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MORTE A PENZOLONI - QueenDido.org

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<strong>MORTE</strong> A <strong>PENZOLONI</strong><br />

di Riccardo De Boni ed Emiliano Caponi, a doppio binario (2012)<br />

§ 1. Appuntamento con la morte.<br />

Ormai non ci frequentiamo più, ma vuole parlarmi.<br />

Nella voce ho ascoltato problemi seri.<br />

D’altra parte, con una figlia così, una vera debosciata, c’è da aspettarsi di tutto.<br />

Hanna Franzer è una donna<br />

ormai consumata.<br />

Libanese di (ex) marito svizzero,<br />

di cui ancora usurpa il<br />

cognome, forse per tenere<br />

nascosto il suo o forse solo<br />

perché più sciccoso, dovrebbe<br />

aver toccato i 46, ma<br />

ne dimostra 10 in più, per<br />

quanto è sfasciata, o in carne,<br />

secondo i gusti, fleshy in<br />

lingua anglofona.<br />

L’ultima volta che l’ho vista<br />

aveva un giro-pancia più largo<br />

del giro-petto.<br />

Di solito non porta nemmeno<br />

il reggiseno: le tette che cadono<br />

a penzoloni sul ventre<br />

non sono che una logica<br />

conseguenza della forza di<br />

gravità e nemmeno un gran<br />

spettacolo.<br />

Nonostante tutto, le sue camicette sono sempre sbottonate e questo mi invoglia<br />

a rivederla.<br />

Prova ancora a piacersi, ma non so dire se ci creda veramente. Di sicuro non<br />

ha perso la sua arroganza.<br />

Con lei, però, c’è stato qualche bel momento e io sulle mie “ex” non ci sputo<br />

mai sopra.<br />

L’appuntamento è a casa sua, fra un’ora.<br />

Chissà se ha buttato giù qualche chilo…<br />

| 1 |


§ 2. Tre spari in fondo al viale.<br />

Non c’è un posto neanche a morire. Alla fine, ma proprio alla fine, parcheggio<br />

la mia SLK e torno indietro a piedi: la palazzina di Hanna è l’ultima in fondo a<br />

viale Parigi.<br />

Sembra una serata tranquilla, ma è evidente che mi sbaglio.<br />

Urla di donna dal fondo del viale.<br />

Allungo il passo.<br />

POW<br />

Cazzo, uno sparo!<br />

Corro.<br />

Mi sa tanto che si tratta proprio dell’appartamento di Hanna, al secondo piano<br />

dello stabile.<br />

Cazzo! È proprio lei e sta uscendo a cosce nude dalla porta-finestra che dà<br />

sul balcone…<br />

«Emiliano!», mi ha visto.<br />

POW<br />

«Uuughh…!», un urlo soffocato.<br />

«E-miliano…!», la voce ha perso forza.<br />

POW<br />

Dopo il terzo sparo, la vedo allargare le braccia, fare ancora un passo avanti,<br />

quasi per forza d’inerzia, e infine la vedo accartocciarsi su sé stessa: Hanna<br />

frana sulla ringhiera del balcone e ci rimane sospesa sopra, letteralmente a<br />

penzoloni, come un panno steso; le braccia ciondolanti si agitano oltre la ringhiera<br />

e cadono giù come i rami di un salice piangente.<br />

Corro, adesso la vedo dalla base di una perfetta verticale, due piani più sotto:<br />

Hanna Franzer ha provato a spiccare il volo, ma pesante com’è non c’è riuscita;<br />

ora mi guarda fisso, con occhi sbarrati: la sua faccia fa paura.<br />

Una donna dal passato glorioso è arrivata al capolinea.<br />

Con un calcio apro il portone e mi preparo ad affrontare il killer, ma dalle scale<br />

non scende nessuno. La palazzina è priva di ascensore.<br />

È strano… ma uno scalpiccio sempre più remoto mi fornisce l’intuizione giusta:<br />

l’assassino sta fuggendo dall’alto, piuttosto che dal basso.<br />

Ha troppo vantaggio, meglio controllare l’appartamento della Franzer, prima<br />

dell’arrivo della polizia.<br />

La figlia giace a terra, con un buco in fronte.<br />

Niente sconti.<br />

Hanna ha fatto qualche passo in più, ma non è arrivata lontano; la camicetta<br />

bianca con cui mi aspettava è imbrattata da due macchie di porpora: una ai<br />

reni, l’altra al torace.<br />

Conto salato anche per lei.<br />

| 2 |


§ 3. Un dubbio profetico.<br />

La pancia di Hanna è rimasta di qua, la testa e le tette, più che mai a penzoloni,<br />

sono di là.<br />

Poiché la pancia è un ancoraggio più che certo, la Franzer è rimasta in bilico,<br />

zavorrata alla ringhiera del balcone.<br />

Inutile toccarla: da lì non si muove.<br />

Prima che arrivi la polizia, frugo nell’appartamento.<br />

Non ci metto molto a trovare la roba…<br />

Questa è roba sua…<br />

Hai capito che troia…!?<br />

È stata intelligente a mettersi in proprio e a mollare la figlia, ma non abbastanza<br />

da convincere l’Organizzazione, che l’ha ripagata con piombo caldo<br />

nella schiena.<br />

La bella vita le è costata molto cara.<br />

Per un attimo mi viene il dubbio che la Franzer, stronza com’è, possa ancora<br />

essere viva, ma a che mi serve saperlo?<br />

Se era un problema prima, figuriamoci adesso.<br />

Polizia e ambulanze stanno per arrivare. Cosa porteranno via da<br />

quell’appartamento non è affar mio.<br />

Tengo per me la roba, visto che ad Hanna non serve più e che<br />

l’Organizzazione si è accontentata di saldarle il conto: non posso permettere<br />

che la roba della Franzer finisca per arricchire qualche piedipiatti.<br />

Mi fermo un attimo sulla porta, quando…<br />

«E-mi-li-a-no…», un lamento.<br />

Il lamento di Hanna.<br />

§ 4. Il salto di grazia.<br />

Mi guarda da oltre la ringhiera, a testa in giù. Un incrocio paradossale.<br />

Sta spingendo sui piedi…<br />

È pazza…<br />

Sta per spingersi nel vuoto…<br />

È una fine da tossica, non da una donna come lei…<br />

Non posso permetterlo.<br />

Ma ormai ce l’ha fatta, si è sbilanciata abbastanza da cadere nel vuoto…<br />

Un ultimo balzo in avanti, la raggiungo e le blocco le gambe.<br />

La tengo di qua, non so ancora per quanto, è pesante - a peso morto - e la<br />

presa è precaria.<br />

Intercetto il suo sguardo e voglio capire: mi biasima o mi incoraggia?<br />

Mi incoraggia, facendo finta di biasimarmi…<br />

Chi ha vissuto in un modo, d’altronde, non può morire in un altro.<br />

UAAA…<br />

| 3 |


UAAA…<br />

La polizia…<br />

Cazzo, devo andarmene.<br />

Farò la strada del killer, perché ormai non c’è più tempo per scendere la scale,<br />

ma solo per salirle.<br />

Sto per mollarla, quando dal viale spunta un’ambulanza…<br />

I lampeggianti colorano d’azzurro viale Parigi, ma si fermano troppo presto: a<br />

bordo non hanno l’indirizzo esatto e io ho ancora da giocarmi qualche spicciolo<br />

di tempo attorno ad Hanna.<br />

Quel che conta è che sia solo un’ambulanza.<br />

Infatti il 118 ha tempi più rapidi rispetto al 113; tutti mal pagati, ma il primo<br />

raccoglie corpi inerti, mentre il secondo corpi dalla cinematica molto attiva.<br />

