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84<br />
proprio tempo<br />
e ha adottato il<br />
paradosso di Musil<br />
per rovesciare<br />
dall’interno il<br />
carattere costruttivo<br />
della creazione<br />
artistica. Egli<br />
ha compreso<br />
che non si può<br />
fermare il mondo,<br />
sarebbe idealistico<br />
e impossibile,<br />
pertanto ha deciso<br />
di assumere un<br />
r<strong>it</strong>mo che non lo<br />
tiene avulso da quello della realtà, giocato sulla veloc<strong>it</strong>à e sulla<br />
rapac<strong>it</strong>à della quant<strong>it</strong>à. Pertanto ha sviluppato un lavoro che ha<br />
avuto sempre rispetto dell’ “occasione”, della circostanza esterna<br />
che determina gli accadimenti dell’esistenza.<br />
Schifano ha cap<strong>it</strong>o che essere artista moderno significa<br />
innanz<strong>it</strong>utto essere uomo moderno, proprio nel senso musiliano<br />
del termine, di colui cioè che non si sottrae agli inv<strong>it</strong>i della v<strong>it</strong>a<br />
ed è consapevole dell’occasional<strong>it</strong>à di una v<strong>it</strong>a non pianificabile.<br />
Vari procedimenti ha adottato Schifano nel suo lungo<br />
lavoro, ma tutti giocati sulla possibil<strong>it</strong>à di rimanere a stretto<br />
contatto con l’esterno. Qui si è fatto assistere dalla veloc<strong>it</strong>à,<br />
dalla disciplina e dall’improvvisazione, dall’occasione e<br />
dall’ispirazione, dallo sguardo limpido e da quello “cieco” e<br />
“semicieco”, dunque da tutte quelle condizioni che presiedono<br />
la v<strong>it</strong>a nel suo formarsi aperto e precariamente v<strong>it</strong>ale.<br />
Così l’opera di Schifano non si è sviluppata lungo il percorso<br />
lineare e astratto che porta dalla quant<strong>it</strong>à alla qual<strong>it</strong>à, bensì<br />
lungo il campo di una circolar<strong>it</strong>à che ha riportato la quant<strong>it</strong>à<br />
qual<strong>it</strong>ativa a qual<strong>it</strong>à. Questo significa per lui essere artista<br />
moderno, artefice di un’opera che vive incessantemente i r<strong>it</strong>mi<br />
stessi che reggono la storia.<br />
Dipingere “bene” e dipingere “male” non cost<strong>it</strong>uisce il<br />
problema di fondo di Schifano che conosce naturalmente bene<br />
le tecniche della p<strong>it</strong>tura. Piuttosto, se egli vuole porsi come<br />
il medium, il fine di questo è la produzione. Sottrarsi alla<br />
tirannia compiaciuta del controllo esecutivo, essere cieco e semicieco,<br />
non contemplare il proprio risultato, ma scavalcarlo in<br />
un’ulteriore tensione produttiva.<br />
Ecco l’equazione creativa di Schifano, artista moderno<br />
(quant<strong>it</strong>à, qual<strong>it</strong>à e poi quant<strong>it</strong>à), l’<strong>it</strong>inerario materialista di un<br />
artefice di immagini che crede nell’assunto “il tempo è denaro”,<br />
nel valore simbolico di uno scambio che dà statuto di esistenza<br />
all’arte. Per Schifano essere artista significa fare l’artista.<br />
La fotografia ha introdotto un procedimento anaffettivo,<br />
una mental<strong>it</strong>à che sembra meglio fare il calcolo delle cose e<br />
A LATO:<br />
MARIO SCHIFANO<br />
SMALTO SU TELA, 1979/80<br />
CM 120 x 80<br />
strappare alla realtà la pelle. Un luogo comune assegna alla<br />
fotografia il ruolo di una crudele oggettiv<strong>it</strong>à, il senso di una<br />
pratica chirurgica che seziona, taglia e preleva il dettaglio nella<br />
rete di relazioni con il mondo. La fotografia è una pratica dello<br />
strappo.<br />
L’occhio del fotografo Mario Schifano parte da una pratica<br />
costante, che è quella dell’assedio, di uno sguardo circolare per<br />
poi passare a un affondo che viviseziona il panorama di insieme<br />
ed estrapola il particolare.<br />
Mario Schifano ha cap<strong>it</strong>o che il linguaggio dell’immagine<br />
fotografica non si discosta da quello delle altre arti. L’arte in<br />
generale è sempre pratica splendente di un’ambigu<strong>it</strong>à senza<br />
soste, il linguaggio dell’arte non parla mai direttamente e<br />
frontalmente del mondo ma lo coniuga sempre obliquamente<br />
e trasversalmente. Insomma, egli ha cap<strong>it</strong>o che anche la<br />
fotografia, che tradizionalmente sembrava porsi frontalmente<br />
rispetto alle cose come pura registrazione, possiede invece<br />
un occhio obliquo e laterale che guarda le cose e le riflette<br />
modificate di segno, spostate in un altro luogo.<br />
Mario Schifano si conferma artista totale, produttore di un’arte<br />
istantanea che sintetizza nell’occhio e nella mano uno spaccato<br />
di v<strong>it</strong>a senza soluzione di continu<strong>it</strong>à. Anche la sua firma corre<br />
leggera per affermare non tanto un dir<strong>it</strong>to di proprietà, quanto<br />
piuttosto il desiderio di un’apertura su un mondo vista come<br />
pellicola in cui non si può sprofondare ma su cui è possibile<br />
soltanto sl<strong>it</strong>tare per continuare a vivere.<br />
Achille Bon<strong>it</strong>o Oliva<br />
Tratto da “Mario Schifano tutto” ed Electa<br />
Uff. stampa e comunicazione Monica Migliorati