14.07.2013 Views

L'ardimento. Racconto della vita di don Gnocchi - Fondazione Don ...

L'ardimento. Racconto della vita di don Gnocchi - Fondazione Don ...

L'ardimento. Racconto della vita di don Gnocchi - Fondazione Don ...

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

<strong>L'ar<strong>di</strong>mento</strong>. <strong>Racconto</strong> <strong>della</strong> <strong>vita</strong> <strong>di</strong><br />

<strong>don</strong> <strong>Gnocchi</strong><br />

<strong>di</strong> Stefano Zurlo<br />

ed. Rizzoli BUR, 2006<br />

<strong>Don</strong> Carlo <strong>Gnocchi</strong>: nell’accoglienza, l’incontro con Cristo<br />

crocifisso<br />

Durante la campagna <strong>di</strong> Russia <strong>don</strong> Carlo <strong>Gnocchi</strong> abbracciava i moribon<strong>di</strong> per<br />

accompagnarli all’estremo passo. Era il suo modo <strong>di</strong> incarnare il proprio compito <strong>di</strong> cappellano<br />

militare. Poi caricava la sua bisaccia <strong>di</strong> lettere, <strong>di</strong> foto e <strong>di</strong> ricor<strong>di</strong> degli alpini lasciati nella neve<br />

ghiacciata, impegnandosi a consegnarli alle famiglie. Ma un giorno un alpino che moriva gli<br />

fece una richiesta molto più impegnativa: «Il mio bambino lo raccomando a lei, signor<br />

cappellano». Fu come un brivido. <strong>Don</strong> Carlo si assunse questa responsabilità, fino in fondo:<br />

«Stai tranquillo, ci penserò io». Qui, nei meno cinquanta gra<strong>di</strong> <strong>della</strong> terra <strong>di</strong> Russia, prima <strong>della</strong><br />

tragica battaglia <strong>di</strong> Nikolajevka da cui ben pochi dei nostri alpini riuscirono ad uscire vivi<br />

dall’accerchiamento russo, maturò la vocazione <strong>di</strong> carità <strong>di</strong> <strong>don</strong> Carlo <strong>Gnocchi</strong>.<br />

Un uomo innamorato dell’uomo<br />

E’ una <strong>vita</strong>, quella <strong>di</strong> <strong>don</strong> Carlo <strong>Gnocchi</strong>, sempre <strong>di</strong> corsa, che fosse in treno o con la sua<br />

Topolino o con il mitico Galletto, all’insegna dell’incontro con l’altro uomo, dell’amore a tutto<br />

l’uomo, la cui piena verità è la croce <strong>di</strong> Cristo. Quella croce che <strong>don</strong> Carlo ha voluto abbracciare<br />

fin dentro la trage<strong>di</strong>a <strong>della</strong> guerra, avendo scelto lui stesso <strong>di</strong> lasciare il suo incarico <strong>di</strong><br />

assistente al liceo Gonzaga per con<strong>di</strong>videre la trage<strong>di</strong>a <strong>della</strong> guerra, fino all’apocalisse <strong>della</strong><br />

ritirata <strong>di</strong> Russia, dove egli vide in faccia la morte <strong>di</strong> centinaia dei suoi alpini e perfino la sua<br />

propria morte, dalla quale fu salvato per miracolo: un amico lo riconobbe, ormai abban<strong>don</strong>ato<br />

nel ghiaccio, e lo risollevò dal destino collettivo già incontrato da molti, <strong>di</strong> uno sfinimento per<br />

fame e gelo. Cristo tra gli alpini è il libro in cui <strong>don</strong> Carlo ha raccolto le sue memorie <strong>di</strong><br />

quell’immane trage<strong>di</strong>a, che è anche all’origine <strong>della</strong> sua particolare, impressionante vocazione<br />