Ecco spiegato tutto in maniera scientifica, a partire dalle leggi della fisica<br />

meccanica, perché anch’io, infatti, ho da fornire due corpi inerti in alternativa<br />

a quindici corpi dalla cinematica molto attiva.<br />

E penso alla mia Beretta 9 mm., consolandomi al pensiero del suo effetto latente<br />

nei confronti della polizia.<br />

Motivi di consolazione, invece, non credo possa trovarne Hanna, che continua<br />

a vedere il mondo alla rovescia: chissà che finalmente non ci veda giusto.<br />

Per un attimo gira la testa anche a me, il puzzo di fica della Franzer, a culo in<br />

fuori, è più che mai ammorbante, la prospettiva è imbarazzante, le tette -<br />

senza lacci e facile preda di una scatenata forza di gravità - hanno debordato<br />

dalla camicetta, rimanendo esse stesse a penzoloni, avanguardia di un corpo<br />

intero steso a penzoloni dal balcone.<br />

«Hanna... aggrappati alla ringhiera!», mi ritrovo a urlarle sul culo, con tutti i<br />

significati annessi.<br />

«Non ce la faccio più a reggerti!», le gambe lardellose e sudaticcie mi stanno<br />

scappando via.<br />

«Non... ce la... faccio...», mormora quasi a labbra chiuse.<br />

«Devi farcela, maledetta troia!», la conosco, chiamandola per nome risponde<br />

sempre; è stato così fin da quando mi pregava di coprirla di insulti per eccitarsi<br />

mentre si faceva inculare inginocchiata in avanti. Più o meno come in<br />

quel momento.<br />

L’unica differenza è che le tette le penzolavano fra gemiti di lussuria e godimento,<br />

mentre adesso i gemiti non hanno la stessa natura e quelle penzolano<br />

fra la vita e la morte; anzi direi che Hanna ha già una tetta intera e il capezzolo<br />

dell’altra all’inferno.<br />

«Ci provo... uhhh...», allunga le braccia e si aggrappa con le mani ai ferri della<br />

ringhiera, il vecchio metodo pare funzionare.<br />

Il peso, fino a quel momento insostenibile, si alleggerisce di quel tanto che<br />

basta per farmi respirare, ero quasi in apnea; l'ossigeno circola di nuovo regolarmente,<br />

permettendomi di pensare con sufficiente lucidità a un modo per<br />

| 4 |


uscire da quella situazione kafkiana: sopra un terrazzo a tenere per le gambe<br />

una vecchia troia da ottanta chili con due pallottole addosso.<br />

Tic.<br />

Tic.<br />

Il sangue di Hanna scende dalle ferite e goccia dopo goccia cola di sotto con<br />

la cadenza di un rubinetto chiuso male.<br />

Vendesi. Un lampo e ricordo quel cartello<br />

affisso al balcone del piano di sotto.<br />

L’appartamento è disabitato.<br />

«Hanna, reggiti con tutta la forza che<br />

hai», la sprono, sapendo che deve averne<br />

poca.<br />

«Conterò fino a tre e poi ti lascerò le<br />

gambe e tu dovrai rimanere attaccata alla<br />

ringhiera», un'idea folle mi è balenata<br />

in testa.<br />

«Emilia-no... no... non lasciarmi...», protesta<br />

lei.<br />

«Uno.<br />

Due.<br />

E tre!», l'idea non posso più fermarla, è ormai una palla di pesante follia che<br />

rotola a valle.<br />

«Ohhh...», vedo Hanna aggrapparsi al contempo alla ringhiera e alla vita, disperatamente.<br />

Per ora ha rinunciato al suo assurdo volo.<br />

Le ho lasciato le gambe, faccio un passo indietro aspettando l’esito della mia<br />

prima mossa.<br />

«Aiuta... mi...», Hanna non cade, rimane aggrappata, quasi attorcigliata alla<br />

ringhiera.<br />

I’ll be wrapped around your finger. Incredibilmente tempestivi, dalla televisione<br />

rimasta accesa, i Police fanno da paradossale colonna sonora.<br />

Hanna non cede, ma lo farà presto, devo sbrigarmi e fare la seconda mossa<br />

sullo scacchiere dell’impossibile.<br />

Scavalco la ringhiera e mi calo sul terrazzo dell’appartamento di sotto…<br />

Tic.<br />

Una goccia di sangue mi finisce in testa.<br />

«Hanna...», alzo gli occhi e lei adesso è sopra di me, a testa in giù, con tre<br />

quarti del corpo oltre la ringhiera e le tette a penzolare oltre a tutto, lei stessa<br />

compresa.<br />

«Emi... lia... no...», mi guarda con gli occhi sbarrati, forse al mio posto sta già<br />

vedendo il diavolo.<br />

O forse il diavolo è lei… se ancora riesce a tenersi aggrappata alla vita.<br />

«Guarda... come… mi tocca crepare...», Hanna ha la forza di concedersi un<br />

sorriso amaro, che le fa sfuggire dalle labbra una boccata di sangue.<br />

| 5 |


Osservandoci da questa prospettiva capovolta, forse ci vediamo per la prima<br />

volta per quello che veramente siamo.<br />

Buffo destino.<br />

«Ti prendo e ti tiro giù», in un angolo del balcone c’è una scala di alluminio,<br />

forse è servita per il trasloco ed è rimasta lì. Provvidenziale. La prendo e la<br />

incastro nella ringhiera, ci salgo sopra e protendendo le braccia riesco a toccare<br />

la Franzer.<br />

«No... muoio qui...», mi guarda ormai arresa, mentre vedo le dita delle mani<br />

allentare la pressione sulla ringhiera; credo che adesso si stia reggendo solo<br />

con le gambe, grazie ai piedi incastrati fra le sbarre di ferro.<br />

Adesso anche i Police non si sentono più: Hanna, la canzone è finita.<br />

«Ba... cia... mi...», la sua richiesta mi arriva addosso insieme al suo sangue,<br />

che insiste a cadermi in faccia, goccia dopo goccia.<br />

Mi alzo sulla punta delle scarpe e mi tendo verso di lei con tutta la forza delle<br />

gambe.<br />

Lei scivola più giù annullando così gli ultimi centimetri di distanza che io non<br />

sarei mai riuscito a colmare: per la prima volta nella vita ci veniamo incontro.<br />

Riesco a sfiorarle le labbra con le mie, sanno di sangue e sono fredde: Hanna<br />

è già morta, anche se ancora non lo sa.<br />

Peccato, la mancanza di parcheggi uccide, e questa ne è una prova evidente.<br />

«Io… io…», mi lascia nel dubbio, le dita si staccano tutte e dieci insieme, le<br />

gambe si svuotano di ogni residua forza e i piedi si rilassano districandosi<br />

dall’intreccio con le sbarre.<br />

«Hanna!», protendo le braccia, ma lei va giù a peso morto, non posso fare<br />

niente per lei, anche se mi passa così vicino che mi pare di sentire il suo ultimo,<br />

caldo respiro.<br />

Thud!<br />

Un volo senza un urlo.<br />

Un tonfo dal rumore senz’anima.<br />

Mi volto e la vedo là sotto, un grosso fantoccio seminudo sul bordo della strada,<br />

con una gamba rimasta impigliata tra le fronde di una siepe: la camicetta<br />

si è ripiegata sulla schiena e il culo è rimasto scoperto; sembra che anche da<br />

morta Hanna Franzer ci tenga ad atteggiarsi da troia…<br />

Finalmente, intanto, le luci dell’ambulanza colorano la palazzina giusta.<br />

Con un’acrobazia rientro svelto nell’appartamento di Hanna e come via di fuga<br />

scelgo la stessa strada dell’assassino.<br />

Con la scala antincendio mi porto sulla via parallela: qui è tutto tranquillo; i<br />

curiosi, l’ambulanza, la polizia, sono tutti in viale Parigi, la tomba a cielo aperto<br />

di Hanna Franzer.<br />

Arrivo senza problemi alla mia SLK e mi levo volentieri di torno.<br />

Ma schiacciando con rabbia sull’acceleratore, vedo davanti a me Hanna aggrappata<br />

alla ringhiera.<br />

A tette penzoloni.<br />

| 6 |


§ 10. Viale Parigi.<br />

BINARIO 1<br />

Ma schiacciando con rabbia sull’acceleratore, vedo davanti a me Hanna aggrappata<br />

alla ringhiera.<br />

A tette penzoloni.<br />

Che vuol dire, che cazzo vuol dire?<br />

Hanna era già morta quando è caduta nel vuoto. Non potevo fermarla, il suo<br />

destino era segnato.<br />

Nessun rimpianto per quella troia.<br />

Skreee…<br />

Con questi cazzo di pensieri in testa, mi fermo all’ultimo momento allo Stop:<br />

non è il caso di attirare l’attenzione di qualche vigile annoiato.<br />

Ed ecco che mi vedo sfrecciare davanti un’ambulanza a sirene spiegate.<br />

Milano è grande, ci sono un sacco di infarti in questo cazzo di città di merda,<br />

non può essere quella di Hanna; per lei va bene il furgone della polizia mortuaria:<br />

quello non va tanto veloce, i suoi clienti non hanno fretta.<br />

Poi però penso che oggigiorno è pieno di procedure cervellotiche: finché il<br />

medico non ripete dieci volte l’elettrocardiogramma, non si può dichiarare<br />

morto il cliente, pena rottura di palle con il Piazzale Clodio della città di merda.<br />

