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M. MORIGI, REPVLICANISMVS GEOPOLICVS FONTES ORIGINES ET VIA, P. 120 di 159<br />

Dal punto di vista degli artisti, costretti nel vecchio stato liberale ad essere<br />

totalmente esposti alle forze del libero mercato e quindi sovente a fare<br />

letteralmente la fame, l’essere inquadrati sindacalmente ed essere inseriti<br />

nello stato corporativo - potendo così accedere a commesse di stato e/o di<br />

partito o comunque usufruire di un contesto relazionale fortemente<br />

orientato all’acquisto delle loro opere - costituì in molti casi un<br />

drammatico miglioramento nelle condizioni di vita. 101 Ma sarebbe del tutto<br />

errato limitarsi a considerare unicamente il miglioramento della vita<br />

materiale di molti artisti perché l’incontro/egemonia del regime con l’arte<br />

generò - almeno fino a quando non avvenne la sua ultima ed ineluttabile<br />

evoluzione nel totalitarismo - esiti che furono sicuramente non banali sul<br />

piano espressivo e che racchiudono anche potenzialità euristiche per la<br />

comprensione delle odierne società poliarchiche e postdemocratiche, in cui<br />

il “momento” dell’estetizzazione non è affatto scomparso ma è stato<br />

traslato dallo spazio pubblico al turbocapitalismo finanziario. 102<br />

Quello che cioè si vuol qui sostenere è che se l’estetizzazione della politica<br />

così come fu effettuata dal regime fascista e nella quale l’arte rivestì un<br />

ruolo - come vedremo - non secondario fu certamente un’esperienza<br />

negativa e che, in ultima istanza, non poteva non evolvere verso il<br />

totalitarismo (estrema devianza dell’estetizzazione della politica, che<br />

invece che produrre un atto creativo totale, come avrebbero voluto le<br />

avanguardie, genera il suo simmetricamente contrario negativo fotografico<br />

dell’asservimento allo stato totalitario), certamente l’assenza di un<br />

qualsiasi momento estetico nelle cosiddette liberaldemocrazie è altrettanto<br />

un fatto negativo, una negatività in cui l’indicazione per una<br />

“politicizzazione dell’arte” che secondo Benjamin avrebbe dovuto essere<br />

la riserva di caccia esclusiva del socialismo sovietico e di tutti i futuri<br />

101 M. S. Stone, The State as Patron: Making Official Culture in Fascist Italy, in M.<br />

Affron, M. Antliff (eds), Fascist Visions. Art and Ideology in France and Italy,<br />

Princeton (N.J.), Princeton University Press, 1997, p. 216.<br />

102 Una analogia fra l’attuale fase postdemocratica ed il fascismo che nel 2007 poteva<br />

sembrare azzardata e che oggi nel febbraio 2012 per chiunque non voglia cedere a<br />

schiocchi paracosmi può sembrare addirittura banale. Per un’analisi più approfondita<br />

dell’intima costituzione autoritaria e, in ultima analisi, fascista della postdemocrazia<br />

poliarchica a guida turbo-capitalistica delle cosiddette democrazie occidentali, si<br />

rimanda volentieri all’analisi già svolta in Æsthetica Fascistica I.

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