<strong>di</strong> carità.<br />

Una <strong>vita</strong> all’incrocio <strong>di</strong> tante storie<br />

In questo bel libro <strong>di</strong> Stefano Zurlo troviamo intrecciate molteplici storie: la storia <strong>di</strong> un uomo verso la santità, fiorito<br />

dentro la Chiesa ambrosiana, coi suoi uomini e le sue opere: l’Istituto salesiano sant’Ambrogio, dove aveva stu<strong>di</strong>ato al<br />

liceo, <strong>Don</strong> Orione e i suoi piccoli <strong>di</strong>sabili, il liceo Gonzaga e i Fratelli delle scuole cristiane, padre Gemelli e<br />

l’Università Cattolica, il car<strong>di</strong>nal Schuster, il car<strong>di</strong>nal Montini. E il popolo <strong>di</strong> Milano, che intorno a queste personalità<br />

ha costruito fatti <strong>di</strong> carità; c’è anche un pezzo <strong>di</strong> storia <strong>della</strong> me<strong>di</strong>cina, coi suoi progressi verso un’attenzione totale alla<br />

persona del malato: la nascita dei primi centri <strong>di</strong> riabilitazione motoria e <strong>di</strong> fisioterapia nell’Italia degli Anni ‘50-60, e la<br />

prima esperienza – allora illegale – <strong>di</strong> trapianto delle cornee in Italia: erano quelle <strong>di</strong> <strong>don</strong> <strong>Gnocchi</strong>, prelevate nel 1956 e<br />

trasferite su due ragazzi, uno dei quali in<strong>di</strong>cato dallo stesso <strong>don</strong> <strong>Gnocchi</strong> prima <strong>di</strong> morire. L’anno dopo sarà varata la<br />

legge italiana sulla <strong>don</strong>azione degli organi, dopo che anche Pio XII avrà legittimato sostenuto i trapianti sotto il profilo<br />

dell’etica cristiana.<br />

«Tutta la guerra negli occhi <strong>di</strong> questi bimbi»<br />

Ma innanzitutto la grande storia: il fascismo con la sua ideologia totalitaria, la trage<strong>di</strong>a <strong>della</strong> guerra, <strong>di</strong> cui la ritirata <strong>di</strong><br />

Russia è uno degli emblemi più tragici, e il primo dopoguerra, quando un’Italia che rinasceva stentava a riconoscere il<br />

debito contratto con le vittime più in<strong>di</strong>fese del suo passato: gli orfani e i mutilati <strong>di</strong> guerra, quando ancora per molti anni<br />

gli or<strong>di</strong>gni <strong>di</strong>sseminati sul terreno continuavaono ad esplodere tra le mani <strong>di</strong> bambini ignari - 15.000 in Italia i bambini<br />

devastati nel corpo - ; i mulattini, figli <strong>di</strong> nessuno, lasciati come “<strong>don</strong>o” dall’esercito <strong>di</strong> liberazione alleato: “E’ nata ‘na<br />

criatura, è nata nira…”, si cantava nel dopoguerra a Napoli sulla musica <strong>della</strong> Tamburriata nera; infine anche le nuove<br />

emergenze, aggravate dai ritar<strong>di</strong> <strong>della</strong> politica sanitaria italiana <strong>di</strong> allora: nel ‘57 i casi <strong>di</strong> poliomielite erano 4000, nel<br />

‘58 raddoppiarono. Solo nel 1966 il vaccino Sabin, già da tempo collaudato, <strong>di</strong>venne obbligatorio in italia.<br />

Una vocazione educativa


La passione educativa <strong>di</strong> <strong>Don</strong> <strong>Gnocchi</strong> lo porta a non tirarsi mai in<strong>di</strong>etro dalle provocazioni e dalle contrad<strong>di</strong>zioni <strong>della</strong><br />

storia. Come quando, <strong>di</strong>venuto nel 1928 cappellano dell’Opera Nazionale Balilla, si illude <strong>di</strong> poter piegare il pensiero <strong>di</strong><br />

Mussolini ai principi del cristianesimo. Ma la passione per la persona umana non viene mai meno, come quando prende<br />

posizione in <strong>di</strong>fesa <strong>della</strong> libertà <strong>di</strong> coscienza <strong>di</strong> chi non desidera partecipare alla messa. Senza libertà, egli sosteneva,<br />

non c’è neppure religione (pag. 94).<br />

Dopo il rientro dalla Russia, <strong>don</strong> <strong>Gnocchi</strong> prese contatto con un gruppo <strong>della</strong> Resistenza cattolica operante a Milano,<br />

che si pro<strong>di</strong>gava tra l’altro per ottenere documenti <strong>di</strong> espatrio per gli antifascisti e per gli ebrei. Dopo la liberazione, <strong>don</strong><br />

