hds - The Historical Diving Society Italia
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Scoperte inattese<br />
Marangoni in laguna<br />
di Francesca Giacché<br />
Dalle parti della Serenissima di palombari non ce ne sono molti, né molti ce ne sono<br />
stati in passato. Benché sia proprio questa città ad aver ispirato a Leonardo l’idea<br />
di attrezzature subacquee con cui dotare un corpo di ‘nuotatori d’assalto’. Il perché<br />
lo spiegano gli ultimi due palombari della laguna: “A Venezia l’acqua è bassa, per<br />
questo la maggior parte dei lavori che altrove richiederebbero un intervento subacqueo<br />
da noi è possibile realizzarli dalla superficie” mi ha spiegato Giorgio.<br />
Mario Del Col negli anni ’40.<br />
Chi non li ha visti sfrecciare scuri, con volo<br />
parallelo alla superficie del mare e rapide battute<br />
d’ali intervallate a brevi planate, nuotare col<br />
collo allungato per poi tuffarsi con un piccolo<br />
balzo in avanti e sparire sott’acqua a catturare<br />
qualche preda o asciugarsi, le ali aperte al sole,<br />
su qualche palo emergente? Sono i marangoni.<br />
Nel linguaggio marinaresco del XVI secolo i<br />
marangoni erano persone addette ai lavori subacquei<br />
e, nel nostro dialetto ligure, ‘er margón’ è<br />
ancora oggi il palombaro.<br />
Quando sono sbarcata in laguna, alla ricerca di<br />
vecchi palombari, chissà perché avevo la convinzione<br />
che anche a Venezia fossero chiamati così,<br />
convinzione forse suggerita dal fatto che dialetto<br />
ligure e dialetto veneto hanno in comune diverse<br />
parole, invece no, i marangoni qui sono i maestri<br />
d’ascia, i carpentieri dell’Arsenale. Ma la cosa<br />
che più mi ha stupito è che i Veneziani, così legati<br />
al loro vernacolo, parlato comunemente anche<br />
dalle nuove generazioni, non abbiano un termine<br />
dialettale per indicare il palombaro.<br />
Una spiegazione alla fine però me la sono data.<br />
La realtà è che a Venezia di palombari non ce ne<br />
sono molti, né molti ce ne sono stati in passato.<br />
Sebbene sia proprio questa città ad aver ispirato a<br />
Leonardo l’idea di attrezzature subacquee con cui<br />
dotare un corpo di ‘nuotatori d’assalto’. Tra ‘400 e<br />
’500 infatti Leonardo ideò per i militari veneziani<br />
uno scafandro autonomo, muniti del quale avrebbero<br />
dovuto, opportunamente zavorrati, ‘marciare’<br />
sul fondo, raggiungere la flotta turca che aveva<br />
bloccato la laguna e sabotarne le navi con trapani a<br />
mano. Leonardo, in una lettera a Lodovico il Moro,<br />
afferma di aver realizzato attrezzature subacquee,<br />
descrizioni con testi e disegni - con le opportune<br />
riserve leonardesche per timore di possibili plagi<br />
– ci sono pervenute attraverso il Codice Arundel<br />
e il Codice Atlantico. Tuttavia non è provato che<br />
Leonardo abbia sperimentato tali attrezzature, l’ha<br />
fatto però, parecchi secoli dopo (2004), una coraggiosa<br />
signora inglese, Jacquie Cozens, coinvolta<br />
dalla BBC in questa strana avventura (Vedi HDS<br />
NOTIZIE n.33, Maggio 2005, Leonardo da Vinci.<br />
Apparati subacquei pag. 5 e Lo strano scafandro<br />
di Leonardo pag.10).<br />
Eppure Venezia, incantata città che poggia sulle<br />
acque, non ha una tradizione palombaresca.<br />
Il perché me lo hanno spiegato gli ultimi due<br />
palombari della laguna, che grazie all’aiuto di<br />
amici veneziani, sono riuscita a stanare tra le<br />
calli: Mario del Col e Giorgio Salvagno.<br />
“A Venezia l’acqua è bassa, per questo la maggior<br />
parte dei lavori che altrove richiederebbero<br />
HDS NOTIZIE N. 41 - Gennaio 2008 - pag. 30