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Aprile_11:Pag prova.qxd 02/04/2011 9.03 Pagina 1<br />

Registrazione al Tribunale di <strong>Velletri</strong> n. 9/2004 del 23.04.2004 - Redazione: C.so della Repubblica 343 - 00049 VELLETRI RM - 06.9630051 - fax 0696100596 - curia@diocesi.velletri-segni.it Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti della Curia e pastorale per la vita della <strong>Diocesi</strong> di <strong>Velletri</strong> -<strong>Segni</strong> Anno 8 - numero 4 (74) - Aprile 2011<br />

In questo numero:<br />

Grandi temi<br />

$Commento al Messaggio del Papa per la<br />

Quaresima: “Con Cristo siete sepolti nel<br />

Battesimo, con Lui siete anche risorti”<br />

$Legge Tarzia: Restituire ai Consultori i<br />

compiti di sostegno e tutela<br />

$Ricordando il 150° dell’Unità di Italia<br />

$La Resurrezione di Gesù, nella<br />

storia dell’umanità<br />

$Bibbia: La manipolazione del linguaggio,<br />

il peccato di sempre<br />

$Giovani e lavoro. Scelte di dignità<br />

Concilio Vaticano II<br />

$Il Culto dei Santi<br />

Missione<br />

$Ero forestiero e mi avete accolto<br />

Caritas<br />

$Le parole dell’Asilo e dell’Immigrazione<br />

$Giovani e servizio<br />

Liturgia<br />

$Speciale Quaresima e Triduo Pasquale<br />

Vocazioni<br />

$Il C.D.V. , cammini di formazione<br />

$Proporre le vocazioni nella Chiesa<br />

locale<br />

Pastorale della<br />

famiglia<br />

$Parrocchia e famiglia<br />

$Chiesa e separati: uno spazio da<br />

occupare<br />

Educare oggi<br />

$Esperienze personali di<br />

insegnamento<br />

Museo diocesano<br />

$La bipartizione Bene - Male nella<br />

Crocifissione di Gavignano<br />

( sec. XVII - XVIII) in mostra al Museo<br />

diocesano ”L’arte al costo di un caffe”


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Aprile<br />

2<br />

2011<br />

D<br />

obbiamo essere profondamente grati<br />

al teologo Joseph Ratzinger, che ci<br />

ha donato la seconda parte della sua<br />

opera “Gesù di Nazaret”, riguardante gli avvenimenti<br />

dall’ingresso a Gerusalemme fino alla<br />

Resurrezione, proprio nel tempo in cui tutta la Chiesa<br />

si sta preparando a celebrare la Veglia pasquale,<br />

Madre di tutte le nostre celebrazioni.<br />

La gratitudine si moltiplica se pensiamo che questo<br />

teologo, nel frattempo, ha svolto fino in fondo<br />

l’incarico più gravoso che possa toccare ad un cristiano,<br />

quello di Vescovo di Roma, vicario di Cristo<br />

e successore di Pietro.<br />

L’eccezionalità di questo volume sta proprio nel<br />

fatto che non è semplicemente il frutto di un profondo<br />

e documentato studio teologico durato tutta<br />

una vita, ma insieme anche l’opera di un pastore<br />

che sente la sollecitudine di guidare il gregge<br />

a lui affidato ai pascoli buoni e alle acque limpide.<br />

Per questo la lettura del testo risulta accessibile<br />

anche ai non “addetti ai lavori” e la profondità<br />

si associa alla chiarezza e la complessità alla<br />

semplicità, secondo quello stile a cui l’Autore ci<br />

ha abituati in tutti questi anni del suo Pontificato.<br />

D’altra parte questo secondo volume era atteso<br />

fin dalla pubblicazione del primo, avvenuta tre anni<br />

fa, perché i cristiani non possono parlare di Gesù<br />

di Nazareth se non contestualmente alla sua<br />

Resurrezione dai morti, a partire dalla quale i “testimoni<br />

oculari” sono diventati “ministri della Parola”,<br />

come dice S. Luca all’inizio del suo Evangelo.<br />

Tutto inizia da quell’Evento, che avviene nella storia<br />

degli uomini ma la trascende infinitamente, che<br />

nessun occhio umano ha potuto osservare nel suo<br />

compiersi, ma che ha rivoluzionato, anzi capovolto,<br />

la storia e la vita concreta di ogni uomo, manifestando<br />

e realizzando il progetto di un Dio che è<br />

Amore infinito e donandoci una speranza inimmaginabile:<br />

“Come sta scritto: quelle cose che occhio non vide,<br />

né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo,<br />

Dio le ha preparate per coloro che lo amano” (1Cor.2,9).<br />

Basta pensare a chi era Pietro, chi era Paolo, chi<br />

erano gli Apostoli prima dell’incontro sconvolgente<br />

con il Risorto, che dona loro lo Spirito della Resurrezione<br />

e li invia per una missione umanamente assurda<br />

ed impossibile: “Andate dunque e fate discepoli<br />

tutti i popoli…Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni,<br />

fino alla fine del mondo” (Mt.28,19s).<br />

La realtà e la potenza della Resurrezione si manifestano,<br />

come ogni azione dello Spirito, negli effetti<br />

incredibili e concreti che solo lo Spirito sa produrre<br />

a partire proprio dal cuore degli uomini e lungo<br />

tutta la storia che conosciamo:<br />

“Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, e<br />

non sai da dove viene né dove va: così è chiunque<br />

è nato dallo Spirito” (Gv.3,8). Ma tutto diventa<br />

anche spiegabile a partire dalla Resurrezione,<br />

non per nulla durante la Veglia pasquale la Chiesa<br />

ci fa ripercorrere l’intera vicenda cosmica e umana,<br />

a partire dal Principio, che non è solo l’inizio,<br />

ma il fondamento e la ragione di tutto ciò che esiste:<br />

“In principio Dio creò il cielo e la terra…” (Gen.1,1)<br />

Vincenzo Apicella, vescovo<br />

e poi Abramo, Mosé, i Profeti e i Sapienti, fino alla<br />

nascita verginale, alla vita storica, alla passione<br />

e alla Croce, tutto riceve significato e valore perché<br />

“Cristo è Risorto”.<br />

Questo è l’annuncio di gioia incontenibile (Ev-angelo)<br />

senza il quale nulla ha senso e tutto è inutile:<br />

potremmo dimenticare tutto il catechismo, ma se<br />

facciamo memoria viva di queste tre parole siamo<br />

ancora cristiani, potremmo conoscere tutta la<br />

Scrittura e tutta la teologia, ma se dimentichiamo<br />

o vanifichiamo queste tre parole siamo irrimediabilmente<br />

perduti.<br />

Per questo Paolo può affermare: “Quello che poteva<br />

essere per me un guadagno, l’ho considerato<br />

una perdita a motivo di Cristo. Anzi, tutto ormai<br />

io reputo una perdita di fronte alla sublimità della<br />

conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per<br />

il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le<br />

considero come spazzatura, al fine di guadagnare<br />

Cristo e di essere trovato in lui…<br />

E questo perché io possa conoscere lui, la potenza<br />

delle sua resurrezione, la partecipazione alle<br />

sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte,<br />

con la speranza di giungere alla resurrezione<br />

dai morti.” (Fil.3,7-11).<br />

Ratzinger-Benedetto XVI ha fatto porre sulla fascetta<br />

con la sua firma che avvolge e presenta il suo<br />

libro: “Il Signore è veramente risorto, Egli è il vivente”,<br />

e inizia l’ultimo capitolo con un’altra frase fondamentale<br />

di S. Paolo: “Ma se Cristo non è risorto,<br />

vuota è allora la nostra predicazione, vuota anche<br />

la vostra fede..” (1Cor,.15,14), concludendo:<br />

“Solo e Gesù è risorto, è avvenuto qualcosa di veramente<br />

nuovo che cambia il mondo e la situazione<br />

dell’uomo. Allora Egli, Gesù, diventa il criterio<br />

, del quale ci possiamo fidare. Poiché allora Dio<br />

si è veramente manifestato.”<br />

Quindi spiega come la Resurrezione non sia un<br />

semplice ritorno di un morto alla vita, ma lì “è stata<br />

raggiunta una nuova possibilità di essere uomo,<br />

una possibilità che interessa tutti e apre un futuro,<br />

un nuovo genere di futuro per gli uomini” (pag.272)<br />

ripercorre i testi della Scrittura che, attraverso le<br />

parole dei testimoni e nella forma della professione<br />

di fese o del racconto delle apparizioni, ci prendono<br />

per mano per aiutarci ad incontrare il Risorto.<br />

Il libro si chiude con l’ultima esperienza sensibile,<br />

raccontata da Luca alla fine del suo Evangelo,<br />

quando il Signore ascende alla realtà divina benedicendo<br />

i discepoli, che iniziano il loro cammino<br />

pieni di gioia, vero motivo e scopo di tutto l’annuncio<br />

cristiano: “Nel gesto delle mani benedicenti si esprime<br />

il rapporto duraturo di Gesù con i suoi discepoli,<br />

con il mondo.<br />

Nell’andarsene Egli viene per sollevarci al di sopra<br />

di noi stessi ed aprire il mondo a Dio. Per questo<br />

i discepoli poterono gioire, quando da Betania tornarono<br />

a casa. Nella fede sappiamo che Gesù,<br />

benedicendo, tiene le sue mani stese su di noi.<br />

E’ questa la ragione permanente della gioia cristiana”<br />

(pag.324).<br />

Buona Pasqua di Resurrezione!<br />

Ecclesia in cammino<br />

Bollettino Ufficiale per gli atti di Curia<br />

Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti<br />

della Curia e pastorale per la vita della<br />

<strong>Diocesi</strong> di <strong>Velletri</strong>-<strong>Segni</strong><br />

Direttore Responsabile<br />

Don Angelo Mancini<br />

Collaboratori<br />

Stanislao Fioramonti<br />

Tonino Parmeggiani<br />

Gaetano Campanile<br />

Roberta Ottaviani<br />

Mihaela Lupu<br />

Proprietà<br />

<strong>Diocesi</strong> di <strong>Velletri</strong>-<strong>Segni</strong><br />

Registrazione del Tribunale di <strong>Velletri</strong><br />

n. 9/2004 del 23.04.2004<br />

Stampa: Tipolitografia Graphicplate Sr.l.<br />

Redazione<br />

C.so della Repubblica 343<br />

00049 VELLETRI RM<br />

06.9630051 fax 96100596<br />

curia@diocesi.velletri-segni.it<br />

A questo numero hanno collaborato<br />

inoltre: S.E. mons. Vincenzo Apicella, mons. Luigi Vari,<br />

don Dario Vitali, mons. Franco Risi, mons. Franco Fagiolo,<br />

don Cesare Chialastri, don Claudio Sammartino, don Marco<br />

Nemesi, don Daniele Valenzi, Claudio Capretti, don Antonio<br />

Galati, p. Vincenzo Molinaro, don Andrea Pacchiarotti, Teodoro<br />

Beccia, Mara della Vecchia, Pier Giorgio Liverani,<br />

Antonio Venditti, Sara Gilotta, Valentina Fioramonti, Sara<br />

Bruno, Liliana Aumenta, Costantino Coros, Sara<br />

Bianchini, Gaetano Sabetta, Elisa Simonetti, Rossana Favale,<br />

Silvano Tummolo, Piero Calcioli, Fernanda Spigone, Flavia<br />

Barcellona, Guido Cammarota, Francesco Canali, Sara<br />

Calì.<br />

Consultabile online in formato pdf sul sito:<br />

www.diocesi.velletri-segni.it<br />

DISTRIBUZIONE GRATUITA<br />

In copertina:<br />

Ingresso in Gerusalemme,<br />

Pietro Lorenzetti, 1320, Assisi<br />

Il contenuto di articoli, servizi foto e loghi nonché<br />

quello voluto da chi vi compare rispecchia<br />

esclusivamente il pensiero degli artefici e non vincola mai<br />

in nessun modo Ecclesìa in Cammino, la direzione e la<br />

redazione Queste, insieme alla proprietà,<br />

si riservano inoltre il pieno ed esclusivo diritto di<br />

pubblicazione, modifica e stampa a propria insindacabile<br />

discrezione senza alcun preavviso o autorizzazioni.<br />

Articoli, fotografie ed altro materiale, anche se<br />

non pubblicati, non si restituiscono.<br />

E’ vietata ogni tipo di riproduzione di testi, fotografie,<br />

disegni, marchi, ecc. senza esplicita<br />

autorizzazione del direttore.


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Aprile<br />

2011<br />

3<br />

R<br />

Stanislao Fioramonti<br />

edatto già dal 4 novembre 2010, il messaggio<br />

prende lo spunto da un passo della lettera<br />

di S. Paolo ai Colossesi (2,12): ”Con Cristo<br />

siete sepolti nel Battesimo, con Lui siete anche<br />

risorti”, e per dare subito il senso di questo tempo<br />

preparatorio cita il Prefazio I di Quaresima: “La<br />

Comunità ecclesiale, assidua nella preghiera e nella<br />

carità operosa, intensifica il suo cammino di purificazione<br />

nello spirito, per attingere con maggiore<br />

abbondanza al Mistero della redenzione la vita<br />

nuova in Cristo Signore”.Il corpo delle parole del<br />

papa si sviluppa poi in tre parti, dedicate rispettivamente<br />

al nesso tra il Battesimo e la Quaresima,<br />

all’insegnamento della Chiesa nei vangeli delle cinque<br />

domeniche di Quaresima e alle pratiche tradizionali<br />

di questo tempo, che sono il digiuno, l’elemosina<br />

e la preghiera.<br />

Nella prima parte si inizia considerando che la<br />

vita nuova in Cristo, che noi attingiamo al mistero<br />

della redenzione, ci è già stata trasmessa nel<br />

giorno del nostro Battesimo. “Il Battesimo, quindi,<br />

non è un rito del passato, ma l’incontro con Cristo<br />

che informa tutta l’esistenza del battezzato, gli dona<br />

la vita divina e lo chiama ad una conversione sincera,<br />

avviata e sostenuta dalla Grazia, che lo porti<br />

a raggiungere la statura adulta del Cristo”. E il<br />

messaggio papale continua: “Un nesso particolare<br />

lega il Battesimo alla Quaresima come momento<br />

favorevole per sperimentare la Grazia che salva.<br />

(...) Da sempre, infatti, la Chiesa associa la<br />

Veglia Pasquale alla celebrazione del Battesimo:<br />

in questo Sacramento si realizza quel grande mistero<br />

per cui l’uomo muore al peccato, è fatto partecipe<br />

della vita nuova in Cristo Risorto e riceve<br />

lo stesso Spirito di Dio che ha risuscitato Gesù dai<br />

morti (cfr Rm 8,11). Questo dono gratuito deve essere<br />

sempre ravvivato in ciascuno di noi e la Quaresima<br />

ci offre un percorso analogo al catecumenato”.<br />

Nella seconda parte siamo invitati a lasciarci condurre<br />

dalla parola del Signore: “Per intraprendere<br />

seriamente il cammino verso la Pasqua e prepararci<br />

a celebrare la Risurrezione del Signore -<br />

la festa più gioiosa e solenne di tutto l’Anno liturgico<br />

- che cosa può esserci di più adatto che lasciarci<br />

condurre dalla Parola di Dio?<br />

Per questo la Chiesa, nei testi evangelici delle domeniche<br />

di Quaresima, ci guida ad un incontro particolarmente<br />

intenso con il Signore, facendoci ripercorrere<br />

le tappe del cammino dell’iniziazione cristiana:<br />

per i catecumeni, nella prospettiva di ricevere<br />

il Sacramento della rinascita, per chi è battezzato,<br />

in vista di nuovi e decisivi passi nella sequela<br />

di Cristo”.<br />

“La prima domenica dell’itinerario quaresimale evidenzia<br />

la condizione dell’uomo su questa terra. Il<br />

combattimento vittorioso contro le tentazioni, che<br />

dà inizio alla missione di Gesù, è un invito a prendere<br />

consapevolezza della propria fragilità per accogliere<br />

la Grazia che libera dal peccato e infonde<br />

nuova forza in Cristo, via, verità e vita”.<br />

“Il Vangelo della Trasfigurazione del Signore pone<br />

davanti ai nostri occhi la gloria di Cristo, che anticipa<br />

la risurrezione e che annuncia la divinizzazione<br />

dell’uomo. (...) E’ l’invito a prendere le distanze<br />

dal rumore del quotidiano per immergersi nella<br />

presenza di Dio: Egli vuole trasmetterci, ogni<br />

giorno, una Parola che penetra nelle profondità<br />

del nostro spirito, dove discerne il bene e il male<br />

(cfr Eb 4,12)<br />

e rafforza la<br />

volontà di<br />

seguire il<br />

Signore”.<br />

“La domanda<br />

di Gesù alla<br />

Samaritana:<br />

“Dammi da<br />

bere” (Gv 4,7),<br />

che viene proposta<br />

nella<br />

liturgia della<br />

terza domenica,<br />

esprime<br />

la passione<br />

di Dio<br />

per ogni uomo<br />

e vuole suscitare<br />

nel nostro<br />

cuore il desiderio<br />

del dono<br />

dell’ “acqua<br />

che zampilla<br />

per la vita<br />

eterna”. (...)<br />

Solo quest’acqua<br />

può<br />

estinguere la<br />

nostra sete di bene, di verità e di bellezza! Solo<br />

quest’acqua, donataci dal Figlio, irriga i deserti dell’anima<br />

inquieta e insoddisfatta”. “La ‘domenica del<br />

cieco nato’ presenta Cristo come luce del mondo.<br />

Il miracolo della guarigione è il segno che Cristo,<br />

insieme alla vista, vuole aprire il nostro sguardo<br />

interiore, perché la nostra fede diventi sempre più<br />

profonda e possiamo riconoscere in Lui l’unico nostro<br />

Salvatore. Egli illumina tutte le oscurità della vita<br />

e porta l’uomo a vivere da ‘figlio della luce”.<br />

“Quando, nella quinta domenica, ci viene proclamata<br />

la risurrezione di Lazzaro, siamo messi di<br />

fronte al mistero ultimo della nostra esistenza. La<br />

comunione con Cristo in questa vita ci prepara a<br />

superare il confine della morte, per vivere senza<br />

fine in Lui.<br />

La fede nella risurrezione dei morti e la speranza<br />

della vita eterna aprono il nostro sguardo al senso<br />

ultimo della nostra esistenza: Dio ha creato l’uomo<br />

per la risurrezione e per la vita, e questa verità<br />

dona la dimensione autentica e definitiva alla<br />

storia degli uomini, alla loro esistenza personale<br />

e al loro vivere sociale, alla cultura, alla politica,<br />

all’economia. Privo della luce della fede l’universo<br />

intero finisce rinchiuso dentro un sepolcro senza<br />

futuro, senza speranza”.<br />

La terza parte del messaggio papale invita a liberare<br />

il nostro cuore dal peso delle cose materiali,<br />

“da un legame egoistico con la ‘terra’, che ci impoverisce<br />

e ci impedisce di essere disponibili e aperti<br />

a Dio e al prossimo. Attraverso le pratiche tradizionali<br />

del digiuno, dell’elemosina e della preghiera,<br />

espressioni dell’impegno di conversione,<br />

la Quaresima educa a vivere in modo sempre più<br />

radicale l’amore di Cristo”.<br />

“Il digiuno, che può avere diverse motivazioni, acquista<br />

per il cristiano un significato profondamente<br />

religioso: rendendo più povera la nostra mensa<br />

impariamo a superare l’egoismo per vivere nella<br />

logica del dono e dell’amore; sopportando la privazione<br />

di qualche cosa - e non solo di superfluo<br />

- impariamo a distogliere lo sguardo dal nostro ‘io’,<br />

per scoprire Qualcuno accanto a noi e riconoscere<br />

Dio nei volti di tanti nostri fratelli”.<br />

“Nel nostro cammino ci troviamo di fronte anche<br />

alla tentazione dell’avere, dell’avidità di denaro,<br />

che insidia il primato di Dio nella nostra vita. La<br />

bramosia del possesso provoca violenza, prevaricazione<br />

e morte; per questo la Chiesa, specialmente<br />

nel tempo quaresimale, richiama alla pratica<br />

dell’elemosina, alla capacità, cioè, di condivisione.<br />

L’idolatria dei beni, invece, non solo allontana<br />

dall’altro, ma spoglia l’uomo, lo rende infelice,<br />

lo inganna, lo illude senza realizzare ciò che<br />

promette, perché colloca le cose materiali al posto<br />

di Dio, unica fonte della vita”.<br />

Infine “Meditando la Parola di Dio ed interiorizzandola<br />

per viverla quotidianamente, impariamo una forma<br />

preziosa e insostituibile di preghiera, perché<br />

l’ascolto attento di Dio, che continua a parlare al<br />

nostro cuore, alimenta il cammino di fede che abbiamo<br />

iniziato nel giorno del Battesimo.<br />

La preghiera ci permette anche di acquisire una<br />

nuova concezione del tempo: senza la prospettiva<br />

dell’eternità e della trascendenza, infatti, esso<br />

scandisce semplicemente i nostri passi verso un<br />

orizzonte che non ha futuro”.<br />

“L’itinerario quaresimale, nel quale siamo invitati<br />

a contemplare il Mistero della Croce, è “farsi conformi<br />

alla morte di Cristo” (Fil 3,10), per attuare<br />

una conversione profonda della nostra vita:<br />

lasciarci trasformare dall’azione dello Spirito<br />

Santo, come san Paolo sulla via di Damasco; orientare<br />

con decisione la nostra esistenza secondo la<br />

volontà di Dio; liberarci dal nostro egoismo, superando<br />

l’istinto di dominio sugli altri e aprendoci alla<br />

carità di Cristo.<br />

Il periodo quaresimale è momento favorevole per<br />

riconoscere la nostra debolezza, accogliere, con<br />

una sincera revisione di vita, la Grazia rinnovatrice<br />

del Sacramento della Penitenza e camminare<br />

con decisione verso Cristo”.


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Aprile<br />

4<br />

2011<br />

Don Dario Vitali*<br />

Il capitolo VII di Lumen Gentium si chiude con il n.51: un paragrafo<br />

denso sul culto dei santi, con alcune disposizioni pastorali, che<br />

però si apre sulle prospettive insondabili della communio Sanctorum.<br />

Il paragrafo si capisce alla luce di quanto sviluppato nel numero precedente,<br />

dove la comunione della Chiesa della terra con quella del cielo<br />

era sviluppata sul registro della imitazione e della invocazione dei santi,<br />

della loro venerazione nella liturgia.<br />

È risaputa l’obiezione, che proviene soprattutto dall’area della Riforma,<br />

sulla eccessiva importanza data ai santi dalla Chiesa cattolica; importanza<br />

– peraltro ripetuta con maggiore enfasi riguardo alla Vergine Maria<br />

– che rischia di oscurare o comunque indebolire l’unica mediazione di<br />

Cristo. Già nella costituzione sulla liturgia il concilio aveva precisato il<br />

tema, con un paragrafo molto misurato, in cui ribadiva la legittimità del<br />

culto dei santi, ma lo circoscriveva e, soprattutto, lo subordinava al primato<br />

della mediazione cristologica. Ecco il testo:<br />

«Nella Chiesa sono venerati nella Chiesa secondo tradizione e le loro<br />

reliquie autentiche e le loro immagini sono tenute in onore. Le feste dei<br />

santi infatti proclamano le opere meravigliose di Cristo nei suoi servi e<br />

presentano ai fedeli opportuni esempi da imitare.<br />

Perché le feste dei santi non abbiano a prevalere sulle feste che rinnovano<br />

i misteri della salvezza, molte di esse siano lasciate alla celebrazione<br />

di ciascuna Chiesa particolare o nazione o famiglia religiosa; siano<br />

estese a tutta la Chiesa soltanto quelle che ricordano i santi di importanza<br />

veramente universale» (SC 111).<br />

LG 51 richiama esplicitamente la tradizione che aveva approvato il culto<br />

dei santi, indicando il secondo concilio di Nicea del 787 e,<br />

più vicino a noi, il concilio di Firenze e il concilio di Trento.<br />

Dopo la furibonda stagione dell’iconoclastia, quando furono<br />

distrutte le immagini sacre e fu proibito ogni rappresentazione<br />

figurativa di Cristo, di Maria e dei santi, il concilio di Nicea<br />

II, ultimo in comune tra Oriente e Occidente, è quello che,<br />

stabilì la legittimità del culto delle icone, e distinse tra adorazione<br />

(latreia), che spetta solo a Dio, e venerazione (dulìa),<br />

che si può attribuire a Maria e ai santi.<br />

Il concilio di Firenze (1439) si riferisce all’intercessione della<br />

Chiesa, che può procurare beneficio alle anime che hanno<br />

bisogno di purificazione.<br />

Il concilio di Trento promulga un decreto sull’invocazione, la<br />

venerazione e le reliquie dei santi e sulle immagini sacre (1563)<br />

che, in risposta alle contestazioni dei Riformatori, taglia in radice<br />

ogni abuso in materia e invita i vescovi, ai teologi e ai pastori<br />

in cura d’anime a spiegare «l’intercessione dei santi, la loro<br />

invocazione, l’onore dovuto ai santi e l’uso legittimo delle immagini»,<br />

fatta salva l’unica mediazione di Cristo.<br />

Anche il Vaticano II insiste perché in materia siano eliminati<br />

«abusi, eccessi e difetti», affinché sia resa «una più piena lode<br />

di Cristo e di Dio»: coloro che hanno questa funzione nella Chiesa (quindi<br />

vescovi, sacerdoti, ma anche teologi, catechisti e quanti svolgono un<br />

compito di formazione) «insegnino ai fedeli che il culto autentico dei santi<br />

non consiste tanto nella molteplicità degli atti esteriori, quanto piuttosto<br />

nell’intensità del nostro amore attivo, con il quale, per il maggiore<br />

bene nostro e della Chiesa, – come dice la liturgia – cerchiamo “dalla<br />

vita dei santi l’esempio, dalla comunione con loro la partecipazione, e<br />

dalla loro intercessione l’aiuto”». Né questo culto usurpa l’unica adorazione<br />

dovuta a Dio, ma la intensifica.<br />

Dopo queste precisazioni, il testo torna su una prospettiva più ampia,<br />

allargando lo sguardo al mistero della vita eterna, recuperando il linguaggio<br />

del capitolo I sul mistero della Chiesa letto alla luce della comunione trinitaria,<br />

vista finalmente nel suo definitivo compimento.<br />

E’ un inno di lode, che vale la pena di rileggere così com’è, senza alcun<br />

altro commento:<br />

«Infatti noi tutti, che siamo figli di Dio e costituiamo in Cristo una sola<br />

famiglia, mentre comunichiamo tra di noi nella mutua carità e nell’unica<br />

lode alla santissima Trinità, corrispondiamo all’intima vocazione della Chiesa<br />

e partecipiamo pregustandola alla liturgia della gloria perfetta.<br />

Quando Cristo apparirà e vi sarà la gloriosa resurrezione dei morti, la<br />

gloria di Dio illuminerà la Città del cielo, e la sua lampada sarà l’Agnello.<br />

Allora tutta la Chiesa dei santi nella suprema beatitudine dell’amore adorerà<br />