Arrivano subito i cugini di ottavo grado e cominciano a dire: forse se si faceva<br />

per la centesima volta un altro elettroshock, forse mia cugina si poteva ancora<br />

salvare… non le hanno mica staccato la testa, diamine…!<br />

Dalmine!<br />

E allora ecco l’ultimo dei praticanti forensi-circensi nulla-pagati che recapita<br />

alla ASL una richiesta danni, morali, materiali, esistenziali e biologici, pari<br />

all’appartamento in vendita al primo piano.<br />

Che la cugina fosse sovrappeso, quasi grassa, e capace di far nulla se non<br />

farsi scopare, a quel punto non conta più: era comunque la cugina più cara.<br />

Poi l’ASL gira tutto al povero medico che stava sull’ambulanza, il quale deve<br />

tirar fuori almeno diciassette elettrocardiogrammi piatti per cavarsela; se non<br />

li ha tutti, deve rifarne qualcuno a domicilio, in obitorio, su un cadavere fresco<br />

di giornata, sperando che non vi siano sussulti.<br />

Questa è la vita: molti sono già morti, ma da morti presunti scalpitano per rimanere<br />

morti con il cuore che batte.<br />

Chissà la Franzer cosa ne pensa a riguardo.<br />

Mentre penso a queste cazzate, tengo dietro all’ambulanza: mi fa da ariete<br />

nel traffico di merda dell’omonima città.<br />

Ecco che gira per l’ospedale, la seguo ancora un po’, poi me la svigno…<br />

Ma… cazzo!<br />

Sono finito in un percorso obbligato che mi inoltra all’interno dell’area ospedaliera…<br />

potrei saltare il cordolo, ma ci sono troppi lampi blu nei paraggi.<br />

L’ambulanza si ferma.<br />

| 7 |


Un usciere mi fa cenno di accostare.<br />

«Può lasciarla solo cinque minuti, mi raccomando: poi mandi qualcuno a spostarla».<br />

Mi ha scambiato per un parente dell’infartuato.<br />

«Ma… veramente… non…».<br />

Mentre invento qualche cazzata, che cosa vedo davanti a me?<br />

I paramedici scaricano una lettiga con un malato intubato da tutte le parti.<br />

Come parente, non posso chiedere di chi si tratti.<br />

«Viale Parigi», sento dire da un barelliere all’usciere…<br />

Benedette procedure burocratiche…!<br />

Tutto va segnato e registrato, la catena di montaggio della sanità pubblica<br />

non conosce pause.<br />

Viale Parigi.<br />

Milano è grande, ma viale Parigi non è così grande.<br />

Quell’infartuato è Hanna Franzer…<br />

§ 11. Il responso.<br />

Non era ancora morta quando è caduta, o la caduta stessa l’ha bruscamente<br />

rianimata?<br />

La cellulite, evidentemente, risulta preziosa in questi casi.<br />

Cuscinetti adiposi, vengono detti.<br />

Cuscinetti…<br />

Airbag…<br />

Un incidente a 150 chilometri orari per Hanna Franzer, ma l’airbag è scattato<br />

in tempo, a quanto pare.<br />

Peccato per lei che abbia sbattuto non solo contro un muro d’asfalto, ma anche<br />

contro due pallottole di piombo.<br />

Ormai ci sono dentro, comunque.<br />

Lascio l’auto dov’è, come prassi per un parente al seguito, e mi procuro di individuare<br />

il portantino più esperto, quello dall’aria più sveglia, quello che magari<br />

come secondo o terzo lavoro si porta via la morfina o procura troie ai<br />

primari.<br />

C’è anche il medico, ma di quello sbarbatello non so che farmene: ho bisogno<br />

di una previsione rapida e affidabile.<br />

Okay, ho deciso, è lui.<br />

Lo affianco, mentre caricano la lettiga sul montacarichi, diretti - presumo - in<br />

sala operatoria, il medico si è sganciato, passa da un’altra parte.<br />

«Ehi… lei non può salire, se è un parente segua il medico…», ha parlato il<br />

più stupido.<br />

Allungo, da baro di poker, due biglietti da 50 al barelliere scafato e lo trattengo<br />

giusto un paio di secondi: «Puoi dirmi come andrà a finire?».<br />

Increspa le labbra.<br />

| 8 |


Rimango in attesa, impassibile.<br />

Si è fatto un’idea di me: chi cazzo è questo?<br />

«È a pezzi, dottò… ma…», abbassando la voce, «nun se offenda, ma ‘na bodrillaccia<br />

così ce ne mette ad annà sotto…».<br />

Gli effetti delle migrazioni interne sono evidenti.<br />

Ce ne mette ad Hannà sotto…<br />

Hannuisco, per fargli capire che sono d’accordo.<br />

«Comunque, dottò… ‘ie’ faccio sapè io quello che succede…».<br />

Hannuisco ancora e allungo altri due biglietti color salmone: le informazioni<br />

costano e quelle che servono a me vanno contro-corrente, perciò è tutto giusto.<br />

Li lascio andare, ho finito.<br />

Lui si giustificherà dicendo che ero un parente in ansia e si guarderà bene dal<br />

dividere con degli stupidi.<br />

“‘Na bodrillaccia così”, cioè Hanna, “ce ne mette ad annà sotto…”: vero e coerente.<br />

Ma, alla fine, ce va o no…?<br />

A occhio e croce la Franzer sta andando a crepare sotto i ferri, ma una stronza<br />

come lei può ancora rovesciare tutto: in fondo, anche tirata giù dalla ringhiera,<br />

rimane ancora a penzoloni della morte…<br />

E chissà se alla fine avrebbe perso qualche chilo…<br />

§ 12. Una bandiera al vento.<br />

Toc.<br />

Toc.<br />

«Avanti».<br />

«Don Salvatore...», l’uomo si affaccia alla porta con fare timido che ha poco<br />

da spartire con la sua presenza rozza e massiccia.<br />

«È arrivato Tony».<br />

«Fallo entrare».<br />

«Subito, capo».<br />

«Con permesso, Don Salvatore», il secondo uomo, una specie di fotocopia<br />

del primo, entra nella stanza meno timidamente e ostenta una malcelata sicurezza.<br />

La convinzione di avere fatto un ottimo lavoro è il veicolo migliore per aumentare<br />

in un uomo la propria autostima.<br />

«Allora, Tony?», Don Salvatore si accende con calma un cubano rimanendo<br />

comodamente seduto sulla poltrona di pelle, dietro la grande scrivania.<br />

«Tutto fatto», si siede senza aspettare il consenso, troppo sicuro anche in<br />

questo.<br />

«La figlia è stesa sul pavimento con un buco in fronte.<br />

| 9 |


E la troiona della mamma è rimasta a penzolare come una bandiera dal terrazzo<br />

con due buchi nella stoffa».<br />

«Una bandiera ammainata, spero», dà una voluttuosa boccata al sigaro.<br />

«Ammainata e ripiegata in due sopra la ringhiera».<br />

Drin.<br />

Drin.<br />

Squilla uno dei tre cellulari sparsi sopra la scrivania: più un uomo è potente e<br />

più ha il diritto di conoscere la realtà in diretta.<br />

«Dimmi».<br />

Un momento di pausa.<br />

«Ho capito...», la tirata di sigaro è più lunga e nervosa della precedente.<br />

