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M. MORIGI, REPVLICANISMVS GEOPOLICVS FONTES ORIGINES ET VIA, P. 127 di 159<br />

molti allora, e non solo in Italia, lo pensarono; molti che vengono oggi -<br />

e giustamente - indicati come capisaldi della cultura democratica ed eredi<br />

nel Novecento dell’illuminismo non vollero certo convertirsi alla<br />

“luminosa” idea che si irradiava dall’Italia ma ritennero che almeno fosse<br />

saggio mantenere aperte con questo fenomeno politico - proficue, e non<br />

solo sul piano personale - linee di contatto e comunicazione. E non<br />

intendiamo qui riferirci alla disgraziatissima vicenda di Ezra Pound (la cui<br />

incomprensione della natura vera del fascismo fu pari solo a quella di<br />

Marinetti e che continua post mortem a pesare come un macigno: nei<br />

confronti dei suoi denigratori, dai quali è visto come l’archetipo del<br />

pensiero reazionario moderno, e da parte dei suoi odierni sostenitori, le<br />

destre estreme e razziste, che accettano appunto con gioia questo<br />

stereotipo) e nemmeno ad un Waldemar George, il quale pur partendo da<br />

posizioni moderniste, nel 1928 in una monografia sul pittore Filippo de<br />

Pisis, era arrivato ad affermare che “l’Italia ha creato una ideologia.<br />

Contro l’imperialismo del pensiero francese che domina l’universo nel<br />

campo dell’arte, Roma oggi proclama un’opposta ed autentica estetica<br />

italiana. Questa esasperazione dell’idea nazionale, questo conscio ed<br />

appassionato sentimento etnico, questo attaccamento alle origini, può<br />

generale una vitale, pulsante ed attiva forma di espressione? Io fortemente<br />

lo credo. Il fervore ha sempre offerto un terreno favorevole per il fiorire<br />

dei movimenti artistici.” 109 Intendiamo, ancor più significativamente,<br />

Benjamin vedeva la via d’uscita alle contraddizioni dell’autodistruttiva estetizzazione<br />

della politica fascista nella politicizzazione dell’estetica che a suo giudizio veniva<br />

portata avanti nell’Unione Sovietica. In realtà sia i regimi fascisti che quelli<br />

comunisti hanno estetizzato la politica attraverso il processo di politicizzazione<br />

dell’estetica, non nel senso però che l’estetica è uno dei momenti fondanti della<br />

politica ma che la politica se ne serve come di una ubbidiente schiava (e in questo<br />

senso sono molte le similitudini con l’attuale fase turbo-capitalistica). In realtà la via<br />

d’uscita da questo stato delle cose rimane ancora la benjaminiana “politicizzazione<br />

dell’estetica”, che se intesa dialetticamente significa sia che il momento estetico<br />

diventa il dominus della politica e che la politica contemporaneamente ri-torna al<br />

momento auratico della produzione materiale e simbolica con questo fondendosi, una<br />

dimensione estetico/auratica rimessa così “con i piedi per terra” e che è la speculare<br />

antitesi alle estetizzazioni autoritario-totalitarie e a quelle turbo-capitalistiche.<br />

109 M. Affron, Waldemar George: A Parisian Art Critic on Modernism and Fascism,<br />

in M. Affron, M. Antliff (eds), Fascist Visions, cit., p.185.

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