Dio e “l’Agnello che fu immolato”, esclamando con voce unanime:<br />

“A Colui che siede sul trono e all’agnello lode, onore, gloria e potenza<br />

nei secoli dei secoli”».<br />

* Docente ordinario alla P.U.G. di Roma


Aprile_11:Pag prova.qxd 02/04/2011 9.06 Pagina 5<br />

Aprile<br />

2011<br />

5<br />

Pier Giorgio Liverani<br />

«Il ruolo dei consultori familiari<br />

[almeno nel Lazio] va rilanciato,<br />

secondo le finalità della<br />

legge quadro», la numero 405<br />

del 1975. In realtà in 35 anni<br />

le cose nel campo per il quale<br />

i consultori erano stati istituiti<br />

sono notevolmente cambiate.<br />

La famiglia, che il consultorio<br />

avrebbe dovuto sostenere<br />

dopo l’approvazione del<br />

divorzio in Italia (1970) e il referendum<br />

che l’aveva confermato<br />

(1974), è caduta rapidamente<br />

in una crisi sempre più grave.<br />

A questa crisi proprio i consultori<br />

hanno dato un contributo decisivo:<br />

soltanto tre anni dopo la<br />

loro istituzione è arrivato l’aborto<br />

legale, poi la fecondazione artificiale…<br />

Sarebbe inutile dilungarsi<br />

in particolari e in spiegazioni.<br />

Basterà ricordare che, nel testo della legge statale<br />

del 1975, il consultorio era descritto come uno<br />

strumento di sostegno e di superamento delle difficoltà<br />

delle famiglie e non come una struttura di<br />

carattere soprattutto sanitaria quale esso è oggi<br />

per prestare prevalentemente attenzione alle richieste<br />

di aborto, ormai sostanzialmente “sanitarizzato”,<br />

vale a dire messo nelle mani dei medici quasi<br />

fosse una malattia. Così il consultorio è diventato<br />

presto un “abortorio”.<br />

La prova sta anche nella relativamente scarsa attenzione<br />

delle donne, le quali per abortire si rivolgevano<br />

al proprio medico per ottenere più facilmente una<br />

specie di “pass-aborto” al quale la struttura pubblica<br />

non può non dare una certa fastidiosa pubblicità.<br />

Una volta stabilito dalla legge 194 che per<br />

abortire era necessaria una sorta di “visto” medico<br />

(il passaborto, per l’appunto) che, nel clima di<br />

femminismo imperante, era assicurato a priori, senza<br />

spese e con scarse analisi e indagini personali.<br />

La trasformazione dell’istituto consultorio è<br />

stata rapida mentre le vecchie finalità di solidarietà<br />

sociale e di sostegno psicologico e giuridico<br />

sono rimaste, ma per lo più sulla carta e come<br />

una specie di alibi. Tant’è vero che dal personale<br />

del consultorio era ed è tuttora escluso il personale<br />

sanitario (medici, ostetriche, infermieri) obiettore<br />

di coscienza per eliminare a priori il rischio<br />

che esso potesse convincere qualche donna a non<br />

rinunciare al figlio! Di più: la “sacralità” della legge<br />

di aborto – in mille occasioni esplicitamente<br />

definita “sacrosanta” – impediva, quasi fosse un<br />

sacrilegio “laico” – qualsiasi discorso o ipotesi di<br />

revisione. Così l’iniziativa di una donna, coraggiosa<br />

e piena di entusiasmo – la consigliera regionale<br />

Olimpia Tarzia – di lanciare nel Lazio una proposta<br />

concreta di rifondazione del consultorio ha<br />

sollevato un grande chiasso da parte di tutto il vasto<br />

mondo abortista.<br />

La sua proposta di legge (ovviamente soltanto regionale)<br />

è già in discussione al Consiglio. Essa parte<br />

proprio dal contenuto dei primi due articoli della<br />

legge 194, che assicurano che lo Stato «tutela<br />

la vita umana dal suo inizio», esclude l’uso dell’aborto<br />

«ai fini della limitazione delle nascite» e<br />

dà ai consultori il compito di «contribuire a far superare<br />

le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione<br />

di gravidanza» e, per questo, di<br />

«avvalersi della collaborazione volontaria di idonee<br />

formazioni sociali di base e di associazioni<br />

del volontariato che possono anche aiutare la maternità<br />

difficile dopo la nascita» (il riferimento è, per<br />

esempio, ai Centri di aiuto alla vita del Movimento<br />

per la vita. L’esperienza ha dimostrato che queste<br />

affermazioni della 194 sono rimaste lettera morta:<br />

una vera presa in giro e un inganno per l’opinione<br />

pubblica e per servire alla politica abortista.<br />

La legge proposta dalla consigliera professoressa<br />

Tarzia (per molti anni Segretaria generale<br />

del Movimento per la vita italiano, con un master<br />

in bioetica) e sottoscritta da altri 40 consiglieri, mira,<br />

invece, a «promuovere e favorire il ruolo dei<br />

Consultori familiari sul proprio territorio, garantendo<br />

la partecipazione delle famiglie e delle associazioni<br />

di volontariato, nonché la loro collaborazione<br />

con le strutture pubbliche. Ed ecco come<br />

Olimpia Tarzia presenta le principali caratteristiche<br />

della sua proposta. La legge che molto probabilmente<br />

sarà approvata, dovrebbe:<br />

1. Cancellare «la “sanitarizzazione” dei consultori,<br />

restituendo loro il ruolo sociale di servizio alla<br />

famiglia, alla persona, alla coppia e al minore, facendoli<br />

rientrare nei livelli essenziali dell’assistenza<br />

sociale, oltre che sanitaria».<br />

2. Rafforzare l’équipe multidisciplinare dei<br />

consultori, necessaria oggi per affrontare e risolvere<br />

la complessità delle problematiche materne<br />

e familiari attuali.<br />

3. Ogni consultorio dovrà garantire le informazioni<br />

sui servizi, sugli strumenti di sostegno pubblici e<br />

privati e sui luoghi di accoglienza per gestanti e<br />

ragazze madri in difficoltà per sostenerle nel caso<br />

di una maternità difficile tutelando così la loro la<br />

libertà di non abortire.<br />

4. I consultori sono obbligati ad aiutare la donna<br />

a superare le cause che la inducono all’aborto,<br />

anche attraverso un sostegno economico; a cercare<br />

le possibili soluzioni dei problemi e ad offrire<br />

concrete alternative all’aborto.<br />

5. Nella fase di azione preventiva è prevista la<br />

presenza delle associazioni di volontariato impegnate<br />

nella difesa della vita nascente e della<br />

maternità.<br />

6. Saranno riconosciuti anche i consultori promossi<br />

da associazioni familiari, di volontariato, diocesani<br />

ecc., nel rispetto delle loro finalità statutarie<br />

e con pari dignità di quelli pubblici, anche<br />

tramite convenzioni.<br />

Naturalmente una simile proposta di effettiva tutela<br />

della maternità e del nascituro ha irritato fortemente<br />

l’area culturale abortista: nella proposta<br />

di legge – orrore! – c’è scritto «non abortire». Così<br />

le veterofemministe hanno risposto con violenti<br />

attacchi sulla stampa, hanno scatenato persino<br />

un tentativo di aggressione alla consigliera proponente<br />

e organizzato convegni, eventi, volantinaggi,<br />

manifesti, mozioni in vari consigli comunali<br />

e municipali. Emma Bonino ha subito esortato a<br />

una mobilitazione a livello nazionale “contro la legge<br />

Tarzia”: «Se la proposta di legge passerà, la<br />

Regione Lazio sarà il terreno di prova di ciò che<br />

avverrà a livello nazionale»: la revisione della legge<br />

194. Magari così fosse! La Bonino ha definito<br />

«una miseria» i 250 Euro mensili che, con il<br />

“Progetto Nasko, la Regione Lombardia offre alle<br />

gestanti in difficoltà economiche come per la durata<br />

di 18 mesi. “Nasko” è strutturato sul modello<br />

del Progetto Gemma, con cui il Movimento per<br />

la Vita italiano ha salvato ben 16.000 bambini in<br />

una dozzina di anni.<br />

Nell’immagine: Nascita di Maria,<br />

Domenico Ghirlandaio, 1486-90, Firenze


Aprile_11:Pag prova.qxd 02/04/2011 9.10 Pagina 6<br />

Aprile<br />

6<br />

2011<br />

U<br />

Stanislao Fioramonti<br />

na buona definizione sintetica dell’Unità<br />

d’Italia che oggi ricordiamo l’ho trovata<br />

nel mio vecchio libro di Storia<br />

della III Liceo, scritto da Francesco Moroni<br />

e pubblicato nel 1961, quando si festeggiava<br />

il centenario della stessa ricorrenza.<br />

Essa dice: “L’unità territoriale e politica d’Italia<br />

risultò dalla concordia discorde di molte forze,<br />

che si possono ridurre, schematizzando,<br />

a quattro: l’idealità (Mazzini), il volontariato<br />

(Garibaldi), la monarchia (Vittorio Emanuele<br />

II), la politica (Cavour). Inutile chiedersi a<br />

quale spetti il primato”.<br />

Nella definizione sono compresi o sottintesi<br />

cinquant’anni di fatti e personaggi che hanno<br />

fatto l’Italia: i moti carbonari del 1821 e<br />

quelli mazziniani della Giovine Italia, i circoli<br />

letterari di Federico Confalonieri a Milano<br />

(Il Conciliatore) e del Viesseux a Firenze<br />

(L’Antologia), “Le mie prigioni” di Silvio Pellico<br />

e “Il primato” di Vincenzo Gioberti, le note<br />

di Giuseppe Verdi e i versi di Manzoni e di<br />

Goffredo Mameli, il sacrificio di tanti<br />

patrioti dei quali Ciro Menotti, i fratelli Bandiera<br />

e Carlo Pisacane sono<br />

solo i più noti, l’eroismo<br />

di città come Milano delle<br />

Cinque Giornate e<br />

come Brescia Leonessa<br />

d’Italia, le effimere<br />

quanto gloriose repubbliche<br />

Romana e Veneta<br />

del 1849, le prime due<br />

guerre d’indipendenza,<br />

gli alleati manifesti<br />

(Francia), reconditi<br />

(Gran Bretagna) e occulti<br />

(Massoneria), persino<br />

gli avversari più<br />

odiati come l’imperatore<br />

asburgico Franz Joseph<br />

(Cecco Beppe) e il suo<br />

maresciallo Radetzki, i<br />

re di Napoli Ferdinando<br />

II e Francesco II (Re<br />

Bomba e Franceschiello),<br />

il papa Pio IX e i suoi<br />

fedeli, definiti con disprezzo “clericali”, “baciapile”<br />

e peggio ancora.<br />

Di tutto questo, e di molto di più, si dovrebbe<br />

parlare oggi per spiegare un fenomeno che<br />

ha portato sette stati diversi, posti nella stessa<br />

entità geografica, a formare una sola, grande<br />

benché acerba nazione.<br />

E’ però indubbio che l’Unità si concretizzò<br />

nel decennio in cui il governo del Regno di<br />

Sardegna fu retto dal conte di Cavour, prima<br />

che la morte lo cogliesse a soli 51 anni<br />

il 6 giugno 1861. La sua politica lucida e spregiudicata<br />

portò prima all’ingresso del piccolo<br />

regno sabaudo nell’ambito della grande diplomazia<br />

europea (guerra di Crimea e successivo<br />

Congresso di Parigi); poi all’alleanza con<br />

la Francia contro l’Austria, che a dispetto della<br />

pace di Zurigo fruttò buona parte della<br />

Lombardia e i piccoli regni del centro Italia,<br />

pur costando la perdita di Nizza e Savoia; infine<br />

all’annessione delle Due Sicilie borboniche,<br />

cioè del meridione della Penisola, grazie a<br />

un’avventura – quella dei Mille di Garibaldi<br />

– ufficialmente avversata ma nascostamente<br />

appoggiata.In quel decennio furono fissati<br />

i caratteri fondamentali della nuova Italia; essa<br />

sarebbe stata monarchica, centralizzata, borghese,<br />

socialmente conservatrice, anticlericale.<br />

E quel Regno d’Italia e<br />

il suo re Vittorio Emanuele II<br />

di Savoia proclamò il 17 marzo<br />

1861 il nuovo Parlamento<br />

riunito a Torino.<br />

“Al compimento dell’unità territoriale<br />

e politica – scrive<br />

ancora il Moroni – mancavano<br />

solo Roma e Venezia. Molto di<br />

più mancava al compimento dell’unità<br />

civile, economica, morale<br />

e spirituale”. La nuova entità politica<br />

risultava infatti più un ingrandimento<br />

del regno sardo che una nazione<br />

vera e propria, e nasceva con grossi<br />

problemi (“questioni”), alcuni dei quali<br />

a tutt’oggi non ancora del tutto superati,<br />

che ne avrebbero notevolmente frenato e condizionato<br />

lo sviluppo. Dall’estensione a tutte<br />

le regioni di uno Statuto – quello Albertino<br />

del 1848 – concepito solo per il regno sabaudo<br />

nacque la questione istituzionale, dovuta<br />

all’eccessivo accentramento e al grave distacco<br />

tra politica e società civile, tra paese<br />

legale e paese reale, come si suol dire. La proclamazione<br />

di Roma capitale esasperava una<br />

questione romana già aperta dall’allocuzione<br />

di Pio IX del 1848 e dalle leggi anticlericali<br />

di Cavour, e provocava una spaccatura<br />

tra laici e cattolici destinata a durare<br />

nel tempo. La questione sociale poi, conclamata<br />

dal brigantaggio meridionale e<br />

dalla sempre disattesa fame di terra dei<br />

contadini (il 70-80% dei 22 milioni di italiani<br />

di allora), portò ostilità e ribellione verso<br />

lo stato soprattutto al centro e al sud della<br />

Penisola, e poi alla miseria e al doloroso<br />

fenomeno dell’emigrazione oltreoceano.<br />

Dal punto di vista sociale infatti – ha scritto<br />

un altro storico e docente, Gabriele De Rosa<br />

(Storia contemporanea, Minerva Italica, 1976,<br />

pag. 149) – “il<br />

Risorgimento fu<br />

una bandiera<br />

patriottica attorno<br />

alla quale si<br />

strinsero i ceti della<br />

piccola e media<br />

borghesia urbana<br />

e che rimase estranea,<br />

se non sconosciuta,<br />

alle<br />

popolazioni rurali,<br />

le quali si<br />

destarono solo<br />

nei casi in cui al<br />

richiamo della<br />

guerra per l’indipendenza<br />

si unì<br />

anche quello della<br />

spartizione delle<br />

grandi proprietà<br />

terriere”,<br />

come avvenne


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Aprile<br />

2011<br />

7<br />

Liliana Aumenta<br />

n quest’anno di celebrazioni dell’Unità<br />

Id’Italia,anche nel piccolo ambito in cui<br />

come Unitre ci troviamo ad operare,<br />

abbiamo deciso di trattare l’argomento puntando<br />

l’attenzione sulla nostra realtà locale.<br />

In verità la città di <strong>Velletri</strong> in quanto parte<br />

dello Stato Pontificio non può a buon diritto<br />

rivendicare un ruolo nel processo di unificazione<br />

che si concluse con la proclamazione<br />

del Regno d’Italia. Col prof. Maola, che all’Unitre<br />

tiene una serie di incontri, abbiamo quindi<br />

seguito le vicende della nostra città in<br />

un momento antecedente al 1861, in particolare<br />

all’epoca della Repubblica Romana.<br />

Siamo partiti da una lapide posta su un pilastro<br />

della Cattedrale di San Clemente, all’altezza<br />

della Cappella della Madonna delle Grazie. In essa il re Ferdinando<br />

II ringrazia la Madonna per lo scampato pericolo. Quello a cui allude è il<br />

rischio corso dalle truppe borboniche che, dopo la famosa battaglia di <strong>Velletri</strong>,<br />

passando per Cisterna rientravano nel regno di Napoli. Per rendere più<br />

vivace il racconto degli eventi il prof. Maola ha voluto proporceli attraverso<br />

le parole di Garibaldi tratte dall’opera autobiografica “Memorie”, Ed. Einaudi,<br />

1975, e quelle del gesuita autore di “Istoria del Santuario della Beatissima<br />

Vergine delle Grazie che si venera nella S.S. basilica Cattedrale di <strong>Velletri</strong><br />

scritta da un religioso della Compagnia di Gesù e continuata sino ai giorni<br />

nostri per mons. Luigi Angeloni, canonico penitenziere della stessa Chiesa<br />

“, Ed. <strong>Velletri</strong>, Tipografia Busnengo,1882. In tal modo gli stessi eventi vengono<br />

ricordati da fonti diverse e animate da intenti diversi.<br />

L’episodio che viene narrato è quello della battaglia di <strong>Velletri</strong>, combattuta<br />

il 19 maggio 1849 dalle truppe repubblicane sotto il comando del gen.<br />

Roselli. Attraverso le parole di Garibaldi davanti ai nostri occhi la battaglia<br />

si dispiega lungo la strada che conduce a <strong>Velletri</strong> da Montefortino (Artena)<br />

dove i repubblicani erano giunti dopo i fatti di Palestrina.<br />

Il gen.Garibaldi alla testa di una “vanguardia” si scontrò con un reggimento<br />

di Cacciatori a cavallo che furono respinti. Ma in un altro scontro “colla<br />

testa di colonna principale” i repubblicani retrocessero caricati dai cavalieri<br />

borbonici e i loro cavalli “per la maggior parte giovani e non agguerriti<br />

vennero indietro in tutta furia”. Garibaldi descrive quindi la grande confusione<br />

che si determinò, anche a seguito di una sua imprudenza, col mucchio<br />

di uomini e cavalli rovesciati. E se non ci fosse stato l’intervento di<br />

legionari schierati nelle vigne a destra e sinistra della strada che caricarono<br />

e respinsero il nemico, Garibaldi e gli uomini a lui più vicini non si<br />

sarebbero certo tolti da quel “desolante impiccio “.Il Generale riportò una<br />

serie di contusioni, visto che era stato calpestato dai cavalli, ma lo scontro<br />

si risolse comunque favorevolmente per lui. Nelle sue memorie Garibaldi<br />

si rammaricava indispettito del fatto che il grosso dell’esercito repubblicano,<br />

trattenuto verso Zagarolo in attesa dei viveri che dovevano giungere<br />

da Roma, non arrivasse. in tempo per sferrare l’attacco decisivo e bloccare<br />

la ritirata dei soldati borbonici che erano attestati in città.<br />

Il gen.Roselli decise l’attacco per il giorno successivo mentre il nemico “non<br />

aspettò il nostro comodo e sgombrò <strong>Velletri</strong> nella notte, facendo scalzare<br />

i soldati e fasciare le ruote dei cannoni, per potersi ritirare con più silenzio”.Facendo<br />

proprio riferimento alla fuga di Ferdinando II con il suo esercito<br />

per la via Appia verso Terracina e Napoli il padre gesuita nelle memorie<br />

teneva a sottolineare non solo il fatto che “Maria coll’una mano custodiva<br />

il re” ma che con l’altra si era “prestata alla tutela di <strong>Velletri</strong>”. Con questa<br />

espressione egli faceva riferimento al fatto che i repubblicani, giunti in<br />

S.Clemente, non si abbandonarono al saccheggio del Tesoro della Madonna,<br />

anche se sette lustre lampade d’argento sembravano essere lì apposta per<br />

attrarre la cupidigia dei soldati,che chiesero meravigliati ad un sacerdote<br />

come mai fossero esposte e questo rispose “essere arredi della Madonna;<br />

se alcuno le voleva si provasse un poco a staccarle…che la Vergine custodirebbe<br />

da sé la roba sua”. I soldati sgomberarono la città di lì a poco e<br />

“le lampade e le gioie, per bella providenza, rimaser dov’erano nel santuario<br />

“. Tanti furono gli avvenimenti,quindi, e non solo di natura bellica,<br />

legati all’esperienza della Repubblica Romana. I luoghi dello scontro militare<br />

più duro, tra il Cimitero e quella che è conosciuta come Cantina Sperimentale,<br />

sono stati visitati dal prof. Maola e da alcuni dei suoi alunni, studenti dell’Istituto<br />

“C.Battisti” di <strong>Velletri</strong>. Lo scopo della ricognizione è stato fotografare : vigne,<br />

oliveti, il colle dei Cappuccini, la parte absidale della Cattedrale per produrre<br />

un elaborato multimediale che attestasse i cambiamenti avvenuti nel<br />

tempo nei luoghi della battaglia medesima. Con tale lavoro gli studenti hanno<br />

partecipato ad un concorso bandito dalla Provincia di Roma “I nostri<br />

primi 150 anni”. Quest’esperienza di incontro tra generazioni svoltasi nella<br />

sala Micara è stata quindi bella e produttiva perché ha permesso agli<br />

anziani di ricordare e ai giovani di conoscere per non dimenticare.<br />

Al momento di andare in stampa apprendiamo che il prof. Maola ed i suoi<br />

studenti sono risultati tra i vincitori del concorso bandito dalla Provincia di<br />

Roma e quindi saranno a Torino a fine marzo in viaggio premio.<br />

Congratulazioni vivissime !<br />

con Garibaldi in Sicilia o con la I Guerra Mondiale<br />

(da alcuni considerata IV Guerra d’Indipendenza).<br />

Fatta l’Italia, bisognava dunque fare gli Italiani,<br />

secondo la famosa frase attribuita a Massimo<br />

D’Azeglio, ma probabilmente a lui successiva,<br />

e come recita anche la seconda strofa<br />

– che non si canta mai – dell’Inno di Mameli.<br />

Ma se per fare l’Italia sono bastati 50 anni,<br />

per fare gli Italiani non ne sono bastati 150<br />

– come dimostra l’attualità che viviamo –<br />

e probabilmente non ne basteranno altrettanti.Se<br />

solo prendessimo coscienza di questa realtà,<br />

interpellando criticamente la Storia (con<br />

la S maiuscola), e se ci impegnassimo<br />

a modificarla ognuno per quanto<br />

gli è possibile, allora l’anniversario<br />

che festeggiamo non<br />

sarà venuto invano, perché<br />

eviterà il rischio dell’esercitazione<br />

retorica per<br />

diventare un’occasione<br />

di crescita<br />

comune.


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Aprile<br />

8<br />

2011<br />

Claudio Capretti<br />

Carissimo Davide,<br />

l’altra sera non credo<br />

di aver dato il meglio<br />

di me stesso. Ero a<br />

cena da una amica, il cui<br />

marito ha ribadito più volte<br />

le sue idee decisamente<br />

liberali... e guai a contraddirlo<br />

perché verresti<br />

tacciato di intolleranza.<br />

Dopo aver taciuto in<br />

merito a determinate<br />

affermazioni, alla fine<br />

tradendo una certa impazienza,<br />

ho cercato di<br />

spiegargli che quel tipo<br />

di vita che tanto declamava,<br />

era dannosa e<br />

soprattutto diseducativa.<br />

Nel discutere, non ci<br />

siamo resi conto che<br />

entrambi ci eravamo<br />

“scaldati” un po’ troppo,<br />

così, per arginare l’imbarazzo<br />

delle nostre<br />

mogli, abbiamo preferito<br />

chiudere quella discussione<br />

e parlare d’altro. Tornandomene a casa, mi tornava<br />

in mente la frase che lui ripeteva spesso per avvalorare<br />

le sue tesi : ma in fondo che male c’è?. Ed<br />

il punto centrale era proprio questo: l’incapacità di<br />

vedere le conseguenze di quell’ideologia che declamava<br />

a gran voce. Sai, mi è venuto in mente che<br />

la carenza di discernimento, ci ha condotti nel più<br />

subdolo degli inganni: non capire dove sia il bene<br />

e dove sia il male.<br />

Tu mio caro Davide, non sei caduto in questo inganno,<br />

e pur avendo commesso degli errori, sei stato<br />

un “uomo secondo il cuore di Dio” (At 13,22).<br />

Quando dall’alto del tuo trono, vedesti entrare il profeta<br />

Natan l’ultima cosa che avresti immaginato,<br />

era che ti avrebbe messo dinnanzi al tuo peccato<br />

(2 Sam 12,1-14). Venne a te, non per schiacciarti,<br />

ma per mostrarti il tuo peccato e agevolarti<br />

nel ritorno a Dio. E la tua grandezza, mio caro<br />

Davide, fu nel riconoscere i tuoi misfatti e fare in<br />

modo che il tuo pentimento divenisse padre di tutti<br />

i pentimenti (A. Chiusano); con lo stesso ardore<br />

con cui eri andato con Betsabea, ti rivolgesti a<br />

Dio con il canto del Miserere (R. Shalom).<br />

Ci hai lasciato come eredità due cose molto importanti;<br />

la prima è l’averci fatto comprendere che la<br />

fonte del male non sta in un cuore che batte forte,<br />

ma piuttosto nella durezza del cuore (A.J. Heschel);<br />

la seconda è il salmo 50 – Pietà di me o Dio… -,<br />

con il quale ogni venerdì la Chiesa prega.<br />

E sai una cosa? In quasi mezzo secolo di vita, ho<br />

perso il conto delle volte in cui mi sono ritrovato a<br />

chiedere perdono a Dio, con l’aiuto delle tue parole.<br />

La tua fragilità è anche la nostra, di uomini che<br />

vivono ormai nel XXI secolo. Infinite e false indicazioni<br />

stradali, ci fanno perdere di vista la destinazione<br />

finale. Strade ambigue ci conducono al “campo”<br />

della socializzazione della colpa, dove la coscienza<br />

sembra aver perso la capacità di discernere ciò<br />

che è bene e ciò che è male, dove l’azione buona<br />

è “normale” e non morale e l’azione cattiva non<br />

è colpevole, ma patologica. Ci siamo accostati “all’albero”<br />

della demitizzazione del peccato, i cui frutti<br />

hanno lo scopo di favorire il declino della responsabilità<br />

morale. Nonostante tutto questo, tu mio caro<br />

Davide, rimani per noi un faro acceso, posto alla<br />

fine di un mare diviso in due parti che tutti noi stiamo<br />

faticosamente attraversando.<br />

Mi sembra quasi di vederti sulla sponda opposta<br />

mentre ci guardi come a volerci dire che, se ci sei<br />

riuscito tu, con il tuo essere uomo di carne, anche<br />

noi ce la possiamo fare. Sei una garanzia perché,<br />

nonostante le tue debolezze, ti sei lasciato raggiungere<br />

dalla misericordia di un Dio che ostinatamente e<br />

continuamente, va alla ricerca dell’uomo per<br />

ricondurlo a sé. La tua storia viene a dirci che il<br />

Signore nel giudicare l’umanità preferisce abbandonare<br />

lo scranno del diritto per sedersi su quello<br />

della misericordia (Talmud babilonese).<br />

La tua vicenda ci insegna che la misericordia divina<br />

è più grande della sua giustizia, come ricordava<br />

il cardinale vietnamita Nguyen Van Thuan; il Signore,<br />

mentre misura sulla bilancia del giudizio le nostre<br />

azioni, volentieri preme sul piatto della misericordia<br />

perché, come scherzosamente scriveva il cardinale,<br />

Egli è carente in matematica.<br />

Per il Signore, una pecora vale quanto le novantanove<br />

rimaste nell’ovile. Dopo aver ritrovato la<br />

dramma che aveva perso in casa, non si preoccupa<br />

se, nel far festa, il banchetto per gli amici avrà<br />

un costo superiore al valore della dramma recuperata.<br />

Per lui, infatti, è<br />

più importante la condivisione<br />

che il guadagno.<br />

Il Signore non si intende<br />

di economia e di<br />

finanza e retribuisce l’operaio<br />

che ha lavorato un’ora<br />

sola con lo stesso stipendio<br />

di quello che ha<br />

faticato tutto il giorno. Non<br />

ha una buona memoria,<br />

e non solo perdona, ma<br />

dimentica pure che ha perdonato,<br />

come fece dalla<br />

croce con il buon ladrone.<br />

E il perché di questi<br />

“difetti”, tu lo sai<br />

meglio di me:<br />

“Perché Dio è Amore”<br />

(1Gv 4,16), solo scoprendo<br />

questo il nostro cuore si<br />

converte a Lui, e la nostra<br />

notte viene toccata dall’allegria<br />

della luce (Maria<br />

Zambrano). Non è forse<br />

la luce della Pasqua che<br />

celebreremo tra poche settimane?<br />

Non è forse la<br />

luce della vittoria di Cristo<br />

su colei che uccideva l’uomo, cioè la morte?<br />

Come non gioire per il nostro riscatto e per una<br />

figliolanza con un Dio che è fonte di ogni misericordia?<br />

Come non ordinare al nostro cuore in quella<br />

santa notte “Risvegliati mio cuore, svegliatevi arpa<br />

e cetra, voglio svegliare l’aurora” (Sal 56,9).<br />

Caro Davide, voglio congedarmi da te con una preghiera<br />

di san Luigi Orione il cui cuore batteva forte<br />

per Dio e per le anime.<br />

Dalle sue espressioni emerge il grande desiderio<br />

di diffondere la parola del Vangelo affinché tutti siano<br />

salvi. Se vi era una preferenza in lui, era per i<br />

più lontani:<br />

“Preservami, o mio Dio, dalla funesta illusione, dal<br />

diabolico inganno che io prete debba occuparmi<br />

solo di chi viene in chiesa e ai sacramenti, delle<br />

anime fedeli e delle pie donne. Certo, il mio ministero<br />

riuscirebbe più facile, più gradevole, ma io<br />

non vivrei di quello spirito di apostolica carità verso<br />

le pecorelle smarrite, che risplende in tutto il Vangelo.<br />

Solo quando sarò spossato e tre volte morto nel<br />

correre dietro ai peccatori, solo allora potrò cercare<br />

qualche po’ di riposo presso i giusti. Che io non<br />

dimentichi mai che il ministero a me affidato è ministero<br />

di misericordia, e usi coi miei fratelli peccatori<br />

un po’ di quella carità infaticata, che tante volte<br />

usaste verso l’anima mia, o gran Dio”.<br />

Spero che queste parole rincuorino coloro che sono<br />

lontani da Dio o ancora non lo conoscono e infondano<br />

in loro una struggente nostalgia di Colui che<br />

è all’origine e alla fine di ogni nostro desiderio perché,<br />

come la tua vita ci insegna, il posto del cuore<br />

dell’uomo, è nel cuore di Dio (Sant’Agostino).<br />

Nell’immagine: Nathan avvisa il Re Davide,<br />

Matthias Scheits (1672)


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Aprile<br />

2011<br />

9<br />

“Ne la profonda e chiara sussistenza<br />

De l’alto lume parvemi tre giri<br />

Di tre colori e d’una contenenza;<br />

e l’un da l’altro come iri da iri<br />

parea reflesso, e ‘l terzo parea foco<br />

che quinci e quindi igualmente si spiri.<br />

Oh quanto è corto il dire e come fioco<br />

Al mio concetto! e questo, a quel ch’i’ vidi,<br />

è tanto, che non basta a dicer”poco”.<br />

S<br />

Sara Gilotta<br />

ono versi tratti dal canto XXXIII del Paradiso di Dante ed esprimono<br />

in modo mirabile il concetto di Trinità , il dogma più alto e<br />

misterioso del Cristianesimo, sul quale interrogarsi sembra inutile<br />

oggi come ieri. Eppure la poesia<br />

di Dante è capace di offrire all’uomo<br />

qualcosa che lo innalza verso il più alto<br />

dei cieli e nel contempo lo fa sentire<br />

piccolo e limitato nella sua capacità di<br />

comprendere e di dire. Perché nei tre<br />

“giri” che costituiscono la Trinità, il secondo,<br />

anzi la seconda “circulazion”<br />

appare al poeta “pinta de la nostra effige”<br />

l’effige del Figlio che si è fatto uomo,<br />

senza “cessare” di essere Dio, per tornare,<br />

dopo la morte e resurrezione, presso<br />

il trono del Padre.<br />

E’ il mistero dell’Incarnazione, di fronte<br />

alla quale Dante si sforza di vedere<br />

e di capire, ma sa che le sue forze<br />

sono del tutto insufficienti, per elevarsi<br />

tanto. Eppure i versi di Dante nel<br />

fascino assoluto della poesia permettono<br />

di avvicinarsi all’ineffabile grandezza<br />

di Dio, mostrando l’immagine dell’uomo<br />

dentro i cerchi della Trinità. Ed è<br />

a questo punto che quel che poteva<br />

sembrare difficile ed arduo da comprendere, si scioglie, per diventare<br />

l’ultima esaltazione di Dio, di Suo Figlio e di tutto il genere umano, per<br />

il quale Dio ha voluto che Suo Figlio si incarnasse, patisse la Croce e<br />

risorgesse, per portare con sé “tutti gli uomini di buona volontà”. E’ questo<br />

il significato e il messaggio più bello della Pasqua, valido per tutti i<br />

cristiani, e non solo, e capace di far sì che si riesca o almeno si tenti di<br />

guardare alla storia e al mondo, non come semplici opposizioni, ma come<br />

una realtà in stretta congiunzione da educare, da difendere e continuamente<br />

sviluppare nonostante i tempi difficili e persino (almeno apparentemente!)<br />

assurdi in cui il nostro vivere è inesorabilmente immerso. Certo forse mai<br />

come oggi per l’uomo è difficile anche solo avvicinarsi con la necessaria<br />

e consapevole umiltà agli insegnamenti del Vangelo, per cercare di<br />

guardare ad Esso con la speranza di imparare a trovare Gesù. Perché,<br />

come si dice nella “Imitazione di Cristo” oggi, di innamorati del suo regno,<br />

Gesù ne trova molti, pochi, invece, ne trova di pronti a portare la sua<br />

“croce”e, nonostante nel mondo non vi sia alcuno che non porti una croce,<br />

troppo spesso è l’ egoismo a prevalere, facendo in modo che da parte<br />

di tutti si avverta solo il bisogno di consolazione, solo il desiderio di<br />

superare gli sballottamenti del vivere quotidiano.<br />

Di fronte al quale, per troppi di noi, è fondamentale solo non deporre la<br />

speranza di salvarsi, come dice Montaigne, dall’universale naufragio del<br />

mondo. E in tale naufragio l’uomo rischia continuamente di perdere innanzitutto<br />

se stesso, perché siamo adusi ad affaticarci e a correre per un<br />

piccolo guadagno, mentre ciò che è sommamente necessario al nostro<br />

spirito, lo lasciamo indietro, lo dimentichiamo. “l’uomo conosce città e<br />

montagne, ma non conosce se stesso” così dice S. Agostino, anticipando<br />

Montaigne e dando a ciascuno che voglia intendere, la possibilità di superare<br />

la condizione di naufrago e cominciare ad alzare gli occhi al cielo.<br />

Per tentare non tanto di uscire dalla storia, ma di vivere in essa, riconoscendone<br />

la precarietà, il pericolo che comporta il farne parte, senza<br />

però dimenticare l’interiorità, lo spirito e per non rischiare di cadere<br />

nell’arroganza di ritenerci sempre innocenti e vittime del destino, così<br />

come delle autorità socio-politiche, che dall’alto sembrano tirare i fili del<br />

nostro vivere. Ed è questo, tra i tanti, uno degli errori del nostro tempo,<br />

essere caduti in quel sonno-cecità, che impedisce di risvegliarci alla coscienza.<br />

Se poi nella parola destino intendiamo riferirci a Dio, allora, e purtroppo<br />

tale situazione è sotto i nostri occhi, ci si convince che il male o<br />

quanto meno, l’errore non dipende da noi ma da Dio, che invece non<br />

può, proprio in quanto Dio che essere amore e perfezione assoluta.Insomma<br />

la Pasqua di resurrezione deve costituire il momento, in cui con maggiore<br />

e più intensa “lucidità” tutti dovrebbero pensare alla necessità di<br />

pentirsi, considerando che, piaccia o no, la precarietà di ogni bene che<br />

non conduca al cielo o per lo meno che sia capace di indurci a riflettere<br />

sulla necessità di scorgere, oltre il contingente, qualcosa di più alto,<br />

che non ci costringa a rimanere legati a terra, quasi legati nelle mani e<br />

nei piedi, oltre che nel cuore e nell’anima. In questo senso mi piace concludere<br />

con i versi composti da William Blake:<br />

“Grazia, Amore, Pace e Pietà<br />

Chi è negli affanni prega,<br />

e ad esse virtù che liberano<br />

torna l’animo grato.<br />

Grazia, Amore, Pace e Pietà<br />

È Iddio, Padre caro,<br />

Grazia, Amore, Pace e Pietà<br />

È l’uomo, Suo figliolo e Suo pensiero.<br />

La Grazia ha cuore umano ;<br />

Volto umano, Pietà;<br />

Umana forma divina , l’Amore,<br />

e veste umana, Pace.<br />

Ogni uomo, d’ogni clima,<br />

se prega negli affanni,<br />

l’umana supplica forma divina,<br />

Amore e Grazia e la Pietà e La Pace.<br />

Da tutti amata sia l’umana forma,<br />

in Turchi si mostri o in Ebrei;<br />

dove trovi Pietà l’Amore e Grazia,<br />

Iddio Sta di casa.”<br />

Nell’immagine: Disputa del Ss.mo Sacramento,<br />

part. 1510-11, Raffaello Sanzio, Vaticano


Aprile_11:Pag prova.qxd 02/04/2011 9.21 Pagina 10<br />

Aprile<br />

10 2011<br />

Mons. Luigi Vari*<br />

Riflettere sul linguaggio, è riflettere sull’uomo, che ha, nella capacità<br />

di parlare l’elemento che più lo caratterizza. Se si riflette<br />

meglio sulla natura della parola umana ci si accorge che essa<br />

è complessa come la stessa natura umana. Il cuore dell’uomo è un abisso<br />

recita il Salmo 64 al v. 7; Padre Turoldo lo definisce così: “l’interno<br />

dell’uomo è un enigma, è un abisso insondabile il cuore”.<br />

Alla stessa maniera si può dire che il linguaggio umano è profondo come<br />

un abisso, ma non nel senso che non si può sondare, poiché il linguaggio<br />

ha senso solo in quanto rivela il cuore dell’uomo, ma nel senso che non<br />

si può liquidare con superficialità, pensando a esso come a una funzione<br />

esterna alla persona.<br />

È, del resto, esperienza comune che quando s’impara una lingua non<br />

basta conoscerne le regole grammaticali e sintattiche, ma è necessario<br />

entrare nel mondo di quella lingua, e cioè nella cultura di chi la usa.<br />

Un esempio più comprensibile può nascere dall’uso diffuso del computer,<br />

senza rendersene conto non s’imparano solo dei comandi, ma si acquista<br />

una mentalità, tanto più radicalmente quanto più povero è l’universo<br />

culturale di chi impara.<br />

Parlare il linguaggio informatico potrebbe essere per qualcuno l’occasione<br />

di pensare che quello che circola fra persone è l’informazione, che<br />

è essa che le lega fra loro; non si pensa, se non si possiedono altri linguaggi,<br />

che la vita non è solo questione d’informazione, ma anche di<br />

formazione, che le parole non sono solo da organizzare per la regola<br />

dell’attinenza, ma devono essere scelte per i significati profondi.<br />

Una persona che riducesse il suo linguaggio a quello che si usa nelle<br />

chat e nei siti, sarebbe una persona molto confusa, avrebbe un link per<br />

qualunque necessità della vita, ma non avrebbe una vita propria.<br />

Fa impressione entrare in qualche pagina di face book, dove, nella stessa<br />

pagina, convivono insieme poesie e considerazioni ciniche, preghiere<br />

e bestemmie, pensieri filosofici, canzoni, parolacce, versacci e versi,<br />

senza perché.<br />

Il linguaggio informativo ha una sua dignità, è quello tipico della scuola,<br />

e anche della piazza; ma non basta a fare delle scelte, a orientarsi<br />

nella vita, perché il cuore dell’uomo è un abisso e non una piazza. È il<br />

linguaggio della notizia, della descrizione scientifica, del bugiardino dei<br />

medicinali. Nessuno può disprezzare questo livello perché uno parla anche<br />

per informare, chiede informazioni e così via.<br />

Il linguaggio della Bibbia non sarebbe seriamente umano se mancasse<br />

di questa dimensione. La Bibbia fa proprio questo primo livello di linguaggio<br />

e fornisce molte informazioni di natura diversa, anzi è proprio il contenuto<br />

del linguaggio informativo che qualche volta crea problemi che riguardano<br />

la sua attendibilità, specie se si tratta di informazioni storiche o scientifiche.<br />