«Voglio che mi tieni informato minuto per minuto, intesi?».<br />

Sbang!<br />

Un nevrotico scatto improvviso e il<br />

Samsung Galaxy si fracassa contro la<br />

parete abbellita da quadri e arazzi,<br />

giusto sotto una copia de L’Ultima Cena<br />

del Tintoretto: coincidenza o macabra<br />

allusione del destino al pasto serale<br />

di Tony?<br />

«Ma capo...?! Cosa...?», il costoso cellulare<br />

appena andato in pezzi ha il potere<br />

di fargli perdere all’improvviso tutta<br />

l’autostima.<br />

«Tony, Tony...», la voce dall’altra parte della scrivania è pericolosamente<br />

calma rispetto al gesto appena compiuto.<br />

«Una bandiera ammainata, eh...?<br />

E pure ripiegata…», lo guarda fisso negli occhi con l’espressività di uno squalo<br />

che sta cominciando a veder colar sangue dalla sua vittima.<br />

«Capo... cosa significa...?», una goccia di sudore spoglia irrimediabilmente<br />

Tony delle sue certezze, adesso l’unica certezza è che non ne ha più.<br />

«Significa che quella troia di Hanna non è affatto crepata!», Don Salvatore<br />

sbatte i pugni sulla scrivania facendo sobbalzare ogni cosa che c’è poggiata<br />

sopra.<br />

«Ma le ho piantato due pallottole nella schiena...<br />

È crollata stecchita sulla ringhiera…».<br />

«Vorrà dire che è resuscitata…», restando seduto, apre il secondo dei tre<br />

cassetti, quello all’altezza delle ginocchia.<br />

«Quello che non potrai fare te».<br />

«Don Salvatore! No!», Tony porta d’istinto le mani avanti.<br />

BANG<br />

BANG<br />

BANG<br />

| 10 |


Il gesto serve solamente a farsi bucare il palmo della mano destra da una pallottola,<br />

che senza fermarsi gli finisce precisa in faccia, come le altre due.<br />

«Maledetto incapace», ripone la pistola nel cassetto, come niente fosse, come<br />

se avesse appena sparato a un piattello dopo il Pull dell’addetto al campo<br />

di tiro.<br />

«Roberto!», Don Salvatore chiama il primo uomo rozzo e massiccio senza<br />

acc<strong>org</strong>ersi che gli spari l’hanno già fatto rientrare nella stanza.<br />

«Capo...», guarda senza particolari emozioni il corpo di Tony, quello sì ripiegato<br />

sulla sedia come una bandiera ammainata.<br />

«Toglimi davanti questo verme», gli fa cenno mentre si alza dirigendosi verso<br />

l’ampia vetrata che guarda la città.<br />

«E tieniti nei paraggi.<br />

Potrei avere necessità di essere accompagnato all’ospedale per andare a fare<br />

visita a una mia cara amica».<br />

«Un incidente, capo...?», l’aspetto fisico del guardaspalle è coerente con il<br />

quoziente intellettivo.<br />

«Più o meno…<br />

Una brutta troia che nonostante<br />

abbia fatto un frontale<br />

con due pallottole, non vuole<br />

saperne di crepare», e guarda<br />

il Pirellone, senza però vederlo;<br />

davanti a lui oramai c’è solamente<br />

Hanna e il suo corpo<br />

da vacca rimasto in bilico sulle<br />

porte dell’inferno.<br />

È pronto a darle in prima persona<br />

l’ultima spinta.<br />

§ 13. Una preghiera per mamma.<br />

Medicina Donne.<br />

Chirurgia.<br />

Premo il pulsante dell’ascensore che porta a quel piano, non posso affidarmi<br />

solamente a un barelliere, devo farmi altri complici per avere più notizie possibili<br />

riguardo alla bodrillaccia.<br />

Professor Raffaele Tersilli, Primario del Reparto di Chirurgia, le porte dell’ascensore<br />

si aprono quasi precise davanti a quest’altra porta, è semichiusa e<br />

da dentro escono voci che sembrano scherzare fra loro: devo approfittare di<br />

questa favorevole fermata.<br />

Entro sfacciatamente annunciandomi solamente con un paio di piccoli pugni<br />

sul legno che il trambusto del via-vai di persone rende del tutto inutili.<br />

«Desidera?», una delle tre voci si gira verso di me.<br />

| 11 |


«Scusatemi…», sono due infermiere più un portantino, che stavano evidentemente<br />

parlando dei cazzi propri.<br />

«Poco fa è stata portata qui in ospedale una signora sui 50 anni caduta da un<br />

balcone», ometto volutamente l’imbarazzante particolare delle due pallottole.<br />

«Vorrei sapere qualcosa riguardo alle sue condizioni», se è crepata o no, lo<br />

penso senza aggiungerlo.<br />

«Lei chi è?», l’infermiera attempata anticipa quella più giovane, che mi ha rivolto<br />

per prima la parola, e si intromette dura, d’autorità.<br />

«Sono il figlio», davanti al richiamo materno ogni donna solitamente si ammorbidisce.<br />

«Ah... mi dispiace... sua madre è arrivata in condizioni disperate», il tono diventa<br />

quasi da omelia funebre, il trucco ha funzionato.<br />

«Ma ce la farà...? Adesso dov’è?», riesco a farmi inumidire gli occhi e mi<br />

chiedo se sono un attore così bravo oppure se mi interesso veramente di<br />

questa troia sfatta over 45, che dopo la caduta sarà sfatta anche di più.<br />

«È in sala operatoria.<br />

Ma se ha una possibilità di farcela è messa nelle mani migliori, mi creda.<br />

La sta operando il Primario in persona, il Professor...», oramai so quello che<br />

volevo sapere, non ho voglia di perdere altro tempo.<br />

«Tersilli», aggiungo io il nome.<br />

«Lo conosce?».<br />

«No, ho solo letto la targhetta sulla porta.<br />

Quanto può durare l’intervento?», la domanda mi scappa di bocca e mi acc<strong>org</strong>o<br />

subito di aver detto una gran cazzata.<br />

L’infermiera giovane mi guarda quasi compatendomi e mi risponde cercando<br />

di non sbattermi in faccia la realtà così com’è.<br />

«Tecnicamente l’intervento può durare diverse ore...<br />

Ma dipende da sua madre, capisce...?».<br />

Sì, appunto, ho detto una cazzata. Due palle nella schiena, più un salto di<br />

grazia dal balcone: tecnicamente l’intervento può durare svariate ore, ma se<br />

Hanna crepa sotto i ferri, i tempi si accorciano sensibilmente.<br />

«Vi ringrazio», esco sommessamente dalla porta, visibilmente contrito.<br />

«Si fermi giù alla cappella.<br />

E preghi per sua madre…», l’infermiera tardona deve avere più cuore di<br />

quanto il suo aspetto sciupato e indurito dalla vita d’ospedale suggerirebbe.<br />

«Certo».<br />

Già! Come no!? Adesso ci manca solamente che mi metta a pregare per<br />

quella vecchia troia!<br />

| 12 |


§ 14. L’attesa.<br />

«Dottò!», la voce romanesca mi arriva da dietro le spalle, è il barelliere coatto<br />

trapiantato fra i bauscia: gli vado incontro, in fondo rimane il mio complice più<br />

fidato e attendibile.<br />

«La bodrillaccia è sotto i ferri», biascica le parole insieme al chewingum.<br />

Prendo la penna dal taschino e una banconota dal portafoglio e la autografo<br />

con il mio numero di cellulare: stavolta cambio colore, verde come la speranza,<br />

anche se, pensandoci bene, non so neanch’io che cazzo sperare.<br />

«Voglio che mi chiami appena sai qualcosa di mia madre», gliela infilo nella<br />

tasca della tuta.<br />

«Ammazza oh che bona tu’ madre, dottò!».<br />

«Lascia perdere…<br />

Se crepa, se sopravvive, se resuscita, qualunque cosa faccia, tu mi chiami.<br />

Intesi?».<br />

«Ma dottò… fra un’ora finisco il turno…», e si infila la mano in tasca per far<br />

scivolare meglio il bigliettone.<br />

«Vorrà dire che stanotte farai un po’ di straordinario», tiro fuori dal portafoglio<br />

un’altra banconota dello stesso colore della prima, ma a differenza di quella,<br />

finita nei pantaloni, questa gliela faccio solo annusare, un po’ come ha sempre<br />

fatto Hanna, con la sua fica, per corrompere gli uomini e piegarli ai suoi<br />

disegni.<br />

«Questa te la darò solo a straordinario finito».<br />

«Vabbè dottò, vorrà dì che me ne starò in giro tutta la notte a pijà caffè».<br />