<strong>Gnocchi</strong> chiederà a questi stessi amici <strong>di</strong> salvare i fascisti che erano a rischio <strong>della</strong> loro <strong>vita</strong>. Prese poi contatto con<br />

padre Gemelli ed entroò come assistente nell’Università Cattolica, ma a Gemelli <strong>don</strong> <strong>Gnocchi</strong> appariva troppo poco<br />

de<strong>di</strong>to al suo compito, mentre a questi il fondatore <strong>della</strong> Cattolica appariva lontano dal suo ideale educativo: «Lui,<br />

Gemelli, intendeva l’educazione come mettere dentro qualcosa, io la intendevo come estrarre qualcosa». Sarà così<br />

costretto a dover scegliere tra la Cattolica e i crescenti impegni che gli stava chiedendo la sua opera per i mutilatini,<br />

inse<strong>di</strong>atasi nel 1946 ad Arosio, in Brianza, in una villa ricevuta in <strong>don</strong>azione.<br />

Un dato appare singolare: <strong>don</strong> <strong>Gnocchi</strong> non ebbe in mente a priori la fondazione <strong>di</strong> un’opera e non fondò un proprio<br />

or<strong>di</strong>ne religioso: egli sentì fortemente la vocazione a de<strong>di</strong>carsi alle piccole vittime <strong>della</strong> guerra e l’opera gli crebbe tra le<br />

mani al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> ogni immaginazione, mentre la sua frenetica attività lo risucchiava quasi controvoglia dentro a questa<br />

che all’inizio era solo una tra le tante attività <strong>di</strong> <strong>don</strong> <strong>Gnocchi</strong>. Anzi, egli implorò padre Gemelli <strong>di</strong> poter a contatto con i<br />

giovani universitari, perché il suo impegno con la casa <strong>di</strong> Arosio gli appariva all’inizio ben poco rispondente ad una<br />

vocazione strettamente educativa: doveva amministrare, più che educare.<br />

La bellezza: strada per un’educazione integrale <strong>della</strong> persona<br />

La storia <strong>della</strong> sua opera smentirà questa sua impressione <strong>di</strong> lontananza dall’ideale educativo, grazie anche alla<br />

concezione integrale <strong>della</strong> persona che <strong>don</strong> Carlo aveva già ben chiara ai tempi del Gonzaga. “Perché – si chiede <strong>don</strong><br />

Carlo – rinunciare a gustare un brano <strong>di</strong> Bach o <strong>di</strong> Beethoven?” E “un canto <strong>di</strong> Dante o <strong>di</strong> Leopar<strong>di</strong>?”» (pag. 39). <strong>Don</strong><br />

<strong>Gnocchi</strong> ama il teatro, la montagna, il mare. Ama la <strong>vita</strong>. Questo sentimento del bello <strong>di</strong>venta guida e criterio per il<br />

recupero e l’educazione dei suoi piccoli mutilati, che hanno <strong>di</strong>ritto a crescere secondo l’integralità dei fattori umani non<br />

meno <strong>di</strong> quanto non ne abbiano i ragazzi <strong>della</strong> borghesia milanese del Gonzaga. <strong>Don</strong> Carlo porterà i suoi ragazzi in giro<br />

per l’Italia, li avvierà ad ogni tipo <strong>di</strong> sport, con la creatività dei santi che non conosce limiti: per i ciechi il pallone sarà<br />

ricoperto <strong>di</strong> latta, i bambini senza mani giocheranno a ping-pong, ma soprattutto, ecco la grande intuizione pedagogica:<br />

essi hanno <strong>di</strong>ritto a scuole capaci davvero <strong>di</strong> accrescere le loro risorse e <strong>di</strong> preparare il loro futuro: <strong>di</strong>verse nella<br />

struttura, perché i ragazzi sono eguali per <strong>di</strong>ritto: «I mutilatini sono <strong>di</strong>ventati adulti – scriverà nel 1947 – così da aver<br />

bisogno <strong>di</strong> rieducazione professionale; e questa non può non essere <strong>di</strong>fferenziata e proporzionata alle residue facoltà<br />

lavorative degli stessi» (pag. 95). Quanto parcheggio invece, senza prospettive, sembra esserci ancora oggi, in nome <strong>di</strong><br />

un’astratta quanto impotente e perfino <strong>di</strong>scriminante “uguaglianza”, in tante nostre scuole che hanno fatto sì il grande<br />

passo dell’integrazione, ma senza strumenti adeguati e senza progettazione <strong>di</strong> un futuro possibile!<br />

