglielo tu che tornerò...”)<br />

mentre vanno faticosamente diradando con la<br />

schiena curva le piantine del mais (rarî), tanto<br />

che lungo i solchi, spesso, l’una procede curva<br />

diradando e l’altra l’accompagna in piedi cantando,<br />

dandosi il cambio (in volte). Si canta perché<br />

l’espressione canora non viene soffocata dentro<br />

l’invadenza di mille altri fragori ed emissioni frettolose.<br />

La gente ascolta e sa di essere ascoltata,<br />

canta e sente gli altri cantare, in un intreccio<br />

e rimando di messaggi. E poi si canta perché la<br />

mente è sgombra, nella semplicità, sia pure faticosa,<br />

di quei lavori dei campi sempre uguali. E si<br />

canta perché non cantano ancora i motori, ci sono<br />

al più gli animali che spesso si uniscono al canto<br />

anche loro a loro modo. C’è bisogno di braccia, di<br />

necessaria compagnia, si sta con altri, fra parole e<br />

<strong>canti</strong> per l’appunto.<br />

L’emigrazione ha diradato le contrade del Friuli:<br />

gli addii, gli abbracci del distacco e del ritorno, i<br />

sospiri, le attese di lettere per posta aerea conservano<br />

le parole di qua e di là del mare. Gli abbandoni<br />

indotti dalla lontananza e i vuoti chiusi<br />

nell’anima si depositano nei rimandi delle generazioni<br />

esprimendosi nello scarno procedere delle<br />

quartine di ottonari della villotta friulana (L è ben<br />

vêr ch’jo mi slontani / dal paîs ma no dal cûr... Biel<br />

vignint da l’Ongjarie / la cjatai sul lavadôr...). E la<br />

guerra, su contrade percorse, rapinate, calpestate,<br />

insanguinate da mille e mille invasori, attraversate<br />

nel Friuli di mezzo da una strada che fin dal<br />

nome, la ‘Napoleonica’, la ‘Ongaresca’, si segnala<br />

quale memoria di invadente lacerazione e di fuga<br />

spaurita e dilagante. Come nel 1917, con pianti e<br />

voci cadenzate, forse, sul salmodiare patriarchino<br />

aquileiese che si riversa nel nostro cantare popolare<br />

(Ai preât la biele stele, / ducj i sants dal<br />

Tradizioni<br />

<strong>Suoni</strong> e <strong>canti</strong>, <strong>villotte</strong> e <strong>serenate</strong>


Tradizioni<br />

<strong>Suoni</strong> e <strong>canti</strong>, <strong>villotte</strong> e <strong>serenate</strong><br />

Fig. 2 - Anche in tempi recenti la fisarmonica è lo strumento<br />

principe per la socialità.<br />

Paradîs, / che il Signôr fermi la vuere / e il gno<br />

ben torni in paîs... Tu dirâs un De profundis / co<br />

tu sintarâs a dî / che jo soi sul cjamp di vuere / pa<br />

l’Italie a murî).<br />

E poi l’amore, sereno eppure venato da una traccia<br />

di malinconia (L’ai domandade di sabide / se<br />

ûl fâ l’amôr cun me, / e à vût cûr di rispuindimi: /<br />

“no, no lafé”).<br />

Le contrade della terra friulana. La Carnia, nell’incedere<br />

marcato della sua gente che scende a<br />

barattare le mele profumate dei declivi assolati,<br />

nella miseria stabile (Vegnin jù i cjargnei di Cjargne,<br />

/ vegnin jù batint il tac, / cu la pipe te sachete<br />

/ cence un fregul di tabac). E per tutti il riconoscersi,<br />

nell’immagine simbolo di appartenenza,<br />

dell’angelo sul castello udinese (Oh ce biel cjistiel<br />

a Udin, / oh ce biele zoventût...). Perfino nel buio<br />

della notte fonda si sente cantare, sommessamente,<br />

sul dondolio leggero delle culle (Sdrindulaile<br />

chê bambinute / che si torni a indurmidî...).<br />

Ma anche dentro i cortili, sotto lo stellato e i balconi<br />

delle innamorate. Sono il Bortul dei casali<br />

Cussume verso Orgnano, Bertut Avost che sulla<br />

sua chitarra canta anche lui e lo accompagna<br />

come meglio può e Gusto di Pleche che fa cantare<br />

dolcemente il violino nella notte. Vanno per<br />

<strong>serenate</strong>, cantando il loro amore ma anche per il<br />

piacere di cantare alla florida bellezza della gioventù.<br />

“Tu âs doi voi che son dôs stelis, / la bocjute<br />

che je un bombon...”, canta il Bortul di Cussume.<br />

Finchè vedono, o intuiscono nel buio, due occhi<br />

neri brillare dietro gli scuri socchiusi.<br />

Bibliografia<br />

Scheda n° 5. 1. 29<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Integrato</strong> <strong>Cultura</strong> del Medio Friuli<br />

• B. Rossi, La musica in Friuli, Udine, Ribis, 1979<br />

• P. Sancin e B. Rossi, La musica d’uso in Friuli,<br />

Enciclopedia Monografica del Friuli Venezia Giulia, Udine,<br />

Istituto per l’Enciclopedia del Friuli Venezia Giulia, vol. 3<br />

parte 4, pp. 2050-2060<br />

• R. Tirelli, Bande musicali nel Friuli V. G., Campoformido,<br />

Tre Punte, 1993<br />

• A. Frizzarin, Suonare in banda, ed. Società Filarmonica<br />

Pozzuolo del Friuli, Udine, Miani, 1997<br />

• AA. VV., No balistu Pieri? Quattro passi nel folclore<br />

friulano, Roveredo in Piano (PN), Arti Grafiche Risma, 1998<br />

• G. D’Aronco e M. Macchi, (s. d.), La villotta friulana, (s. l.),<br />

ed. Banca del Friuli<br />

Per ricercare e approfondire<br />

• <strong>Il</strong> brano inizia richiamando i rumori e suoni del passato;<br />

quali rumori e suoni cogli oggi abitualmente, affacciandoti<br />

alla tua finestra? Nella stessa posizione, immagina quali<br />

potrebbero essere fra cinquant’anni.<br />

• Hai mai sentito cantare in paese una villotta friulana?<br />

Quando? Da chi? Ricordi il titolo e il contenuto?<br />

• <strong>Il</strong> brano afferma che la metrica della villotta popolare<br />

friulana prevede quartine di ottonari: che cosa vuol dire?<br />

• Che cosa significa, secondo te, la parola ‘villotta’?<br />

• Ricerca e riporta il testo di una villotta popolare non<br />

richiamata nel brano.<br />

• Perché Taresine e Dusuline cantano “dandosi il turno”,<br />

nel lavoro in campagna?<br />

• Informati presso l’insegnante di musica sui <strong>canti</strong> da<br />

lavoro nelle varie epoche e civiltà.

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