Pensare che la Parola di Dio possiede anche questa dimensione<br />

informativa che la espone alla discussione e alla contestazione, è<br />

una conferma alla serietà della volontà di Dio di parlare con l’uomo, condividendo<br />

tutte le dimensioni del linguaggio, anche le più semplici e comuni<br />

a tutti. Se si cercano esempi di linguaggio informativo nella Bibbia,<br />

ce ne sono molti; i libri storici, a esempio, nascono come cronache che<br />

informano della vita di corte e raccolgono testimonianze e documenti;<br />

lo stesso discorso può essere fatto per la letteratura legale, che trasmette<br />

codici, e quella sapienziale che, per sua natura, è orientata all’insegnamento.<br />

Altre volte le informazioni sono fornite, en passant, cioè non come scopo<br />

principale della comunicazione.<br />

Nel Vangelo Gesù fa riferimento a fatti di cronaca, informa sul modo di<br />

pensare e di vivere dei suoi compaesani, soprattutto quando Gesù insegna,<br />

il linguaggio manifesta la sua natura d’informazione.<br />

Chi parla per insegnare, per descrivere, per informare, di fatto, vive una<br />

dimensione di servizio nei confronti dell’altro, esprime una necessità di<br />

relazione e rinuncia alla solitudine di chi pensa di non aver nulla da dire<br />

o niente da imparare.<br />

La manipolazione è il peccato di questo linguaggio, perché proprio il tono<br />

asettico dell’informazione apre alla possibilità di trasmettere cose false,<br />

funzionali a un proprio disegno, consapevoli che quasi nessuno si mette<br />

a controllare le informazioni che riceve. Evidentemente questo peccato<br />

del linguaggio non può essere presente nella Parola di Dio.<br />

Qualcuno già farà l’obiezione sugli errori che ci sono nella Bibbia. Di questo<br />

si parlerà , ma sbagliare, trasmettendo le conoscenze a disposizione,<br />

è diverso dal manipolare.<br />

C’è un film che descrive la Roma papalina ai tempi della repubblica romana,<br />

fra i protagonisti un medico che aderisce alla carboneria perché il<br />

papa re non gli consente di combattere il vaiolo con il vaccino.<br />

A nessuno verrebbe in mente di pensare che il fatto della negazione<br />

del vaccino non corrisponda a verità.<br />

Se dubitasse andrebbe a informarsi e scoprirebbe che già Pio VII, molti<br />

anni prima del fatto raccontato nel film, aveva consigliato tutti i sudditi<br />

del regno pontificio di vaccinarsi.<br />

Errore o manipolazione? La manipolazione è il peccato di sempre, già<br />

nella prima pagina della Bibbia il serpente trasmette informazioni false<br />

per portare gli uomini a ribellarsi a Dio.<br />

Mai come oggi sappiamo che cosa sia manipolare e che cosa abbia prodotto<br />

nella storia dell’umanità. Non si parla, però solo per informare.<br />

*Parroco e Biblista<br />

Nell’immagine del titolo:<br />

Il peccato originale e l’espulsione dal paradiso.<br />

Michelangelo, 1509-10, Vaticano Capp. Sistina


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Aprile<br />

2011<br />

11<br />

Costantino Coros<br />

A Roma il primo<br />

meeting di Forma<br />

A<br />

lla presenza di quasi mille<br />

giovani, tra i 16 e i<br />

18 anni, giunti a Roma<br />

da tutta Italia, si è svolto oggi il<br />

primo meeting di “Forma”, l’associazione<br />

degli enti di formazione<br />

professionale che si ispirano<br />

alla dottrina sociale della<br />

Chiesa (www.formafp.it), sul<br />

tema: “Giovani: una impresa<br />

chiamata lavoro”.<br />

Investire sui<br />

mestieri artigiani.<br />

“Bisogna dare vita ad un piano<br />

nazionale, che partendo dai mestieri<br />

artigiani, a rischio estinzione,<br />

punti a costruire un percorso educativo<br />

e di inserimento lavorativo<br />

per migliaia di ragazzi, i quali superando qualche<br />

ritrosia, potrebbero trovare in questo ambito<br />

produttivo, impieghi soddisfacenti sia sotto il<br />

profilo professionale che reddituale”.<br />

Questo è l’appello che Maurizio Drezzadore, presidente<br />

di “Forma”, ha rivolto al governo, aprendo<br />

il meeting dell’associazione.<br />

Per raggiungere tale obiettivo, ha aggiunto Drezzadore,<br />

“la piccola impresa e la formazione professionale<br />

devono stringere un’alleanza per l’occupazione”<br />

ed ha proseguito dicendo che “lo stesso ragionamento<br />

si deve fare anche per le professioni<br />

che riguardano i servizi di cura alla persona, garantendo<br />

maggiore dignità e più adeguati riconoscimenti<br />

economici, incoraggiando così i ragazzi<br />

a scegliere questa strada lavorativa che è chiamata<br />

ad assolvere un compito di grande utilità<br />

sociale”.<br />

Per il presidente di “Forma”, “oltre agli incentivi<br />

come il credito d’imposta e il rilancio dell’apprendistato<br />

è necessario dare un nuovo baricentro<br />

alla scuola e rafforzare l’istruzione tecnica e la<br />

formazione professionale, che possono essere<br />

il vero volano per sconfiggere la disoccupazione<br />

giovanile”.<br />

Dentro il lavoro c’è l’uomo.<br />

“Non c’è dubbio che i giovani si devono preoccupare<br />

del lavoro, ma la loro prima impresa è<br />

quella d’impegnarsi per costruire loro stessi, non<br />

lasciare indietro il loro essere persona, perché<br />

dentro il lavoro, ciascun ragazzo e ragazza scrive<br />

la sua vocazione a formare la propria dignità<br />

umana che è fatta di spiritualità oltre che di<br />

relazioni”, ha detto nel corso del suo intervento<br />

mons. Domenico Sigalini, assistente unitario<br />

dell’Azione Cattolica italiana, aggiungendo<br />

che “l’essere umano non è una macchina e non<br />

deve essere considerato tale, ma ha il suo mondo<br />

interiore che deve essere posto in primo piano,<br />

in modo tale che possa essere messo in grado<br />

di affrontare le difficoltà della vita”.<br />

Il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, rivolgendosi<br />

ai presenti ha detto:<br />

“Seguite la vostra vocazione, cercate la bellezza<br />

di questo tempo, seppur difficile, ma anche con<br />

tante opportunità da cogliere, cercatela nel rapporto<br />

con gli altri, con i vostri coetanei” perché<br />

“se c’è senso della vita, allora c’è anche il senso<br />

del lavoro”. Il ministro ha poi sottolineato che<br />

“la conoscenza è importante perché permette<br />

di guidare i cambiamenti in atto verso una evoluzione<br />

positiva” ed ha elencato le principali criticità<br />

del mercato del lavoro nazionale individuate<br />

nelle “fortissime differenze esistenti tra le competenze<br />

richieste dalle imprese e quelle disponibili,<br />

nella mancanza di figure tecniche come<br />

matematici, ingegneri, fisici ed economisti e negli<br />

squilibri della durata degli studi, dove si esce<br />

troppo prima o troppo tardi”.<br />

Sacconi ha anche ricordato che “i percorsi di studio<br />

si devono contaminare con il mercato del<br />

lavoro” e che “non c’è contrapposizione tra conoscenze<br />

pratiche e teoriche”.<br />

Educare i giovani.<br />

“La finalità delle organizzazioni che si sono riunite<br />

in ‘Forma’ fin<br />

dal 1999 per<br />

volontà di don<br />

Mario Operti,<br />

che ne fu un<br />

convinto promotore,<br />

è quella<br />

di impegnarsi<br />

quotidianamente<br />

a formare i giovani<br />

attraverso<br />

la dedizione<br />

al lavoro, l’educazione<br />

alla socialità e alla cittadinanza, considerato<br />

che il 20% dei ragazzi impegnati nella<br />

formazione professionale sono migranti”, ha<br />

detto mons. Angelo Casile, direttore dell’Ufficio<br />

Cei per i problemi sociali e il lavoro.<br />

In questo cammino, ha aggiunto mons. Casile,<br />

“siamo animati dalla forza del Vangelo che ci<br />

sprona ad impegnarci per una civiltà più umana,<br />

più giusta e più cristiana”.<br />

Dalle rilevazioni del centro studi di Confartigianato<br />

risulta che, negli ultimi due anni, circa 984 mila<br />

ragazzi, sono usciti dal mercato del lavoro e quasi<br />

598 mila diplomati e laureati residenti al Sud,<br />

negli ultimi dieci anni, si sono dovuti trasferire<br />

al Nord per poter lavorare.<br />

Secondo Confartigianato, “ora che l’economia<br />

mondiale ha superato la fase più critica, le forme<br />

dei contratti flessibili sono quelle che stanno<br />

movimentando in positivo la ripresa dell’occupazione”.<br />

Per Cristiano Nervegna, segretario generale di<br />

“Forma”, “oggi serve una formazione che avvicini<br />

i ragazzi al lavoro e che quindi faccia loro<br />

affrontare in modo meno traumatico il nodo del<br />

precariato”. Si tratta, per Nervegna, “di mettere<br />

in moto un nuovo progetto educativo che valorizzi<br />

il dialogo tra giovani e adulti”.<br />

Fonte: www.agensir.it


Aprile_11:Pag prova.qxd 02/04/2011 9.25 Pagina 12<br />

Aprile<br />

12 2011<br />

Q<br />

Gaetano Sabetta<br />

uesta breve frase del discorso escatologico, che troviamo<br />

nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo, esprime con<br />

chiarezza la scelta di campo effettuata da Gesù: l’amore,<br />

soprattutto verso gli ultimi, supera ogni appartenenza culturale<br />

e religiosa, ogni giustificazione economica e politica per diventare<br />

realtà decisiva.<br />

In questo Gesù, pur nella sua novità, s’inserisce in quella corrente<br />

carsica che alimenta tutta la tradizione biblica: la realtà dei<br />

poveri di Yahweh (anawim), degli esclusi, degli emarginati, delle<br />

categorie a rischio (donne, bambini, malati, stranieri) come<br />

di coloro attraverso cui ripartire per qualsiasi progetto umano,<br />

contro ogni possibile forma di darwinismo sociale.<br />

È l’opzione preferenziale per gli ultimi e i vulnerabili che Dio ha<br />

fatto, mostrando così il suo amore materno (hesed), sin da quando<br />

ha scelto Israele in mezzo a tanti altri popoli più numerosi e<br />

potenti. «Siete infatti il più piccolo di tutti i popoli» (Dt. 7, 7-9).<br />

È il costante richiamo alla giustizia (mispat) e alla rettitudine (sedeqah)<br />

che lo stesso Yahweh domanda al suo popolo affinché sia<br />

benedizione per tutti gli altri (Gen. 12,3) e che trova eco, tra gli<br />

altri, nel famoso passaggio di Levitico 19, 36:<br />

«Il forestiero dimorante fra di voi lo tratterete come colui<br />

che è nato tra di voi; tu l’amerai come te stesso perché<br />

anche voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto».<br />

Esprime l’instancabile, costante, martellare dei profeti che richiamano<br />

alla giustizia di Yahweh «gettata a terra e trasformata in<br />

veleno», dal popolo e soprattutto dai capi d’Israele:<br />

«Poiché voi schiacciate l’indigente e gli estorcete una<br />

parte del grano» (Am. 5,11). Hesed e mispat-sedeqah, misericordia<br />

e giustizia sono i due fuochi che costituiscono la signoria<br />

di Yahweh come quella di un Dio che non governa dall’alto<br />

di un trono dorato, ma esce fuori da se stesso (kenosi) per incontrare<br />

l’uomo fino al culmine della sua kenosi in Gesù-Cristo.<br />

Il centro e il fine ultimo della venuta di Cristo non può che essere,<br />

dunque, il regno di Dio, segnato, come ci ricorda Egli stesso<br />

nella sua prima predicazione (Lc.4, 14-30), dal riscatto degli<br />

esclusi e degli emarginati, non solo spiritualmente<br />

ma anche socialmente,<br />

e dall’opposizione<br />

umana a tale progetto:<br />

alla fine della<br />

predicazione<br />

tutti sono pieni di<br />

sdegno e dopo<br />

aver cacciato<br />

fuori dalla città<br />

Gesù vogliono<br />

gettarlo giù<br />

dal precipizio!<br />

Il grido del<br />

tradimento di hesed e mispat sembrava davvero esondare come<br />

un fiume in piena dallo schermo durante la proiezione di «Come<br />

un uomo sulla terra», film co-diretto ed interpretato da Dagmawi<br />

Yimer, giovane studente di giurisprudenza di Addis Abeba che<br />

dal 2005 vive a Roma.<br />

Dare voce ai senza voce, scoprire la cruda realtà di quello che<br />

succede in Libia, dal 2003 incaricata dall’Italia, anche con soldi<br />

stanziati nelle leggi finanziarie (non ha importanza il colore<br />

dei governi), e dall’Europa di «contenere i flussi migratori».<br />

Stipati come animali da macello, senza poter attendere nemmeno<br />

alle proprie necessità fisiologiche, in container che al<br />

caldo del deserto arrivano anche ai 50 gradi, il loro viaggio<br />

della speranza ha una fine inaspettata: il carcere di Kufrah,<br />

Nella foto: don Franco Diamante, Assistente spirituale dell’Ufficio<br />

Missionario Diocesano e Lorenzo Chialastri, Resp. del Centro di<br />

Ascolto Stranieri della Caritas di Roma<br />

nel sud della Libia, dove li attende l’inferno.<br />

Stupri alle donne e continue percosse agli uomini sono il minimo<br />

che ci si può aspettare in un luogo che trasuda morte e nel<br />

quale si può rimanere anche per anni.<br />

Come superare il rifiuto e il pregiudizio che spesso ci attanaglia?<br />

Come vedere nell’altro un «uomo sulla terra» e non un paccobomba<br />

da disinnescare, dando, con ‘pilatesca’ memoria, una lauta<br />

mancia al vicino tiranno di turno?<br />

Proprio questo ha trovato corpo nel successivo dibattito introdotto,<br />

stimolato e concluso da Lorenzo Chialastri, responsabile<br />

del Centro di ascolto stranieri della Caritas di Roma,<br />

nell’incontro organizzato presso la cattedrale di <strong>Segni</strong>,<br />

lo scorso 4 marzo.<br />

Alla fine di tutte le parole un silenzio assordante<br />

rimbombava nella mia testa:<br />

«Ma quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà<br />

la fede sulla terra?» (Lc. 18,8)


Aprile_11:Pag prova.qxd 02/04/2011 9.26 Pagina 13<br />

Aprile<br />

2011<br />

13<br />

Sara Bianchini<br />

Una breve nota terminologica in questi giorni<br />

difficili per la Libia e non solo. Questa<br />

breve nota nasce da due intenzioni<br />

sostanzialmente: la convinzione, scontata, che il<br />

linguaggio sia causa di tanti fraintendimenti e la<br />

partecipazione personale ad un progetto scolastico,<br />

che prosegue ormai da due anni, con il Centro<br />

Astalli, il cui sito (da cui sono tratte tutte le informazioni<br />

che trovate qui in citazione) si autodescrive<br />

così: «Accompagnare difendere e servire<br />

i rifugiati è da sempre l’impegno del Servizio dei<br />

Gesuiti per i Rifugiati.<br />

Un impegno che ogni giorno si rinnova in una sfida<br />

nuova e originale da affrontare al fianco di chi<br />

si rivolge al Centro Astalli in cerca di aiuto per ricostruirsi<br />

una vita in un paese straniero. Conoscere<br />

le attività del Centro Astalli attraverso descrizioni<br />

e immagini, statistiche e testimonianze dirette,<br />

offre la possibilità di capire chi sono le tante<br />

persone che arrivano in Italia per chiedere protezione,<br />

in fuga da guerre e persecuzioni. Mostra<br />

quanto sia difficile garantire a tutti i diritti umani<br />

fondamentali come il cibo, un posto letto, le cure<br />

mediche necessarie, una casa o un lavoro. Dà<br />

l’idea di quanto sia ricca la nostra società grazie<br />

alla tante persone che ogni giorno svolgono un<br />

servizio di volontariato presso le strutture del centro.<br />

Dal 1981, quando nacque il Centro Astalli, di<br />

strada se ne è compiuta molta: una mensa che<br />

distribuisce 400 pasti al giorno, un ambulatorio,<br />

tre centri d’accoglienza, una scuola d’italiano e<br />

tanti altri servizi di prima e seconda accoglienza<br />

di cui avere informazioni di prima mano, entrando<br />

in questa sezione del sito».<br />

Confrontandomi con i miei alunni (e con le mie<br />

nozioni imprecise), ho avuto modo di vedere che<br />

non solo il tema dei rifugiati viene costantemente<br />

confuso con quello dell’immigrazione per scarsa<br />

competenza di chi ne parla (competenza in minima<br />

parte acquisibile già con la sola lettura delle<br />

informazione che di seguito troverete e dunque<br />

assai facilmente scaricabile dal sito del Centro Astalli),<br />

ma viene utilizzato espressamente per indurre il<br />

“panico” da invasione (particolarmente in tempi<br />

come questi). Se poi teniamo conto che ormai da<br />

tempo è conosciuta la situazione della Libia, come<br />

quella di un paese in cui arrivano e vengono bloccate<br />

persone che scappano dai loro paesi di origine<br />

del Centro Africa, la chiarificazione diviene<br />

oggi più che mai necessaria, proprio perché nella<br />

richiesta di aiuto del popolo libico (non discutiamo<br />

qui le origini e le modalità di tale richiesta)<br />

si mescolano anche le tante richieste di aiuto di<br />

persone che in Libia sono solo di passaggio nella<br />

loro fuga e che potrebbero raggiungere l’Italia<br />

e o altri paesi per richiedere asilo.<br />

Richiedente Asilo: colui che, avendo lasciato il<br />

proprio paese d’origine, non può o non intende<br />

avvalersi della protezione di quello stato e, trovandosi<br />

in un altro paese, inoltra richiesta di protezione<br />

al governo del paese che lo ospita. La sua<br />

domanda viene esaminata in Italia dalle<br />

Commissioni territoriali esaminatrici (collegate e<br />

coordinate dalla Commissione Nazionale): fino al<br />

momento della decisione in merito alla domanda<br />

egli è un richiedente asilo.<br />

Rifugiato: il rifugiato è il richiedente asilo a cui<br />

viene accordata la protezione dello Stato che lo<br />

ospita quando si accerta che è stato costretto a<br />

lasciare il proprio paese a causa di persecuzioni<br />

per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza<br />

a un determinato gruppo sociale o per<br />

le sue opinioni politiche. Questa definizione, introdotta<br />

dall’articolo 1 della Convenzione di Ginevra,<br />

è stata ripresa dalla legge di attuazione n. 772<br />

del 1954 nel sistema giuridico italiano. A differenza<br />

del migrante, egli non ha scelta: non può<br />

tornare nel proprio paese perché teme di subire<br />

persecuzioni o per la sua stessa vita.<br />

Sfollato interno: spesso usato come traduzione<br />

dell’espressione inglese Internally displaced person<br />

(IDP). Per sfollato si intende colui che abbandona<br />

la propria abitazione per gli stessi motivi del<br />

rifugiato, ma non oltrepassa un confine internazionale,<br />

restando dunque all’interno dei proprio<br />

paese. In altri contesti, si parla genericamente di<br />

sfollato come di chi fugge, anche a causa di catastrofi<br />

naturali.<br />

Protezione sussidiaria: protezione accordata dalla<br />

Commissione territoriale a chi, pur non avendo<br />

i requisiti per essere riconosciuto rifugiato ai<br />

sensi della Convenzione di Ginevra, è considerato<br />

meritevole di protezione poiché sussistono<br />

fondati motivi per ritenere che se tornasse nel suo<br />

paese correrebbe il rischio di subire un danno grave<br />

e per questo non vuole o non può tornarvi. Il<br />

riconoscimento viene effettuato ai sensi del<br />

D.lgs. 251/07 e del D.Lgs. 25/08.<br />

Protezione umanitaria: permesso di soggiorno<br />

generalmente rilasciato dalle Questure dietro raccomandazione<br />

delle Commissioni Territoriali,<br />

quando – a seguito di esito negativo della domanda<br />

di asilo (nei casi in cui non sussistano le condizioni<br />

per il riconoscimento dello status di rifugiato<br />

ai sensi dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra)<br />

– si riscontra che sarebbe comunque pericoloso<br />

per la persona il rientro nel paese di origine. Il titolo<br />

viene rilasciato sulla base del principio di nonrefoulement<br />

(non respingimento) sancito dall’art.<br />

33 della Convenzione di Ginevra, ripreso dall’art.<br />

19 del Testo Unico sull’immigrazione (D.lgs. 286/98),<br />

e dall’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti<br />

dell’Uomo.Il soggiorno per motivi umanitari può<br />

essere rilasciato anche direttamente dalle<br />

Questure sulla base del combinato disposto dall’art.<br />

5, comma 6, art. 19 del D.lgs. 286/98 ed art.<br />

28 del regolamento attuativo 394/99 punto D, che<br />

non è stato modificato dalla normativa.<br />

Protezione temporanea: viene rilasciata nelle situazione<br />

di emergenza umanitaria sulla base di un<br />

DPCM emanato in ottemperanza all’art. 20, comma<br />

1 del D.lgs. 286/98. Viene concessa non sulla<br />

base della valutazione di singole situazioni individuali<br />

ma ad un gruppo omogeneo di persone<br />

provenienti da uno stesso paese o area geografica<br />

a causa degli sconvolgimenti generalmente<br />

bellici in atto. L’art. 20 recita: “con DPCM, (…) sono<br />

stabilite, (…), le misure di protezione temporanea<br />

da adottarsi, anche in deroga a disposizioni del<br />

presente Testo Unico, per rilevanti esigenze umanitarie,<br />

in occasione di conflitti, disastri naturali o<br />

altri eventi di particolare gravità in paesi non appartenenti<br />

all’Unione Europea”. Il permesso ha una<br />

validità limitata nel tempo decisa dallo stesso DPCM<br />

e prorogabile solo sulla base di un nuovo<br />

Decreto che terrà conto del perdurare della situazione<br />

di pericolo per le persone in quel paese o<br />

area. Titolari di tale protezione sono stati i cittadini<br />

kosovari, ma ancor prima i cittadini albanesi,<br />

della Bosnia-Erzegovina e della Somalia.<br />

Profugo: termine generico che indica chi lascia<br />

il proprio paese a causa di guerre, persecuzioni<br />

o catastrofi naturali.<br />

Clandestino: termine con il quale si definisce in<br />

modo dispregiativo – il migrante irregolare, cioè<br />

chi, per qualsiasi ragione, entra senza regolari documenti<br />

di viaggio in un altro paese. Molte persone<br />

in fuga da guerre e persecuzioni, impossibilitate<br />

a chiedere al proprio governo il rilascio di tali<br />

documenti, giungono in modo irregolare in un altro<br />

paese, nel quale poi inoltrano domanda d’asilo.<br />

Migrante: termine generico che indica chi sceglie<br />

di lasciare il proprio paese per stabilirsi, temporaneamente<br />

o definitivamente, in un latro. Tale<br />

decisione, che ha carattere volontario anche se<br />

spesso è indotta da misere condizioni di vita, dipende<br />

generalmente da ragioni economiche, avviene<br />

cioè quando una persona cerca in un latro paese<br />

un lavoro e migliori condizioni di vita.<br />

Extracomunitario: persona non cittadina di uno<br />

dei ventisette paesi che attualmente compongono<br />

l’Unione Europea, ad esempio uno svizzero».<br />

L’invito è a tenere monitorata la situazione della<br />

Libia e dei paesi limitrofi anche usufruendo delle<br />

notizie del Centro Astalli (fra cui le conferenze<br />

del ciclo “C’era una volta l’asilo” che iniziano proprio<br />

in questi giorni.


Aprile_11:Pag prova.qxd 02/04/2011 9.29 Pagina 14<br />

Aprile<br />

14 2011<br />

Chialastri don Cesare*<br />

Da qualche tempo in Caritas<br />

si parla di giovani, se ne parla<br />

per dire che essi non ci sono, che sono<br />

difficili da raggiungere, coinvolgere e motivare;<br />

tutto questo è ancora più complicato<br />

se si parla di servizio e di volontariato.<br />

Lo diciamo non per limitarci a questo o per<br />

non rassegnarci al dover constatare un’assenza,<br />

bensì per tentare di fare qualcosa,<br />

fiduciosi nella possibilità di poter intraprendere<br />

iniziative capaci di interpretare le loro aspettative.<br />

Negli anni passati sono state realizzate<br />

a tal fine numerose<br />

iniziative: progetti educativi<br />

nelle scuole superiori di<br />

<strong>Velletri</strong> su volontariato e giustizia;<br />

alcune iniziative di<br />

animazione coordinate dalle<br />

Caritas parrocchiali di<br />

Valmontone; sono stati<br />

attuati progetti per un anno<br />

di volontariato nel Servizio<br />

Civile. Dalle riunioni<br />

dell’Equipè diocesana<br />

con le Caritas parrocchiali<br />

è nato l’incontro con<br />

Ernesto Olivero del SER-<br />

MIG di Torino che ha avuto luogo il 10 febbraio<br />

2011 a Valmontone. Il prossimo 10 aprile, presso<br />

il Centro Santa Maria dell’Acero, in occasione<br />

dell’annuale appuntamento diocesano, le Caritas<br />

si incontreranno di nuovo su questo tema ed infine<br />

a Colleferro i gruppi parrocchiali della Caritas<br />

stanno progettando una settimana di iniziative sul<br />

binomio giovani e servizio. Piccole cose certo,<br />

nelle quali dimora la speranza che all’interno delle<br />

comunità ecclesiali stia crescendo la consapevolezza<br />

della necessità di<br />

I MIEI PRIMI 3 MESI DI SERVIZIO CIVILE<br />

Simonetti Elisa<br />

Il 10 gennaio 2011 ho iniziato il mio servizio civile presso la Caritas di Roma ( visto<br />

che la nostra Caritas diocesana non aveva progetti approvati per quest’anno). Anche<br />

se la mia intenzione era rivolta ad un servizio di ufficio, sono stata coinvolta, invece,<br />

in un progetto di assistenza e animazione nella casa di riposo “San Giuseppe” di<br />

Roma, gestita dalle suore della SS. Madre Addolorata. Varie vicissitudini mi hanno<br />

portato ad accettare questo servizio in una struttura che raccoglie circa una sessantina<br />

di nonne autonome e non.<br />

Il mio servizio consiste nel tenere occupate le nonne in varie attività, come ad esempio<br />

la modellistica, i giochi comunitari, i tornei di carte e grandi tombolate, senza<br />

dimenticare la grande importanza della musica e del lavoro sui ricordi e la vita passata.<br />