<strong>Don</strong> <strong>Gnocchi</strong> ci insegna che la <strong>di</strong>fferenza non è motivo <strong>di</strong> scandalo, quando sia accompagnata dalla stima sacrale per<br />

l’eguale <strong>di</strong>gnità <strong>di</strong> ogni persona. Una volta portò tre piccoli mutilati ad una cena in onore <strong>di</strong> E<strong>vita</strong> Peron: li tenne con sé<br />

al tavolo «con la stessa fede e la stessa coscienza scomoda con cui Emmanuel Mounier in<strong>vita</strong>va a casa i gran<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

Francia e schierava fra i commensali, ad<strong>di</strong>rittura a capotavola, la figlioletta Françoise, devastata da un’encefalite acuta»<br />

(pag. 161).<br />

La scienza e la politica al servizio <strong>della</strong> carità<br />

L’intuizione pedagogica <strong>di</strong> <strong>don</strong> <strong>Gnocchi</strong> era innovativa: egli prese coscienza che la sua strada<br />

<strong>della</strong> carità passava anche attraverso la scienza e le tecniche riabilitative più complesse. Iniziò<br />

così la stagione dei gran<strong>di</strong> convegni internazionali sulla riabilitazione. A questo si accompagnò<br />

l’impegno con la politica: <strong>di</strong>nanzi ai rischi <strong>di</strong> una monopolizzazione statale dell’assistenza, <strong>don</strong><br />

<strong>Gnocchi</strong> lottò a fondo in <strong>di</strong>fesa del principio <strong>di</strong> sussi<strong>di</strong>arietà. Il car<strong>di</strong>nal Schuster, che già si era<br />

opposto a ben altre ideologie <strong>di</strong> stampo statalista, nel confermarlo su questa strada lo invitò<br />

anche a proteggere la sua opera: «Provve<strong>di</strong> a norma <strong>di</strong> leggi. Non c’è nulla <strong>di</strong> più pericoloso<br />

dello “Stato fa tutto”» (pag. 120).<br />

Il mistero del dolore innocente<br />

Ma la lotta contro la visione laicista dell’assistenza assume per <strong>don</strong> <strong>Gnocchi</strong> anche il significato<br />

più profondo <strong>della</strong> <strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> una concezione cristiana - non risentita o rabbiosa - del dolore<br />

innocente, cui egli annette un particolare significato salvifico per il mondo. Alle angosciate<br />

domande sull’ingiustizia del dolore dei bambini, <strong>don</strong> Carlo risponde: «La sofferenza dei bimbi è<br />

destinata ad aiutare chi non ha fede, a re<strong>di</strong>mere chi opera il male» (pag. 150). Osserva


l’autore del libro che tale risposta è l’esatto capovolgimento <strong>della</strong> consueta idea che fa del<br />

dolore dei bambini un’obiezione alla fede, che non piuttosto un aiuto ad essa. Su questi temi<br />

<strong>don</strong> <strong>Gnocchi</strong> costruì una sua spiritualità specifica, che confluirà nel suo libro del 1956,<br />

Pedagogia del dolore innocente.<br />

Un principio evangelico guida l’intera opera <strong>di</strong> <strong>don</strong> <strong>Gnocchi</strong>: «Qui facit veritatem venit ad<br />

lucem» (Gv 3, 21). Alla lettera: «Colui che fa la verità viene alla luce». La verità non si <strong>di</strong>ce,<br />

non si immagina, la verità si fa. L’uomo è sempre, come anche ha scritto <strong>don</strong> Giussani, un io in<br />

azione. Anche l’accoglienza non si <strong>di</strong>ce, ma si fa: così tutto ciò che <strong>don</strong> <strong>Gnocchi</strong> scrive e <strong>di</strong>ce<br />

appare piuttosto come una riflessione sulla sua propria esperienza <strong>di</strong> carità che non una serie<br />

