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Nicolò Franco e il plagio del Tempio d'amore - Italianistica e ...

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<strong>Nicolò</strong> <strong>Franco</strong> e <strong>il</strong> <strong>plagio</strong> <strong>del</strong> <strong>Tempio</strong> d’amore<br />

Il caso <strong>del</strong>la stanza XIV <strong>del</strong> <strong>Franco</strong> rappresenta un esempio di <strong>plagio</strong> non<br />

completamente passivo, ma frutto di contaminazione e, quindi, di rielaborazione.<br />

Il primo verso <strong>del</strong>la stanza XIV è preso dalla stanza XXXIX <strong>del</strong> Capanio<br />

(verso 1): «Rose, gigli, ligustri, erbe e viole»; <strong>il</strong> verso 2 <strong>del</strong>la stanza <strong>del</strong> <strong>Franco</strong><br />

riprende invece la sequenza <strong>del</strong> verso 3 <strong>del</strong>la stanza XXVII <strong>del</strong> Capanio: «oro,<br />

gemme, rubini, perle ed ostro». Il verso 8 <strong>del</strong> <strong>Franco</strong> è preso quasi totalmente<br />

dal verso 8 <strong>del</strong>la stanza XXVII <strong>del</strong> Capanio: «e per dolcezza piange, arde e<br />

suspira» appena modificato dal <strong>Franco</strong> in «che per dolcezza piange, arde e<br />

sospira». Notiamo inoltre alcuni calchi plagiari: al verso 7 <strong>del</strong>la stanza <strong>del</strong><br />

<strong>Franco</strong> la ripresa dei verbi «specchia» e «mira», tolti dal verso 7 <strong>del</strong>la stanza<br />

XXVII <strong>del</strong> Capanio; <strong>il</strong> riferimento al «beato chiostro», al verso 6 <strong>del</strong>la stanza<br />

franchiana, ripreso dal verso 5 <strong>del</strong>la stanza XXVII <strong>del</strong> Capanio.<br />

Per quanto riguarda le stanze XII (Capanio)-XI (<strong>Franco</strong>) assistiamo da parte<br />

<strong>del</strong> plagiario alla sostituzione <strong>del</strong> “luogo” dove sorge <strong>il</strong> <strong>Tempio</strong>: da Napoli a<br />

Venezia. I primi 6 versi <strong>del</strong>la stanza <strong>del</strong> <strong>Franco</strong> sono una creazione originale,<br />

mentre gli ultimi due sono tolti di peso dalla stanza XII <strong>del</strong> Capanio: «acciò tra<br />

l’aria, <strong>il</strong> mar, la terra e <strong>il</strong> cielo / oprasse <strong>il</strong> stral, la face, l’arco e ’l telo» (versi 6-8).<br />

Raccolti i dati analitici è opportuno ora soffermarsi sul senso <strong>del</strong>l’operazione<br />

<strong>Tempio</strong> d’Amore. Il furto <strong>del</strong> poemetto <strong>del</strong> Campan<strong>il</strong>e va inserito nella cornice<br />

storico-biografica che abbiamo in precedenza descritto: <strong>Nicolò</strong>, dopo gli anni<br />

napoletani <strong>del</strong>la frustrazione e <strong>del</strong>la invana ricerca <strong>del</strong> successo, abbandona la<br />

città partenopea per Venezia, dove viene accolto grazie all’amicizia <strong>del</strong> già citato<br />

Benedetto Agnello 34 , e dove ha modo di stringere immediatamente legami sia col<br />

circolo Badoer 35 che con quello <strong>del</strong>l’Aretino. Con l’aiuto di quest’ultimo entra in<br />

contatto con l’editore Francesco Marcolini, presso <strong>il</strong> quale pubblica <strong>il</strong> <strong>Tempio</strong><br />

d’Amore nel giro di alcune settimane, nell’agosto di quello stesso ’36. <strong>Nicolò</strong> ha<br />

fretta, vuole farsi conoscere, a Venezia deve sfondare; Marcolini ha iniziato da<br />

appena due anni a pubblicare, è un editore in ascesa con un progetto di tipo m<strong>il</strong>itante,<br />

attento ai contemporanei. 36 Il <strong>Tempio</strong> d’Amore si rivela tuttavia un insuccesso.<br />

37 L’esordio veneziano <strong>del</strong> <strong>Franco</strong> è in salita. Il <strong>plagio</strong> macroscopico non<br />

ha prodotto gli effetti desiderati e non perché i lettori abbiano smascherato la<br />

34 Cfr. GRENDLER, op. cit., p. 39.<br />

35 Cfr. DI FILIPPO BAREGGI, op. cit., p. 167. Su Federico Badoer si veda LINA BOLZONI, La<br />

stanza <strong>del</strong>la memoria. Mo<strong>del</strong>li letterari e iconografici nell’età <strong>del</strong>la stampa, Torino, Einaudi,<br />

1995, pp. 3-6.<br />

36 Si veda AMEDEO QUONDAM, Nel giardino di Marcolini. Un editore veneziano tra Aretino<br />

e Doni, in «Giornale storico <strong>del</strong>la letteratura italiana», CLVII, 1980, pp. 75-116.<br />

37 Cfr. GRENDLER, op. cit., p. 39 : «The book did not achieve much successo» e GIOVANNI<br />

AQUILECCHIA parla chiaramente di «mancato successo» (cfr. Pietro Aretino e altri poligrafi a<br />

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