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IL C IL CANTIERE MUSICALE - Conservatorio Paganini

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chiesa che di buono ha il profumo di incenso, fa<br />

girare la testa.<br />

Vederti camminare con fatica, perché la stampella<br />

la trovi umiliante, perché forse sei vanitoso<br />

come vanitosi sono i preti, perché non vuoi far<br />

vedere che è l’ultima Pasqua, mi fa venire una<br />

calma improvvisa. Tanto che qui, in chiesa,<br />

ospite provvisorio, mi fermerei a riposare per<br />

qualche ora in silenzio, dopo tutto questo trambusto.<br />

Mi concentrerei sugli anni, proverei ad<br />

ordinare le date, a ricordare quanto più posso,<br />

Don, a seguire i momenti passati insieme a cantare,<br />

di fronte ai tuoi occhi piccoli, ai tuoi gesti<br />

così chiari e così senza scuola.<br />

Ad ogni fine concerto, la cena, o il pullman, talvolta<br />

due lire, e i commenti, i rinfreschi dietro le<br />

quinte, e una bella o che sceglievo essere tale,<br />

fra contralti o soprani, un’innamorata da provare<br />

a accostare o con cui litigare. Con in bocca, al<br />

ritorno, ancora il sapore di quell’esercizio d’amore<br />

che era cantare insieme.<br />

Idiota, credevo che tutto mi potesse aspettare.<br />

Invece, mi tocca sentire con un nodo in gola<br />

l’Alleluja finale di Haendel, e vederti, Don, che<br />

dirigi colla sedia di dietro e un inginocchiatoio<br />

davanti ma in piedi, colle dita che dici "son quattro!"<br />

alle sezioni: le ultime battute, quattro volte<br />

alleluia, poi insieme nell’accordo finale, tenuto<br />

finché c'è fiato. E poi, come sempre gli applausi,<br />

anche se siamo in chiesa.<br />

E’ finita, Don, maledizione, non solo una messa<br />

o un concerto. Non c’è un’altra festa a cui darsi<br />

ritrovo. Questa è la vita, la cosa a cui il tuo vecchio<br />

mestiere forse sa dare un nome ed un senso.<br />

Io no, così non mi fermo. Anzi scappo, senza<br />

neppure darti la mano.<br />

Giorgio De Martino [aprile 2004]<br />

A colloquio con Paolo Miccichè, autore dell’allestimento hi-tech di "Norma"<br />

al teatro Carlo Felice<br />

Crisi del linguaggio e<br />

nuove prospettive della regia lirica<br />

"La mia generazione ha vissuto pesantemente la crisi del linguaggio.<br />

Quando ho cominciato i nostri punti di riferimento potevano essere, a vari<br />

livelli, grandi maestri quali Strehler (che nell’opera rappresentava il latore<br />

di un linguaggio ancora vivo). Noi ci siamo trovati tutti ad essere necessariamente<br />

degli epigoni".<br />

Quarantacinque anni, romano, Paolo Miccichè è regista e visual director.<br />

Sua, la Norma hi-tech applaudita in marzo al Carlo Felice: un allestimento<br />

fatto di immagini virtuali in movimento. "Un tempo in una abitazione c’era<br />

pochissimo per l’Entertainment. Poi le persone uscivano, andavano a teatro,<br />

e la loro pellicola psicofisica era estremamente impressionabile. Ora,<br />

quando usciamo riusciamo a stare pochi secondi senza musica, senza sollecitazioni<br />

visive. Oggi siamo bombardati, ovunque. Il problema del linguaggio<br />

è forte. Questa mia è una strada dove cerco di trovare altre formule di<br />

presentazione, considerando che l’opera è in fondo un pacco di fogli, che<br />

viene rimesso in scena ogni volta".<br />

Ma lei crede ancora nella forza dell’opera…<br />

"Naturalmente, in quanto oggetto drammaturgico teatrale. Ho dei dubbi<br />

invece su come tutti noi la stiamo presentando. Sulla scarsa ricerca de<br />

nuovo pubblico. Trovo conforto leggendo le lettere di Verdi, dove il compositore<br />