<strong>di</strong> teorie astratte, e perfino la sua spiritualità del dolore è messa alla prova dell’esperienza:<br />

come quando, <strong>di</strong>nanzi ad un bambino saltato su una bomba, rimasto senza gambe e senza un<br />

occhio, con vaste ferite ovunque, <strong>don</strong> Carlo gli chiede a bruciapelo: «Quando ti strappano le<br />

bende, ti frugano nelle ferite e ti fanno piangere, a chi pensi?». L’incapacità del piccolo <strong>di</strong><br />

comprendere perfino la domanda stessa convinse <strong>don</strong> Carlo che c’è tanta più sofferenza,<br />

quanto più essa non ha senso, dal momento che non si ha nessuno per la quale valga la pena<br />

offrirla: «Io ebbi la precisa, quasi materiale, sensazione <strong>di</strong> una immensa, irreparabile sciagura:<br />

<strong>della</strong> per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> un tesoro, più prezioso <strong>di</strong> un quadro d’autore o <strong>di</strong> un <strong>di</strong>amante <strong>di</strong> inestimabile<br />

valore. Era il grande dolore innocente <strong>di</strong> un bimbo che cadeva nel vuoto, inutile e insignificante<br />

(…) perché non <strong>di</strong>retto all’unica meta nella quale il dolore <strong>di</strong> un innocente può prendere valore<br />

e trovare giustificazione: Cristo crocifisso» (pag. 81).<br />

Era la percezione angosciata <strong>della</strong> forza negativa del nichilismo, incapace <strong>di</strong> sostenere il senso<br />

<strong>della</strong> <strong>vita</strong> e del dolore, a meno che la sofferenza non sia coscientemente incorporata a Cristo,<br />

come bene avevano saputo, invece, molti dei suoi alpini caduti in Russia, educati<br />

cristianamente. Quando <strong>don</strong> Carlo, in punto <strong>di</strong> morte, dopo avere dettato il testamento e<br />

celebrato la messa, chiede <strong>di</strong> ascoltare Stelutis alpinis, il canto degli alpini caduti, aveva certo<br />

coscienza <strong>di</strong> questo significato cristico, <strong>di</strong> offerta che era inconsapevolmente racchiuso in quelle<br />

semplici parole:<br />

«Quando a casa tu sei sola / e <strong>di</strong> cuore pregherai per me,/ il mio spirito volerà attorno a te; /<br />

io e la stella alpina saremo con te».<br />

Una «baracca» nata dalla carità<br />

E’ straziante l’ingresso <strong>di</strong> uno dei primi mutilatini, nel <strong>di</strong>cembre 1945, nella nuova casa <strong>di</strong><br />

Arosio: una <strong>don</strong>na porta a <strong>don</strong> Carlo un bambino <strong>di</strong> otto anni, cui una bomba aveva strappato<br />

la gamba. Aveva speso tutto per le cure e da due giorni non mangiava: «Non ce la faccio più –<br />

lo implorava-. Me lo prenda lei, padre, il bambino. Che almeno possa vivere. Io posso gettarmi<br />

sotto un treno». La madre baciò la sua creatura, poi scappò gridando: «vai con lui, Paolo, vai<br />

con lui». Il piccolo gridava e invocava la mamma. Per due giorni delirò per la febbre, graffiava<br />

e picchiava <strong>don</strong> Carlo e invocava la mamma la quale, fatta ricercare, sembrava <strong>di</strong>leguata nel<br />

nulla. Fu uno strazio, poi accadde l’impossibile: «Il sacerdote non si separa mai da lui. Lo aiuta<br />

a mangiare, gli parla (…), dorme con lui, l’occhio sempre aperto (…). Poi, dopo quarantotto<br />

ore, Paolo getta le braccia al collo <strong>di</strong> <strong>don</strong> Carlo. Piangono insieme, abbracciati, come un padre<br />

e un figlio. E’ la svolta» (pagg. 79-80).<br />

Era l’impatto con la trage<strong>di</strong>a dell’abban<strong>don</strong>o e insieme l’esperienza unica <strong>di</strong> una nuova<br />

paternità. <strong>Don</strong> <strong>Gnocchi</strong> amava chiamare «la mia baracca» l’opera cui <strong>di</strong>ede origine. Come<br />

scrisse il «Corriere <strong>della</strong> Sera» alla sua morte, egli «aveva cominciato con pochi ragazzetti: e<br />

adesso erano migliaia e migliaia. Non poneva un limite alla capacità dei soccorsi, come non lo<br />

poneva alla necessità <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>re la conoscenza del dolore umano», ma il suo immenso<br />

lavoro <strong>di</strong>ede speranze insperabili: «il cieco, il fanciullo senza gambe, il ragazzo “mulatto”<br />

piegato nel complesso del colore, non erano più i dolenti <strong>di</strong>spersi nell’amaro deserto <strong>della</strong> <strong>vita</strong>.<br />