Inoltre alcune nonne hanno bisogno di essere aiutate durante i pasti, ed in questi<br />

casi noi giovani del servizio civile siamo da supporto per le operatrici che lavorano<br />

nella struttura. Questa mia esperienza rappresenta un primo approccio col mondo<br />

del lavoro, un mondo fatto non solo di turni e questioni burocratiche, ma anche<br />

di presenza e coinvolgimento dell’altro: un lavoro che si crea giorno per giorno e si<br />

basa sulle esigenze di signore che vanno dai 75 ai 110 anni di età.<br />

Il servizio civile mi sta insegnando a mettermi in gioco, a vivere la quotidianità, ad<br />

affrontarla col sorriso nonostante le difficoltà che si possono presentare, a non dimenticare<br />

che le persone che ho davanti hanno una vita e una dignità che deve essere<br />

rispettata. Qualora venga dimenticato quest’ultimo punto spetta a me, come a noi cristiani,<br />

testimoniare l’amore per il prossimo che Cristo ci comanda, andando anche<br />

controcorrente! A soli tre mesi di distanza da quel 10 gennaio non posso che augurarmi<br />

di proseguire questo cammino con la forza e la grinta necessaria, lasciandomi<br />

aiutare dai miei amici-colleghi che sono diventati un punto di riferimento importante<br />

non solo nelle ore di turno. Spero di continuare a scoprire di più me stessa, senza<br />

dimenticare di essere un sostegno per queste simpatiche nonne.<br />

interrogarsi sui giovani e di<br />

favorire momenti di incontro<br />

soprattutto nelle povertà che<br />

ogni giorno<br />

visitano<br />

le nostre<br />

Caritas.<br />

Sul tema<br />

del rapporto<br />

tra<br />

giovani<br />

e servizio<br />

vorrei<br />

ora<br />

mettere in evidenza un elemento<br />

problematico che le<br />

Caritas stanno affrontando e<br />

immaginare un percorso<br />

educativo per il futuro. La realtà<br />

del problema riguarda il<br />

Servizio Civile. Di questo<br />

dovremmo dire: c’era una volta<br />

il Servizio Civile! Nel corso<br />

dell’anno capiremo se questa<br />

esperienza educativa, nata<br />

quasi 40 anni fa con gli obiettori<br />

di coscienza e che è riuscita<br />

a sopravvivere alla fine della leva obbligatoria,<br />

sia giunta al tramonto. Il Servizio Civile, per<br />

i giovani dai 18 ai 28 anni, compie 10 anni: la<br />

legge è stata approvata dalle Camere il 6 marzo<br />

2001. La Caritas ha scommesso fin dall’inizio<br />

sulle sue possibilità educative. Questo sistema<br />

si è andato consolidando in questi anni attorno<br />

al nucleo della progettualità: siamo stati invitati<br />

a presentare progetti di servizio a forte valenza<br />

educativa che lo Stato e le Regioni hanno valutato<br />

e che, a seconda delle risorse finanziarie disponibili,<br />

hanno finanziato. Con una serie di bandi<br />

sono state raccolte le richieste dei giovani, si<br />

è provveduto a fare una selezione e si è quindi<br />

potuto dare inizio alle attività di servizio: per la<br />

nostra Caritas diocesana i luoghi scelti sono stati<br />

quelli di Casa Nazareth a Gavignano e il Centro<br />

di Ascolto “San Lorenzo” a <strong>Velletri</strong>. A livello nazionale<br />

il numero di giovani che hanno aderito al<br />

Servizio Civile è cresciuto in modo davvero impressionante:<br />

dai 396 posti messi a disposizione nel<br />

2001 si è passati ai 16.079 dell’anno seguente<br />

e a 35.897 nel 2003. La punta più alta si è raggiunta<br />

nel 2006 con 57.119 posti.<br />

Poi è iniziata la parabola<br />

discendente: in due<br />

anni i posti sono stati<br />

dimezzati, fino a 20.700 nel<br />

2010. Questo anno ancora diminuiranno<br />

ancora perché sono stati<br />

stanziati solo 110 milioni di euro,<br />

la cifra più bassa da quando<br />

è nato il Servizio Civile. Perché<br />

è accaduto questo? Il motivo<br />

principale sembra essere<br />

legato alla mancanza di soldi:<br />

la crisi economica impone<br />

al Servizio Civile di stringere<br />

la cinghia (la cinghia non si stringe<br />

per altri capitoli di bilancio,<br />

ad es. spese per le spese militari).<br />

In realtà le richieste che<br />

gli Enti e i giovani hanno presentato sono risultate<br />

ben superiori rispetto ai fondi previsti. Lo Stato,<br />

dunque non riesce a soddisfare né l’offerta di Servizio<br />

Civile che è presentata dagli Enti (Caritas, Comuni,<br />

Associazioni del terzo settore, ecc) che valutano<br />

questa esperienza importante, né la domanda<br />

di servizio dei singoli giovani italiani. Solo questione<br />

di soldi? O c’è di peggio: una grave disattenzione<br />

da parte delle istituzioni? Il Servizio<br />

Civile è ormai ridotto alla dimensione di una cosa<br />

ristretta ad un numero esiguo di giovani “eletti”.<br />

Siamo sul viale del fallimento (è paradossale che<br />

dal 2006 esiste addirittura un Ministero per la Gioventù,<br />

che stranamente non si occupa del Servizio civile<br />

e nemmeno riusciamo a capire ancora di che<br />

cosa!).<br />

In questi anni la Caritas (insieme ad altri Enti)<br />

ha chiesto ripetutamente un livello minimo di finanziamenti,<br />

capace di assicurare almeno 40-50 mila<br />

posti ogni anno per non sottoporre i giovani e gli<br />

Enti a fare progetti che poi naturalmente vengono<br />

“bocciati” per diversi motivi, ma<br />

che non fanno altro che<br />

nascondere le disattenzioni sui<br />

giovani. La scelta del Servizio<br />

Civile, unanimemente considerata<br />

positiva nonostante alcune<br />

lacune da colmare, viene<br />

in questo modo abbandonata<br />

con leggerezza. Non viene<br />

affatto preso in considerazione<br />

l’alto gradimento dei giovani,<br />

e le loro difficoltà di crescita<br />

e di partecipazione vengono<br />

in questo modo aggravate. Fino<br />

ad oggi questa esperienza è<br />

stata per molti giovani un percorso<br />

di cittadinanza attiva, li<br />

ha aiutati ad<br />

essere cittadini<br />

responsabili,<br />

ha<br />

arricchito<br />

in loro un<br />

bagaglio<br />

esperienziale<br />

favorendo<br />

anche


Aprile_11:Pag prova.qxd 02/04/2011 9.32 Pagina 15<br />

Aprile<br />

2011<br />

15<br />

M<br />

Claudio Capretti<br />

olte cose della nostra vita<br />

le diamo per scontate,<br />

le abbiamo continuamente<br />

sotto i nostri occhi e l’ultima<br />

domanda che verrebbe in mente<br />

di porci è: “Come sarebbe stata<br />

diversa la nostra vita se quella<br />

determinata cosa non ci fosse stata?”.<br />

Se improvvisamente venissimo<br />

privati dell’arte, sotto tutte le<br />

sue sfaccettature, non saremmo<br />

forse tutti più poveri? Se alla nostra<br />

vita togliessimo il canto, la prosa,<br />

la poesia, la pittura ecc., come vivremmo?<br />

Ogni volta che mi capita di leggere<br />

una poesia, ho come la sensazione<br />

di entrare nell’animo di chi<br />

l’ha scritta, di prenderne parte, di<br />

accorgermi di ciò che fino a quel<br />

momento mi era velato.<br />

Allora capisco che senza quella particolare<br />

poesia la mia stessa vita<br />

sarebbe più povera.<br />

Le persone, le cose passano, ma<br />

non le poesie, rimangono come pietre<br />

miliari a farci compagnia, a riempire<br />

un vuoto, ad aiutarci a dare<br />

un senso alla nostra vita, oppure<br />

a farci conoscere l’animo di quel<br />

particolare poeta a cui la poesia ci richiama. Le poesie sono dei fari posti<br />

lungo la costa e ci segnalano che il porto a cui dobbiamo approdare è vicino,<br />

ci ridonano la speranza dopo un viaggio che sembrava ormai finito. Questo<br />

è la poesia insieme a molto altro.<br />

Alda Merini ne la “Terra Santa” diceva: “Le più belle poesie si scrivono sopra<br />

le pietre, con i ginocchi piagati e le menti aguzzate dal mistero”. Forse la<br />

poetessa tramite queste parole intendeva dire che è proprio il dolore, ad<br />

essere la chiave che libera nell’animo del poeta la poesia per farne dono<br />

all’umanità, e credo sia il caso di Carlo.<br />

Papà, di Carlo Carlini<br />

Un giorno scivoli in un baratro<br />

e non c’è nessuno che ti aiuta<br />

e lì solamente lì<br />

che ti rivolgi a Lui (a Te).<br />

E con pensiero<br />

tremulo<br />

intriso di paura<br />

per non aver a suo<br />

tempo (indietro)<br />

ricordato<br />

dell’esser stato a te vicino<br />

chiedo aiuto e perdono.<br />

Perdono a te,<br />

aiuto per loro<br />

e la speranza per chi ha fede<br />

la senti sempre più vicina<br />

ne senti l’aurea<br />

circondarti di energia nuova<br />

incomprensibile<br />

mai vissuta prima (sei Tu)<br />

lo sento<br />

mi sei vicino<br />

mi pento di tutto<br />

fai di me ciò che vuoi<br />

una sola preghiera chiedo<br />

non serve nero inchiostro di una<br />

penna tu sai cosa (vero?...)<br />

La prima volta che l’ho incontrato non ci sono volute molte parole per capirci,<br />

siamo entrati subito in sintonia ed ogni volta che ci rivedevamo ognuno<br />

svelava un aspetto all’altro. Ma tutto mi sarei immaginato meno che mi sarei<br />

trovato di fronte ad un poeta.<br />

Da qui ne è venuta la proposta di presentare una sua poesia al nostro giornale,<br />

con la speranza di fare a tutti cosa gradita e utile. Carlo è sposato,<br />

padre di quattro figli, ha vinto numerosi concorsi il cui ricavato lo ha devoluto<br />

in beneficenza. Carlo è attualmente recluso presso la casa circondariale<br />

di <strong>Velletri</strong>, ed è un uomo che desidera ricominciare una vita nuova.<br />

sbocchi lavorativi, ha permesso ai giovani immigrati<br />

di integrarsi. Per questi motivi il Servizio Civile<br />

non merita di essere mortificato dalle non-scelte<br />

dei politici che in questo momento ne hanno<br />

la responsabilità. Anche i Vescovi italiani negli<br />

Orientamenti pastorali, “Educare alla vita buona<br />

del Vangelo (n. 54)”, mettono il Servizio Civile e<br />

il volontariato tra le vie per formare alla vita buona:<br />

la speranza è che anche loro non restino inascoltati.<br />

Passo ora ad evidenziare l’elemento di<br />

futuro in grado di educare al servizio, immaginando<br />

alcune condizioni previe. Partiamo da un<br />

atto di fiducia verso i giovani: le giovani generazioni<br />

hanno voglia di fare concreto, hanno il desiderio<br />

di fare qualcosa per cambiare il mondo per<br />

renderlo più solidale e più giusto. La Caritas, anche<br />

per statuto, ha il compito di aiutare a realizzare<br />

questo….per la sua “prevalente funzione pedagogica”.<br />

Ci sono alcune difficoltà che si possono<br />

incontrare nella realtà giovanile: un giovane<br />

di buona volontà potrebbe avere il desiderio di<br />

gettarsi in un’esperienza di volontariato ma difficilmente<br />

potrebbe garantire la regolarità richiesta<br />

dal servizio, perché lui stesso è ancora alla<br />

ricerca di una sua stabilità personale; esiste anche<br />

il problema della disoccupazione giovanile, ma<br />

questa potrebbe avere un effetto ambivalente: da<br />

una parte l’inattività, se tirata a lungo, porta allo<br />

scoraggiamento ed al ripiegamento su se stessi,<br />

ma è altrettanto vero che l’impiego nel volontariato<br />

rappresenta l’occasione per un momento<br />

di iniziazione e di tirocinio; questo diviene non<br />

solo un modo per farsi conoscere nella dimensione<br />

lavorativa, ma anche per promuovere se<br />

stesso e le proprie abilità. I mutamenti nel mondo<br />

giovanile non ci devono bloccare ma ci devono<br />

spingere a trasformare l’idea di servizio e di<br />

volontariato: riuscire a passare da un modello inteso<br />

prevalentemente come abnegazione e sacrificio<br />

di sé, con una durata prolungata nel tempo<br />

verso un servizio inteso come esperienza, come<br />

un’opportunità per “realizzare” se stessi; in qualche<br />

modo per autogratificarsi. La sfida è quella<br />

di fare in modo che il giovane trovi se stesso incontrando<br />

, in modo particolare il povero.<br />

Onestamente a questo livello le Caritas sono impreparate;<br />

esse invocano la collaborazione dei giovani<br />

per portare avanti cose già avviate che si<br />

fa fatica a portare avanti per mancanza di volontari.<br />

Ma in un tempo di “protagonismo” queste modalità<br />

sono perdenti in partenza, ci si ridurrà a fare<br />

appelli che andranno diritti nel vuoto. Per coinvolgere<br />

le nuove generazioni occorre essere disposti<br />

a cambiare….almeno un po’! L’idea sarebbe<br />

quella di dar vita a dei “progetti di breve durata”:<br />

iniziative brevi; pochi giorni o poche ore a<br />

settimana, capaci di lasciare una traccia nel giovane<br />

che vi partecipa. Ad esso verrebbe richiesta<br />

la disponibilità a mettersi in gioco con tutta<br />

la sua persona. Il primo passo da compiere è rappresentato<br />

dal pensare alle strutture in grado di<br />

accogliere questa iniziativa (es. centro di ascolto,<br />

casa famiglia Nazareth, case di riposo per anziani,<br />

asili nido, ecc), dove un giovane per un tempo<br />

limitato (minimo 6 mesi) si impegnerebbe a<br />

svolgere un servizio per 2 ore a settimana o 3<br />

giorni pieni. Il compito primario<br />

della Caritas è quello di offrire<br />

ai giovani che lo desiderano<br />

la possibilità di<br />

essere accompagnati<br />

nella crescita personale,<br />

ponendo le condizioni<br />

perché avvenga un concreto<br />

e proficuo incontro<br />

con .<br />

*Direttore Caritas<br />

diocesana


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Aprile<br />

16 2011<br />

don Antonio Galati<br />

«Io sono la risurrezione e la vita»<br />

(Gv 11, 25).<br />

Gesù è la vita donata<br />

dai sacramenti.<br />

Don Andrea Pacchiarotti<br />

“Io sono la risurrezione e la vita”. Questo quanto Gesù proclama: prima la risurrezione<br />

e poi la vita. Non nell’ultimo giorno bensì ora, perché la risurrezione<br />

è una esperienza che interessa il nostro presente e non solo il futuro. Tuttavia<br />

è esperienza comune vivere a volte una vita “addormentata”, chiusa nelle nostre<br />

sicurezze, centrata a tal punto su di noi che rischia di ristagnare in un sepolcro,<br />

luogo dove<br />

tutto marcisce,<br />

dove la nostra<br />

capacità di amare<br />

va incontro<br />

all’asfissia e alla morte. E ancora, può accadere che la nostra vita non profumi<br />

più di “vita nuova”, ma mandi cattivo odore. Eppure le lacrime di Gesù,<br />

la sua commozione smuovono la pietra… entra un raggio di sole, un grido di<br />

amico ha percuote il silenzio.<br />

Questo il miracolo di Gesù, miracolo che Egli continua a compiere davanti a<br />

i nostri sepolcri… a noi spetta accogliere il suo grido, far entrare la sua luce,<br />

diffondere il suo profumo, il profumo della vita nuova.<br />

La risurrezione di Lazzaro ci parla di vita risorta cioè vivere la vita stessa di<br />

Cristo: “per me vivere è Cristo” (Fil 1, 21).<br />

Il Vangelo ci ricorda che possiamo essere anche “chiusi” in un sepolcro, emanare<br />

il cattivo profumo del nostro metterci lontano da Dio, ma ecco che proprio<br />

Lui irrompe nella nostra vita e ci invita a riempire il nostro quotidiano di<br />

quelle cose che durano oltre la morte: riempire la nostra vita del profumo di<br />

Cristo. Non a caso, la liturgia bizantina il giorno della esaltazione della Croce<br />

copre di basilico (la pianta del re) e del suo profumo la croce, anzi ai fedeli<br />

che baciano la croce ne viene dato un rametto.<br />

La tradizione vuole che la Croce fu ritrovata da sant’Elena proprio grazie a<br />

questa pianta profumata. Per questo da sempre il basilico è il profumo della<br />

croce. Il luogo della morte di Cristo diventa sorgente di profumo.<br />

Potrebbe essere questo il segno di questa quinta domenica di quaresima, donare<br />

a tutti fedeli un rametto di basilico, ricordando che proprio Cristo è colui<br />

che da profumo alla nostra vita, profumo effuso per noi dalla Croce, profumo<br />

che ridesta vita dai nostri sepolcri.<br />

Il brano evangelico proposto dalla liturgia<br />

per la quinta domenica di quaresima<br />

è quello della risurrezione di Lazzaro<br />

(cfr. Gv 11, 1-45), che nella struttura del<br />

Vangelo secondo Giovanni è l’ultimo dei segni/miracoli<br />

compiuti da Gesù prima del suo ingresso a Gerusalemme.<br />

Inserito come brano evangelico della quinta domenica di<br />

quaresima, però, diventa anche l’ultimo segno/miracolo<br />

con cui si chiude il percorso di catechesi catecumenale<br />

in preparazione alla celebrazione dei sacramenti<br />

dell’Iniziazione Cristiana.<br />

Inserito in questo percorso catecumenale, il brano della<br />

risurrezione di Lazzaro rivela Gesù come il datore di vita,<br />

che la dona abbondantemente, tanto da far risorgere l’uomo<br />

dalla morte. Questo dono della vita nuova portata da<br />

Cristo è il compimento delle promesse fatte da Dio al suo<br />

popolo per mezzo del profeta Ezechiele (cfr. Ez 37, 12-<br />

14), che vengono riproposte all’ascolto dell’assemblea radunata<br />

nella Messa come prima lettura della<br />

Liturgia della Parola della quinta<br />

domenica di quaresima. Il Signore promette<br />

a Israele di farlo uscire dal sepolcro dell’esilio<br />

e riportarlo alla vita nella terra promessa.<br />

Al Nuovo Israele, che è la Chiesa,<br />

promette di donare ad ognuno il suo Spirito<br />

affinché l’uomo possa uscire dai sepolcri<br />

del male in cui si è rinchiuso con le proprie<br />

scelte e tornare alla vita nuova ricevuta<br />

nel battesimo, così come ai catecumeni<br />

invita a perseverare nel cammino di<br />

preparazione ai sacramenti per poter<br />

ricevere la vita nuova promessa a chi crede.Questa<br />

grande promessa della vita nuova<br />

è compiuta da Cristo che, risorgendo<br />

dalla morte, ha inaugurato i tempi ultimi,<br />

i tempi messianici in cui a tutti gli uomini,<br />

secondo il profeta Gioele, è donato lo Spirito di Dio<br />

(cfr. Gl 3, 1). Con l’Ascensione, il Signore resta in mezzo<br />

ai suoi e continua a santificarli con il suo Spirito, attraverso<br />

l’azione santificatrice della Chiesa, che si esercita<br />

pienamente nella celebrazione dei sacramenti, in primis<br />

quelli dell’Iniziazione Cristiana.<br />

In questo contesto, Lazzaro diventa figura di ogni cristiano<br />

che sta percorrendo il cammino quaresimale e catecumenale.<br />

Morto a causa della carne – le preoccupazioni che occupano<br />

ogni cuore umano – è invitato da Dio a risorgere,<br />

cioè a lasciare le bende e il sudario delle preoccupazioni<br />

che ne intralciano il cammino nella vita, per rinnovarsi,<br />

con la preghiera e la penitenza, nell’incontro liberante con<br />

il Signore, così da arrivare a Pasqua con il cuore libero<br />

di poter accogliere solo il messaggio liberante della vita<br />

che non può essere sconfitta e che, paradossalmente, proprio<br />

attraverso la morte si rinnova e diventa sorgente di<br />

vita per tutti.


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Aprile<br />

2011<br />

17<br />

don Antonio Galati<br />

«Questi è il profeta Gesù» (Mt 21, 11).<br />

La Domenica delle Palme:<br />

esaltazione e passione del Signore.<br />

Con la Domenica delle Palme la Chiesa<br />

è invitata a contemplare alcuni aspetti della vita di Gesù, che a prima vista sembrano<br />

contrapposti, cioè la sua esaltazione e la sua passione e morte.La liturgia<br />

propone di iniziare tutte le Messe che si celebrano questa domenica con la<br />

commemorazione dell’ingresso del Signore in Gerusalemme. Lo si può fare con<br />

la processione delle palme o l’ingresso solenne all’inizio della Messa principale<br />

della giornata, e in maniera semplice all’inizio delle altre Messe. Lo scopo<br />

è quello di permettere ad ogni cristiano di fare esperienza di discepolato, di<br />

mettersi, cioè, come i discepoli 2000 anni fa, alla sequela di Gesù, facendo in<br />

modo che ognuno possa riconoscerlo e sceglierlo liberamente come il Signore<br />

e, con Lui, fare il suo ultimo tratto di strada su questa terra, avendo come meta<br />

la sua offerta sacrificale al Padre e la sua risurrezione. Accanto all’ascolto del<br />

brano evangelico che narra di quest’ingresso solenne a Gerusalemme, la liturgia<br />

propone all’ascolto di chi celebra la narrazione della passione del Signore,<br />

anticipata dalla profezia sul servo sofferente di Isaia (cfr. Is 50, 4-7) e dall’inno<br />

cristologico della lettera di Paolo ai Filippesi in cui, in forma poetica, si descrive,<br />

prima, la discesa di Gesù dal Padre verso l’uomo e, poi, il ritorno di Gesù<br />

dall’uomo verso il Padre, dove il punto più basso di questo movimento del Verbo<br />

Incarnato è rappresentato dalla morte in croce (cfr. Fil 2, 6-11).<br />

Come detto all’inizio, questi due aspetti della vita di Gesù sono solo apparentemente<br />

contrapposti perché, in realtà, soltanto considerandoli tutti e due insieme<br />

si può avere una concezione più chiara di questo evento della vita del Signore,<br />

che inizia con il suo ingresso in Gerusalemme e termina con la<br />

sua Pasqua. Infatti, integrando i racconti della Passione, così come<br />

ci vengono proposti dal Vangelo secondo Matteo, con il significato<br />

di esaltazione del Cristo che il Vangelo secondo Giovanni<br />

vede nella croce, abbiamo, con il racconto dell’ingresso in Gerusalemme,<br />

da una parte Gesù che si manifesta come il re mite, annunciato<br />

dal profeta Zaccaria (cfr. Zc 9, 9), che entra nella città di Davide,<br />

il prototipo della monarchia secondo la tradizione giudaica, e dall’altra<br />

parte abbiamo questo re che prende possesso del suo regno<br />

salendo sul trono, cioè la croce. Secondo quest’ottica, la Domenica<br />

delle Palme, allora, si manifesta come il giorno in cui il cristiano<br />

contempla Gesù che compie le promesse fatte da Dio al popolo<br />

di Israele nell’Antico Testamento, perché Lui è il re e il messia<br />

atteso dai giudei, colui che regnerà per sempre sul trono di<br />

Davide.<br />

«Li amò fino alla fine» (Gv 13, 1).<br />

Giovedì Santo: la consumazione del Signore per amore nostro.<br />

Con la Messa in Cena Domini del Giovedì Santo termina il percorso<br />

quaresimale e i fedeli entrano nel cosiddetto Triduo Pasquale,<br />

cioè quell’unico evento sacrificale-redentivo di Cristo che inizia<br />

con l’Ultima Cena di Gesù con i suoi e, passando per la passione<br />

e morte del Signore il Venerdì Santo, termina con la sua<br />

Risurrezione la notte tra il Sabato Santo e la Domenica di Pasqua. È, appunto,<br />

un unico evento perché i tre momenti si richiamano a vicenda e hanno il loro<br />

pieno significato solo se colti insieme con gli altri. In particolare, la Messa in<br />

Cena Domini è il momento in cui Gesù istituisce l’Eucaristia, cioè il modo scelto<br />

dal Signore per restare in mezzo agli uomini e offrire continuamente a loro<br />

i doni della salvezza ottenuti con la sua passione e risurrezione.<br />

La messa che si celebra questo giorno ha l’obiettivo di riportare i fedeli a quella<br />

notte o, meglio, di portare quella notte dell’Ultima Cena nella vita dei fedeli.<br />

Quella notte il Signore ha compiuto fondamentalmente due gesti: la celebrazione<br />

della Pasqua ebraica, a cui ha dato il nuovo significato del suo passaggio dalla<br />

morte alla vita con l’istituzione dell’Eucaristia, e il gesto della lavanda dei<br />

piedi. Pur se distinti, questi due gesti sono espressione della stessa cosa, cioè<br />

dell’amore di Dio per gli uomini che si concretizza nella morte in croce del Figlio.<br />

Tutto il Triduo, e quindi anche la Messa in Cena Domini, inizia con le parole<br />

del Vangelo secondo Giovanni: «li amò fino alla fine» (Gv 13, 1). Evidentemente<br />

per Gesù amare fino alla fine ha significato il suo estremo sacrificio sulla croce.<br />

Allora proclamare questa espressione durante il racconto della lavanda dei<br />

piedi, che ricordiamo è necessariamente collegata all’istituzione dell’Eucaristia,<br />

La Settimana<br />

grande e santa<br />

don Andrea<br />

Pacchiarotti<br />

Mentre stavano compiendosi<br />

i giorni in cui sarebbe<br />

stato tolto dal mondo, si diresse decisamente verso<br />

Gerusalemme» (Lc 9, 51). Il cammino quaresimale, ripetuto<br />

ogni anno nella liturgia, arriva alla sua meta all’inizio della settimana<br />

santa, che si apre splendidamente, la Domenica delle<br />

Palme, con l’ingresso messianico di Gesù in Gerusalemme,<br />

entrata che mostra il destino di Gesù, come Re e Salvatore,<br />

venuto a dare la vita per il suo popolo e per tutti. La liturgia<br />

di questa settimana, non è un’azione a cui assistere, ma un<br />

evento a cui partecipare. Le celebrazioni, presenza reale di<br />

Gesù risorto, fatte di gesti, canti, parole, silenzi, colori, luci,<br />

suoni, profumi… fanno sì che non resti una bella teoria o un<br />

pio ricordo, ma che diventino vita con un coinvolgimento radicale<br />

ed esistenziale che guida la nostra vita personale e comunitaria.<br />

La celebrazione della Domenica delle Palme ci introduce<br />

nella Settimana santa, la più densa di avvenimenti e insieme<br />

la più splendente di grazia.<br />

Il lunedì santo ci fa uscire da Gerusalemme, e ci conduce a<br />

Betania, sei giorni prima della Pasqua. Gesù è in casa di amici:<br />

Marta serve, Lazzaro, che Gesù ha risuscitato, è uno dei<br />

commensali, Maria, presa una libbra di nardo puro, cosparge<br />

e lava i piedi di Gesù con il profumo che si spande e riempie<br />

tutta la casa. Il momento è densamente<br />

significativo: alcuni si scandalizzano ma<br />

Gesù gradisce molto il gesto d’amore della<br />

donna. Maria compie il gesto per intuizione<br />

d’amore, essa sa quanto sia preziosa,<br />

ben più del nardo, la presenza del<br />

Signore.<br />

Il martedì santo la Chiesa si sofferma sulla<br />

consapevolezza di Gesù che lo tradiranno,<br />

proprio uno dei Dodici ed anche Pietro<br />

(Gv 13,21-33.36-38). Darai la tua vita per<br />

me? In verità, in verità ti dico: non canterà<br />

il gallo, prima che tu m’abbia rinnegato<br />

tre volte. Una domanda che interpella<br />

anche noi e che fa sgorgare anche dai nostri<br />

occhi come da quelli di Pietro lacrime amare<br />

e dolcissime. Lacrime di pentimento per<br />

aver tante volte rinnegato l’Amore, eppure<br />

Gesù non si ricorda dei nostri tradimenti,<br />

ma ci dona lo sguardo lungo la via del Calvario.<br />

Il mercoledì santo siamo a cena con Gesù;<br />

Giuda ha stipulato il suo sciagurato patto<br />

di venderlo per trenta denari e Gesù,<br />

a mensa, svela il traditore dicendo a Giuda: «Tu l’hai detto».<br />

Alla sera in Cattedrale, solenne celebrazione per la consacrazione<br />

degli Oli Santi e la memoria del Sacerdozio unico di<br />

Gesù, partecipato a tutto il popolo e per esso, in maniera tutta<br />

speciale, ai vescovi, presbiteri e diaconi. È la festa di tutto<br />

il popolo sacerdotale e, per questo, siamo invitati a partecipare<br />

insieme al nostro vescovo Vincenzo a tutti i sacerdoti<br />

e agli altri ministri ordinati. Vengono benedetti: il crisma, olio<br />

d’oliva misto ad essenze profumate, olio che consacra i re, i<br />

profeti e i sacerdoti, nel battesimo, nella cresima, nell’ordine<br />

e nei segni dell’altare e dell’edificio chiesa; l’olio per i Catecumeni,<br />

che conferisce la forza dello Spirito per la lotta contro il male;<br />

l’olio degli infermi che dona lo Spirito Santo per offrire in sacrificio<br />

il proprio dolore, strappargli la sua negatività e farlo divenire<br />

redenzione e salvezza unendolo a quello di Gesù, guarendo<br />

lo spirito e spesso anche il corpo dei fedeli.


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Aprile<br />

18 2011<br />

significa affermare che l’Ultima Cena non è altro che un’ulteriore espressione di<br />

quel sacrificio sulla croce. Anzi, è il modo offerto agli uomini per poter partecipare<br />

in maniera incruenta al quel sacrificio. E, se tutti i giorni, gli uomini possono<br />

partecipare al banchetto eucaristico celebrando la Messa, allo stesso tempo, tutti<br />

i giorni, possono lavarsi i piedi gli uni agli altri, facendosi prossimi di chi si ha<br />

accanto. Solo mettendo in atto tutti i giorni della nostra vita entrambi questi gesti<br />

compiuti dal Signore possiamo vivere veramente il significato del Giovedì Santo:<br />

rendere grazie a Dio e esprimere il nostro amore per Lui, con l’Eucaristia, e rendere<br />

grazie al fratello e esprimere il nostro essere prossimo per lui, con la lavanda<br />

dei piedi.<br />

«Gesù in Nazareno, il re dei Giudei» (Gv 19, 19).<br />

Venerdì Santo: compimento delle promesse.<br />

Secondo momento della donazione totale di Gesù agli uomini è la sua crocifissione<br />

e morte. L’azione liturgica del Venerdì Santo si sviluppa in tre momenti: la Liturgia<br />

della Parola con la preghiera universale; l’Adorazione della Croce; la Comunione.<br />

Come si vede manca la Liturgia Eucaristica, ciò è spiegabile proprio perché, essendo<br />

il Venerdì Santo un momento dell’unico evento che ha avuto inizio con il Giovedì<br />

in Cena Domini, la Liturgia Eucaristica<br />

di quest’azione liturgica è già stata celebrata.La<br />

Liturgia della Parola consta del<br />

quarto canto del servo sofferente del profeta<br />

Isaia (cfr. Is 52, 13-53, 12) in cui è<br />

facile riconoscere in questo servo lo stesso<br />

Gesù, anche perché si proclama la duplice<br />

situazione di Gesù che viene rifiutato<br />

e ucciso, ma che al tempo stesso è esaltato<br />

e innalzato. Queste caratteristiche del<br />

servo saranno poi riconosciute esplicitamente<br />

a Gesù dall’evangelista Giovanni,<br />

dal quale viene preso il testo del Passio<br />

che viene proclamato lo stesso Venerdì<br />

Santo (cfr. Gv 18, 1-19, 42). Insieme a questi<br />

passi biblici, la seconda lettura proposta<br />

è tratta della Lettera agli Ebrei (cfr. Eb<br />

4, 14-16; 5, 7-9) che sottolinea l’atto sacerdotale<br />

del sacrificio di Cristo. Proprio perché<br />

l’atto sacerdotale-sacrificale di Cristo<br />

è l’atto redentivo universale, la Chiesa,<br />

consapevole di questa valenza universale,<br />

conclude la Liturgia della Parola con la Preghiera Universale.<br />

Spinti dall’ascolto della Lettera agli Ebrei («accostiamoci dunque con piena fiducia<br />

al trono della grazia» Eb 4, 16) e riconoscendo nella Croce il trono di Cristo<br />

Re dei Giudei (cfr. Gv 19, 19), i fedeli si accostano alla croce per adorarla, riconoscendo<br />

in essa il mezzo scelto dal Salvatore per donare agli uomini la grazia della<br />

salvezza.<br />

Terminata l’Adorazione della Croce, si va verso la conclusione dell’azione liturgica<br />

del Venerdì Santo con la comunione, utilizzando il pane eucaristico consacrato<br />

il Giovedì Santo, che è un’ulteriore sottolineatura dell’unità dei tre giorni del Triduo<br />

Pasquale. La comunione eucaristica unisce sacramentalmente il battezzato al dono<br />

totale di Cristo per l’umanità, alla sua passione e morte, sostenendo l’attesa per la<br />

risurrezione.<br />

«Rotolata poi una grande pietra all’entrata del sepolcro, se ne andò» (Mt 27, 60).<br />

Sabato Santo: silenzio dell’uomo davanti al silenzio di Dio.<br />

Il Sabato Santo è un giorno “a-liturgico”, nel senso che la Chiesa non celebra né<br />

l’eucaristia, né altri riti pubblici. Sta in silenzio. È il silenzio di chi non sa cosa<br />

dire, il silenzio di chi è stupito davanti all’evento della croce. Un silenzio che non<br />

è solo la sottolineatura nostalgica della morte del Figlio di Dio, ma il silenzio di<br />

fronte allo stupore di chi è rimasto affascinato dal così grande amore di Dio che<br />

ha voluto donare la sua vita per la vita dell’uomo.<br />

In questo giorno, la Chiesa dà la possibilità, a chi vuole, di continuare il digiuno<br />

del Venerdì Santo che si carica del duplice significato del silenzio della Chiesa stessa.<br />