è spesso occupato a lottare contro le abitudini della routine del suo<br />

tempo. Lo vedo costantemente cercare mezzi nuovi per impressionare il suo<br />

pubblico, nell’esigenza di stabilire un contatto… Quando lavoro non mi<br />

chiedo mai cosa voleva a suo tempo il musicista ma l’esatto opposto: mi<br />

chiedo cosa vorrebbe oggi!".<br />

Quali soluzioni propone?<br />

"Oggi l’opera ha assorbito quello che hanno dato i grandi maestri del<br />

cinema, ovvero una grande consapevolezza drammaturgica, da Visconti a<br />

Strehler. Ma l’opera ha bisogno anche d’altro. La mia strada permette la<br />

possibilità di avere, utilizzando una proiezione su film, non un contesto dato<br />

che costringe a una sua realtà fisica, bensì qualcosa che è in costante mutazione<br />

e che cerca di seguire il respiro musicale… Un altro canale, un’altra<br />

polifonia, in questo caso visiva".<br />

Quali strumenti utilizza?<br />

"Ogni proiettore ha due sistemi di rulli che permettono anche di scorrere in<br />

parallelo o ruotare di 360 gradi. Si tratta di mezzi tecnologicamente elaborati,<br />

soprattutto nella messa in scena dove bisogna calibrare l’intensità, il<br />

11<br />

Un concerto<br />

per ricordarlo<br />

Un concerto in memoria del Maestro<br />

Porro si terrà sabato 2 aprile alle ore<br />

21 presso la Sala Concerti del <strong>Conservatorio</strong><br />

<strong>Paganini</strong>. Di scena il Coro<br />

delle Voci Bianche de "I Polifonici di<br />

Genova" diretti da Fabio Macelloni.<br />

Organista, Silvia Derchi.<br />

In programma lo Stabat Mater di Pergolesi.<br />

movimento. C’è un’articolazione dell’immagine in modalità comunicativa,<br />

ed un legame simbolico nell’utilizzo dei materiali".<br />

Dietro tutto ciò, la sua chiave di lettura di “Norma”…<br />

"E’ un’opera alla fine senza plot, quasi un esperimento a pannelli dove<br />

accadono degli eventi-pretesto. Bellini analizza molto i sentimenti umani<br />

basici. In Norma tutto parla un linguaggio primario e cosmico: foreste,<br />

luna… E’ tutto molto grande, non ci sono piccoli gesti. Sono trattati i sentimenti<br />

dell’amore, della violenza guerresca, del risentimento: vengono campionati<br />

e trattati da Bellini, senza un vero sviluppo psicologico. Se andiamo<br />

a cercare la storia, per farci trascinare avanti, prendiamo la strada sbagliata".<br />

Oltre alle immagini?<br />

"Poco altro. La scena è realizzata sostanzialmente da una situazione molto<br />

elementare di elementi di proiezione: tulle, che sono “Sceno” e che raccolgono<br />

la “Grafia”. Abbiamo sempre una enorme luna-gong dietro, e materia<br />

lunare, e un mantello gigantesco per il rito (“Casta diva”)".<br />

Il suo è un tipo di linguaggio applicabile a tutto il melodramma?<br />

"Sì, in modo più o meno calzante. Ho iniziato a sviluppare questo linguaggio<br />

all’aperto, con grandi spazi: nel ‘99 ho fatto una “Madama Butterly” per<br />

l’Arena di Verona con 9 macchine di proiezione. A 130 metri di distanza,<br />

non “racconto” più con gli sguardi e i movimenti dei cantanti, ma solo con<br />

una regia visiva, dove la proiezione è un personaggio, e mi da la possibilità<br />

di comunicare a distanza una parte della drammaturgia. Questa strada mi<br />

sembra inevitabile. Anche se non lo so se sia l’unica. La mia Butterfly dell’Arena<br />

conquistò tutti i giovani che la videro. Ma ebbe anche un buon<br />

riscontro nel vecchio pubblico, perché non c’è niente di eversivo: c’è un<br />

adeguamento tecnico visivo, ma non metto i jeans a Rigoletto! Bisogna<br />

saper stabilire un contatto anche con i giovani, bisogna parlare col nuovo<br />

pubblico nella sua stessa lingua. E’ una necessità … Mi chiedo cosa farebbe<br />

oggi un Puccini, uomo straordinario e pieno di curiosità".<br />

Ha dei riferimenti forti?<br />

"C’è un collega illustre che in passato ha portato avanti talvolta questo tipo<br />

di linguaggio, Pier’Alli. A livello dei grandi spazi è un linguaggio di cui<br />

credo avere l’unica paternità. Ma riesco a portarlo avanti solo parzialmente,<br />

perché per accoglierlo davvero ci vuole un cambio di sistema".<br />

Partendo da?<br />

"Ci vogliono nuove tecnologie, che portano poi a nuove professionalità. E<br />

ci vuole anche il coraggio di scommettere: mi chiedo perché, in un<br />

momento di crisi economica delle Fondazioni, non si possa fare almeno<br />

un’opera all’anno nello stadio della propria città. La mia esperienza di teatro<br />

in giro per l’Europa è che, usando questa tecnologia, quando proprio una<br />

produzione dal punto di vista economico “non decolla” è perché ha raggiunto<br />

la parità tra denari spesi e guadagnati". gdm<br />

PRIMAVERA 2005

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