Fai il cazzo che ti pare, basta che mi chiami, pezzo d’idiota.<br />

Esco sul piazzale dell’ospedale, finalmente un po’ d'aria fresca.<br />

Inalo un lungo respiro e mi dirigo alla macchina decidendo di aspettare lì la<br />

telefonata del coatto: arrivato a questo punto, voglio sapere che fine farà<br />

Hanna; fra l’altro, se creperà, ci vorrà qualcuno che si occupi della sua sepoltura,<br />

e se non lo farò io, credo che non lo farà nessuno.<br />

In fondo non si merita di essere seppellita come un cane randagio in una fossa<br />

comune.<br />

Tic.<br />

Tic.<br />

Le ore trascorrono lentamente e dentro l’abitacolo della mia SLK sembrano<br />

ulteriormente rallentate dalla mia solitaria attesa, ogni minuto pare una piccola<br />

goccia d’acqua che cade dal rubinetto, lenta e ossessiva.<br />

Tic.<br />

Tic.<br />

I minuti sembrano piccole gocce di sangue, come quelle che dal corpo di<br />

Hanna mi colavano in testa.<br />

| 13 |


§ 15. Risultato da migliorare.<br />

Drin.<br />

Drin.<br />

«Raffaele...», la risposta è pronta, l’impaziente attesa della telefonata gli ha<br />

già fatto spengere tre cubani dentro il posacenere.<br />

«Dammi buone notizie», la solita illusione di tutti.<br />

«Purtroppo non credo di potertele dare», l’immediata disillusione di molti.<br />

«Non dirmi che...».<br />

«Sì... la tua amica è uscita viva dalla sala operatoria».<br />

Silenzio da entrambi i ricevitori.<br />

«Gravissima, ma viva».<br />

«Maledetta puttana...», è più una riflessione ad alta voce che una confessione<br />

all’altro.<br />

«Non potevi lasciarti scappare il bisturi e aprirla in due quella troia?».<br />

«Sai che non potevo comportarmi diversamente da come ho fatto.<br />

Purtroppo ha la pelle più dura di quanto si potesse pensare».<br />

«Lo so, Raffaele, lo so... è una grande stronza».<br />

«Adesso che pensi di fare?».<br />

«Quello che non hanno saputo fare due pallottole sparate alla schiena e un<br />

volo senza paracadute».<br />

«Io invece tolgo il camice e me ne vado a casa.<br />

Non voglio andarci di mezzo, questo puoi capirlo».<br />

«Non c’è bisogno che ti caghi addosso, Professor Tersilli...<br />

Non ci andrà di mezzo nessuno, a parte la Signora Franzer…».<br />

Bip.<br />

«Roberto, tira fuori la macchina.<br />

Andiamo a fare un giro all’ospedale».<br />

Don Salvatore Petrucciani sta per sostituirsi ai Tony, ai terrazzi e alle pallottole.<br />

Con la certezza di ottenere un risultato migliore.<br />

§ 16. La chiamata.<br />

Drin.<br />

Drin.<br />

Finalmente mi squilla il cellulare, mi sveglia ma non è un gran peccato, non è<br />

comodo addormentarsi sul sedile di una SLK.<br />

Forse è lui…<br />

«Pronto…», il mio tono non mi piace, ma che ho paura di sentirmi dire che la<br />

troia è crepata…?<br />

«Dottò… so io».<br />

«Allora...?», meglio togliersi subito il dente.<br />

| 14 |


«Allora, dottò, la bodrillaccia pe’ ora ‘iel’ha fatta...», da non crederci.<br />

«S’è appena riportata in camera, tutt’antubbata, tubi dappertutto insomma,<br />

nun c’ha ‘n buco libero…».<br />

Sveglio, l’amico…<br />

Una troia che si rispetti tiene occupati tutti i buchi insieme.<br />

E ad Hanna gliel’ho visto fare maledettamente bene.<br />

«E bravo il barelliere romano...», il nome non lo so e neanche mi frega saperlo.<br />

«Dimmi in quale camera l’hanno portata e ti sarai meritato il secondo verdone».<br />

«Subito, dottò», ha furia di intascarlo e andare a letto.<br />

«S’è portata in chirurgia generale, la camera è la seconda a destra, la numero<br />

tre me pare».<br />

«Arrivo».<br />

Bip.<br />

§ 17. Un seggiolino che brucia.<br />

Ci si incontra sulle porte di vetro dell’ospedale e gli retribuisco lo straordinario:<br />

la mia paga è sempre al netto delle tasse.<br />

«Grazie, dottò.<br />

Spero che sua madre jela possa fa’…<br />

'Notte, dottò», e se ne va prendendo un vecchio scooter appoggiato senza<br />

catena a un lampione.<br />

Buonanotte. Anche se è già giorno.<br />

Viva, anche se era già morta.<br />

Da ieri sera tutte le cose sembrano non seguire più nessuna logica.<br />

Rientro nell’ospedale e penso che, in mezzo a tutte queste cose senza senso,<br />

posso starci benissimo anch’io, il figlio di Hanna Franzer, che con le lacrime<br />

agli occhi sta andando al capezzale della madre moribonda.<br />

Entro nel reparto e per prima cosa mi guardo attorno per vedere se ci sono in<br />

giro piedipiatti; d’altra parte Hanna è pur sempre arrivata in ospedale con due<br />

pallottole nella schiena, non è una paziente qualunque.<br />

Senza contare che la figlia è stata trovata con un buco in fronte; gli sbirri saranno<br />

già alla ricerca di indizi, sospetti, moventi, testimoni e altre cazzate del<br />

genere, ma per ora qui non ne vedo: meglio così.<br />

Conto partendo da destra come da indicazioni e mi fermo davanti a una porta<br />

socchiusa: stanza tre, deve essere questa.<br />

«Dove pensa di andare lei?», la voce mi sorprende con la mano appoggiata<br />

sulla porta, già pronta a spingerla.<br />

«Non può entrare in quella stanza!», la caposala mi affronta decisa.<br />

Sarei tentato di tirare fuori la mia beretta e stenderla con un paio di colpi, ma<br />

non mi sembra il caso...<br />

| 15 |


«Sono il figlio di Hanna Franzer...», è l’unica arma che ho, perlomeno fa meno<br />

rumore.<br />

«So che è uscita dalla sala operatoria e stavo cercando la camera dove è<br />

stata portata», mi sforzo di fare una faccia addolorata e soprattutto di non<br />

pentirmi d’essermi tenuto la pistola in tasca.<br />

«Ah... lei è il figlio della signora…», come l’infermiera di qualche ora prima<br />

anche questa attenua subito la sua durezza, forse in questo cazzo di ospedale<br />

le infermiere le scelgono in serie.<br />

«Sì... come sta mia madre?<br />

Se la caverà?», vado subito al sodo.<br />

«È in coma», anche lei bada al sodo.<br />

«Ma considerando che è arrivata in ospedale in condizioni disperate, deve ritenersi<br />

fortunato che sia ancora viva».<br />

Fortunato? Evidentemente ha un pessimo concetto della fortuna.<br />

«Posso entrare a vederla...? È qui?».<br />

O semplicemente non conosce Hanna.<br />

«Da disposizioni del Professore non potrei fare entrare nessuno, ma...».<br />

Forse cede.<br />

«Ma dato che lei è il figlio… farò uno strappo alla regola».<br />

Ha ceduto.<br />

«Grazie...», è il minimo che le devo, mi ha evitato la fatica di usare altri metodi.<br />

«Ma solo qualche minuto, intesi?».<br />

«Intesi», la rassicuro mentre spingo la porta.<br />

«Ah, un’ultima cosa…<br />

Sia forte, vedere sua madre in queste condizioni non sarà un bello spettacolo».<br />

