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54 di angelita peyretti sciocchina bazar 02 <strong>2005</strong><br />
“i vicini” di marco begani<br />
QUEL SANTO DI VALENTINO<br />
Dirovvi ora qual sia la verace<br />
et secura istoria de lo santo de li<br />
Valentini che tanta speme incendia<br />
ne lo torace ad tante genti de lo orbe<br />
interamente<br />
Lo raccunto encomencia in la città di Ternide, di fama assai vergonzosa por<br />
causa di vizioserrimi pagani rituali in essa frequenterrimi. Quivi conducea<br />
vita assai modesta et pudica lo Abate Valente, Abate gnomo che por issa<br />
causante nomato fu da qualchedun impudente, Valentino.<br />
Al principiare de lo raccunto poco santo apparia lo tal prelato, et anzi nu poco<br />
profano lo avria detto se incontratolo nel foltume de lo fitto bosco davanti<br />
casa in una aubscura notte como solo ve ne erano al tempo.<br />
Et fu di ritorno da una di codeste sue gite porcine ne lo bosco che lo<br />
abatino rinvenne uno fagotto di picciola dimensione davante de lo portone<br />
di sua dimora. Lo aperse e con sua gran sorpresa vi scorse una criaturina.<br />
Immantinente isso fu colto da illuminazion, non proprio divina, epperò di<br />
grande umano ingegno, pensò:<br />
“Se qui la crescerò, presto non mi farà bisogna di far tante gite ne lo bosco!”<br />
Et de buon augurio Pulcrezia la nomò.<br />
La infanta, a lo principio un poco incomoda per lo abate che tanto avea<br />
de pregare sera e mattin, crebbe in clandestina dimora e infine addivenne<br />
signorina sanza che un sol giovinotto la abesse mai concupiscita.<br />
Giunta era la ora de tratar essa al pari di una isposa, ma ella por lo contrario de<br />
portarse ben e modestamente, pretendea licenziose libertà.<br />
“Abate!” pregava, “Concedetemi ir ne lo marciapiede a dar un passo o due,<br />
di grazia!”<br />
Ma lo abate, che cresciutala la abea no por li altrui appetiti, nol concedea,<br />
impensierendosi che alcuno la bramasse. Eppur la giovinetta, inconscia di<br />
tanto periglio, un dì risolse sé medesima a uscìer finalmente per la via in sotto<br />
de lo cielo aperso. La innocianta camminava in ispensierati atteggiamenti,<br />
quando lo primo masculo che videla passar diggià la volle.<br />
Non dispiacque a la Pulcrezia lo trattamento, sicut intentò destar la<br />
medesima attenzion in quello e quello altro giovinotto ne li giorni a venire.<br />
Indi no solamente cum onesti omini, sibben cum canibus et purcus issa iba<br />
piacevolissamente. Niuno sapea chi fusse e donde venisse ella, nondimeno<br />
gradiban.<br />
“Mala ventura!” si disisperava lo infelice abate, “Siffatta puta ho cresciuto!<br />
Ah, covava una serpe in pectore! Chi mai le diede un tal esemplo?!”<br />
E de lo nanetto che erat, no podia cursar dietro lei a gran velocità per<br />
impedire cotanti inganni, et molto si daba da fare su le piccine zampette, sed<br />
giammai arrivava per tempo.<br />
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Giunse uno ancor più tristo giorno per lo abate, che diggià forse in odor di<br />
santità avea tanto pregato Iddio che ella abbandonasse tanto dubia costumanza. Lo<br />
infausto giorno fu quello in che ella conobbe lo mal uomo scuro.<br />
Era egli uno viandante venditor de pitre focaie d’ogni color, di pagano costume<br />
e poco avvezzo a le buone maniere, sicut quando ella li fu sotto la negra mano,<br />
immantinente l’afferrò al pari di uno bestio con sua degna preda.<br />
La fanciulla, tanto ebbe riecognoscienza all’uomo, che pregollo volerla isposar. Lo<br />
negro nol negò, e subitamente si apparecchiò por lo cerimoniale.<br />
“Temporeggia!” ella pregò, “Lo abate mio ne morrà! Deberemo aber un poco de<br />
tatto cum isso!”<br />
Lo abate Valentino tanto lagrimò, epperò non li facea difetto lo affetto caro versus la<br />
donzella un poco zozza, sicut la benedicò con suo isposo.<br />
Li cristiani, al tempo ancor esigui sed non di piccina voluntà, venutisi a conoscienza<br />
de lo turpe fatto, al rogo ambedue li volean portare, lo infedele uomo, dal color di<br />
tenebra, e la femmina audace che creduta fu strega por no aber parenti.<br />
Già si preparava la pira per li amanti empii, che lo abate si risolse a lo gesto eroico<br />
che la santità gli valse: “Fermi!” aggridò, “issa non è megera! Mio seme generolla!”<br />
Toda la gente non sapea donde volger lo guardo, poiché udia la voce però no<br />
scorgea la fonte tanto si levava da una infima altura.<br />
“Qui mi trovo!” Ello insistè, e lo videro infine, in grande agitazione dietro uno<br />
sgabello intentar montarvi sopra.<br />
“Isso? Lo abate gnomo? E como es fattibile cotanta ventura?”<br />
“Venne da me una granda donna”, continuò Valentino, “di beltà irresistenda, che fu<br />
da me ingravidata. Issa, dopo partorita la sventurata che vorreste ardere, disse uscire<br />
un attimo e sue ampie carni mai più rividi.”<br />
Le genti, se la bevvero la gran balla, e riecognobbero la fanciulla qual sua prole.<br />
Salvaro cum issa anco lo suo compare, e furo essi indicati como “coppia de facto”.<br />
Epperò de lo abate si disfarono in gran fretta por la dissoluta vita che ebbe avuta.<br />
Passaro li seculi, e prima o poi qualcheduno scoperse e intese lo ben che avea fatto<br />
lo abate sacrificando sua istessa vita in favore di quelle de li amanti, proteggendo de<br />
tal maniera l’amor loro. Fu così che si decise che isso era santo et beato, non si sabe<br />
se por aber supportato cotanta zoccola, o por lo sacrifizio.<br />
E ancor adesso, a tuttodì, si suole con gran biscotti e cioccolati e floreanze li grandi<br />
amori festeggiare, che sean sotto lo sacro sigillo de le religiose credenze, che sean<br />
profani e un poco cumplicati.