In questo giorno, il digiuno ha la sua valenza penitenziale in ordine alla contrizione<br />

per i propri peccati che hanno contribuito alla morte di Gesù, ma al tempo<br />

stesso è l’astinenza da ciò che sostiene la vita materiale per poter gustare appieno<br />

la gioia della resurrezione.<br />

Il giovedì santo: «Messa nella Cena del Signore»<br />

Il Santo Triduo è il vertice di tutto l’anno liturgico. La Chiesa<br />

in questa celebrazione fa memoria dell’Istituzione<br />

dell’Eucaristia, del sacerdozio ministeriale e ricorda il «mandato»<br />

del Signore: «Fate questo in memoria di me», «Amatevi<br />

come io vi ho amato », fino a consegnare la vostra stessa<br />

vita. Il Vangelo di Gesù che lava i piedi ai suoi durante<br />

la cena, è l’altro modo per dirci che cosa egli fece della<br />

sua vita; è la sconvolgente manifestazione di Dio che<br />

si china dinanzi agli uomini per compiere un gesto da schiavo,<br />

per deporre ai loro piedi la propria vita, tutta versata<br />

per lavarli. All’inizio della Messa, sono recati in processione<br />

gli Oli nuovi che tutta la comunità saluta e accoglie;<br />

il celebrante li depone sulla mensa dell’altare, li incensa<br />

e poi va a deporli nella loro custodia che solitamente è<br />

presso il battistero. La comunità è coinvolta e attenta nell’accogliere<br />

e contemplare il dono di sé che fa Gesù; è in<br />

festa, con luci, fiori e il colore bianco e oro dei paramenti.<br />

Nel segno del lavare<br />

i piedi, che è inserito nella<br />

liturgia, non è fatto per<br />

ricordare un «buon<br />

esempio» di Gesù, ma<br />

per far comprendere<br />

l’Eucaristia, che cosa egli<br />

fece nel donarsi a noi.<br />

Egli depose la propria gloria,<br />

le vesti, «versò» tutta<br />

la sua vita e poi riprese<br />

la «gloria» che aveva<br />

presso il Padre.<br />

Nessuno gli prese la vita<br />

ma la donò: prima che<br />

venissero a catturarlo per<br />

condurlo a morire, egli<br />

in realtà era già morto<br />

nel «segno» della lavanda<br />

dei piedi e del pane<br />

spezzato e del sangue<br />

versato. Per la celebrazione.<br />

Il tabernacolo deve essere vuoto e aperto e la<br />

lampada eucaristica spenta. L’altare deve risplendere in<br />

bellezza e decorato con i fiori. Le acquasantiere devono<br />

essere vuote, riceveranno l’acqua della notte di Pasqua.<br />

Sarebbe auspicabile in questo giorno la comunione sotto<br />

le due Sante Specie. Inoltre una particolarità è il suono<br />

delle campane quando viene intonato il Gloria, dopo<br />

questo momento i suoni taceranno sino alla veglia di Pasqua.<br />

Si tenga cura che l’Altare della reposizione sia circondato<br />

da sobria e nobile bellezza, dal profumo dei fiori e dalla<br />

luce dei ceri. Occorre ricordare che le norme stabiliscono:<br />

«non si può mai fare l’esposizione con l’ostensorio. Il tabernacolo<br />

o custodia non deve avere la forma di un sepolcro»<br />

(cf Lettera Circolare, n 55). Al rientro in sacrestia è<br />

opportuno che sia spogliato l’altare della celebrazione. È<br />

bene togliere le croci dalla chiesa o coprirle con un velo<br />

rosso o violaceo (se non è stato fatto il sabato prima della<br />

5ª domenica di Quaresima). Non si potranno accendere<br />

luci davanti alle immagini dei santi. La Chiesa questa notte<br />

veglia in adorazione in modo solenne fino alla mezzanotte,<br />

dopo senza solennità; a significare ciò, si potranno<br />

spegnere alcuni lumi. L’adorazione può continuare nella<br />

mattinata del venerdì santo sino alla celebrazione della<br />

Passione del Signore, allorquando l’Eucaristia custodita<br />

sarà consumata con la comunione.<br />

Il venerdì santo: «nella Passione del Signore»<br />

In questo giorno, per antichissima tradizione, la Chiesa<br />

non celebra l’Eucarestia. La Liturgia che si celebra oggi


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Aprile<br />

2011<br />

19<br />

«Non è qui. È risorto» (Mt 28, 6).<br />

Veglia di Pasqua:<br />

festa luminosa della vita.<br />

Con la notte tra il Sabato Santo e la Domenica<br />

di Pasqua la Chiesa resta sveglia e in preghiera<br />

in attesa dell’annuncio della Risurrezione. Per questo sant’Agostino<br />

descrive la Veglia di Pasqua come la madre di tutte le veglie.<br />

Tenendo presente che quest’anno liturgico è quello del ciclo A, cioè quello<br />

più orientato all’accompagnamento dei catecumeni a ricevere il battesimo<br />

proprio durante la Veglia di Pasqua, è possibile sottolineare due<br />

messaggi fondamentali veicolati dai vari riti che scandiscono la veglia<br />

della notte di Pasqua. Essi sono quello della Luce e quello della Vita.<br />

La luce è evocata all’inizio con la benedizione del fuoco e il rito del lucernario<br />

quando, cioè, dal nuovo fuoco benedetto si accende il cero pasquale<br />

e da questo le candele dei fedeli che partecipano alla Veglia e le luci della<br />

chiesa. Questo particolare rito non ha bisogno di tanti commenti, perché<br />

è esplicativo di per se stesso: è Cristo la luce nuova che con la risurrezione<br />

illumina la notte del mondo e la notte della vita di ogni persona.<br />

Accendendo la propria candela, che rappresenta la fede donata nel battesimo,<br />

alla luce di Cristo rappresentata dal cero pasquale, il cristiano riconosce<br />

e chiede che sia proprio la fede a dare senso alla vita umana.<br />

L’altro messaggio è quello della superiorità della vita sulla morte. Ciò è<br />

veicolato dalle letture dell’Antico Testamento proposte come Liturgia della<br />

Parola della Veglia. Partendo dal racconto della creazione e toccando<br />

le tappe fondamentali della storia di Israele, la liturgia accompagna il credente<br />

ad ascoltare le promesse che il Signore fa al suo popolo, che sono<br />

narrate nei libri profetici utilizzati durante la Veglia. Da sempre Dio ha<br />

pensato all’uomo e all’incontro con lui. I limiti e il male degli uomini<br />

non possono diventare un ostacolo, ma anzi diventano il mezzo attraverso<br />

il quale Dio permette quest’incontro. Tutto questo messaggio diventa chiaro<br />

con l’ascolto della lettera ai Romani (cfr. Rm 6, 3-11), in cui Paolo<br />

sottolinea che con il battesimo l’uomo vecchio è crocifisso con Cristo e,<br />

insieme con Lui, risorge l’uomo nuovo. Entrambi queste immagini della<br />

Luce e della Vita trovano il loro punto di incontro nella benedizione<br />

del fonte battesimale nel quale è custodita l’acqua per il battesimo, e quindi<br />

per la nuova rinascita alla vita in Cristo. Durante il rito, la Liturgia propone<br />

di immergere il cero, cioè la Luce, nell’acqua del<br />

fonte, cioè la Vita, proprio per simboleggiare quest’incontro<br />

fecondo del Risorto con la sua Chiesa che, attraverso la<br />

celebrazione del battesimo e degli altri sacramenti<br />

dell’Iniziazione Cristiana, genera nuovi figli di Dio.<br />

«Vide e credette» (Gv 20, 8).<br />

La Domenica di Pasqua:<br />

solenne memoriale della risurrezione.<br />

La Domenica di Pasqua è, come le altre domeniche, la celebrazione<br />

solenne della risurrezione del Signore. Tutta la<br />

Liturgia della Parola ha come centro l’annuncio della risurrezione.<br />

Il brano evangelico rappresenta il culmine dell’annuncio<br />

della vita che sconfigge la morte. Le donne vanno<br />

al sepolcro per completare la sepoltura di un morto,<br />

ma lì incontrano l’autore della vita, la sorgente d’acqua,<br />

di luce e di vita seguita durante il cammino quaresimale<br />

e che, con la sua risurrezione, dimostra che Dio è fedele<br />

e che le promesse fatte una volta vengono adesso portate<br />

a compimento. Gli uomini non devono temere, se Dio<br />

ha promesso, anche se in maniera imprevedibile come dare<br />

la vita a partire dalla morte, mantiene le sue promesse.<br />

I brani evangelici proposti per tutto l’arco della giornata<br />

domenicale trasmettono i vari incontri dei discepoli con il Signore risorto.<br />

È sulla testimonianza di questi discepoli, e principalmente degli Apostoli,<br />

che la Chiesa fonda la sua fede nella risurrezione. A partire dal loro annuncio,<br />

e dal loro martirio per difendere la verità della risurrezione di Cristo,<br />

il Vangelo, cioè l’annuncio della buona notizia della vittoria della vita sulla<br />

morte, inizia il suo cammino nel tempo e nello spazio per raggiungere<br />

tutti gli uomini e invitarli a partecipare, con l’Eucaristia e la vita ecclesiale,<br />

alla salvezza portata da Cristo.<br />

è detta «Celebrazione<br />

della Passione del<br />

Signore», essa è una<br />

vera azione sacramentale<br />

cui bisogna dare<br />

precedenza sul pio<br />

esercizio della «Via Crucis», invitando i fedeli a parteciparvi numerosi.<br />

Sarebbe opportuno celebrare al mattino le Lodi mattutine, specie<br />

in quelle parrocchie dove si celebra la messa al mattino (e questo<br />

anche al sabato santo). L’azione liturgica si svolge verso le ore<br />

15.00 che corrispondono all’ora nona della morte del Signore sulla<br />

croce (cf Mt 27,45) a meno che, per motivi pastorali, non si ritenga<br />

necessario disporla per altro orario. La liturgia si svolge in tre momenti:<br />

Liturgia della Parola, Adorazione della Croce, Comunione eucaristica.<br />

Per la celebrazione. L’altare deve essere del tutto spoglio,<br />

senza tovaglia, senza fiori, senza candelabri. All’ora stabilita non si<br />

suonano le campane, l’ingresso all’altare avviene in silenzio, come<br />

pure alla fine l’assemblea si scioglie in silenzio. L’adorazione presso<br />

la Santa Croce continuerà per tutto il Sabato, sino alla preparazione<br />

della Grande Veglia pasquale. Dinanzi alla Croce, in questo<br />

giorno, si genuflette come dinanzi all’Eucaristia. Il nostro vescovo<br />

Vincenzo propone ogni anno durante l’adorazione della Croce, di aspergere<br />

i fedeli che baciano la croce, con del profumo. Con questa celebrazione<br />

la Chiesa entra nel silenzio del Grande Sabato.<br />

Notte veramente gloriosa: «Veglia pasquale»<br />

«Per antichissima tradizione questa è la notte di veglia in onore del<br />

Signore» (Es 12,42). I fedeli, portando in mano, secondo l’ammonimento<br />

del Vangelo (Lc 12,35 ss), la lampada accesa, assomigliano<br />

a coloro che attendono il Signore al suo ritorno in modo che, quando<br />

egli verrà, li trovi ancora vigilanti e li faccia sedere alla sua mensa.<br />

L’intera celebrazione della Veglia pasquale si svolge di notte; essa<br />

quindi deve incominciare dopo l’inizio della notte e terminare prima<br />

dell’alba della domenica» (MR, p 161). È la celebrazione più importante<br />

dell’anno liturgico, Madre di tutte le veglie. Infatti, nella notte<br />

celebriamo la Pasqua che è la fonte e il motivo di tutta la nostra gioia<br />

e speranza: Cristo Gesù è morto ed è risorto e ci ha liberato dal peccato<br />

e dalla morte. In questa Santa Notte<br />

la Chiesa s’illumina dello splendore di<br />

Cristo Risorto: è la Notte che non conosce<br />

tenebre, è il Giorno del Signore, la<br />

Domenica che da origine a tutte le altre<br />

domeniche. Il rito comprende quattro parti<br />

ben distinte: Lucernario, in cui al fuoco<br />

nuovo accenderemo il cero simbolo<br />

di Cristo Risorto. Alla sua luce accenderemo<br />

i nostri ceri a ricordo del Battesimo<br />

in cui noi pure siamo risorti con Cristo.<br />

Entreremo nella chiesa buia che sarà<br />

illuminata dalla luce di Cristo e nostra.<br />

Liturgia della Parola, nella quale<br />

ascolteremo sette Letture + 2 che, come<br />

uno splendido narrare, ci raccontano della<br />

creazione, dell’uscita dall’Egitto e della<br />

liberazione, dell’Alleanza che Dio ha<br />

fatto con l’uomo e di come Egli ci ha<br />

cercati e poi ha mandato il Figlio suo<br />

che è morto ed è risorto. Liturgia battesimale:<br />

sarà benedetta l’acqua per<br />

il battesimo, ne saremo aspersi rinnovando<br />

le nostre promesse; in molti luoghi, come nella nostra Cattedrale,<br />

in questa notte sono battezzati i Catecumeni, i nuovi figli della Chiesa.<br />

Il culmine della Veglia è la Liturgia Eucaristica, il Pane e il Vino<br />

offerti e restituiti nella Comunione: Cristo ci assimila a sé e noi, avvolti<br />

della sua luce, siamo come vivi tornati dai morti. Questo breve excursus<br />

sui giorni della Settimana Santa vuole essere un aiuto per vivere<br />

a pieno le celebrazioni e soprattutto per essere pieni di gioia e<br />

annunziare con la vita quanto abbiamo vissuto, come abbiamo «visto<br />

e incontrato», realmente, il Risorto, con gli occhi della fede.


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Aprile<br />

20 2011<br />

Don Daniele Valenzi<br />

L’uomo viene con la sua offerta prega,<br />

affinché sia esaudito, offre le tortore<br />

e le colombe, promette l’integrità<br />

dell’anima e del corpo, come ascoltiamo<br />

l’esempio del Beato Benedetto che in<br />

questa cosa era espertissimo, promise<br />

l’obbedienza, la stabilità e la conversione<br />

dei modi. Per queste poche<br />

parole quell’uomo beatissimo espose<br />

tutto quanto questo sacrifico per noi.<br />

Ecco l’uomo che si è fatto tortora e colomba,<br />

che ha torto il suo capo fino al collo e cammina<br />

a testa bassa, questo è segno di umiltà.<br />

Ha afferrato la sua gola, dove era solito riporre<br />

il cibo affinché imparasse a digiunare d’ora<br />

in poi, lui che prima si dava alle opere dell’ubriachezza.<br />

Sopra l’altare del suo cuore fece scorrere<br />

il sangue, come sempre ricordando i suoi<br />

peccati, come dice il salmista: poiché riconosco<br />

la mia colpa e il mio peccato mi è sempre<br />

davanti. Il sangue infatti significa i peccati<br />

secondo quello che è detto: liberami dal<br />

sangue Dio, Dio mia salvezza.<br />

E’ spogliato delle piume poiché gli giova lasciare<br />

ogni possesso e non avere nient’altro di proprio,<br />

e queste cose le pone dalla parte di oriente<br />

poiché dopo averle eliminate non le ricordi<br />

in modo più grande.<br />

Perché infatti sempre tendiamo all’occasione e<br />

alla tentazione. Ha spezzato le ali poiché ha tolto<br />

la licenza di girovagare e ha imposto come<br />

proposito la stabilità del luogo. Ma non ha tolto<br />

le penne poiché quando fosse necessario gli<br />

fosse permesso volare per le caratteristiche del<br />

luogo per un’altra strada.<br />

Siano felici quelli che sono tortore e colombe<br />

che insieme al figlio di Dio dalla Madre del Signore<br />

sono offerti, e in un’unica e medesima oblazione<br />

sono associati al Signore che vive e regna nei<br />

secoli dei secoli. Amen.<br />

Nell’immagine: Presentazione al Tempio<br />

Nel libro quinto delle sentenze, la lunga<br />

omelia dedicata dal vescovo<br />

segnino alla purificazione della Vergine<br />

Maria, diventa occasione per riflettere sul valore<br />

della preghiera e su quanto sia importante<br />

che nasca da un cuore puro e rinnovato nel proposito<br />

di piacere al Signore. La Vergine Maria<br />

diventa modello di preghiera, icona di quanti offrono<br />

al Signore quanto hanno di più prezioso: la<br />

vita. Quanti si mettono alla scuola di Maria imparano<br />

a non dare occasione alla tentazione, come<br />

il beato Benedetto che per Bruno fu maestro e<br />

modello di vita sulla via della perfezione. Lasciamo<br />

spazio a questa sua riflessione perché sia di riferimento<br />

anche per noi, specialmente in questo<br />

tempo di quaresima, tempo in cui, allontanandoci<br />

del male, ci prepariamo a celebrare con gioia<br />

la Pasqua del Signore.<br />

Quell’offerta di tortore e colombe che insieme<br />

al figlio è presentata al Signore, sembra che spettasse<br />

in modo sommo a lei che si distinse per<br />

la virtù della castità e della mansuetudine.<br />

Questo infatti è significato in quegli uccelli, di<br />

cui si fa valere per uno la castità, per l’altro l’innocenza.<br />

Porta dunque oggi la Beatissima Vergine<br />

Maria un oblazione graditissima al Signore che<br />

prima fu significata attraverso molte altre oblazioni,<br />

ma non fu mai offerta una tale a questa.<br />

Noi dunque, che vogliamo offrire a Dio un’oblazione<br />

degna, dobbiamo imitare questa regina e<br />

nostra signora.<br />

Offriamo dunque anche noi una coppia di tortore<br />

e due giovani colombe e l’integrità dell’anima<br />

e del corpo e l’innocenza offriamo al Signore.<br />

Ci insegna Mosè in che modo dobbiamo fare<br />

questa offerta. Vuole infatti che il sacerdote che<br />

la offra, torca il capo degli uccelli fino al collo<br />

e, rotto in quel luogo con un taglio, faccia scorrere<br />

sopra la tavola dell’altare il sangue.<br />

La membrana della gola e le piume le metta via<br />

dalla parte orientale, spezzi le ali ma non le rimuova<br />

radicalmente. Questa è l’offerta dei perfetti<br />

e a me sembra che essi siano in modo particolare<br />

i monaci.


Aprile_11:Pag prova.qxd 02/04/2011 9.36 Pagina 21<br />

Aprile<br />

2011<br />

21<br />

L<br />

mons. Franco Risi<br />

’impegno per la<br />

formazione<br />

degli operatori<br />

vocazionali e la<br />

costruzione della comunione<br />

possono rappresentare<br />

due obiettivi<br />

significativi che un<br />

Centro Diocesano<br />

Vocazioni può prefiggersi<br />

per la sua attività.<br />

Li descrivo tenendo<br />

in considerazione,<br />

i propositi di attuazione<br />

e di realizzazione.<br />

In merito alla formazione<br />

degli operatori vocazionali<br />

va riconosciuto<br />

ai nostri Vescovi il<br />

ruolo di avanguardia e<br />

di continua iniziativa in<br />

campo Pastorale; essi<br />

assolvono degnamente la loro funzione di guide.<br />

L’attuale rinnovamento della Pastorale vocazionale,<br />

infatti, è arrivato dai vertici della Chiesa, in<br />

modo particolare è scaturito da un serio e faticoso<br />

lavoro di studio, di riflessione e di ricerca condotto<br />

dal Centro Nazionale. Le realtà locali hanno partecipato<br />

a volte limitatamente, a questo coraggioso<br />

rinnovamento, continuando la Pastorale spesso<br />

con metodi divenuti anacronistici o cadendo nel<br />

disimpegno più totale. Oggi esse si trovano di fronte<br />

a visioni e direttive quasi del tutto nuove: ad<br />

una “letteratura” vocazionale ampia e profonda<br />

che deve essere conosciuta e digerita.Ci riferiamo<br />

soprattutto al Piano Pastorale per le vocazioni,<br />

agli atti dei Convegni nazionali e internazionale<br />

per le vocazioni, da anni ormai divenuti una consuetudine<br />

nella Chiesa, ai ricchi studi della rivista<br />

“Vocazioni” e ad altre pubblicazioni del<br />

C.N.V.Per non correre il rischio di intraprendere<br />

sentieri divenuti oggi impraticabili, dati i notevoli<br />

mutamenti culturali, per essere insomma all’altezza<br />

dei tempi e delle mutate situazioni, è opportuno<br />

che un Centro Diocesano Vocazioni senta<br />

anch’esso il dovere di impegnarsi nello studio, proponendosi<br />

con ciò di preparare gli operatori pastorali<br />

in genere e vocazionali in specie, perché siano<br />

in grado di affrontare le attuali contingenze culturali<br />

ed ecclesiali, per una pertinente ed efficace<br />

proposta vocazionale. Concretamente, questo<br />

lavoro di studio e di preparazione degli operatori<br />

si sta facendo con la diffusione e la lettura dei<br />

testi sopracitati. Sarebbe opportuno quindi che un<br />

C.D.V. abbia una propria biblioteca con libri, riviste<br />

e sussidi audiovisivi, in materia di Pastorale<br />

giovanile e vocazionale di modo che ai suoi collaboratori<br />

possa offrire delle letture di testi fondamentali<br />

su cui confrontarsi negli incontri del Centro;<br />

così anche alle parrocchie possa offrire sussidi<br />

e materiale più divulgativo per la formazione degli<br />

operatori. Inoltre, un C.D.V. deve poter proporre<br />

periodicamente delle conferenze di aggiornamento<br />

tenute da “esperti”. Altro aspetto importante della<br />

formazione è la partecipazione ai convegni nazionali<br />

ed a periodici convegni vocazionali regionali<br />

se programmati. E’ un lavoro che richiede umiltà,<br />

sacrificio e costanza, spesso incompreso da<br />

chi è troppo attento ai risultati o troppo abituato<br />

a iniziative autonome. Le fondamenta sono<br />

sempre pesanti e nascoste ma esse sono l’inizio<br />

e il sostegno perenne dell’edificio. L’esperienza<br />

di chi ha lavorato in questi anni nel C.D.V. ha avvertito<br />

quanto sia urgente l’esigenza della comunione,<br />

come contenuto e come metodo. Se non si lavora<br />

insieme, si lavora male e, forse, inutilmente.<br />

Una convinzione che è andata maturando nella<br />

sperimentare la fatica di inserire armonicamente<br />

nella Pastorale ordinaria il servizio del C.D.V.,<br />

è il disagio provato di fronte ad iniziative “private”<br />

parallele. Per funzionare bene il C.D.V. deve<br />

avere lo stesso volto della Chiesa che è il popolo<br />

adunato dalla Trinità. E’ davvero un grande mistero<br />

di comunione. In essa ogni credente è portatore<br />

di doni e la comunione risulta come un insieme<br />

di esperienze diverse. Sul piano operativo la<br />

Chiesa-comunione comporta la consapevolezza<br />

della relatività di ogni dono, del dono di ciascuno<br />

con quello degli altri. Quindi ogni iniziativa deve<br />

essere un fatto ecclesiale e non un fatto semplicemente<br />

privato, o di gruppo, o d’“Istituto”. Nel<br />

Vademecum del Direttore del C.D.V. oltre a ribadire<br />

quanto detto, si legge che fra gli obiettivi, c’è<br />

quello di “lavorare per tutte le vocazioni, assieme<br />

a tutti gli operatori della Pastorale”. In molte<br />

diocesi questo è un dato assodato<br />

in altre si sta tuttavia lavorando per<br />

raggiungere questo risultato. Il<br />

Centro Diocesano Vocazioni costruisce<br />

la comunione in due direzioni al<br />

suo interno e nei confronti di tutti gli<br />

operatori Pastorali Diocesani. Il<br />

C.D.V. cura l’amicizia tra i suoi membri,<br />

il lavoro comune che unisce e la<br />

preghiera che cementa l’unione. Il C.D.V.<br />

è composto dai responsabili di tutte<br />

le componenti vocazionali: la famiglia,<br />

i sacerdoti diocesani, i religiosi,<br />

le religiose, i diaconi, un rappresentante<br />

dei giovani ecc. Nei confronti<br />

degli operatori Pastorali<br />

Diocesani, il C.D.V. cerca la comunione<br />

attraverso una costante,<br />

reciproca informazione, l’offerta<br />

e la richiesta di collaborazione<br />

e soprattutto attraverso i convegni<br />

vocazionali da esso promossi.<br />

Con il criterio della comunione<br />

il C.D.V. si propone di superare,<br />

la dove fosse ancora necessario,<br />

progressivamente e senza<br />

forzature, due possibili<br />

mentalità non corrette, come la<br />

eccessiva preoccupazione per una Pastorale vocazionale<br />

Diocesana e una comprensibile mentalità<br />

di delega. Interessante a questo proposito l’esperienza<br />

recente del C.D.V della diocesi di Tivoli,<br />

che ha saputo proporre e promuovere, grazie anche<br />

ai seminaristi del Pontificio Seminario Leoniano<br />

di Anagni, dei fine settimana vocazionali, in diverse<br />

parrocchie del territorio diocesano, coinvolgendo:<br />

sacerdoti, parroci, religiosi e religiose, catechisti,<br />

gruppi parrocchiali e movimenti ecc. in tematiche<br />

di carattere vocazionale. Hanno inoltre promosso<br />

e animato la preghiera e la celebrazione dell’Eucaristia<br />

per questo fine. Nella nostra diocesi invece si realizza<br />

una settimana cosiddetta vocazionale presso<br />

il centro di spiritualità “S. Maria dell’Acero”; si<br />

tratta di una convivenza nella quale si riflette e<br />

si ascolta la Parola di Dio, che interpella anche<br />

oggi ragazzi e ragazze a seguirlo con gioia e generosità.<br />

Importante in questa esperienza è la presenza<br />

delle Suore Apostoline in quanto specialiste<br />

per carisma del ministero della formazione vocazionale,<br />

note per redigere la rivista di orientamento<br />

vocazionale “SE VUOI”. Queste sono alcune delle<br />

iniziative del C.D.V, ma sicuramente uno sguardo<br />

più allargato alle altre diocesi porterebbe a considerare<br />

tante a altre iniziative in merito, forse<br />

anche più valide delle due citate.


Aprile_11:Pag prova.qxd 02/04/2011 9.37 Pagina 22<br />

Aprile<br />

22 2011<br />

Teodoro Beccia*<br />

“La vocazione sacerdotale è un dono di Dio, che costituisce<br />

certamente un grande bene per colui che è<br />

il primo destinatario. Ma è anche un dono per l’intera<br />

chiesa, un bene per la sua vita e per la sua missione”<br />

1 .<br />

Sulla scia di quanto scrisse il Santo Padre<br />

Giovanni Paolo II nell’Esortazione apostolica<br />

Post - sinodale Pastores dabo vobis del<br />

1992, il Sommo Pontefice Benedetto XVI ha indirizzato<br />

a tutti i fedeli, in occasione della XLVIII<br />

Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni<br />

che si celebrerà il prossimo 15 maggio, IV domenica<br />

di Pasqua o del Buon Pastore 2 , il consueto<br />

messaggio dal titolo: “Proporre le vocazioni nella<br />

Chiesa locale”.<br />

Illustrando il tema della prossima Giornata di preghiera,<br />

Benedetto XVI spiega che bisogna “…avere<br />

il coraggio di indicare, attraverso una pastorale<br />

attenta e adeguata, questa via impegnativa<br />

della sequela di Cristo, che, in quanto ricca<br />

di senso, è capace di coinvolgere tutta la vita.”<br />

“Specialmente in questo nostro tempo in cui la<br />

voce del Signore sembra soffocata da altre voci<br />

e la proposta di seguirlo donando la propria vita<br />

può apparire troppo difficile, ogni comunità cristiana,<br />

ogni fedele, dovrebbe assumere con consapevolezza<br />

l’impegno di promuovere le vocazioni”.<br />

All’inizio del suo Messaggio il Santo Padre<br />

ricorda l’istituzione, avvenuta settanta anni fa,<br />

della Pontificia Opera per le Vocazioni Sacerdotali,<br />

seguita dalla nascita di opere simili in molte diocesi<br />

del mondo, e sottolinea che “le vocazioni<br />

al ministero sacerdotale e alla vita consacrata<br />

sono primariamente frutto di un costante contatto<br />

con il Dio vivente e di un’insistente preghiera<br />

che si eleva al Padrone della messe sia nelle<br />

comunità parrocchiali, sia nelle famiglie cristiane,<br />

sia nei cenacoli vocazionali “È importante,<br />

scrive Benedetto XVI nel messaggio, incoraggiare<br />

e sostenere coloro che mostrano chiari segni<br />

della chiamata alla vita sacerdotale e alla consacrazione<br />

religiosa, perché sentano il calore<br />

dell’intera comunità nel dire il loro sì a Dio e alla<br />

Chiesa”. “Gli uomini avranno sempre bisogno<br />

di Dio, anche nell’epoca del dominio tecnico del<br />

mondo e della globalizzazione”, ha ribadito il Santo<br />

Padre citando la sua recente “Lettera ai seminaristi”<br />

3 . “L’arte di promuovere e di curare le vocazioni<br />

trova un luminoso punto di riferimento nelle<br />

pagine del Vangelo in cui Gesù chiama i suoi<br />

discepoli a seguirlo e li educa con amore e premura”.<br />

Soffermandosi sul “modo in cui Gesù ha<br />

chiamato i suoi più stretti collaboratori ad annunciare<br />

il Regno di Dio”, Benedetto XVI sottolinea<br />

che “il primo atto è stata la preghiera per loro”,<br />

perché “la vocazione dei discepoli nasce nel colloquio<br />

intimo di Gesù con il Padre”.<br />

Quando, all’inizio della sua vita pubblica, Gesù<br />

ha chiamato alcuni pescatori, intenti a lavorare<br />

sulle rive del lago di Galilea, “li ha educati<br />

con la parola e con la vita affinché fossero pronti<br />

ad essere continuatori della sua opera di salvezza,<br />

ha affidato loro il memoriale della sua morte<br />

e risurrezione, e prima di essere elevato al<br />

cielo li ha inviati in tutto il mondo”.<br />

Quella fatta agli apostoli, in altre parole, per il<br />

Papa “è una proposta, impegnativa ed esaltante”,<br />

con cui Gesù “li invita ad entrare nella sua amicizia,<br />

ad ascoltare da vicino la sua Parola e a<br />

vivere con Lui; insegna loro la dedizione totale<br />

a Dio e alla diffusione del suo Regno secondo<br />

la legge del Vangelo; li invita ad uscire dalla<br />

loro volontà chiusa, dalla loro idea di autorealizzazione,<br />

per immergersi in un’altra volontà,<br />

quella di Dio e lasciarsi guidare da essa; fa<br />

vivere loro una fraternità, che nasce da questa<br />

disponibilità totale a Dio, e che diventa il tratto<br />

distintivo della comunità di Gesù”.<br />

“Anche oggi, la sequela di Cristo è impegnativa”,<br />

perché “vuol dire imparare a tenere lo sguardo<br />

su Gesù” ed “imparare a conformare la propria<br />

volontà alla Sua”. Per il Papa, è “una vera<br />

e propria scuola di formazione per quanti si preparano<br />

al ministero sacerdotale ed alla vita consacrata,<br />

sotto la guida delle competenti autorità<br />

ecclesiali”.<br />

“Il Signore non manca di chiamare, in tutte le<br />

stagioni della vita, a condividere la sua missione<br />

e a servire la Chiesa nel ministero ordinato<br />

e nella vita consacrata”, ribadisce il Santo Padre,<br />

e la Chiesa “è chiamata a custodire questo dono,<br />

a stimarlo e ad amarlo”, poiché “è responsabile<br />

della nascita e della maturazione delle vocazioni<br />

sacerdotali”.<br />

Per questo “occorre che ogni Chiesa locale si<br />

renda sempre più sensibile e attenta alla pastorale<br />

vocazionale, educando ai vari livelli, familiare,<br />

parrocchiale, associativo, soprattutto i ragazzi,<br />

le ragazze e i giovani, come Gesù fece con<br />

i discepoli, a maturare una genuina e affettuosa<br />

amicizia con il Signore; ad imparare l’ascolto<br />

attento e fruttuoso della Parola di Dio; a comprendere<br />

che entrare nella volontà di Dio non<br />

annienta e non distrugge la persona, ma permette<br />

di scoprire e seguire la verità più profonda<br />

su se stessi; a vivere la gratuità e la fraternità<br />

nei rapporti con gli altri”, per trovare “la vera gioia<br />

e la piena realizzazione delle proprie aspirazioni”.<br />

“Proporre le vocazioni nella Chiesa locale, scrive<br />

il Papa nel messaggio, significa avere il coraggio<br />

di indicare, attraverso una pastorale vocazionale<br />

attenta e adeguata, questa via impegnativa<br />

della sequela di Cristo, che è capace di coinvolgere<br />

tutta la vita”.<br />

Di qui l’appello ai vescovi ad “incrementare il più<br />

che sia possibile le vocazioni sacerdotali e religiose,<br />

e in modo particolare quelle missionarie”,<br />

anche tramite la “cura nella scelta degli operatori<br />

per il Centro Diocesano Vocazioni, strumento<br />

prezioso di promozione e organizzazione della<br />

pastorale vocazionale”.<br />

Ai vescovi, il Papa raccomanda inoltre “un’equa<br />

distribuzione dei sacerdoti nel mondo”:<br />

“La vostra disponibilità verso diocesi con scarsità<br />

di vocazioni, spiega, diventa una benedizione<br />

di Dio per le vostre comunità ed è per i<br />

fedeli la testimonianza di un servizio sacerdotale<br />

che si apre generosamente alle necessità<br />

dell’intera Chiesa”.<br />

Benedetto XVI rivolge infine un appello a tutti<br />

coloro che, nelle parrocchie, “possono offrire il<br />

proprio contributo alla pastorale delle vocazioni:<br />

i sacerdoti, le famiglie, i catechisti, gli animatori”:<br />

“ogni momento della vita della comunità<br />

ecclesiale è una preziosa opportunità per<br />

suscitare, in particolare nei più piccoli e nei giovani,<br />

il senso di appartenenza alla Chiesa e la<br />

responsabilità della risposta alla chiamata al sacerdozio<br />

ed alla vita consacrata”.<br />

*seminarista diocesano<br />

1 GIOVANNI PAOLO II, esortazione apostolica post-sinodale<br />

Pastores Dabo Vobis, 41.<br />

2 Cf.GV 10,1-10.<br />

3 BENEDETTO XVI, Lettera ai seminaristi, 18 ottobre<br />

2010.