Le faccio un cenno con il capo ed entro nella stanza.<br />

Stia tranquilla, ultimamente Hanna non era più un bello spettacolo, a prescindere<br />

dalle pallottole nella schiena e dalle acrobazie senza rete.<br />

È sdraiata sul letto, monitor a destra e a sinistra, e tubi e fili attaccati ovunque:<br />

tutt’antubbata, tubi dappertutto insomma, nun c’ha ‘n buco libero…<br />

Il coatto aveva ragione.<br />

Prendo una sedia e la metto accanto a quella che sembra essere più la sua<br />

tomba che il suo letto d’ospedale.<br />

Mi siedo e la guardo, il viso è tumefatto, annerito dai lividi; perlomeno la caduta<br />

le ha migliorato il colorito rispetto a quando - penzoloni dal terrazzo - mi<br />

guardava terrea con gli occhi sbarrati.<br />

Nonostante tutte le fregature che mi ha dato, vederla ridotta così mi fa quasi<br />

pena…<br />

O magari non l’ho mai capita sul serio, chissà…<br />

Speranza, compassione, o un sottile senso di colpa?<br />

Ancora non so cosa mi faccia stare seduto su questo fottuto seggiolino.<br />

Vrrr.<br />

| 16 |


Vrrr.<br />

Mi vibra il cellulare nella tasca, chi cazzo è adesso?<br />

Lo prendo e lo spengo posandolo sul comodino: in questo momento non ci<br />

sono per nessuno.<br />

La stanza è in penombra e con questa luce mi par di rivedere l’Hanna di qualche<br />

tempo fa, quando stavamo ancora insieme, lei non era la donna sfasciata<br />

di adesso, e qualche progetto l’avevamo pure fatto.<br />

Hanna… forse io ero l’unico che poteva salvarti.<br />

Le sposto i capelli e le do un bacio in fronte, quasi sicuramente d’addio, e<br />

senza aspettare che la caposala arrivi a ricordarmi che devo uscire, me ne<br />

vado da solo, non mi va di continuare a vedere Hanna mentre sta crepando.<br />

Ascensore di merda!<br />

Mi faccio le scale, il pulsante è perennemente rosso e non ho la pazienza di<br />

aspettare.<br />

«A che piano va lei?».<br />

«Medicina Donne. Chirurgia».<br />

Don Salvatore esce dall’ascensore e si dirige subito verso la porta giusta.<br />

Sarebbero bastati solo trenta secondi di pazienza per avere l’ascensore al<br />

piano…<br />

§ 18. Prima del grande salto.<br />

Sono di nuovo alle porte di vetro dell’ospedale, quando mi frugo in tasca e...<br />

cazzo!<br />

Il cellulare: l’ho lasciato sul comodino, al capezzale di Hanna.<br />

Mi tocca tornare su, accidenti.<br />

Sono pronto a giustificarmi con la caposala, ma non ce n’è bisogno, il corridoio<br />

è deserto, meglio così.<br />

La porta della camera è socchiusa, la spingo, ma invece di entrare, mi fermo<br />

di colpo: c’è una figura di spalle, ritta davanti al letto.<br />

Non si acc<strong>org</strong>e che ho aperto la porta, sembra troppo impegnata a maneggiare<br />

una siringa.<br />

Un infermiere? Non mi pare abbia il vestito giusto.<br />

Un dottore? Nemmeno.<br />

La figura si sposta di lato quel tanto che basta per offrire il suo profilo alla debole<br />

luce.<br />

Cazzo! Certo che non è un infermiere!<br />

E neanche un dottore...: è Don Salvatore Petrucciani!<br />

Il pesce più grosso che nuoti nei mari avvelenati della droga: che cazzo ci fa<br />

qui?<br />

E che cazzo ci fa con quella siringa in mano?<br />

La risposta è scontata, come la mossa di prendere in mano la mia beretta.<br />

| 17 |


«Butta a terra quella fottuta siringa!», mi presento maleducatamente, alle sue<br />

spalle.<br />

Ha un sussulto.<br />

«Girati piano e niente scherzi!».<br />

Si volta e mi guarda, la siringa è ancora nella mano, stretta come fosse una<br />

pistola.<br />

E non ho ancora capito se è riuscito a usarla. Almeno non tutta, spero.<br />

«Emiliano...», in fondo le presentazioni non servono, ci conosciamo abbastanza<br />

bene.<br />

«Mi stavo giusto chiedendo quando saresti entrato in scena…<br />

Anche se ormai stanno scorrendo i titoli di coda…», le sue parole cercano di<br />

mascherare un piccolo passo in avanti.<br />

«Fermo lì, Petrucciani!<br />

Fai un altro passo e ti buco la pancia».<br />

«Ehi... calmo... una siringa non dovrebbe innervosirti tanto, no?».<br />

«E così hai tappato la bocca a questa troia una volta per tutte… ti sei scomodato<br />

di persona…».<br />

«È solo un aiuto per farla sballare un po’ prima del grande salto…».<br />

«Il grande salto c’è già stato, Petrucciani.<br />

Butta a terra la siringa, non te lo chiederò un’altra volta».<br />

«Okay, o-k-a-y…!», finalmente la molla.<br />

«Dovevo immaginarlo che c’entravi te in questa storia.<br />

Dove c’è il puzzo, c’è sempre anche il marcio…».<br />

Chiudo la porta e la blocco con le spalle, non sono ammessi intrusi adesso.<br />

«Quella troia là ti piaceva anche ridotta così, vero Emiliano...?», mi sfida.<br />

«Piuttosto dimmi perché ti è venuto in mente di far fuori madre e figlia», faccio<br />

finta di non aver sentito e non raccolgo il suo guanto.<br />

«Che tipi di conti avevano con te?».<br />

«Conti che non tornavano», continua a sfidarmi, senza dar troppo peso alla<br />

mia beretta.<br />

«Cose che dovevano restituirmi...».<br />

«Penso di sapere quali siano queste cose», lo conosco abbastanza per avere<br />

già chiara tutta la trama.<br />

«Spara.<br />

Le cose intendo», Don Salvatore, nonostante tutto, ha ancora voglia di fare lo<br />

spiritoso.<br />

«Vediamo... la tossicomane non ti ha restituito un bel po’ di bigliettoni che ti<br />

doveva per la roba che le avevi dato a credito».<br />

«Perspicace».<br />

«E la vecchia troia ti doveva la fica che ti ha sempre promesso e fatto annusare…<br />

Ma neanche stavolta ha mantenuto la parola, e ti sei incazzato al punto da<br />

farle piazzare un paio di pallottole nella schiena…».<br />

| 18 |


«Doppiamente perspicace», e fa un altro passo in avanti, il secondo da quando<br />

abbiamo iniziato la conversazione. Troppi.<br />

«Un altro passo e sei morto, Petrucciani», se prova a fare il terzo, si ritrova<br />

una pallottola in fronte.<br />

«Ma se sono disarmato… non lo vedi?», e si china sulla sedia, sornione.<br />

«Fermo o ti stendo!».<br />

«Io sono fermo».<br />

Mi acc<strong>org</strong>o che un ghigno gli fa cambiare espressione, ma è già troppo tardi.<br />

«All’inferno, Emiliano!».<br />

Tump!<br />

Con uno scatto repentino spinge la sedia contro di me, buttandomela fra le<br />

gambe.<br />

È un attimo, Petrucciani mi è addosso.<br />

Punch!<br />

Non mi dà tempo né di sparare né di scansare il cazzotto.<br />

Cado a terra e perdo la beretta.<br />

«Ti ammazzo, pezzo di merda!», Don Salvatore mi piazza un paio di calci<br />

nelle reni, e fanno parecchio male, specialmente perché tirati con la punta<br />

delle scarpe.<br />

Devo reagire o mi ammazza sul serio.<br />

«Prendi anche questo!», ma il terzo calcio non mi va di prenderlo e riesco a<br />

bloccargli il piede prima che mi colpisca.<br />

Gli faccio perdere l’equilibrio e lo butto a terra insieme a me.<br />

Guardo dov’è finita la beretta e vedo che è troppo lontana, dovrò occuparmi<br />

di lui a mani nude.<br />

Punch!<br />

Punch!<br />

Gli restituisco il cazzotto con gli interessi del cento per cento netto e lo prendo<br />

per il colletto della camicia rimettendolo in piedi.<br />

Punch!<br />

Un altro cazzotto nella pancia e poi un calcio che lo fa sbattere pesantemente<br />

contro la parete, rimettendolo di nuovo con il culo a terra.<br />

«Ne hai abbastanza, Petrucciani?», glielo urlo, mentre con il dorso della mano<br />

mi pulisco il sangue dal labbro.<br />

«Bastardo...», si rialza a fatica aiutandosi con il termosifone vicino: credevo<br />

rimanesse giù per il conteggio finale, invece c’è bisogno di un altro round.<br />