Se un bambino senza mani scriveva, se un fanciullo con le stampelle giocava al pallone, se un<br />

“mulattino” gli chiedeva <strong>di</strong> imparare a suonare uno strumento, il passo verso la speranza era<br />

compiuto» (pag. 159).<br />

Una considerazione in margine: oggi una legge ha imposto la chiusura degli istituti per minori.<br />

<strong>Don</strong> <strong>Gnocchi</strong> creò degli istituti per minori. Era un altro momento storico, ed è bene che oggi sia<br />

maturata una <strong>di</strong>versa sensibilità in proposito. Ma occorre non <strong>di</strong>menticare che ciò che oggi è<br />

perfino denigrato all’origine nasceva da una cultura dell’accoglienza che si poneva<br />

all’avanguar<strong>di</strong>a rispetto alle scarse risorse messe in campo da uno stato spesso assente e alla


miseria anche materiale <strong>della</strong> società del tempo. Creare oggi comunità familiari <strong>di</strong> accoglienza<br />

è allora nello stesso solco <strong>di</strong> quella storia <strong>della</strong> carità e <strong>di</strong> quella creatività <strong>della</strong> tra<strong>di</strong>zione<br />

cristiana del nostro popolo che ha dovuto far fronte al vuoto <strong>di</strong> umanità prodotto da ideologie<br />

stataliste e spesso antiumane.<br />

Il maturare <strong>di</strong> un’opera<br />

La carità, che sempre nasce da incontri concreti e particolari, in <strong>don</strong> <strong>Gnocchi</strong> crebbe fino a farsi<br />

carico dell'opera nelle sue <strong>di</strong>mensioni più larghe e istituzionali: <strong>don</strong> Carlo <strong>di</strong>venne perfino<br />

partecipe dell’ONIG, l’ente statale nato inizialmente in concorrenza con la sua opera, e che lui<br />

seppe piegare al principio <strong>di</strong> sussi<strong>di</strong>arietà, in modo che agisse <strong>di</strong> concerto con la sua nuova<br />

fondazione, la Pro Juventute. La carità crebbe dentro un immenso e incessante lavoro, sempre<br />

su più fronti, anche internazionali, sempre creativo, come quando per sponsorizzare le proprie<br />

iniziative organizzò la storica trasvolata atlantica a bordo dell’Angelo dei bimbi, il monomotore<br />

che realizzò nel 1949 il record <strong>di</strong> 14 ore <strong>di</strong> volo, o come quando nello stesso anno organizzò,<br />

lui, prete motociclista, il raid motociclistico Milano-Oslo: venticinque scout in sella alle loro<br />

Guzzine.<br />

Il rischio <strong>di</strong> una riduzione sociologica <strong>della</strong> carità<br />

<strong>Don</strong> Carlo è efficace, non è efficientista. Così si trova in crisi, quando ad un certo momento si<br />

accorge che l’opera nata intorno a lui rischia pesantemente una sorta <strong>di</strong> “riduzione<br />

sociologica”. Nel 1951 scrive: «Ho avuto (…) oggi come non mai la sensazione <strong>della</strong> mia<br />

solitu<strong>di</strong>ne spirituale e ne ho molto sofferto (…). La ragione vera e intima <strong>della</strong> mia tristezza è<br />

(…) quella <strong>di</strong> non sentirmi più circondato dalla poesia <strong>della</strong> carità e dall’ideale <strong>di</strong> fare il bene<br />

per il bene, in quelli che ora sono <strong>di</strong>ventati i miei collaboratori. Ho degli “impiegati” intorno a<br />

me; <strong>di</strong>staccati dal lavoro che atten<strong>don</strong>o, che non hanno l’angoscia dell’economizzare il tempo,<br />

il gusto del sacrificio; che calcolano la loro prestazione, che fanno sentire quanto danno in più<br />

del dovuto, che non s’interessano, per godere o per soffrirne, delle sorti buone o tristi<br />

dell’istituzione, che non hanno progetti, <strong>di</strong>segni, critiche da fare ma si accontentano <strong>di</strong><br />

eseguire; che insomma non lavorano con me o come me, ma accanto a me» (pag. 136). E’ la<br />

tentazione del tecnicismo, del professionismo che mette in valore più le cose da fare che non le<br />

persone, e così si fanno male le cose e non si guarda più al bene delle persone.<br />