Aprile_11:Pag prova.qxd 02/04/2011 9.38 Pagina 23<br />

Aprile<br />

2011<br />

23<br />

Mons. Franco Fagiolo<br />

Gli strumenti sono… strumenti, mezzi e non il<br />

fine di un intervento musicale. Si può suonare<br />

benissimo una chitarra, malissimo un organo e<br />

viceversa. Come sempre alla base non ci dovrebbe<br />

essere la sacralizzazione di un oggetto o la<br />

sua difesa ideale, ma l’attenzione sarà rivolta<br />

all’operatore ed alla sua seria preparazione. Le<br />

preoccupazioni dei pastori devono riguardare la<br />

formazione e il cammino di fede degli strumentisti,<br />

perché quello che faranno potrà diventare un’espressione<br />

di fede celebrata con convinzione.<br />

Ciò premesso, non si può lasciare il campo libero<br />

alla spontaneità o al virtuosismo di musicisti<br />

“mestieranti”, altrimenti si corre il rischio di trasformare<br />

la celebrazione in un palcoscenico dove<br />

ascoltare una buona musica.<br />

E prima di trattare l’argomento, non dimentichiamo<br />

mai che lo strumento più importante è la voce<br />

umana… Come scegliere gli strumenti nella celebrazione<br />

liturgica, come suonarli, che funzione<br />

svolgono. Prima di tutto, cosa dicono i documenti<br />

della Chiesa? Sono tutte domande opportune<br />

che non possono essere esaurite con un sì, un’approvazione,<br />

o un no, una proibizione: vanno esposti<br />

alcuni principi fondamentali! E poi non bisogna<br />

cadere nel solito errore, di partire dalla musica,<br />

dagli strumenti, dagli attori, dagli stili musicali,<br />

dai repertori…<br />

E’ necessario partire dalla celebrazione, dal rito.<br />

“Nella Chiesa latina si abbia in grande onore l’organo<br />

a canne, strumento musicale tradizionale,<br />

il cui suono è in grado di aggiungere un notevole<br />

splendore alle cerimonie della Chiesa, e di<br />

elevare potentemente gli animi a Dio e alle cose<br />

celesti. Altri strumenti poi, si possono ammettere<br />

nel culto divino, a giudizio e con il consenso<br />

della competente autorità ecclesiastica territoriale,<br />

a norma degli articoli 22 par. 37 e 40, purchè<br />

siano adatti all’uso sacro o vi si possano<br />

adattare, convengano alla dignità del tempio e<br />

favoriscano veramente l’edificazione dei fedeli”.<br />

(Sacrosanctum Concilium, 120).<br />

Innanzitutto una preferenza per l’organo a canne,<br />

strumento presente in tante cattedrali, basiliche,<br />

chiese. Questo strumento accompagna molto<br />

bene un insieme di persone, trascina una assemblea<br />

e poi si amalgama con l’architettura di tante<br />

chiese. Ma lo stesso documento prevede l’uso<br />

di altri strumenti, senza specificarli, che si possono<br />

ammettere nel culto, quando rispondono<br />

ai seguenti criteri: adatti all’uso sacro, convengano<br />

alla dignità del tempio, favoriscano veramente<br />

l’edificazione dei fedeli. C’è una evoluzione<br />

nell’uso degli strumenti: all’inizio servivano<br />

quasi esclusivamente come sostegno al canto,<br />

per mettere in risalto il primato della Parola e<br />

quindi della voce umana. Nel documento di Pio<br />

X (il Motu proprio “Tra le sollecitudini” del 1903)<br />

la musica strumentale è vista come un mezzo<br />

per esprimere i sentimenti e favorire la devozione<br />

dell’assemblea. Perciò il compito degli strumenti<br />

era quasi un aiuto di tipo psicologico e di<br />

tipo estetico, per abbellire e ornare le celebrazioni,<br />

creando solennità. Con “Musicam Sacram”<br />

(1967) viene evidenziata la funzione ministeriale<br />

degli strumenti e le dirette conseguenze e applicazioni.<br />

Per la prima volta gli strumenti sono trattati<br />

esclusivamente dal punto di vista della loro<br />

funzione ministeriale. Pertanto non è più la qualità<br />

dello strumento o la sua letteratura a decidere<br />

qual è lo strumento adatto alla liturgia, ma<br />

chi decide è esclusivamente l’evento liturgico<br />

che è celebrato. QUALUNQUE STRUMENTO E’<br />

IDONEO AL CULTO, PURCHE’ RISPONDA ALLE<br />

ESIGENZE DELLA LITURGIA!<br />

L’inabilità di uno strumento al culto non è mai<br />

definitiva e completa, può essere già idoneo al<br />

culto o lo potrà diventare. È chiaro lo spostamento<br />

di accento posto dal documento: non più<br />

gli strumenti visti come decoro, ma in funzione<br />

dell’azione sacra. Riporto, a tal proposito, il pensiero<br />

di Mons. Parisi: Il culto cristiano, per la legge<br />

dell’incarnazione, esige una partecipazione<br />

“piena, consapevole e attiva” alla liturgia;<br />

richiede perciò un ingresso totale nel mondo dei<br />

segni. Significa ed implica un impegno umano<br />

totale e concreto; utilizza ed esige forme<br />

espressive nella parola, nel suono, nei gesti, nei<br />

movimenti. Perciò, anche la musica strumentale,<br />

se ben inserita e rispettosa del rito, svolge<br />

un compito ministeriale degno e altamente<br />

simbolico; diventa parte viva e integrante dell’azione<br />

liturgica.<br />

Quali sono i compiti liturgici degli strumenti?<br />

A servizio della Parola, accompagnare e soste<br />

nere il canto. Aiutando il canto, la musica stru<br />

mentale facilita anche la partecipazione spiri<br />

tuale dell’assemblea.<br />

A servizio del rito. La musica strumentale può<br />

aiutare a capire e a entrare nel regno dei segni<br />

liturgici, facendo comprendere il significato auten<br />

tico. Ogni rito ha una sua impronta specifica, una<br />

sua funzione particolare; la musica strumenta<br />

le può rendere più manifesta tale funzione. È<br />

proprio questo il servizio che la musica strumentale<br />

rende al rito: dimenticare se stessa, umiliarsi fino<br />

a scomparire nel rito.Le musiche strumentali non<br />

vanno mai impiegate per creare un’atmosfera<br />

e quindi non si utilizzano durante i momenti in<br />

cui il celebrante proferisce a voce alta e chia<br />

ra le parti sue proprie che vanno ascoltate da<br />

tutti con attenzione.<br />

“Mentre il sacerdote dice le parti presi denzia<br />

li. Non si devono sovrapporre altre orazioni o<br />

canti, e l’organo e altri strumenti devono tace<br />

re” (PNMR 12).<br />

Per concludere: non basta porsi la domanda:<br />

si può, non si può, è lecito o proibito. Ma la preparazione<br />

e la sensibilità liturgica del musicista<br />

insieme a tutto il gruppo liturgico, approfondirà<br />

tutte le motivazioni per ammettere o escludere<br />

uno strumento dalla celebrazione.<br />

*Responsabile Diocesano del Canto per la Liturgia<br />

f.fagiolo@tiscali.it


Aprile_11:Pag prova.qxd 02/04/2011 9.39 Pagina 24<br />

Aprile<br />

24 2011<br />

N<br />

don Daniele Valenzi*<br />

ella lettura continua del documento dei<br />

vescovi italiani “educare alla vita buona<br />

del vangelo”, che stiamo facendo<br />

insieme, siamo giunti al quarto capitolo che affronta<br />

il tema dei soggetti dell’educare. Così scriveva<br />

Benedetto XVI all’apertura del Convegno<br />

ecclesiale della <strong>Diocesi</strong> di Roma su famiglia e<br />

comunità cristiana nel giugno del 2005: “la famiglia<br />

e la Chiesa, in concreto le parrocchie e le<br />

altre forme di comunità ecclesiale, sono chiamate<br />

alla più stretta collaborazione per quel compito<br />

fondamentale che è costituito, inseparabilmente,<br />

dalla formazione della persona e dalla trasmissione<br />

della fede. Sappiamo bene che per un’autentica<br />

opera educativa non basta una teoria giusta<br />

o una dottrina da comunicare.<br />

C’è bisogno di qualcosa di molto più grande e<br />

umano, di quella vicinanza, quotidianamente vissuta,<br />

che è propria dell’amore e che trova il suo<br />

spazio più propizio anzitutto nella comunità familiare,<br />

ma poi anche in una parrocchia, o movimento<br />

o associazione ecclesiale, in cui si<br />

incontrino persone che si prendono cura dei fratelli,<br />

in particolare dei bambini e dei giovani, ma<br />

anche degli adulti, degli anziani, dei malati, delle<br />

stesse famiglie, perché, in Cristo, vogliono loro<br />

bene”. Il documento che i nostri vescovi ci consegnano<br />

per il nostro cammino ecclesiale del prossimo<br />

decennio pastorale, sembra proprio rilanciare<br />

questo binomio. La parrocchia, famiglia di<br />

famiglie è il luogo della crescita e dell’educazione<br />

di cui ogni famiglia è piccola cellula vitale in quanto<br />

racchiude in sé una meravigliosa possibilità<br />

di bene: può veramente diventare anima di questa<br />

nostra società e di questo nostro tempo. La<br />

vitalità della famiglia, l’intensità delle sue<br />

relazioni, la sua capacità di amare, di educare,<br />

di accogliere, di perdonare, di dare fiducia all’altro,<br />

costituiscono un soffio vitale, assolutamente<br />

necessario e insostituibile in una società che sempre<br />

più invoca relazioni autentiche, ispirate alla<br />

verità e all’amore, alla dignità e bellezza di ogni<br />

persona, al bisogno di ricercare sopra ogni cosa<br />

il bene dell’altro. La famiglia va dunque amata,<br />

sostenuta e resa protagonista attiva dell’educazione<br />

non solo per i figli, ma per l’intera comunità. Deve<br />

crescere la consapevolezza di una ministerialità<br />

che scaturisce dal sacramento del matrimonio<br />

e chiama l’uomo e la donna ad essere segno<br />

dell’amore di Dio che si prende cura di ogni<br />

suo figlio. Un antico autore cristiano scrive: «I cristiani<br />

sono nel mondo quello che è l’anima nel corpo.<br />

L’anima si trova in tutte le membra del corpo<br />

e anche i cristiani sono sparsi nelle città del<br />

mondo. L’anima abita nel corpo, ma non<br />

proviene dal corpo. Anche i cristiani abitano in<br />

questo mondo, ma non sono del mondo…<br />

Sebbene ne sia odiata, l’anima ama la carne e<br />

le sue membra; così anche i cristiani amano coloro<br />

che li odiano. L’anima è rinchiusa nel corpo,<br />

ma essa a sua volta sorregge il corpo. Anche<br />

i cristiani sono trattenuti nel mondo come in una<br />

prigione, ma sono essi che sorreggono il mondo…»<br />

(a Diogneto VI, 1-7). Quanto qui viene detto<br />

dei cristiani in generale, lo possiamo<br />

riferire in modo speciale alla famiglia. Anche<br />

la famiglia, è “nel mondo” e è chiamata<br />

ad esserne “anima”, infondendo in tutti<br />

gli ambienti del vissuto quotidiano e<br />

in ogni tipo di relazione tra le persone<br />

un nuovo soffio vitale: un soffio di amore,<br />

di servizio, di speranza, di gioia. Più precisamente,<br />

a quali ambienti di vita e in<br />

quali relazioni la famiglia sa offrire il proprio<br />

apporto insostituibile? La risposta<br />

la troveremo poi nelle ultime pagine del<br />

documento che stiamo pian piano<br />

leggendo quando ci verranno ricordati<br />

i cinque ambiti del vissuto umano segnalati<br />

nel Convegno ecclesiale nazionale<br />

di Verona: la vita affettiva, il lavoro e la<br />

festa, la fragilità umana, la tradizione e<br />

la cittadinanza. Si tratta di aspetti e di<br />

momenti fondamentali della vita quotidiana,<br />

in cui si condensano le esperienze e le<br />

attese delle famiglie e che, proprio per<br />

questo, richiedono di essere riconosciuti<br />

come i punti nodali attorno ai quali concentrare<br />

la nostra azione pastorale. La<br />

famiglia non può sottrarsi ad una presenza<br />

costruttiva nel mondo della scuola, della<br />

cultura e delle comunicazioni sociali, del lavoro<br />

e del tempo libero, e in tutti quegli ambienti di<br />

vita dove il bene educativo dei figli lo richieda.<br />

La Chiesa di oggi fa sua l’impegno di promuovere<br />

e accompagnare una presenza delle<br />

famiglie nella storia e nella società quali artefici<br />

di una nuova civiltà: una civiltà veramente umana<br />

e umanizzante, centrata sull’inviolabile dignità della<br />

persona. La famiglia cristiana, nei molteplici<br />

contesti educativi e culturali, economici e sociali,<br />

politici e professionali, può dire e fare molto.<br />

Nel dovuto rispetto di una giusta autonomia, di<br />

un legittimo pluralismo e di una autentica laicità,<br />

le famiglie dei cristiani, singolarmente e in gruppo,<br />

possono contribuire assai nella vita di un paese<br />

e nella storia di un popolo. Parrocchia e famiglia<br />

sono chiamate a camminare insieme: un’alleanza<br />

vera che deve portare ad una reciproca collaborazione.<br />

Infatti, il bene della Chiesa, il bene della<br />

famiglia e il bene della società sono orientati<br />

nella medesima direzione e confluiscono alla stessa<br />

meta: nella direzione e alla meta cioè del bene<br />

della persona nella verità e nell’amore. Così le<br />

relazioni familiari, specialmente quelle dei genitori<br />

che educano, per essere vissute in pienezza<br />

e costruite in modo autentico non vanno viste<br />

soltanto come interne alla famiglia, ma in un continuo<br />

scambio con l’ambiente sociale e culturale,<br />

da cui ogni famiglia attinge e a cui ogni famiglia<br />

contribuisce, sia modificando se stessa, sia influendo<br />

sulla società e sulla cultura.<br />

È per questo allora che la famiglia e la società<br />

si intrecciano in cerca, ultimamente, del vero e<br />

del bene. In una simile prospettiva possiamo cogliere<br />

la missione fondamentale della famiglia: quella<br />

di educare, cioè di far crescere le persone nel<br />

mondo e di rendere il mondo il luogo più adatto<br />

e più umano per accogliere e portare al suo<br />

più alto splendore il dono della vita e dell’amore.<br />

*Direttore Uff. Diocesano Catechismo


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Aprile<br />

2011<br />

25<br />

Vincenzo Apicella,<br />

vescovo<br />

D<br />

al 14 al 18<br />

di marzo si<br />

sono tenuti<br />

gli esercizi spirituali del clero della <strong>Diocesi</strong> presso il centro di S. Maria<br />

dell’Acero, dettati da Mons. Ermenegildo Manicardi, biblista e rettore del<br />

Collegio Capranica.<br />

Il tema rientrava nel programma che ci siamo dati in questo anno pastorale:<br />

“Dio educa il suo popolo”, prendendo a riferimento in questa occasione<br />

il libro degli Atti degli Apostoli. Si è iniziato precisando il significato<br />

di educazione nel<br />

nostro contesto, che<br />

comporta anche l’aspetto<br />

del formare e<br />

dell’edificare, e quello<br />

di popolo, che si<br />

estende anche a quel<br />

popolo nascosto che<br />

solo Dio conosce.<br />

Ripercorrendo e meditando<br />

la trama degli<br />

Atti ci siamo resi<br />

conto di come il<br />

Signore ci educa alla<br />

fede, riservando al<br />

Padre il compito di stabilire tempi e momenti, alla concretezza, dandoci<br />

la forza dello Spirito Santo per essere testimoni della sua Resurrezione<br />

nella vita quotidiana, per generarlo, come Maria, in noi e negli altri.<br />

Gli Atti raccontano come il Signore ha educato i discepoli, attraverso le<br />

figure dei protagonisti principali: Pietro prima e Paolo poi, generato alla<br />

fede dal martirio di Stefano.<br />

Conformati a Cristo, perseveranti nella preghiera, illuminati dallo<br />

Spirito, ammaestrati dalle Scritture, i cristiani, anche attraverso difficoltà,<br />

persecuzioni, contrasti e cadute, vengono educati per mezzo di quanto<br />

concretamente vivono ad uscire dai loro schemi e allargare il loro cuore<br />

al mondo intero.<br />

La loro unità si costruisce nella loro diversità e la loro fede si arricchisce<br />

nell’incontro con le culture diverse a cui l’Evangelo viene annunciato.<br />

Sono stati giornate stimolanti, che hanno visto anche un momento<br />

penitenziale, vissute nell’esperienza della comunione quotidiana, che<br />

si è allargata a<br />

tutto il presbiterio<br />

nell’ultimo giorno.<br />

Se un rammarico<br />

rimane è<br />

che ancora troppo<br />

pochi accolgono<br />

l’invito a<br />

vivere questo<br />

momento di grazia<br />

che ci viene<br />

offerto.


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Aprile<br />

26 2011<br />

D<br />

Rossana Favale<br />

omenica 06 marzo 2011, nei locali della<br />

parrocchia Regina Pacis di <strong>Velletri</strong><br />

si è tenuta l’assemblea elettiva del Azione<br />

Cattolica Diocesana, con il seguente ordine del<br />

giorno: rinnovo cariche per il consiglio del triennio<br />

2011-2014.<br />

Erano presenti i delegati delle parrocchie dove<br />

l’associazione è presente: S. Maria Maggiore, S.<br />

Sebastiano (Valmontone); S. Maria del Carmine,<br />

S. Clemente, S. Martino, S. Salvatore(<strong>Velletri</strong>),<br />

S. Bruno (Colleferro), insieme alla decana dell’<br />

AC di <strong>Velletri</strong>, Laura Di Falco, al delegato regionale,<br />

Renato Rosicarelli, e ai due assistenti Don<br />

Angelo Mancini e Don Corrado Fanfoni, i quali<br />

alla fine dell’assemblea hanno Concelebrato l’Eucarestia<br />

con il Vescovo Mons. Vincenzo Apicella.<br />

La signora Di Falco, invitata a presiedere l’assemblea,<br />

ha rappresentato l’importanza del messaggio<br />

dell’ azione cattolica della nostra diocesi<br />

anche con riferimenti molto emotivi del passato.<br />

Nei vari interventi che si sono succeduti,<br />

si è tenuta come traccia e valore l’essenza di ”<br />

Vivere la Fede Amare la Vita”, che sarà il titolo<br />

dell’assemblea nazionale del 6/8 maggio 2011<br />

a Roma. Da queste riflessioni sono nate molte<br />

considerazioni, prese anche dal ”Progetto<br />

Formativo AC”:<br />

“Oggi non è facile scegliere di vivere l’essenziale.<br />

Noi riteniamo che questo sia il nostro primo<br />

servizio alla parrocchia e alla comunità ecclesiale.<br />

In un tempo di dispersione e di pluralità di<br />

proposte, scegliere L’essenziale implica un<br />

esercizio di continuo discernimento, di educazione<br />

ad abitare la profondità della vita e a non attaccarsi<br />

a elementi marginali che possono far perdere<br />

il senso delle poche cose che contano. Si<br />

tratta di trovare il cuore della vita cristiana: riconoscere<br />

il valore assoluto del mistero del<br />

Signore Gesù come centro non scontato della<br />

vita di fede e della Chiesa e, con amore e decisione,<br />

tornare di continuo a Lui e alle esperienze<br />

che ci fanno vivere di LUI giorno per giorno”<br />

Benedetto XVI ci dice: “In una chiesa missionaria,<br />

posta dinanzi ad una emergenza educativa<br />

come quella che si riscontra oggi in Italia,<br />

voi che la amate e la servite sappiate essere annunciatori<br />

instancabili ed educatori preparati e generosi;<br />

in una chiesa chiamata a prove anche molto<br />

esigenti di fedeltà e tentata di adattamento,<br />

siate Testimoni coraggiosi e profeti di radicalità<br />

evangelica; in una chiesa che quotidianamente<br />

si confronta con<br />

la mentalità<br />

relativistica, edonistica<br />

e consumistica,<br />

sappiate<br />

allargare<br />

gli spazi della<br />

razionalità<br />

nel segno di<br />

una fede amica<br />

dell’intelligenza<br />

sia nell’ambito<br />

di una<br />

cultura popolare<br />

e diffusa, sia in<br />

quello di una ricerca più elaborata e riflessa; in<br />

una Chiesa che chiama all’eroismo della santità,<br />

rispondete senza timore, sempre Confidando<br />

nella misericordia di Dio”.<br />

Noi, abbiamo scelto di essere missionari in una<br />

chiesa, in parrocchia ma prima di tutto siamo chiesa<br />

in famiglia, piccola comunità, ma la nostra chiamata<br />

ci ha portato in diocesi, una comunità più<br />

grande, dove alla nostra missione dobbiamo aggiungere<br />

la vocazione. Con la vocazione viviamo l’appartenenza<br />

all’ AC, appartenere all’AC significa<br />

qualificare l’appartenenza a Gesù Cristo e alla<br />

Chiesa. Noi non dobbiamo mai smettere di cercare<br />

Dio, dobbiamo maturare una fede che cambia<br />

la vita, un fede che fa maturare l’insegnamento<br />

evangelico, che genera vocazioni alla responsabilità.<br />

L’AC accompagna la vita ordinaria di ogni età,<br />

fa proprie le scelte pastorali della Chiesa locale<br />

e collabora nella realizzazione.<br />

A noi, laici di AC sono chiesti : passione, competenza,<br />

intenso impegno per la formazione al<br />

bene comune. Facendo una riflessione a voce<br />

alta, penso che si è tanto bravi a preparare fare<br />

molte cose, ma meno bravi ad essere attenti alle<br />

persone, all’ associazione territoriale e nazionale,<br />

se noi non attingiamo a quella Parola non ci arricchiamo,<br />

non ci mettiamo in discussione.<br />

Si sta attraversando un periodo particolare, sia<br />

nelle comunità cristiane sia nella realtà sociale,<br />

non ci dobbiamo scoraggiare, l’associazione nazionale<br />

e territoriale non deve fare una nuova associazione,<br />

ma capire con quali modalità e risorse<br />

mettersi al servizio. In una società che va sempre<br />

più verso ideali egoistici, rivolti al proprio Io<br />

in assoluto, dove in tutte le maniere e salse , dalla<br />

vita quotidiana a tutte le pubblicità che ci vengono<br />

propinate minuto per minuto della nostra<br />

vita, dove si vedono sempre esempi e persone<br />

vincenti che hanno raggiunto fama e successi<br />

economici ( i campioni del calcio , i grandi attori,<br />

i grandi manager, i grandi e squallidi personaggi<br />

che vendono la propria dignità ) è molto<br />

difficile proporre forme di aggregazione sociale<br />

e partecipative quali sono le azioni della nostra<br />

associazione o delle associazioni similari.<br />

Eppure esiste una realtà sociale immensa, che<br />

opera e ha valori sani, puliti , altruisti che sta intorno<br />

alla chiesa in generale, alle parrocchie , alle<br />

associazioni benefiche e di volontariato.<br />

La maggior parte di esse nate, negli anni della<br />

solidarietà sociale dove l’aggregazione umana<br />

era molto più sentita , prima della guerra si usciva<br />

da un mondo rurale e si istallavano le prime<br />

aggregazioni urbane, dopo la guerra esisteva una<br />

solidarietà proveniente dal bisogno e dalla<br />

necessità di riscatto, sono prosperate una miriade<br />

di forme associative, tra le quali l’Azione Cattolica<br />

che hanno infuso al paese una forma di sistema<br />

che ha tenuto fino ai nostri giorni, bisogna<br />

ricordare tutti i grandi uomini che hanno portato<br />

l’Italia ad essere una grande nazione come<br />

quella che è oggi e che sono stati impregnati dai<br />

valori sociali, culturali e religiosi delle associazioni<br />

di appartenenza quali Giorgio La Pira, Vittorio<br />

Bachelet, Aldo Moro, e molti altri.<br />

La decadenza dei valori, il cambiamento dei rapporti<br />

sociali, il mancato rispetto di se stessi e degli<br />

altri, e,elenco per ultimo ma che cosi non è, la<br />

crisi economica che ormai stiamo attraversando<br />

da un decennio che ha portato e sta portando<br />

sempre di più disuguaglianze nella società,<br />

i ricchi sempre più ricchi , i poveri sempre più<br />

poveri, e una classe media sempre più egoista<br />

nella difesa degli averi e della proprie posizioni,<br />

questo porta anche a un indurimento sentimentale<br />

verso le altre situazioni umane. I mass media<br />

che ci inculcano in tutti i momenti del giorno situazioni,<br />

immagini, fatti che sono lontani dalla vita<br />

quotidiana della maggioranza delle persone o situazioni<br />

tragiche che ci mettono ansie e paure mai<br />

o pochissime volte situazioni di altruismo quotidiano<br />

che danno senso alla vita vissuta.<br />

In questa situazione si sviluppa l’azione<br />

dell’Associazione la quale deve essere analizzata<br />

sotto tutti gli aspetti con le sue criticità e opportunità<br />

al fine di capire quali modalità , quali risorse,<br />

quali competenze, mettere in campo per essere<br />

autenticamente al servizio delle comunità locali,<br />

si tratta di far interagire persone, ruoli, occasioni,<br />

e programmi con tutte le realtà esistenti nelle<br />

parrocchie e in particolar modo di far comprendere<br />

che una non esclude un’altra che essere protagonisti<br />

significa non essere i primi della classe<br />

ma compartecipare alla vita quotidiana della comunità<br />

in tutti i suoi eventi e manifestazioni. In questo<br />

ultimo triennio la vita associativa dell’AC nella<br />

nostra diocesi è stata a fasi alternate, con grandi<br />

lanci di entusiasmo all’inizio per tutti i settori,<br />

poi seguita con un appiattimento specialmente<br />

per il settore adulti , e secondo le occasioni ed<br />

eventi in fase discontinua per il settore giovani/ragazzi.<br />

Si è concretizzato quello che con grande lungimiranza<br />

di analisi Vittorio Bachelet ha approfondito<br />

nella sua esperienza e sintetizzato con il<br />

seguente concetto: “ Se diamo qualcosa per la<br />

nostra attività, abbiamo sempre bisogno di un risultato<br />

concreto, almeno parziale, per avere la forza<br />

di andare avanti altriment , non dico al primo<br />

insuccesso, ma al primo attendere prolungato del<br />

successo ci scoraggiamo, diciamo che tutto va<br />

male, che non vale la pena, che bisogna cercare<br />

formule nuove, In sostanza non abbiamo pazienza<br />

e non siamo capaci di lavorare ad un piano<br />

di largo respiro come quello della Provvidenza…<br />

Non sappiamo più fare, cioè le cose piccole, il<br />

lavoro seccante, quotidiano, nascosto, cosi<br />

poco eroico cosi monotono anche. E cosi succede<br />

che noi facciamo, ogni tanto, quando un’idea<br />

ci entusiasma, quando un programma ci si<br />

rileva in tutta la sua attuale bellezza, dei grandiosi<br />

propositi di generosità, di fedeltà, di attivi-


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Aprile<br />

2011<br />

27<br />

tà, ma subito poi ci ammosciamo appena ci accorgiamo<br />

che è necessaria una azione lunga, paziente<br />

di cui forse non vedremmo i risultati” Nel nostro<br />

caso mai affermazione di analisi, più giusta, si<br />

identifica alla nostra Associazione Diocesana, con<br />

la sua complessità di territorio , da <strong>Segni</strong> a <strong>Velletri</strong><br />

piccoli paesi e grandi città con parrocchie di campagna<br />

e parrocchie tipo San Clemente che hanno<br />

una complessità di circa 16.000 residenti , con<br />

pochi sacerdoti che si devono occupare di tutto<br />

P. Vincenzo Molinaro*<br />

Sempre più spesso quando i genitori presentano<br />

i padrini per il battesimo si sentono<br />

dire che i padrini scelti non sono idonei.<br />

Questo rifiuto a volte diventa un tira e molla<br />

infinito e noi sacerdoti rischiamo di dare l’impressione<br />

di volere giudicare e condannare, magari<br />

senza conoscere i fatti.<br />

E’ un episodio collaterale con la vasta problematica<br />

che si apre alla nostra riflessione<br />

davanti alla realtà sempre più devastata della<br />

famiglia: divisi, separati, risposati, conviventi. Tutte<br />

queste persone sono dei battezzati. Molti di loro<br />

non ci fanno caso, si sono allontanati da ogni<br />

pratica religiosa e da ogni fede, quindi non riveste<br />

nessun problema rinunciare alle funzioni di<br />

padrino. Altre, invece, conservano la fede e vorrebbero<br />

essere ammessi alla pratica religiosa,<br />

come tutti, e trovano invece le porte chiuse.<br />

Per chiarezza bisogna dire che le porte non dobbiamo<br />

chiuderle a nessuno. E dispiace anzi per<br />

coloro che si tirano fuori, rinunciando al dono<br />

della fede, o semplicemente trascurandolo.<br />

Rimane aperto il caso di tutti coloro che hanno<br />

fede, hanno vissuto nella chiesa, poi qualcosa<br />

di grave è accaduto nella loro vita. In genere il<br />

fallimento di un matrimonio, l’abbandono traumatico<br />

del tetto coniugale, il tradimento dichiarato<br />

e irreversibile. Per non parlare delle situazioni<br />

di violenza che sono più frequenti di quanto<br />

si pensa. Ecco così donne sole, magari con<br />

figli, oppure uomini che da un momento all’altro<br />

si trovano a gestire una famiglia scoppiata…<br />

Alla domanda: di chi la colpa? non è davvero<br />

il caso di soffermarci.<br />

Ora il tema da affrontare è questo: le donne o<br />

gli uomini in qualunque modo lasciati soli e successivamente<br />

divorziati, risposati…come si<br />

rapportano con la comunità cristiana? C’è, e<br />

se sì, qual’è lo spazio per loro nella chiesa? A<br />

rispondere a questa domanda anche se formulata<br />

in tutt’altro modo il dott. Claudio Gentili, esperto<br />

di pastorale<br />

familiare impegnato<br />

sia a livello<br />

nazionale che<br />

nella diocesi di<br />

Roma. L’incontro<br />

si è tenuto a<br />

Colleferro, nella<br />

parrocchia di<br />

S. Barbara.<br />

La partecipazione<br />

è stata<br />

modesta, complice<br />

forse il<br />

tempo cattivo<br />

che ha tenuto<br />

dentro casa<br />

anche i coraggiosi che in altre circostanze hanno<br />

sfidato il clima invernale. Certamente, non<br />

si può trarre grande incoraggiamento da un numero<br />

così ridotto, e caso mai andrà cercata una<br />

formula nuova se si riconosce l’opportunità di<br />

proporre ancora un canovaccio formativo a favore<br />

di coloro che accompagnano i fidanzati verso<br />

le nozze.<br />

Fedeltà nei principi<br />

misericordia nell’accoglienza<br />

Il relatore esordisce ricordando una risposta emblematica<br />

di Benedetto XVI, che rispondendo a un<br />

parroco di Aosta, nel 2005, disse che c’è un grande<br />

approfondimento teologico da fare sul<br />

sacramento del matrimonio. Questa risposta costituisce<br />

come una possibilità aperta, che è da scoprire,<br />

come un invito a sperare.<br />

Entrando poi nel vivo, vengono richiamate le affermazioni<br />

dei principi, formulati nei documenti ufficiali,<br />

quali la Familiaris Consortio e La pastorale<br />

dei divorziati risposati della CEI, dove è stato<br />

ribadito che “come Gesù ha sempre difeso<br />

e proposto, senza alcun compromesso, la verità<br />

e la perfezione morale, mostrandosi accogliente<br />

e misericordioso verso i peccatori” così la Chiesa<br />

deve possedere e sviluppare un unico e indivisibile<br />

amore alla verità e all’uomo: “la chiarezza<br />

e l’intransigenza nei principi e insieme la comprensione<br />

e la misericordia verso la debolezza<br />

umana in vista del pentimento sono le due note<br />

inscindibili che contraddistinguono la sua opera<br />

pastorale” ( Direttorio di Pastorale familiare,<br />

pag. 167). Ciò comporta per la Chiesa la fedeltà<br />

alla parola di Cristo in particolare a quella<br />

parola in cui stabilisce che l’uomo non deve separare<br />

ciò che Dio ha unito(Mt 19,6).<br />

La Chiesa è tenuta, per quella fedeltà indefettibile<br />

a Cristo, a non cedere su questo principio<br />

e a dichiarare che mancarvi costituisce un<br />

grave disordine morale. Nello stesso tempo, però,<br />

la Chiesa non deve sentirsi autorizzata a tagliare<br />

i ponti con le persone che vivono in questa<br />

situazione.<br />

La consapevolezza che Cristo non ha mai lasciato<br />

nessuno fuori della porta, deve creare la tensione<br />

spirituale e alimentare la speranza che quanto<br />

oggi sembra escludente, può con la grazia<br />

di Dio essere letto e accolto con atteggiamento<br />

diverso. E’ vero che al momento non è possibile<br />

ammettere tutti ai sacramenti quali la riconciliazione<br />

e l’eucaristia perché segno indivisibile<br />

della comunione con Cristo e con la Chiesa.<br />

E’ anche vero che la Chiesa è dotata di tanta<br />

ricchezza spirituale cui attingere per saziare la<br />

fame e la sete di coloro che forse aspettano solo<br />

un incontro per accostarsi nuovamente alla fonte<br />

dell’acqua che zampilla per la vita eterna. La<br />

donna samaritana viene trasformata dalla parola<br />

di Cristo.<br />

Una parola esigente certo, una parola che offre<br />

molto di più prima di chiedere.<br />

Da qui deriva una disamina attenta sulle varie<br />

situazioni, una verifica dei casi di nullità e soprattutto<br />

un atteggiamento di vera paternità che offra<br />

un accompagnamento pastorale sincero in cui<br />

si vada oltre alla semplice amicizia e comprensione<br />

per formare, pastore e fedeli, una vera comunione<br />

spirituale.<br />

Non ci siano giudizi ma speranza e fiducia. Si<br />

costruiscano occasioni di ascolto della Parola,<br />

di condivisione, di carità verso i poveri vissuta<br />

nella fraternità. La Chiesa mostri che la liturgia<br />

può afferrare anche senza l’ultimo anello, che<br />

l’accompagnamento non è incertezza ma<br />

autentico cammino e la preghiera la risorsa più<br />

genuina che dà con Dio un contatto vitale.<br />

*Deleg. Diocesano per la Pastorale Familiare<br />

dall’amministrazione pura della parrocchia all’apostolato<br />

e all’assistenza. Con forme di aggregazione<br />

laicale per la maggior parte delle volte<br />

non preparato o poco attento alle finalità della<br />

vita cristiana o associativa, dove l’apparire molte<br />

volte è più importante dell’esserci e della partecipazione.<br />

Con questa analisi e con grande spirito<br />

di volontà di proseguire affinchè l’associazione<br />

possa vivere momenti migliori nel nostro territorio<br />

si è fatta una riflessione nelle proposte dell’associazione<br />

nazionale e cercare di adeguarle alle<br />

realtà della nostra diocesi.<br />

A seguito dei risultati delle votazioni, dove è stato<br />

eletto il nuovo consiglio diocesano, nelle persone<br />

di Rossana Montagna, Vincenzo Coscia,<br />

Enrico Mandrelli, Rossana Favale, Laura Paglia,<br />

Francesca Proietti, Paola Tani, Laura Fabiani, Sara<br />

Lanna; è stata presentata al Vescovo la terna da<br />

cui verrà scelto il nuovo presidente diocesano.