Carica di nuovo contro di me, a testa bassa e feroce come un toro selvatico<br />

delle pampas.<br />

«Ti ammazzo!», ma come il più abile dei toreador, riesco a scansarlo e in<br />

mancanza di una spada per infilzarlo, lo prendo per un braccio e dopo avergli<br />

fatto fare un giro su sé stesso, lo spingo con tutta la forza che ho contro la<br />

parete.<br />

Crash!<br />

| 19 |


Ma invece di spaccarsi la faccia contro la parete, finisce in pieno contro la finestra,<br />

mandando in frantumi il vetro.<br />

«AHHHHH...».<br />

Un urlo dapprima tremendamente vivo e vicino e poi sempre più morto e lontano,<br />

è tutto quello che resta da dire a Petrucciani.<br />

Mi affaccio alla finestra stando attento a non tagliarmi con i vetri rotti e lo vedo<br />

sprofondato sul tettino di un’auto nera con entrambe le gambe ripiegate<br />

innaturalmente dietro la schiena: spero che il proprietario della macchina sia<br />

assicurato contro gli atti vandalici.<br />

Prendo il cellulare dal comodino, altro ormai non porto via da là dentro, e tolgo<br />

subito il disturbo uscendo velocemente dalla camera numero tre.<br />

Addio, Hanna.<br />

Ora per te è davvero finita.<br />

«Cos’era tutto questo fracasso?», la caposala mi viene incontro dal corridoio.<br />

«Mia madre sta male, un intruso le ha sparato un’overdose nel braccio», e<br />

me ne vado subito senza altre spiegazioni, dileguandomi per le scale e raggiungendo<br />

l’esterno.<br />

«Dio mio, è caduto da lassù!».<br />

«Ma come ha fatto?».<br />

«Si è suicidato?».<br />

Un capannello di persone è già attorno alla sfortunata auto nera; un tipo con<br />

un camice bianco, sicuramente un medico, alzandosi sulle punte dei piedi,<br />

mette due dita sul collo di Petrucciani.<br />

«È morto», la diagnosi è onesta.<br />

Evidentemente Hanna sa cadere meglio di te, Don Salvatore.<br />

E chissà che la tua roba fottuta non la faccia sballare dal coma piuttosto che<br />

dalla vita…<br />

Non è mai detta l’ultima parola con la vecchia troia.<br />

Ma ora sono stanco.<br />

Arrivo alla mia SLK e parto immediatamente, per oggi ne ho abbastanza di<br />

ospedali e voli dalle finestre.<br />

O dai balconi…<br />

§ 19. La dimissione.<br />

(Due mesi dopo)<br />

Sono seduto al Caffè Le<br />

Procope, il tempo è uggioso,<br />

come spesso accade<br />

qui a Parigi.<br />

Sfoglio le pagine dell’ultimo<br />

libro che sto leg-<br />

| 20 |


gendo, Voodoo e Candomblè, e mi viene da pensare che Hanna Franzer sia<br />

forse una specie di Zombi, al pari di Felicia Felix Mentor.<br />

Già… quella vecchia troia ce l’ha fatta anche questa volta.<br />

Dieci giorni di coma, più venti di terapia intensiva, in totale sessanta giorni di<br />

ospedale. Ma domani sarà dimessa.<br />

Tutte le informazioni mi sono state gentilmente concesse, giorno dopo giorno,<br />

elettrocardiogramma dopo encefalogramma, dal Sor Gianni, il barelliere coatto.<br />

Gentilmente e costosamente: oltre ai bonifici già effettuati sul suo conto corrente,<br />

gli ho promesso uno scooter nuovo.<br />

Nel frattempo è venuto fuori quasi tutto: chi è stato a piantare le due pallottole<br />

nella schiena di Hanna Franzer, mandando anche al creatore la figlia; chi l’ha<br />

assoldato; e chi l’ha ammazzato.<br />

Il quasi è riferito a chi ha buttato giù dalla finestra il boss.<br />

Penso che gli sbirri non si danneranno troppo l’anima per scovare l’assassino<br />

di Petrucciani, in fondo chiunque l’abbia tolto di mezzo ha fatto un grosso favore<br />

anche a loro.<br />

E poi al massimo cercheranno il figlio di Hanna Franzer.<br />

Nel dubbio, però, ho voluto essere previdente, cambiando aria per un po’.<br />

E me ne sto qui ad aspettare il grande giorno, che è domani.<br />

Me la faccio portare qui.<br />

Me scusi, dottò, ma su’ madre nun potrà più camminà.<br />

L’unico danno fisiologico permanente lasciato dalle pallottole, dal volo dal<br />

balcone e dall’overdose di roba.<br />

Non ho paura delle parole del coatto.<br />

Riesco comunque a sorridere, pensando che perlomeno stavolta sarà riuscita<br />

a buttare giù un po’ di chili…<br />

Sessanta giorni d’ospedale sono una bella dieta personalizzata.<br />

E me la immagino meno lardellosa, e soprattutto più leggera: tanto meglio per<br />

me, che rischiavo di spingere una sedia a rotelle con sopra un troione da ottanta<br />

chili...<br />

| 21 |


BINARIO 2<br />

§ 20. Tonfo morbido in limine mortis.<br />

Ma schiacciando con rabbia sull'acceleratore, vedo davanti a me Hanna aggrappata<br />

alla ringhiera.<br />

A tette penzoloni.<br />

Questa troia, anche se consumata, sotto tutti i punti di vista, è ancora in grado<br />

di scioccarmi.<br />

Le sue labbra hanno ancora la capacità di stregarmi.<br />

Ora però so che il tempo è scaduto, so quello che sta non solo per accadere,<br />

ma soprattutto per cadere…<br />

Anche se la massa della Franzer è impressionante… me la sbatto contro e<br />

faccio leva sulla scala… le tengo alta la testa e la faccio atterrare sul culo, rotolando<br />

insieme a lei sul lastrico del balcone…<br />

Qualche ammaccatura, ma niente di più, per fortuna.<br />

Hanna Franzer ha evitato l’orrendo volo pindarico che la sua rassegnazione<br />

di donna consumata, sotto tutti i punti di vista, l’aveva spinta a concepire,<br />

quale vendetta contro il mondo intero.<br />

Eccola qui, adesso…<br />

Accartocciata sulle mattonelle dei vicini, a cosce nude, con due macchie di<br />

porpora sulla schiena, sempre più larghe…<br />

Hanna doveva conoscere il suo assassino: ha cercato di addomesticarlo spogliandosi,<br />

ma lui ne ha avuto abbastanza e ha interrotto lo show aprendo un<br />

buco nella fronte della figlia e due nella schiena della madre.<br />

Non l’ho ancora vista in faccia, qualche sussulto dei piedi mi dice che è ancora<br />

viva.<br />

La tiro su e la metto seduta con la schiena contro il muretto laterale del balcone:<br />

la faccia è orribile, la testa si piega floscia sul petto.<br />

Ho pochissimo tempo per farla parlare.<br />

Le ricompongo le tette all’interno della camicetta: non deve morire come una<br />

bagascia, è pur sempre una mia “ex”.<br />

Me la guardo.<br />

Sei ancora bella, Hanna. È strano, ma è così.<br />

«Hanna… dimmi chi è stato… lo conoscevi, vero?».<br />

«Mmm… uuuh…».<br />

Solo gemiti: la prendo per il mento e le tiro su la faccia.<br />

Gli occhi sono persi chissà dove.<br />

«Fai uno sforzo, dannata troia: dimmi chi è stato!».<br />

«Emi-lia-no… sei… ancora… qui…?».<br />

«Sì, sono qui, ma sbrigati, hai poco tempo: voglio fargliela pagare…».<br />

«Mmm… sì… sì…».<br />

Finalmente la troia sembra aver capito.<br />

«Avanti…».<br />

| 22 |


«Don… Don… Sal… va… to… uuuh», lo sforzo è enorme, ogni sillaba è accompagnata<br />

da uno sputacchio di sangue: sicuramente ha un polmone bucato.<br />

«Don Salvatore Petrucciani, il boss calabrese in sedia a rotelle: ci voleva tanto,<br />