Amare il mistero <strong>della</strong> persona in Cristo crocifisso<br />

Un’opera che non nasca dalla carità in prima persona e da una fede “coralmente vissuta”<br />

sarebbe un’opera già morta. Paradossalmente è <strong>di</strong>nanzi alla morte che questa esigenza <strong>di</strong><br />

verità dell’esperienza gli si fa a lui più chiara. Scrive <strong>don</strong> Barbareschi, che lo accompagnò fino<br />

alla suprema soglia: «<strong>Don</strong> Carlo supera la sua crisi <strong>di</strong> fede quando si innamora <strong>della</strong> persona <strong>di</strong><br />

Cristo. Non si capisce niente <strong>di</strong> <strong>don</strong> Carlo se non si approfon<strong>di</strong>sce questo aspetto: il suo<br />

rapporto con la persona <strong>di</strong> Cristo». In punto <strong>di</strong> morte, <strong>don</strong> Carlo chiede che gli vengano letti<br />

alcuni brani: i primi sono versi <strong>di</strong> padre David Maria Turoldo dagli accenti esistenziali, perfino<br />

carnali:<br />

«Eppure mi tenta ancora questa avventura del Figlio pro<strong>di</strong>go / … / Potere un giorno / <strong>di</strong>re coi<br />

sensi che le cose /gridano a un essere più alto, / a una più alta gioia /… / sono i sensi il tempio<br />

/ <strong>di</strong> una incrollabile fede».<br />

<strong>Don</strong> Carlo commentò così questi versi: «Se devo aggiungere qualcosa <strong>di</strong> mio, <strong>di</strong>rei così: sono<br />

innamorato del mistero <strong>di</strong> ogni persona umana e <strong>della</strong> sua libertà» (pag. 140). Chi conosce un<br />

po’ l’opera <strong>di</strong> quell’altro grande frutto <strong>della</strong> Chiesa ambrosiana del dopoguerra che è <strong>don</strong> Luigi<br />

Giussani, che com elui amava Leopar<strong>di</strong> e Péguy, e non può fare a meno <strong>di</strong> coglierne una<br />

profonda sintonia <strong>di</strong> pensiero. Un’identica sintonia affiora nella scelta dell’altro brano me<strong>di</strong>tato<br />

da <strong>don</strong> <strong>Gnocchi</strong> in punto <strong>di</strong> morte: è la famosa professione <strong>di</strong> fede <strong>di</strong> Dostoevskij, scritta in<br />

prigionia:<br />

«…Credere che non c’è nulla <strong>di</strong> più bello, <strong>di</strong> più profondo, <strong>di</strong> più simpatico, <strong>di</strong> più ragionevole,<br />

<strong>di</strong> più coraggioso, né <strong>di</strong> più perfetto del Cristo (…). Più ancora: se qualcuno mi avesse provato<br />

che il Cristo è al <strong>di</strong> fuori <strong>della</strong> verità… avrei preferito restare col Cristo piuttosto che con la<br />

verità» (pag. 141).


<strong>Don</strong> <strong>Gnocchi</strong> spirò così, il 28 febbraio 1956, all’età <strong>di</strong> 53 anni, aggrappato in ultimo sforzo al<br />

crocifisso per baciarlo, così come aveva fatto innumerevoli volte nella campagna <strong>di</strong> Russia,<br />

quando, stringendo tra le braccia i suoi alpini prima che venissero deposti per l’ultima volta<br />

nella neve, abbracciava in loro Cristo stesso.<br />

GC<br />

Stefano Zurlo, <strong>L'ar<strong>di</strong>mento</strong>. <strong>Racconto</strong> <strong>della</strong> <strong>vita</strong> <strong>di</strong> <strong>don</strong> Carlo <strong>Gnocchi</strong>, ed. BUR

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!