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Aprile<br />

28 2011<br />

Don Claudio Sammartino<br />

1-Pazientissimo Padre, sappiamo di essere invadenti,<br />

ma considerato il suo impegno a fare riemergere<br />

dagli abissi della dimenticanza episodi e pagine<br />

di storia “cristiana”, vorremmo approfittare anche<br />

noi dell’occasione che ci si presenta, per rivelarle<br />

una vicenda che ci riguardò come Europei e<br />

soprattutto come cattolici.<br />

2- Le scriviamo a nome di quegli Irlandesi che nei<br />

primi decenni del 1800 emigrarono negli USA a<br />

causa dell’estrema povertà, che costrinse circa<br />

un milione di persone a cercare pane e libertà nel<br />

Nuovo Mondo.<br />

3- Fuggimmo da condizioni di autentica servitù nei<br />

confronti degli invasori Inglesi, e a dire il vero non<br />

fummo accolti per niente bene dagli yankees, che<br />

ci dimostrarono sempre tutto il loro disprezzo perché<br />

eravamo poveri, ma soprattutto perché eravamo<br />

Irlandesi e cattolici, cioè papisti.<br />

4- Sperimentammo anche nella “patria della democrazia”<br />

il peso dei pregiudizi sociali e religiosi che<br />

tanto ci opprimeva nella verde ed amata Irlanda<br />

(che Dio la benedica sempre!).<br />

5- In molti, per sopravvivere, ci arruolammo nell’esercito<br />

americano insieme ad altri immigrati polacchi,<br />

francesi, tedeschi ed anche italiani (pochissimi,<br />

perché da voi l’emigrazione su larga scala<br />

fu un regalo dell’Unità; pur rischiando la vita per<br />

la nuova patria, sopportammo il disprezzo di cui<br />

erano capaci quegli Inglesi che si erano si staccati<br />

dalla madre patria, ma che continuavano ad<br />

essere puritani, albionici ed anti-cattolici nello stile<br />

quotidiano di vita.<br />

6- Fu così che nel 1846, quando gli Stati Uniti agrredirono<br />

militarmente il Messico per annettersi i<br />

territori del New Mexico e della ricca (già allora!)<br />

California, ci trovammo a combattere sotto la bandiera<br />

a stelle e strisce A proposito, caro Padre,<br />

gridi ai suo contemporanei che già nel 1835, quando<br />

il Presidente messicano Santa Ana abolì la schiavitù<br />

nello sconfinato Texas, furono gli anglofoni<br />

schiavisti di questo Stato a chiamare in aiuto i loro<br />

“fratelli americani”e a costringere con le armi il Messico<br />

a cedere lo Stato della Stella Solitaria.<br />

Sappia, caro Padre, che ad Alamo le cose non<br />

andarono come le racconta il “mostro sacro di<br />

Hollywood John Wayne e tutta la cinematografia<br />

americana , molto abile con i suoi amati attori a<br />

mistificare la storia statunitense ed a creare degli<br />

autentici miti infondati. Si fidi, caro Padre, di un<br />

proverbio dei centro-americani che ancora oggi<br />

recita: “ Povero Messico, così lontano da Dio (governi<br />

massonici? n.d.r.) e così vicino agli Stati Uniti”.<br />

7- Tornando alla guerra del 1846, sappia, paziente<br />

curato, che noi combattemmo per fame contro<br />

dei nemici che, fu la nostra sconvolgente scoperta,<br />

professavano la nostra stessa fede “cattolica”,<br />

mostravano la stessa nostra devozione ai Santi<br />

e alla Vergine Maria, celebravano come noi la S.<br />

Messa in chiese povere ma nelle quali noi ci sentivamo<br />

a casa nostra. Altro che le fredde e severe<br />

aule dei nostri “cugini” protestanti!<br />

8- Fu così che durante le operazioni militari, in<br />

175 decidemmo di gettare la divisa americana e<br />

passammo “armi e bagagli” nel campo nemico;<br />

fummo accolti talmente bene che il governo messicano<br />

(Cicero pro domo sua!) promise cittadinanza,<br />

buona paga e anche un appezzamento<br />

di terreno a tutti quei soldati USA che ci avessero<br />

imitato nella scelta di campo.<br />

9- Circa 700 nostri commilitoni si unirono a noi<br />

non soltanto per le promesse dei Messicani, ma<br />

anche per la possibilità di vivere un futuro umano<br />

meno pesante in una terra dove almeno potevamo<br />

sentirci fratelli nella fede con i nativi.<br />

10- Fummo tutti, Irlandesi ed Europei, inquadrati<br />

in un battaglione denominato S. Patrizio (il patrono<br />

dell’Irlanda); fummo dotati di una bandiera verde<br />

e posti sotto il comando del nostro connazionale<br />

John Riley. Per i nostri neo-alleati “latinos”<br />

divenimmo allora i San Patricios e ci distinguemmo<br />

sempre per il valore che dimostrammo sui campi<br />

di battaglia.<br />

11- Purtroppo, caro Padre, la guerra del 1846 non<br />

fu altro che una serie di sconfitte messicane, fino<br />

alla definitiva disfatta di Churubusco, che segnò<br />

la capitolazione del Messico ed il trionfo dei “gringos”<br />

americani del nord. Ma in ogni battaglia noi<br />

San Patricios ci battevamo sempre con estrema<br />

energia, consapevoli della sorte che ci attendeva:<br />

per gli yankees eravamo soltanto dei disertori<br />

meritevoli della pena capitale, e quasi tutti quelli<br />

di noi che si arresero furono impiccati dagli Americani.<br />

Sopravvivemmo soltanto in 20 grazie alle proteste<br />

delle Potenze cattoliche venute a conoscenza<br />

della nostra vicenda. Il governo americano dovette<br />

cedere alla pubblica opinione che ci considerava<br />

giustamente non disertori per viltà, ma combattenti<br />

leali che si erano battuti per la causa che<br />

ritenevano giusta e per una patria, quella messicana,<br />

che riconoscevano sorella (soprattutto per<br />

l’appartenenza cattolica) di quella che avevano<br />

lasciato nella vecchia Europa.<br />

12- Si consoli reverendo Padre, almeno ai nostri<br />

tempi l’opinione dei cattolici aveva un suo peso!<br />

13- Purtroppo gli yankess, capaci anche loro di<br />

nobiltà d’animo, ci disprezzarono al punto che, dopo<br />

aver condannato i 20 superstiti alla pena capitale,<br />

li marchiarono a fuoco con una D sulla guancia,<br />

per ricordare la diserzione attuata.<br />

14- Eppure creda, caro Padre, che noi mai ci siamo<br />

considerati “voltagabbana” perché non fuggimmo<br />

per viltà, ma perché considerammo giusto<br />

ed onorevole combattere per chi veniva pretestuosamente<br />

attaccato da quanti usavano l’alibi<br />

della libertà per dare la scalata all’egemonia<br />

sul Nuovo Mondo, imitando le strategie politiche<br />

dei loro “cugini” britannici.<br />

15- Un presidente USA ci definì “uomini” senza<br />

patria né idee, ma a nostra consolazione il governo<br />

messicano ci dichiarò “difensori” della patria,<br />

ricordando il nostro operato ogni 12 di marzo. Ciò<br />

sembra molto strano, considerando che i governi<br />

messicani si sono spesso distinti per il loro atteggiamento<br />

anticattolico, come ad esempio nella lunga<br />

guerra ai Cristeros (altri dimenticati dalla Storia).<br />

16- Ci scusi per il nostro disturbo e creda, caro<br />

reverendo, che ci siamo permessi di raccontarle<br />

questo frammento di Storia perché almeno ai suoi<br />

scarsi lettori giungesse notizia che questa è scritta<br />

anche dagli “umanamente perdenti”. A questo<br />

proposito, le scriviamo anche a nome di quegli<br />

Irlandesi che, vent’anni dopo la nostra “debacle”<br />

messicana, accorsero spontaneamente a Roma<br />

per difendere con le armi il Papa “aggredito dai<br />

Piemontesi” (ed anche dagli intrighi orditi da yankees<br />

e dal governo di S.M. Britannica). Anche allora<br />

fu costituito un battaglione di S. Patrizio, che<br />

si distinse per valore sul campo e per la fedeltà<br />

al S. Padre. Anche allora, di fronte alla superiorità<br />

numerica degli avversari, ci fu la sconfitta cui<br />

fece seguito un ancora pesante clima di oblio. Vorremmo,<br />

caro curato, firmare tutti questa nostra missiva,<br />

ma per non tediarla oltre le sia sufficiente sapere<br />

che la salutano con stima tutti i San Patricios,<br />

“verdi crociati d’Irlanda”.


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Aprile<br />

2011<br />

29<br />

L<br />

Sara Bruno*<br />

a morte di Gesù sulla croce costituisce<br />

l’immagine cardine dell’iconografia<br />

cristiana e quella sulla quale<br />

si concentra la contemplazione religiosa.<br />

Proprio per l’importanza che riveste, l’episodio<br />

è narrato da tutti gli evangelisti ed<br />

il racconto, così come il carattere iconografico che<br />

da questo si è sviluppato, ha riflettuto e continua<br />

a riflettere i caratteri dominanti del pensiero e del<br />

sentimento religioso di ogni periodo storico. Quando<br />

il cristianesimo era ancora una religione proscritta,<br />

la crocifissione non era raffigurata perché sostituita<br />

iconograficamente dall’agnello di Cristo<br />

accompagnato da una croce o dal semplice monogramma<br />

Chi-Rho.<br />

Subito dopo il riconoscimento della religione da<br />

parte di Costantino la croce continuò ad essere<br />

rappresentata senza la figura di Cristo, almeno<br />

fino al secolo VI quando iniziò a comparire nella<br />

maniera in cui la conosciamo: con la figura sofferente<br />

di Gesù. I primi esempi di rappresentazione<br />

sono negli avori intagliati, nei manoscritti<br />

e nelle decorazioni di oggetti in metallo. In questo<br />

periodo cominciano a comparire altre figure:<br />

la Madonna e San Giovanni, il centurione, il soldato<br />

che regge la spugna sulla canna, i ladroni<br />

e i soldati che giocano a dadi. Per molto tempo<br />

l’arte occidentale, sotto l’influsso bizantino, raffigurò<br />

Cristo vivo e con gli occhi aperti, un Salvatore<br />

trionfante con la corona sul capo.<br />

Dall’XI secolo la figura di Cristo si presenta emaciata<br />

e con il capo reclinato su una spalla; dal XIII<br />

secolo in poi sul capo compare la corona di spine.<br />

Da allora in poi questa fu l’iconografia predominante<br />

in tutto l’occidente. Durante il periodo medievale,<br />

quando l’iconografia della Crocifissione era abbastanza<br />

consolidata, le dottrine della fede si esprimevano<br />

anche tramite l’ausilio di simboli e allegorie<br />

e la scena con il Cristo crocifisso era ricca<br />

di elementi iconologici; dal rinascimento l’episodio<br />

cominciò ad essere arricchito da altre figure<br />

che si accalcavano sotto o intorno alla croce; nell’arte<br />

della Controriforma la figura di Cristo<br />

cominciò ad essere spesso raffigurata da sola, sottolineandone<br />

la sofferenza. I caratteri della Crocifissione<br />

si collegano strettamente alla dottrina cristiana:<br />

sacrificando se stesso sulla croce, Cristo ha reso<br />

possibile la redenzione dell’uomo, cioè la liberazione<br />

dal peccato dei progenitori che tutta l’umanità<br />

aveva ereditato. Sempre dal medioevo gli autori<br />

trovarono un collegamento tra la Caduta e la<br />

Crocefissione: il legno della croce proveniva dall’Albero<br />

della Conoscenza dell’Eden (o da un albero cresciuto<br />

da un suo seme) e il luogo in cui Gesù fu<br />

ucciso coincideva con il luogo della sepoltura di<br />

Adamo. Per questo il teschio raffigurato ai piedi<br />

della croce non alludeva soltanto al Golgota ( etimologicamente<br />

“luogo del teschio”) ma rappresentava<br />

il teschio stesso di Adamo. Al sangue versato da<br />

Cristo venne attribuito il potere di redimere: un concetto<br />

insito nel sacramento dell’eucarestia, e per<br />

questo nelle raffigurazioni della scena è spesso<br />

presente un calice, usato per raccoglierne le gocce;<br />

simbolo eucaristico e simbolo dell’intera Passio<br />

Christi. Il soggetto della crocifissione si è prestato<br />

spesso ad una raffigurazione simmetrica dei personaggi;<br />

spesso si trovano delle figure, una a destra<br />

e una a sinistra, o due gruppi che bilanciandosi<br />

tra di loro proiettano l’attenzione verso il centro,<br />

dove si trova il corpo sofferente di Gesù.<br />

In alcune raffigurazioni il lato in cui si trovavano<br />

i personaggi aveva un significato anche morale:<br />

il bene era alla destra del Salvatore ed il male alla<br />

sua sinistra. In tutti e quattro i Vangeli si parla dei<br />

due ladroni crocifissi con Gesù, uno alla sua destra,<br />

quello buono accolto in paradiso, ed uno alla sua<br />

sinistra, cattivo e quindi disceso agli inferi.<br />

Nel primo rinascimento i ladroni erano raffigurati<br />

inchiodati sulla croce ma con dimensioni più piccole<br />

rispetto alla figura di Cristo, in seguito per<br />

differenziarli dalla figura divina furono rappresentati<br />

legati alla croce. Nell’opera di Gavignano, in prestito<br />

temporaneo al Museo Diocesano per volere<br />

di Don Daniele Valenzi, l’iconografia è quella<br />

tipica dei due gruppi ripartiti sulla scena in maniera<br />

piuttosto asimmetrica. Sicuramente l’opera,collocabile<br />

cronologicamente a cavallo dei secolo XVII<br />

e XVIII, è stata realizzata da più mani, almeno da<br />

tre diversi artisti. La bipartizione Bene - Male non<br />

è data dai lati della croce ma sembra riguardare<br />

esclusivamente i personaggi. I soldati ed il ladrone<br />

cattivo hanno fattezze arabe e lineamenti che<br />

richiamano il mondo musulmano sconfitto durante<br />

la battaglia di Lepanto, ricordo presumibilmente<br />

ancora vivo dopo un secolo, perché testimonianza<br />

della vittoria della religione cristiana.<br />

Gesù sulla croce è sicuramente la parte più riuscita<br />

dell’opera, sembra rimandare stilisticamente e<br />

cromaticamente alla pittura della Controriforma,<br />

sia per l’uso dei colori, sia per il plasticismo della<br />

figura. L’artificio della scala sulla croce del ladrone<br />

buono, per farne scendere il corpo, e la posizione<br />

del cavallo dipinto di scorcio richiamano la<br />

pittura manierista e sembrano essere adottate più<br />

per mostrare l’abilità dell’artista che per una vera<br />

necessità. L’andatura sembra quasi essere a zigzag,<br />

tra gruppi e figure che si alternano su piani<br />

diversi, dando comunque unicità alla scena, almeno<br />

creativa. La raffigurazione della scena in orizzontale<br />

confluisce maggiore respiro all’orchestrazione<br />

generale e sembra stemperare le differenze stilistiche<br />

dei diversi autori. Conferisce inoltre equilibrio<br />

nonostante la molteplicità di personaggi e<br />

gruppi, come quello delle pie donne che sorreggono<br />

la Madonna, o il corpo abbandonato del ladrone<br />

cattivo sulla destra. Anche la luminosità sembra<br />

concentrarsi sulla figura di Cristo, pur con spazi<br />

di luce che illuminano tutti gli attori della scena.<br />

Nell’atrio del Museo, dove si trova questa tela,e<br />

che è dedicato proprio al tema della Crocifissione,<br />

sono visibili anche il Crocefisso ligneo restaurato<br />

proveniente dal Tempietto del Sangue e la<br />

Crocifissione della bottega di Antoniazzo Romano.<br />

Proprio quest’ultima opera, insieme alla Pergamena<br />

della Passione, sarà al centro dell’appuntamento<br />

di aprile de “L’arte al prezzo di un caffè”<br />

organizzata dai ragazzi del museo diocesano.<br />

Appuntamento dal 21 al 23 aprile,<br />

dalle 16.00 alle 18.00 per una visita guidata<br />

centrata sul tema cardine della nostra religione,<br />

anche in preparazione delle festività pasquali.<br />

*conservatore del Museo Diocesano


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Aprile<br />

30 2011<br />

I<br />

Silvano Tummolo<br />

l 22 aprile 1766 fu consacrato Vescovo di <strong>Segni</strong> il Vicario Generale di<br />

Veroli Mons. Andrea Giustiniano, appartenente alla nobile famiglia Spani,<br />

che assolse tale incarico sino alla data della sua morte, nel 1784.<br />

Pastore particolarmente zelante, allo scopo di fomentare lo studio della Dottrina<br />

Cristiana, istituì una gara catechistica tra i ragazzi e le ragazze delle parrocchie,<br />

non solo a <strong>Segni</strong> ma in ciascun paese della <strong>Diocesi</strong>. Ai vincitori di<br />

questa competizione di cultura religiosa Mons. Spani soleva dividere un<br />

premio di 100 lire per ogni paese, 50 lire ai maschi e 50 lire alle femmine.<br />

Costatan do nel tempo gli ottimi frutti della suddetta gara, affinché non terminasse<br />

con la sua morte, lasciò trecento scudi (pari a 1500 lire) al Capitolo<br />

di <strong>Segni</strong>, affinché con gli stessi si perpetuasse la gara senza eventuali difficoltà<br />

economiche<br />

che potessero<br />

intervenire. Il<br />

Capitolo non solo<br />

mantenne sempre<br />

l’ottima consuetudine,<br />

ma crescendo<br />

coll’aumento<br />

della popolazione<br />

il numero dei partecipanti<br />

alla gara,<br />

e verificando con<br />

quanta passione<br />

costoro si dedicassero<br />

alla studio<br />

della Dottrina, giunse<br />

anche alla determinazione<br />

di<br />

aumentare il premio,<br />

portandolo<br />

da lire 100 a lire<br />

150.<br />

Il fatto che vi fosse<br />

in palio del<br />

denaro, dunque<br />

dei quattrini, indusse<br />

la consuetudine<br />

a definire Dottrina<br />

dei quattrini l’insegnamento<br />

della<br />

dottrina del catechismo<br />

che si svolgeva<br />

nel corso del<br />

mese di settembre proprio in prospettiva della gara, cui era riservato il giorno<br />

29 di detto mese dedicato alla festa dell’Arcangelo.<br />

Ma l’insegnamento del Catechismo non era certo limitato a quel periodo<br />

dell’anno, anche in considerazione delle Disposizioni sulla Dottrina<br />

Cristiana che prevedevano – forse sarebbe meglio dire “statuivano” – delle<br />

precise regole: la frequenza delle lezioni di Catechismo era obbligatoria,<br />

infatti, per i ragazzi e le ragazze, separatamente, dai 6 ai 15 anni; dette<br />

lezioni, che dovevano svolgersi in un’ora pomeridiana dei giorni festivi,<br />

venivano annunciate dal suono della campana.<br />

Ed i parroci erano particolarmente zelanti nel sollecitare le famiglie alla partecipazione<br />

dei figli.<br />

Poiché a <strong>Segni</strong> il Catechsimo veniva insegnato in due aule del Convento<br />

dei Padri Dottrinari (l’attuale palazzo municipale) – le stesse aule in cui si<br />

svolgevano le lezioni della scuola elementare, la cosiddetta Scoletta – venne<br />

indotto l’erroneo convincimento che la gara di catechismo fosse stata<br />

introdotta dai Padri Dottrinari: in realtà essa invece non solo risaliva alla<br />

seconda metà del ‘700 per iniziativa, come detto, del Vescovo Mons. Spani,<br />

ma le cronache religiose ce ne hanno tramandato la prosecuzione fino a<br />

buona parte della prima metà del ‘900.<br />

Dunque la gara vedeva il suo culmine in prossimità della festa<br />

dell’Arcangelo, quando una commissione formata da tre canonici esaminava<br />

i concorrenti ed esprimeva il proprio giudizio: i primi tre ragazzi e le<br />

prime tre ragazze venivano ripettivamente proclamati Imperatore, Primo e<br />

Secondo Principe,<br />

Imperatrice,<br />

Prima e Seconda<br />

Prinipessa. Ed in<br />

occasione della<br />

festività di San<br />

Michele, subito<br />

dopo il vespro, per<br />

le vie cittadine si<br />

snodava una processione<br />

nel corso<br />

della quale tutti<br />

potevano ammirare<br />

questa particolare<br />

corte imperiale,<br />

i cui protagonisti<br />

erano persino<br />

dotati di corona,<br />

scettro e mantello<br />

rosso.<br />

E, non certo secondariamente,<br />

agli<br />

onori popolari –<br />

specialmente quelli<br />

dei fedeli della parrocchia<br />

di appartenenza<br />

- si aggiungeva<br />

anche il ben<br />

accetto premio in<br />

denaro.<br />

Tenuto conto che<br />

col passare degli<br />

anni e l’imporsi<br />

della tradizione il numero dei giovani partecipanti alla gara andò di anno<br />

in anno aumentando, e che similmente aumentò la passione e dunque anche<br />

la qualità della preparazione degli stessi, la commissione si trovò ben presto<br />

a dover esprimere un giudizio ottimo anche per una ventina di concorrenti<br />

contemporaneamente, così da determinare difficoltà nell’assegnazione dei<br />

primi posti in classifica: a questi risultati di ex aequo si rispose, saggiamente,<br />

con una elezione “democratica” mediante sorteggio per i ruoli della “corte<br />

imperiale”, mentre la somma in denaro veniva suddivisa tra tutti i meritevoli,<br />

unitamente ad ulteriori premi che gli accorti parroci provvedevano ad<br />

assicurare, visti i risultati lusinghieri dell’iniziativa.


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Aprile<br />

2011<br />

31<br />

FRANCO<br />

CAPOROSSI<br />

CI HA LASCIATO<br />

Piero Calcioli*<br />

Un grande vuoto. Questo è il<br />

primo pensiero che attraversa<br />

la mente nell’apprendere<br />

la triste notizia della morte di Franco<br />

Caporossi: un vuoto per gli affetti, un<br />

vuoto per la terra lepina, un vuoto<br />

per la cultura. Ma il grande vuoto è<br />

accompagnato dalla grande eredità che ci lascia, costituita da un prezioso<br />

patrimonio fatto di tante opere letterarie: biografie, saggi, poesie,<br />

ed anche di un grande insegnamento sul modo di intendere e fare cultura.<br />

Uno straordinario maestro per tutti noi, è lui che per primo ha saputo<br />

cogliere il frutto più prezioso della nostra terra: la comune identità delle<br />

popolazioni lepine.<br />

Con straordinaria lungimiranza ha precorso i tempi, creando i presupposti<br />

per renderci partecipi di un processo di ritrovamento che si è poi<br />

concretizzato nella nascita dell’Associazione Artisti Lepini. Un percorso<br />

culturale che ha promosso e valorizzato le nostre comunità Un attento<br />

scrittore, con tanti saggi frutto delle esperienze maturate nei soggiorni<br />

internazionali dove, come acuto osservatore quale era, ha saputo cogliere<br />

le tante sfaccettature delle realtà in<br />

cui ha vissuto. Un raffinato poeta che ha saputo sempre trovare nelle<br />

cose semplici e autentiche la giusta musa ispiratrice: i luoghi, la memoria,<br />

i colori, i profumi, le bellezze della natura, le umane vicende con le<br />

gioie e i dolori che sempre le contraddistinguono.<br />

Questo è stato Franco Caporossi, senza fare la cronaca della sua storia,<br />

che sarebbe lunghissima: un instancabile intellettuale disinteressato<br />

e disincantato, che ha amato profondamente la sua terra e la sua gente.<br />

Vogliamo solo ricordare la sua ultima opera scritta in occasione delle<br />

celebrazioni del bicentenario della nascita di Leone XIII: L’audacia che<br />

anticipò il futuro, un libro attraverso il quale Caporossi ha voluto evidenziare<br />

la prodigiosa circostanza della visita a Carpineto Romano di tre Pontefici<br />

in un lasso di tempo relativamente breve: Paolo VI nel 1966, Giovanni<br />

Paolo II nel 1991, Benedetto XVI nel 2010.<br />

Qualcosa, per dirla con le parole dello stesso Autore, che ha quasi del<br />

miracoloso, qualcosa che ci fa riflettere su una sorta di imperscrutabile<br />

Volontà Divina alla Santità del Pontefice di Carpineto. Già colpito dalla<br />

malattia, ha voluto ancora lasciarci l’ultimo catalogo delle collane di Documenti<br />

di Cultura e Storia lepina di cui era Direttore; una preziosa raccolta che<br />

valorizza e fa conoscere tanti talenti della nostra terra; e come lui stesso<br />

la definisce: un’opera che vuole essere la testimonianza di quello che<br />

siamo nel nostro tempo.Franco Caporossi è vissuto a Roma e in tante<br />

altre parti del mondo, ma era figlio della terra lepina, nato a <strong>Segni</strong> da<br />

genitori di Carpineto.E qui è tornato, nel piccolo cimitero di Carpineto<br />

Romano, insieme ai suoi genitori.<br />

*Presidente dell’Associazione Artisti Lepini<br />

7 Marzo 1944:<br />

SEGNI COME GUERNICA<br />

Fernanda Spigone<br />

l 7 marzo 1944 triste: giorno del bom-<br />

angloamericano su <strong>Segni</strong>,<br />

Ibardamento<br />

più di cento le vittime e primo impatto della<br />

popolazione civile con gli scenari di guerra,<br />

indelebile giornata della memoria che<br />

la cittadina onora, ogni 7 marzo, con varie<br />

manifestazioni.<br />

Presenze sempre attive per la commemorazione<br />

sono l’Amministrazione<br />

Comunale, la Chiesa e la Scuola.<br />

S.E. il Vescovo Vincenzo Apicella, durante<br />

la Santa Messa, sul filo del Vangelo<br />

di Marco con la parabola del vignaiolo, ha<br />

parlato di guerra e di orrori che non finiscono<br />

mai, tristemente attuali, invitando<br />

i fedeli a non dimenticare.<br />

Al termine della Messa il Sindaco di <strong>Segni</strong>,<br />

Prof. Stefano Corsi, ha deposto una corona<br />

ai caduti di tutte le guerre nel suggestivo<br />

sito dello “Spassiggio” di <strong>Segni</strong>.<br />

La Scuola, dal suo canto, ha affidato il testimone<br />

della memoria a giovani virgulti introdotti<br />

nel percorso di lettura e conoscenza<br />

del proprio territorio e della sua storia.<br />

Il percorso di quest’anno è stato: “<strong>Segni</strong><br />

come Guernica - Le arti e i luoghi della<br />

memoria”.Partendo dall’opera di Picasso<br />

“ Guernica”, assunta come emblema di tutte<br />

le violenze perpetrate sulle popolazioni<br />

inermi, si è passati ad un recital di poesie<br />

veicolanti lo stesso messaggio: Garcia<br />

Lorca, Neruda, Quasimodo, De Libero, sono<br />

stati i poeti che, insieme ai poeti dialettali<br />

di <strong>Segni</strong>, hanno condotto gli spettatori<br />

a considerare il 7 marzo un evento<br />

non troppo personale , inserendolo in un<br />

quadro di riferimento più vasto, un quadro<br />

che vede sulla tela l’intera famiglia umana<br />

vessata, nei vari ricorsi storici, dalla<br />

violenza.<br />

Il libro dal quale si è copiosamente attinto<br />

è l’opera di mons. Bruno Navarra<br />

“Dall’armistizio alla liberazione” opera particolarmente<br />

preziosa specie ora che stanno<br />

scomparendo gli ultimi testimoni del tragico<br />

evento. Le scuole che hanno partecipato<br />

alla toccante manifestazione sono:<br />

la Scuola Media “Don Cesare Ionta “ , l’Istituto<br />

“Pier Luigi Nervi”, l’Unitrè-sezione di<br />

<strong>Segni</strong> coordinati abilmente come sempre<br />

dalla Biblioteca Comunale.<br />

TEATRO IN<br />

PARROCCHIA<br />

Flavia Barcellona<br />

ttenzione, lavori in corso! I ragazzi del laborato-<br />

teatrale parrocchia di S. M. Assunta si stanno<br />

Ario<br />

preparando per il loro prossimo spettacolo.<br />

Il gruppo, che in un paio d’anni è cresciuto aprendosi<br />

anche alle altre parrocchie, guidato dalla brava e paziente<br />

Simonetta Ercoli e da altri collaboratori, ha già partecipato<br />

a vari spettacoli nell’ambito della parrocchia (Sacra<br />

Rappresentazione, Presepe Vivente) e fuori (“Sogno di<br />

una notte di mezza estate” con la compagnia “I Ciclopici”).<br />

Ha debuttato poi, da “solista”, il 22 dicembre scorso con<br />

lo spettacolo di Natale “Un angelo piccolo piccolo” ed<br />

ora è pronto per la prossima fatica: “I vestiti nuovi dell’imperatore”<br />

che si terrà nel teatro della Sala Pio XI il<br />

14 maggio.<br />

Il laboratorio vuole essere un momento di incontro, di<br />

svago, di gioco in cui i più piccoli si possano divertire<br />

stando insieme in un contesto alternativo, imparando<br />

a memorizzare un copione, a fare le prove, a leggere<br />

in pubblico e ad avere confidenza con lo spazio scenico.<br />

Per questo motivo gli incontri avvengono, ogni giovedì<br />

dalle 16.30 alle 18, proprio nel teatro della Cattedrale.<br />

Il corso è aperto a tutti i bambini e ragazzi delle scuole<br />

elementari e medie.


