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IL C IL CANTIERE MUSICALE - Conservatorio Paganini

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“Addio Don Luigi Porro, cantore della gioiosità”, titolava un giornale genovese<br />

annunciando alla città la morte del grande Maestro.<br />

Proviamo a riflettere su questa immagine e cerchiamo di tradurla concretamente<br />

per chi (forse i più giovani) non hanno avuto la fortuna di conoscerlo e anche per<br />

coloro (tantissimi, davvero) che hanno invece avuto il piacere di fare questa<br />

esperienza, musicale ed umana.<br />

Ebbi già modo di parlare di lui da queste pagine, in occasione della festa-concerto<br />

per il suo ottantesimo compleanno; per questo dirò brevemente della decisiva<br />

influenza della sua figura sulla mia formazione di direttore di coro e, naturalmente,<br />

della sua innata capacità di tenere insieme un grande gruppo, fatto di<br />

persone di ogni età e provenienza, accomunato dall’amore per il canto corale<br />

(cioè per il canto fatto insieme) a cui solo il “Don” sapeva infondere un tratto<br />

esclusivo. Porro è riuscito a far questo nell’arco di quarant’anni e, se ci soffermiamo<br />

per un attimo a pensarci, capiremo che ciò è assolutamente straordinario.<br />

Vorrei perciò, ritornando all’immagine iniziale, sottolineare fortemente quelle<br />

due parole chiave: “canto” e “gioia”, come sintesi della sua vita di uomo, di formatore<br />

e didatta, di comunicatore e punto di riferimento di una città, di musicista<br />

ed artista. Ora che il tempo ci allontanerà gradatamente dall’evento luttuoso,<br />

ora che Il tempo s’è compiuto, come sembra suggerirci il titolo di una sua bella<br />

e antica composizione, le sue musiche potranno testimoniare con netta rilevanza<br />

tutto quello che le parole non riescono a fare compiutamente.<br />

Frammento di Il tempo si è compiuto<br />

Un frammento del brano citato dove, incastonata come una gemma all’interno<br />

del canone di derivazione tematica, si distende come un cantus firmus la linea<br />

del contralto: la modalità conferisce al passaggio un tratto di arcaico fascino ma<br />

la scrittura è fresca e moderna.<br />

Diceva la collega Tiziana Canfori in occasione di una delle prove per la già citata<br />

festa-concerto: “Nel Super Flumina Babylonis che ascolto c’è un’idea nobile e<br />

intensa della voce umana, racchiusa in quel sapiente impasto sonoro che con<br />

tanta passione i suoi cantori stanno intrecciando sopra le teste di tutti noi.” [da Il<br />

Cantiere Musicale, anno II n°16, estate 2002]<br />

Frammento di Super Flumina Babylonis<br />

Luigi Porro: Polifonia di linee musicali e di storie personali.<br />

9<br />

L’episodio centrale del mottetto, tratto dal famoso salmo 136, che ispirò a Palestrina<br />

e Verdi musiche immortali.<br />

Per chi ha conosciuto Don Porro, ancora oggi, le parole di Canfori significano<br />

viva commozione, perché è straordinario vedere come una collega, di pur di<br />

grande sensibilità musicale, che non aveva tuttavia mai avuto modo di conoscerlo<br />

personalmente, abbia colto alcuni punti fondamentali della sua musica e<br />

li abbia così bene sintetizzati: il calore e l’intensità, la semplicità nobile di quel<br />

suono a cui tutti avevamo la fiera consapevolezza di partecipare, di quella Polifonia<br />

di linee musicali e di storie personali che ognuno, esecutore o ascoltatore<br />

poteva vivere come momento privilegiato ed irrepetibile.<br />

Posso affermare con tranquillità che le diciotto battute del “communio” O salutaris<br />

Ostia appartengono di diritto alla sfera dei capolavori senza tempo, avendo<br />

in sé la purezza delle linee mozartiane, la serena rassegnazione<br />

di Fauré e la sapiente solidità di scrittura<br />

della tradizione polifonica italiana.<br />

Frammento di O salutaris Ostia<br />

La “meravigliosa” falsa relazione dell’Amen.<br />

Perché così faceva il Maestro, sapendo riconoscere<br />

per istinto i “grandi”, lui che si avvicinò alla grande<br />

musica da autodidatta puro, toccando da bambino un<br />

tasto dell’armonium della sua parrocchia di Nervi e<br />

rimanendone affascinato, per poi scoprire che, toccandone<br />

due contemporaneamente, l’emozione era ancora più forte!<br />

Questo disincanto don Porro se lo porterà dietro tutta la vita e molto spesso lo<br />

vediamo riaffiorare nella sua musica, come una magia: durante gli anni del seminario<br />

trova un testo (nemmeno lui ne ricorderà poi la provenienza) e lo musica<br />

per una voce bianca solista e organo. Il brano si intitola Ave di grazia piena. La<br />

melodia è davvero dolcissima e l’armonizzazione ricca di chiaroscuri ma ciò che<br />

lascia davvero incantati è l’unico frammento a cappella dell’intera composizione,<br />

a tre voci pari: qui ritroviamo l’atmosfera sognante e magica dei fanciulli<br />

del Zauberflöte. È un attimo, ma è molto intenso e resta dentro quando si finisce<br />

di ascoltarlo.<br />

Frammento di Ave di grazia piena<br />

Pretendere qui di analizzare per intero l’opera corale di Porro è ovviamente impossibile.<br />

Occorre comunque ricordare l’ingente mole di musica liturgica, in particolare<br />

di messe, scritte per la Cattedrale di Genova, S. Lorenzo; nonché l’eccezionale<br />

lavoro di elaborazione di brani di tradizione popolare, anche non strettamente connessi<br />

con la liturgia e un continuo lavoro di trascrizione e adattamento allo strumento<br />

“coro” di tutto quello che gli suggeriva il suo istintivo e illuminato talento<br />

naturale. Vorrei chiudere, tuttavia, parlando brevemente di un brano che il Maestro<br />

portò, fresco di stampa, ad una delle ultime prove che fece nel 2004. Mi colpì<br />

subito e cercai poi di capirne le ragioni: Suscitabo mihi, per coro e organo sarà l’ultimo<br />

brano composto da Don Porro ed è un mottetto di grande bellezza. Duplice<br />

riflessione: intanto sulla scelta del testo (“Risveglierò in me il sacerdote fedele…”)<br />

e in secondo luogo sull’utilizzo di un incipit melodico<br />

Frammento di Suscitabo mihi<br />

che ha la stessa matrice del corale luterano che Bach utilizza nella famosa Cantata<br />

BWV 4 Christ lag in Todesbanden (Cristo giacque nelle bende della morte).<br />

Se sovrapponiamo i due elementi, testuale e musicale, tutto ciò assume un valore<br />

fortemente simbolico, che si comprende appieno ascoltando tutta la partitura, di<br />

un lirismo mai come qui intriso di composta rassegnazione e intima accettazione<br />

della fine vicina; e neppure la sezione centrale in maggiore, riesce a stemperare<br />

l’evidenza di questi tratti, con le quattro voci “costrette” in un registro medio, in<br />

una intensità che solo intimamente può esplodere, ma che non può trasformarsi<br />

in urlo.<br />

Marco Bettuzzi<br />

PRIMAVERA 2005

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