Hanna?<br />

E il killer, come si chiama il killer?».<br />

«Perché non lo chiedi direttamente a me, infame!».<br />

Cazzo! E questo com’è entrato?<br />

«Eh eh… sorpreso, vero?<br />

Questo idiota si è venduto casa per farsi la nostra roba…<br />

Cazzone! È una bella fortuna per me che tu scopassi ancora questa troia».<br />

«Sono venuto solo per parlarle».<br />

«Non ha più importanza, adesso: avrò un grosso extra per il tuo cadavere».<br />

«Visto che devo morire anch’io, dimmi perché il tuo capo la vuole morta».<br />

«È presto detto: questa troia si scopa tutti, ha cercato di scopare anche con<br />

me, ma a me la ciccia molle non piace.<br />

Eppure con il capo non voleva scopare: ti sembra giusto?».<br />

Cazzo, Hanna! Sei strana forte…<br />

«Ma non compatirla troppo, eroe.<br />

Lei doveva attirarti in trappola. E c’è riuscita…<br />

Eh eh… sorpreso, vero?».<br />

Ora capisco!<br />

Che troia! Ci sono cascato un’altra volta…<br />

Voleva fregare tutti: la figlia, il vecchio amante, il boss.<br />

Ma le voglio concedere un’ultima possibilità.<br />

«È vero, Hanna? Volevi fregarmi?<br />

Hanna…!», le urlo addosso; il killer mi lascia fare.<br />

«Sì… sì…».<br />

Troia!<br />

Nella morte, almeno, è sincera.<br />

Voleva fregarmi, è rimasta fregata.<br />

Tra poco porterà le sue colpe all’inferno.<br />

Non mi ha mai amato: non lo sapevo, forse?<br />

§ 21. Ancora non s’arrende.<br />

«Fammi un favore, allora: falle un buco sulle tette da parte mia…».<br />

Hanna apre la bocca, incredula: non se l’aspettava…<br />

L’idea di precipitarsi all’inferno non l’alletta più, evidentemente.<br />

Coltiva ancora qualche speranza, anche morente, anche se oltre a me deve<br />

commuovere il suo stesso killer.<br />

«E-mi-lia-no… no…».<br />

«Ah ah… la troia è preoccupata…<br />

| 23 |


Devi pregare me, bella, non il tuo vecchio boyfriend…».<br />

«No… no…», Hanna non sa dire altro…<br />

«E la roba, allora? Lei non c’entra niente con la roba?».<br />

«Che roba? Con la roba ci giocava la figlia, ma c’è rimasta bruciata…».<br />

«Ho visto, ho visto… Ma forse tu non hai visto questa…», si irrigidisce subito,<br />

allungando la canna del revolver verso di me.<br />

Ho solo accennato alla tasca esterna della giacca, dove ho infilato la roba di<br />

Hanna.<br />

«Fai vedere, ma con due dita…».<br />

Con il pollice e l’indice estraggo lentamente la busta e gliela lancio.<br />

La sorpresa si rovescia ed è grande; la libidine di denaro del sicario si scatena;<br />

gli occhi si illuminano di successo: il premio per i due cadaveri, più quello<br />

extra, e tanta roba extra.<br />

È l’attimo giusto.<br />

BANG BANG<br />

Basta un attimo per cambiare il destino.<br />

È rimasto in piedi, stordito.<br />

Prova a puntare il revolver, è un gesto rallentato e istintivo, quasi inerziale.<br />

BANG<br />

Ma pur sempre una minaccia.<br />

Chiudo i conti con un colpo in fronte.<br />

Quando ho tempo per prendere la mira, preferisco essere preciso.<br />

Peccato per Hanna. Anche se mi ha tradito per l’ennesima volta.<br />

«Bra… bra-vo…», a stento riesce a ringraziarmi per averle allungato la vita di<br />

qualche minuto.<br />

Nonostante tutto, non mi compiaccio di vederla a penzoloni della morte, con<br />

la testa che si flette sul petto, gli occhi che non guardano più questo mondo e<br />

le mani che sussultano sul ventre, palme verso l’alto.<br />

Non c’è tempo per arrivare in ospedale, forse non c’è tempo nemmeno per<br />

caricarla in ambulanza.<br />

Brutta fine, Hanna.<br />

Ma mi hai fatto sognare ancora una volta.<br />

§ 22. L’ultima proposta.<br />

Finalmente l’ambulanza sembra aver trovato l’indirizzo giusto; gli spari,<br />

d’altronde, sono i migliori navigatori della terra.<br />

Però fanno anche paura, i paramedici ancora non si vedono.<br />

Ne approfitto per dare l’addio ad Hanna.<br />

Le abbottono la camicetta fino al collo: mi rimarrà fedele almeno alla fine.<br />

Le rubo un ultimo bacio: anche l’alito è ormai freddo.<br />

«Maledetta troia, cerca almeno di arrivare in ospedale!».<br />

Ma sta male, non mi capisce. Non ce la fa più.<br />

| 24 |


La vedo franare sul fianco, è inutile impedirlo, finisce con la schiena a terra, si<br />

agita supina. Il muretto, rimasto scoperto, rivela l’orrendo tributo di sangue<br />

versato da Hanna Franzer al balcone del primo piano.<br />

Ne ha per pochissimo, è già morta, chissà se lo sa.<br />

Mi abbasso accanto a lei.<br />

«Hanna…», la chiamo con un sussurro.<br />

Muove le labbra, impastate del suo sangue.<br />

«Gra… zie…», mi ha sentito, lo dice senza vedermi, lo sguardo è lontano,<br />

perduto nel nulla.<br />

«Di niente, Hanna. Te lo dovevo. Per i bei tempi andati.<br />

Anche se volevi fregarmi… ancora una volta…».<br />

Potrebbe essere il suo epitaffio, ma Hanna vuole dirmi ancora qualcosa…<br />

«Vo-glio… ri… met… ter… mi… con… te…».<br />

Come no… una prospettiva allettante… di sicuro successo…<br />

Hanna…! Ma se non ne hai più nemmeno per fiatare…<br />

In quella posizione, però, con le tette per conto loro, sotto la camicetta bianca,<br />

sparse per tutto il corpo, steso per sempre, Hanna è ancora una grossa<br />

tentazione. Anche così.<br />

Me la farei subito.<br />

Ma devo andare.<br />

«Va bene, per me va bene, ma intanto rimettiti in sesto, okay…?».<br />

Tanto vale darle un contentino. È la mia estrema unzione.<br />

«Giu…ra… giu… ra…», la voce viene già dall’Oltretomba.<br />

Vorrei gridarle in faccia che è finita…<br />

Ma non sarebbe galante.<br />

«Giuro che ci rimettiamo insieme, Hanna».<br />

Contenta, adesso?<br />

La troia tira un paio di sospiri difficili, come fosse davvero contenta e attenta a<br />

non lasciarsi andare.<br />

Povera stupida, dovevi pensarci prima, non adesso.<br />

Adesso stai per spiccare il grande salto.<br />

E non posso più aiutarti.<br />

Le tocco le tette per l’ultima volta e mi rimetto in piedi.<br />

Riprendo la mia roba e lascio la porta aperta ai paramedici.<br />

Addio, Hanna.<br />

Le mie belle scopate con te mi accompagneranno sempre.<br />

Faccio il giro dall’alto per evitare incontri imbarazzanti e vado a riprendermi la<br />

mia SLK: ho deciso di seguire l’ambulanza di Hanna come si segue un carro<br />

funebre.<br />

Anche se la velocità è alta, molto più alta.<br />

Mi viene il dubbio che la troia abbia in mente un altro volo pindarico dei suoi.<br />

Chissà cosa si è messa in testa, in mezzo a tutti quei tubi.<br />

Sei una dannata troia, Hanna.<br />

E se la morte ti fa perdere qualche chilo…<br />

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