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Aprile<br />

32 2011<br />

N<br />

ell’ambito delle iniziative legate agli<br />

Orientamenti Pastorali indicati dalla<br />

Conferenza Episcopale Nazionale per<br />

il decennio 2010-2020 sul tema della Formazione,<br />

le parrocchie di Colleferro si sono date appuntamento<br />

presso il Salone Bachelet della Chiesa<br />

di San Bruno, per il primo convegno sul tema:<br />

“La famiglia è chiamata ad essere specchio<br />

dello splendore del Signore”. Relatore dello<br />

stesso è stato Don Luigi Maria Epicoco, Rettore<br />

della Cappella<br />

Universitaria de<br />

L’Aquila nonché<br />

docente di Filosofia;<br />

moderatore e promotore<br />

del medesimo<br />

il Sig. Dino<br />

Vellucci.<br />

Significativa è stata<br />

la presenza dei partecipanti,<br />

provenienti<br />

dalle diverse comunità<br />

parrocchiali della<br />

Città di Colleferro,<br />

con una consistente<br />

presenza di genitori<br />

ed anche di giovani<br />

dell’Azione<br />

Cattolica.<br />

La grande capacità<br />

di comunicazione di<br />

Don Luigi ha fatto sì<br />

che concetti di elevato<br />

livello siano<br />

stati compresi e calati<br />

nel vissuto di ognuno<br />

dei presenti. Più<br />

volte ha sottolineato<br />

che educare non<br />

è semplicemente<br />

comunicare qualcosa<br />

a qualcuno, come mera trasmissione<br />

di saperi, ma riuscire a tirar fuori ciò che<br />

in latenza ognuno è.L’educazione non è<br />

trasmissione di codici etici né imposizione<br />

di modelli o di scelte, ma aiuto dato all’altro<br />

per conseguire la “felicità” che deriva<br />

dal realizzare ciò per cui siamo stati posti<br />

in essere. Solo se le famiglie hanno presente<br />

questo concetto possono diventare<br />

la migliore garanzia contro ogni deriva<br />

di malessere ed inquietudine sociale<br />

e possono “divenire” soffio vitale del mondo.<br />

Più volte, durante la sua prolusione, Don Luigi<br />

ha fatto concreto riferimento al dramma del terremoto<br />

aquilano del 6 aprile 2009, al dolore che<br />

ha provato per la perdita di una cinquantina di<br />

studenti, da lui personalmente conosciuti e seguiti<br />

nella sua attività di cappellano universitario.<br />

Proprio grazie a questa situazione di fragilità e<br />

di sofferenza, egli ha visto una strada maestra<br />

da percorrere nell’impegno educativo, contro la<br />

tendenza comune di togliere gli ostacoli, di spianare<br />

i percorsi, di dare più del dovuto, che invade<br />

questo nostro modo di educare, soprattutto<br />

da parte delle famiglie.<br />

Non sono mancate, nel corso dell’incontro, parole<br />

di sincera gratitudine per il sostegno, non solo<br />

materiale ma anche spirituale, che la gente di<br />

Colleferro ha fatto pervenire nel difficile periodo<br />

del dopo sisma a beneficio delle opere che<br />

personalmente don Luigi cura. Il dibattito che<br />

è seguito all’intervento ha visto domande e testimonianze<br />

di giovani e genitori alle quali il relatore<br />

ha fornito ampie ed approfondite risposte.<br />

Il convegno interparrocchiale è terminato con<br />

un prolungato applauso che faceva trasparire<br />

la soddisfazione di tutti per aver vissuto insieme<br />

due ore importanti, con l’impegno di un arrivederci<br />

al più presto nelle comunità di S. Barbara<br />

e dell’Immacolata di Colleferro e nell’attesa di<br />

una imminente pubblicazione di un suo testo dal<br />

titolo “Educare è meglio che curare”.<br />

Guido Cammarota<br />

L<br />

’Unitalsi ha i suoi 108 anni di storia, ma i tempi della storia sono però così brevi che quasi quasi nasce con l’unità d’Italia. La diocesi <strong>Velletri</strong>-<br />

<strong>Segni</strong> vanta una tradizione unitalsiana da oltre quarant’anni, anche se più radicata sul versante <strong>Segni</strong> e i paesi limitrofi. Da qualche anno<br />

vi è stata invece un’inversione di tendenza e finalmente a Lariano si è creato un gruppo così ben amalgamato e “parola di don Vincenzo”<br />

così radicato ormai nel tessuto sociale della città, che ha dato<br />

vita, domenica 20 Marzo 2011, alla prima giornata della fraternità.<br />

Hanno partecipato circa 130 persone tra malati, personale<br />

e amici dell’associazione, fratelli e sorelle rappresentati<br />

di tutti i paesi della diocesi, da Colleferro a Valmontone,<br />

da Artena a <strong>Segni</strong>, da Montelanico a Gavignano.<br />

Tutti insieme abbiamo condiviso una giornata di festa iniziata<br />

con la colazione dell’accoglienza, seguita dal momento più<br />

alto della celebrazione eucaristica per finire con il pranzo presso<br />

Villa Mater Dei, allietato da canti e balli che hanno fatto la<br />

felicità dei presenti.<br />

Come responsabile diocesano non posso che esprimere tutta<br />

la mia soddisfazione e ringraziare tutti i larianesi che hanno<br />

collaborato alla realizzazione della giornata, soprattutto i<br />

padri Vincenzo Molinaro, Mauro Giacometti e James Rosario<br />

per averci sostenuto e permesso di trascorrere quella che spero<br />

sia soltanto la prima di una serie di giornate che faranno<br />

la gioia degli unitalsiani di tutta la diocesi <strong>Velletri</strong>-<strong>Segni</strong>.


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Aprile<br />

2011<br />

33<br />

Francesco Canali<br />

Una delle più antiche tradizioni<br />

religiose gavignanesi,<br />

è stata la<br />

Festa dell’Invenzione della SS.<br />

Croce (dal latino inventio, ritrovamento),<br />

ricorrenza nata per<br />

commemorare il ritrovamento della SS. Croce<br />

di Gesù Crocifisso, ad opera di Elena Flavia Giulia<br />

Augusta, madre dell’imperatore Costantino<br />

(ca.280-337).<br />

E proprio per onorare una reliquia così importante,<br />

Elena, proclamata santa dopo la sua conversione<br />

al cristianesimo, edificò a Roma la basilica<br />

di S. Croce in Gerusalemme, una delle più<br />

antiche del cristianesimo.Non conosciamo l’epoca<br />

in cui i gavignanesi hanno cominciato a<br />

festeggiare la ricorrenza, certamente a partire<br />

dagli inizi del ‘700 quando sulla cima del colle<br />

che sovrasta il paese, chiamato monte cotto, fu<br />

eretta una chiesolina, successivamente ingrandita<br />

e ampliata nel 1763, chiamata Chiesa del<br />

Calvario o della Croce, ove all’interno vi era un<br />

quadro rappresentante la Crocifissione e una<br />

statua di S. Antonio Abate. All’interno della chiesa<br />

si svolgevano infatti due importanti festività<br />

religiose e cioè la Festa dell’Invenzione della SS.<br />

Croce e quella di S. Antonio Abate, patrono degli<br />

animali che cadevano rispettivamente il 3 maggio<br />

e il 17 gennaio.<br />

La festa dell’Invenzione della SS.Croce, che vedeva<br />

la partecipazione di tutto il popolo e il clero<br />

al completo, aveva inizio con la processione che<br />

si snodava dalla chiesa arcipretale di S.Maria<br />

Assunta e si concludeva nella tarda serata con<br />

l’accensione di grandi falò o focaracci nei diversi<br />

rioni del paese al grido di “evvi, evvi, evviva<br />

la santa croci”, antico rito pagano propiziatorio<br />

di buoni raccolti e in particolare delle messi. La<br />

festa era anche allietata da “sbari di mortari”,<br />

piccoli fuochi artificiali” e la corsa di un “piccolo<br />

palio”. La ricorrenza, richiamava una tale moltitudine<br />

di fedeli da richiedere una “forza” per<br />

garantirne l’ordine pubblico. Così scriveva il gonfaloniere<br />

Desiderio Volpicelli in occasione della<br />

festa del 1832 al governatore di <strong>Segni</strong>: “Il giorno<br />

giovedì 3 corrente maggio, è in questa comunità<br />

una festa di precetto nella quale ha anche<br />

luogo una processione che dalla chiesa principale<br />

portasi a quella del Calvario. Poiché nel decorso<br />

di tal giorno tutto proceda con ordine e decenza,<br />

per rapporto di polizia amministrativa, veggo<br />

necessario di invocare la forza di tre o quattro<br />

individui che mantenga in tale occasione l’opportuna<br />

tranquillità”.<br />

Tra la fine del ‘700 e gli inizi del nuovo secolo<br />

in un clima di cauto riformismo, grazie all’opera<br />

dell’illuminato Segretario di Stato card.<br />

Ercole Consalvi (1757-1824), furono apportate<br />

importanti riforme sociali e religiose nello Stato<br />

della Chiesa come la decadenza della feudalità<br />

(1816) ecc. In questo nuovo clima, Pio VI con<br />

Breve del 23 maggio 1798, riduceva drasticamente<br />

le festività religiose di precetto portandole<br />

da 35 a 15 e tra queste anche quella<br />

dell’Invenzione della SS. Croce. Il decretò provocò<br />

però un tale malcontento tra la religiosissima<br />

popolazione di Gavignano, tanto da spingere<br />

nell’anno 1800 i rappresentanti della<br />

comunità ad inoltrare una supplica al nuovo pontefice<br />

Pio VII, affinché le due ricorrenze della festa<br />

dell’Invenzione delle SS. Croce e della Madonna<br />

di Rossilli fossero ripristinate come “ feste di precetto”.Questo<br />

il testo: “Giuseppe Cipriani,<br />

Filippo Pasquini e Giuseppe Marcelli pubblici rappresentanti<br />

di questa Comunità di Gavignano di<br />

Campagna , <strong>Diocesi</strong> di <strong>Segni</strong>, prostrati ai SS.<br />

Piedi della S.V. devotamente rappresentano a<br />

nome di tutto il popolo, che avendo la sorte di<br />

avere nel suo territorio un’antica miracolosa Immagine<br />

di Maria SS. esistente nella chiesa abbaziale di<br />

Rossilli dove si porta più volte l’anno a visitarla<br />

processionalmente e segnatamente nella terza<br />

festa della Pentecoste, in cui si celebra la festa<br />

della medesima. Avendo altresì la suddetta popolazione<br />

il vantaggio di avere poco lontano dal<br />

paese una chiesa dedicata alla Passione di Nostro<br />

Signore Gesù Cristo, detta chiesa del calvario,<br />

in cui si celebra la festa dell’Invenzione della SS.<br />

Croce e nella quale si va parimenti in processione<br />

a visitarla nella festa suddetta.<br />

Quindi, per eccitare maggiormente i divoti alla<br />

pietà e temendo che in avvenire si diminuisca<br />

la devozione verso la suddetta Sacra Immagine<br />

di Maria SS.ma e verso la chiesa del Calvario,<br />

non essendo di precetto le feste suddette, supplicano<br />

pertanto la S.V. a rimetterle di precetto”.<br />

La richiesta fu accolta il 13 luglio 1802 dalla<br />

Sacra Congregazione de’ Riti mentre il vescovo<br />

di <strong>Segni</strong>, mons. Paolo Ciotti, il 30 agosto 1807<br />

proclamava ufficialmente le due ricorrenze<br />

nuovamente feste “ de praecepto cum onere audiendi<br />

Sacrum et abstinendi ab operibus servilibus”<br />

e cioè con l’obbligo dell’ascolto della Santa Messa<br />

con l’astensione dal lavoro.La ricorrenza<br />

dell’Invenzione della SS. Croce è stata celebrata<br />

fino agli anni sessanta del secolo scorso quando<br />

nel 1970, in seguito alla riforma liturgico-pastorale,<br />

la festa veniva definitivamente cancellata<br />

dal calendario liturgico Rito Romano e con essa<br />

si spegnevano malinconicamente per sempre anche<br />

gli ultimi falò.<br />

Nell’immagine:<br />

Ritrovamento e ricognizione dell’autenticità della vera<br />

croce, 1452-66 Piero della Francesca, Arezzo


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Aprile<br />

34 2011<br />

P<br />

Stanislao Fioramonti<br />

er secoli a Valmontone i riti e le cerimonie<br />

della Settimana Santa si sono intensamente<br />

intrecciati con la vita quotidiana, influenzando<br />

fortemente la vita del popolo. Ora che la modernità<br />

sta facendo scomparire le tradizioni antiche,<br />

può essere utile ricordare la Pasqua di una volta<br />

anche solo per avere un’idea di come vivevano<br />

i nostri padri e nonni, non per inutili confronti,<br />

ma per sapere che cosa significa ciò che rimane.<br />

Concluso il lungo periodo della Quaresima,<br />

con la Domenica delle Palme inizia il tempo liturgico<br />

(Settimana Santa) che porta alla Domenica<br />

di Resurrezione attraverso il Triduo Pasquale.<br />

Una volta la processione delle Palme si snodava<br />

– al canto dei coristi – dalla chiesa di S. Stefano<br />

alla Collegiata, con il popolo che abbelliva il percorso<br />

deponendo in terra rami di ulivo e fiori primaverili<br />

colti in precedenza nelle campagne. Il portone<br />

della chiesa grande era chiuso: si sarebbe<br />

spalancato al bussare dei sacerdoti, che poi entravano<br />

nel tempio come una volta Gesù era entrato<br />

a Gerusalemme.<br />

Dell’ulivo benedetto quel giorno dal celebrante si<br />

dovevano recitare tanti “Paternostri” quante erano<br />

le foglioline presenti nel ramoscello scelto per<br />

portarlo a casa e metterlo sul letto; qualcuna di<br />

quelle foglioline i contadini l’avrebbero seminata<br />

a novembre insieme al grano per proteggerlo dalla<br />

grandine, mentre la palma che restava quando<br />

l’anno dopo si prendeva quella nuova non era<br />

gettata via, ma bruciata recitando un Pater noster.<br />

Così pure le palme benedette e non distribuite il<br />

parroco le bruciava e ne otteneva le “Ceneri” da<br />

porre sul capo dei fedeli il mercoledì che iniziava<br />

la Quaresima. Oltre che una domenica di gioia,<br />

indicata dal canto del “Gloria in excelsis Deo...”,<br />

la domenica delle Palme era anche un giorno di<br />

passione: al Vangelo si leggeva infatti per la prima<br />

volta il “Passio” in latino; ai Vespri si esponeva<br />

il Santissimo per l’adorazione delle “40 Ore”, con<br />

canti serali che erano canti di dolore, perché la<br />

morte di Cristo si avvicinava.<br />

Il Lunedi Santo Valmontone si vestiva di bianco:<br />

i fanciulli facevano la Prima Comunione e poi<br />

dalla chiesa grande sfilavano fino al santuario del<br />

Gonfalone, come per permettere a tutto il paese<br />

di partecipare alla loro festa.<br />

Durante le messe del Martedì e Mercoledì Santo<br />

si celebrava l’Ufficio delle Tenebre, che i valmontonesi<br />

chiamavano “le battute” perché – quando il sacerdote<br />

batteva sull’altare con una bacchetta a simboleggiare<br />

la cattura e la flagellazione di Cristo,<br />

fuori della chiesa una schiera di ragazzini, armati<br />

di bastoni, cominciava a picchiare sul sagrato<br />

facendo un fracasso del diavolo; poi di corsa essi<br />

raggiungevano le altre chiese dove si diceva la<br />

stessa messa e giù, altre botte sul selciato, tra<br />

l’ilarità dei più piccoli.<br />

Il Giovedì Santo per l’ultima volta suonavano le<br />

campane, annunciando la messa della Cena del<br />

Signore, durante la quale il celebrante lavava i piedi<br />

a dodici vecchietti del paese come Cristo li aveva<br />

lavati ai suoi apostoli. Dopo, “s’attacchéveno<br />

le campane” e fino alla mattina del sabato le funzioni<br />

sacre e le ore del giorno erano segnate dai<br />

chierichetti, che di piazza in piazza si annunciavano<br />

scuotendo i cròtali (in valmontonese “scùrdole”<br />

o “gnàccole”), tavole di legno duro con anelli<br />

di ferro che, scosse velocemente, producevano<br />

un rumore sordo e forte. E già la sera del Giovedì<br />

Santo il primo annuncio: “I Sepolcri!”. Nella chiesa<br />

avvolta dalla penombra il predicatore tuonava<br />

dal pulpito le parole dolorose della Passione<br />

e alla fine, tra la commozione dei fedeli, chiamava<br />

la croce; allora da dietro l’altare maggiore i fratelloni<br />

delle quattro confraternite di Valmontone<br />

avanzavano processionalmente e, tra inni sacri<br />

e bagliori di candele, presentavano al sacerdote<br />

una croce nera e nuda; egli la benediceva e poi,<br />

intonando il “Pange lingua” andava a deporla ai<br />

piedi di un altare laterale addobbato con drappi<br />

rossi, fiori e luci, nel cui tabernacolo si deponeva<br />

l’Eucaristia. Era il “Sepolcro”, e perché tutti potessero<br />

adorarlo la chiesa restava aperta tutta la notte.<br />

La tradizione esigeva che le visite ai Sepolcri<br />

dovessero essere di numero dispari, nella stessa<br />

chiesa o in chiese differenti, e che durante quelle<br />

visite non si dovesse recitare il “Gloria Patri”.<br />

A Valmontone le chiese che esponevano il<br />

Sepolcro erano quattro: la Collegiata, S. Stefano,<br />

il Gonfalone e S. Angelo; durante la notte e fino<br />

al mattino successivo tutte e quattro le Confraternite<br />

(Sacramento, Suffragio, Gonfalone e Stimmate),<br />

a turno, andavano a venerare i quattro Sepolcri<br />

di Valmontone, e quella notte sembrava di essere<br />

tornati al Medioevo: dagli oscuri vicoli del paese<br />

giungeva una salmodia, prima confusa e poi<br />

sempre più distinta, “Miserere mei, Deus, secundum<br />

magnam misericordiam tuam...”. “Passa la<br />

Compagnia della buona morte”, dicevano le mamme<br />

ai piccoli intimoriti; erano i fratelloni avvolti in<br />

lunghi mantelli scuri, col capo coperto da cappucci<br />

a punta, sinistramente rischiarati dai lampioni che<br />

portavano in mano. Cantavano salmi di pentimento,<br />

preannunciando al paese il dramma che si stava<br />

per rievocare.<br />

La mattina del Venerdì Santo il paese era svegliato<br />

dal crepitio dei cròtali; “La messa scinciata”,<br />

annunciavano i piccoli banditori. La chiesa chiamava<br />

a una funzione antica e sempre sentita. La<br />

Collegiata era spoglia, con tutte le candele spente;<br />

il celebrante e i ministri parati a lutto si prostravano<br />

ai piedi dell’altare per significare l’impotenza<br />

dell’umanità peccatrice. Dopo le letture e le preghiere<br />

per la Chiesa universale, i fedeli erano invitati<br />

ad adorare lo strumento con cui Cristo ci ha<br />

redenti: “Ecce lignum crucis, in quo salus mundi<br />

pependit”.Si tornava a casa giusto per mandare<br />

giù un boccone, perché era giorno di digiuno e<br />

astinenza stretta, e tutti la rispettavano; poi alle<br />

13 ancora in chiesa, all’Agonia. Per tre ore il sacerdote<br />

ricordava e commentava le sette parole pronunciate<br />

da Cristo sulla croce, intercalandole con<br />

orazioni e momenti di meditazione. Finalmente alle<br />

15 esclamava: “Gesù è morto!”, e mentre tutti –<br />

anche chi non era in chiesa – cadevano<br />

in ginocchio, si spalancava<br />

il portone ed entrava la statua<br />

di Cristo morto sorretta da<br />

quattro uomini. La sera quella statua era portata<br />

in processione, la Processione di Cristo Morto, che<br />

non aveva nulla della rievocazione biblica degli<br />

ultimi decenni, ma consisteva in una semplice sfilata<br />

a cui partecipava tutta la popolazione, con la<br />

banda comunale che suonava la marcia funebre<br />

e il coro che cantava lo “Stabat Mater” ; le fanciulle<br />

che il lunedì precedente avevano fatto la prima<br />

comunione portavano su dei vassoi gli strumenti<br />

della passione di Cristo: i chiodi, la lancia,<br />

la spugna, la tunica, la colonna della flagellazione,<br />

persino il gallo per ricordare il tradimento di<br />

Pietro. A Valmontone portare in processione quelle<br />

cose era considerato un privilegio e le ragazze<br />

non esitavano a fare offerte in denaro per ottenerlo.<br />

Dopo di esse sfilava il Cireneo, con una catena<br />

al piede e la croce in collo; veniva la<br />

Veronica, mostrando il sudario col volto di Gesù;<br />

veniva la Maddalena, alcune ancelle e infine la<br />

statua di Cristo, seguita dall’Addolorata tutta vestita<br />

di nero.<br />

Il Sabato Santo, alle 10 di mattina, si celebrava<br />

la Veglia pasquale, che ora si svolge nella notte<br />

tra sabato e domenica; il sacerdote benediceva<br />

il fuoco nuovo, il cero pasquale, l’acqua battesimale;<br />

il popolo cantava l’Exultet e le Litanie dei<br />

Santi; al Gloria della Messa le campane tornavano<br />

a suonare a distesa e chi non era in chiesa, dovunque<br />

si trovasse e qualunque cosa facesse, si inginocchiava<br />

e rendeva omaggio a<br />

Gesù risorto. Dopo la cerimonia,<br />

tutti i preti di Valmontone – una<br />

volta erano tanti – uscivano<br />

per la benedizione<br />

delle<br />

case,<br />

che


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Aprile<br />

2011<br />

35<br />

Sara Calì<br />

E<br />

’ bello, quando si è afflitti, leggere nello<br />

sguardo degli altri un po’ di benevolenza,<br />

un filo di speranza, che ci rincuora.<br />

Bello sentirsi dire, nei momenti di sconforto, che<br />

non siamo soli. In quei momenti ci tornano in<br />

mente le parole buone dei nostri sacerdoti, lacrime<br />

di bambini asciugate da un sorriso. Quanto<br />

tempo è passato, ma come tornano vivi quei<br />

gesti. Questo eravamo e questo saranno i nostri<br />

ragazzi quando diventeranno adulti e dovranno<br />

affrontare la vita. Di loro si è parlato il 14 ed<br />

il 15 marzo durante i due incontri dedicati alla<br />

catechesi che hanno visto riuniti tutti i catechisti<br />

di Artena. Come avvicinare i ragazzi al Signore,<br />

come prenderli per mano e portarli sulla via luminosa<br />

della fede e aiutarli a non discostarsene<br />

mai. Come guidarli attraverso un sentiero che,<br />

talvolta, le difficoltà della vita ci fanno smarrire,<br />

perché le vicissitudini e la società ci rubano<br />

a noi stessi e ci privano del tempo necessario<br />

alla meditazione e alle necessità dello spirito.<br />

”Conoscere se stessi,<br />

per capire meglio gli altri”,<br />

“partire sempre dall’esperienza”<br />

e, ancora, “saper<br />

ascoltare e narrare, fare delle<br />

parole dei piccoli semi<br />

che, presto o tardi, germoglieranno<br />

e daranno i loro<br />

buoni frutti”, consigliava fratel<br />

Riccardo, monaco della<br />

Fraternità di Nazareth e Massimo Navacci,<br />

insegnante di religione al liceo.<br />

Teoria e pratica, della catechesi, riflessione e<br />

suggerimenti preziosi in due giornate di ascolto<br />

e dialogo, per unire ancor più fortemente la<br />

nostra <strong>Diocesi</strong>. Per guidare anche chi guida, chi<br />

si occupa dei bambini e li avvicina al Signore,<br />

chi affianca i sacerdoti nella convinzione che<br />

nella grande comunità cattolica ai catechisti è<br />

affidato il grande compito di prendere per mano<br />

i ragazzi e, con l’esempio e con amore, indicargli<br />

la strada da seguire.<br />

PANE DELLA VITA :<br />

Festa diocesana dei ragazzi<br />

che si preparano alla Prima Comunione<br />

L’Ufficio Catechistico Diocesano ha organizzato per sabato 9 aprile 2011<br />

dalle ore 9.00 alle ore 13.00 presso il Palazzetto dello Sport di Colleferro,<br />

un incontro di festa con i ragazzi del I° e II° anno della Comunione, dal<br />

titolo “…per condividere il PANE DELLA VITA”.<br />

Scopo di questa giornata è far crescere l’appartenenza alla Chiesa diocesana<br />

e vivere un momento di festa con i ragazzi e i loro catechisti ed educatori.<br />

Diverse saranno le proposte con le quali i ragazzi saranno chiamati<br />

a valorizzare il percorso educativo che stanno realizzando nelle Parrocchie:<br />

testimonianze, momenti di gioco, catechesi narrativa e un momento di Adorazione<br />

Eucaristica che vivremo a fine giornata con il nostro Vescovo Vincenzo.<br />

Un’occasione bella per riscoprirci Chiesa riunita intorno al suo Signore. Si<br />

è pensato poi di invitare i ragazzi a raccogliere tra di loro alcune offerte<br />

che saranno devolute alla Caritas Diocesana per il terremoto in Giappone,<br />

per fare della nostra festa un momento di condivisione e comunione con<br />

chi sta vivendo momenti così difficili.<br />

completavano in un solo giorno, lavorando magari<br />

fino a notte fonda. Nelle case, rinnovate dalle<br />

grandi pulizie tradizionali di Pasqua, essi trovavano<br />

le case apparecchiate con tutti i caratteristici<br />

cibi pasquali: la pizza cresciuta, una volta chiamata<br />

“fallone”, ciambelle scottolate, uova sode,<br />

salamini e vino buono, di solito il rosso Aleatico<br />

di Olevano. Nessuno osava assaggiare quel ben<br />

di Dio prima della benedizione del prete, cosicché<br />

la tradizionale colazione si faceva la<br />

Domenica di Pasqua verso mezzogiorno, dopo<br />

la messa solenne e l’ennesima predica. A<br />

Pasquetta si facevano le scampagnate, e questa<br />

è una delle pochissime usanze antiche che<br />

ancora persistono. Non è sopravvissuta invece la<br />

“Processione delle sette chiese” che si faceva nel<br />

pomeriggio del martedi di Pasqua, quando tutti<br />

accompagnavano il parroco, che sorreggeva il<br />

Crocifisso, dalla Collegiata a S. Stefano, al Gonfalone,<br />

a S. Antonio Abate e a S. Sebastiano (che prima<br />

era in via delle Vaschette, dietro il ponte di ferro).<br />

Come non è sopravvissuta, la Domenica in<br />

Albis, la funzione de “j’Arlichiario”, nella quale il<br />

sacerdote saliva sul coretto sopra l’attuale sagrestia<br />

della Collegiata e per più di un’ora proponeva<br />

all’adorazione dei fedeli le duecento reliquie<br />

conservate nella chiesa-madre di Valmontone; funzione<br />

estenuante, ma la cui benedizione finale suggellava<br />

tutto il periodo pasquale che – per la ricchezza<br />

e la quantità delle cerimonie sacre – ci hanno<br />

detto che era considerato un paradiso per le<br />

monache, un purgatorio per i preti e un inferno<br />

per i sagrestani. E per la gente comune, mi chiedo<br />

io?


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Aprile<br />

36 2011<br />

Antonio Venditti<br />

Apprendendo la notizia della scomparsa<br />

dell’incomparabile maestro Gino Felci, ho<br />

potuto allontanare la tristezza, correndo<br />

a casa a rileggere la sua opera didattica<br />

“Esperienze personali di insegnamento” scritta<br />

nel 1993 e pubblicata nel 1998. Ebbi la fortuna<br />

di riceverla in dono due volte (dopo la prima edizione<br />

di marzo e la successiva di novembre) direttamente<br />

da lui – che venne a trovarmi nella scuola<br />

media che dirigevo – con dediche affettuose<br />

al “caro collega”.<br />

Nel secondo incontro, gli feci notare che ormai<br />

aveva spiccato il volo verso la meritata notorietà,<br />

avendo ottenuto il “Premio speciale della giuria<br />

del IX Premio Nazionale di Pedagogia e di<br />

Didattica “Pescara”, ma non si scompose nella<br />

sua cordiale semplicità. E cosi noi continuiamo<br />

a chiamarlo “maestro” ricordando come lui<br />

amava definirsi “maestrucolo di campagna”, ma<br />

in realtà merita di essere onorato anche per altri<br />

elevati meriti : come straordinario educatore capace<br />

di trasmettere la sua visione bella e serena<br />

della vita, illuminata dagli ideali evangelici; come<br />

autore di un libro in cui ha descritto il suo “metodo”<br />

innovativo quanto efficace di insegnamento,<br />

ispirato alla pedagogia dell’attivismo, con particolare<br />

riguardo a Giuseppe Lombardo Radice,<br />

a cui si devono i programmi della scuola elementare,<br />

secondo la Riforma Gentile del 1923; come inventore<br />

di “prezioso materiale”, che si è dimostrato<br />

utilissimo all’insegnamento attivo, parte del<br />

quale è stato inserito nel “Museo storico della didattica”<br />

della III Università di Roma,<br />

quando era diretto dal pedagogista<br />

Mauro Laeng.<br />

I ricordi sono riaffiorati abbondantemente<br />

nella mia mente, perché<br />

ho conosciuto Gino Felci quando<br />

ero ragazzo e sono restato subito<br />

affascinato dalla sua persona,<br />

tanto che devo a lui il rafforzamento<br />

della mia “vocazione” all’insegnamento<br />

e la ricerca, una volta<br />

iniziata la carriera, di metodi nuovi<br />

per suscitare l’interesse ed il coinvolgimento<br />

degli alunni nel processo<br />

educativo.<br />

Nella comune Parr. di S.Maria in<br />

Trivio, Gino era il nostro divertentissimo<br />

animatore teatrale e, da<br />

lui ideata, recitammo nell’esilarante<br />

commediola dal titolo “La classe<br />

degli asini”, dove lui era il maestro<br />

e noi ragazzi gli scolari, accomunati<br />

purtroppo nell’”ignoranza”. E<br />

ne deriva l’utile considerazione che<br />

gli alunni apprendono quando i docenti<br />

hanno qualcosa da insegnare e<br />

sanno insegnare. D’estate il maestro<br />

si trasferiva al mare, a<br />

Foceverde, e diventava cameriere<br />

nella trattoria del fratello.<br />

Il rapporto restò intenso con il passare<br />

degli anni e nei colloqui frequenti<br />

traspariva la sua schiettezza,<br />

nel raccontare tutto di sé, a<br />

cominciare dall’interruzione degli studi , a causa<br />

della guerra, ed al conseguimento del diploma<br />

magistrale senza esami; sincera era la sua<br />

ammirazione per noi più giovani che avevamo<br />

intrapreso gli studi universitari.<br />

Comunque molto tempo deve aver sempre dedicato<br />

allo studio personale, come si evince dalle<br />

conoscenze che sono alla base dei suoi “esperimenti”<br />

e dall’ampiezza della sua visione pedagogica.<br />

Del resto egli racconta dei continui colloqui<br />

con il suo “indimenticabile” Direttore didattico,<br />

poi Ispettore Angelo Testa, che gli fece capire<br />

l’esigenza di superare la scuola “verbalistica<br />

e parolaia”, per passare ai “fatti” che “al ragazzo<br />

piace vedere”. Ed infatti scrive : “la mia scuoletta<br />

di campagna cambiò quasi per incanto : le<br />

pareti dell’aula si andavano riempiendo di materiale<br />

didattico preparato e costruito dai ragazzi<br />

sotto la mia vigile guida”.<br />

Sempre sorridente e pronto alla battuta scherzosa,<br />

dovunque diffondeva serenità e spontanea<br />

simpatia, e, se nel linguaggio poteva apparire<br />

talvolta impacciato, in realtà era profondo ed<br />

interiorizzate erano le sue parole. Così si spiegano<br />

gli straordinari risultati da lui ottenuti e la<br />

fama che si è diffusa anche al di fuori dei confini<br />

veliterni, perché amava partecipare a convegni<br />

nazionali, per confrontarsi con altri colleghi<br />

e venire a conoscenza di altre esperienze.<br />

Nella sua modestia, dichiara nel libro che ha voluto<br />

descrivere il “metodo” e raccontare così le sue<br />

esperienze, per aiutare i giovani maestri a superare<br />

le difficoltà che si incontrano inevitabilmente<br />

all’inizio dell’insegnamento. La Scuola elementare<br />

di Colle Carciano, che è stata lo scenario<br />

di attività didattiche di tale pregio, dovrebbe essere<br />

intitolata al maestro Gino Felci, perché al suo<br />

nome, non solo nella contrada ma nell’intera città,<br />

è restata legata, anche dopo la scelta di ritirarsi<br />

dall’insegnamento, senza rinunciare però<br />

a continuarlo in altre scuole elementari, nelle scuole<br />

medie ed anche negli Istituti magistrali, in una<br />

dimensione diversa di “maestro” formatore di altri<br />

maestri, nei confronti dei quali si poneva senza<br />

ostentare alcuna superiorità, ma con profonda<br />

umiltà per trasmettere il suo entusiasmo nell’insegnamento<br />

e la sua fiducia negli alunni.<br />

Nei primi decenni del dopoguerra “Colle Carciano”<br />

era un tipica scuola di campagna, inadeguata nelle<br />

strutture, ma l’aula dell’affollata classe del “maestro”<br />

per antonomasia era trasformata e nobilitata,<br />

perché le pareti erano interamente coperte<br />

dai lavori degli alunni, mentre gli armadi erano<br />

stracarichi di “strumenti scientifici” per i geniali<br />

esperimenti; considerando che era allestito anche<br />

il “negozietto di classe”, di spazio libero ne restava<br />

ben poco per gli stessi banchi.<br />

Ma non costituiva un problema, perché la vita della<br />

classe si svolgeva il più possibile all’aperto,<br />

con tante attività, oltre alla consueta cura<br />

dell’”orticello di classe”. E sicuramente per lui era<br />

centrale “lo studio della natura” che “deve essere<br />

fatto non su aridi libri, ma a contatto con la<br />

natura stessa, perché l’insegnamento delle<br />

Scienze è, come afferma Lombardo Radice, “…poesia,<br />

canto, inno alla natura”. Insuperabile nell’insegnamento<br />

delle scienze con metodo sperimentale,<br />

come poi sarà indicato nei rinnovati<br />

programmi della scuola elementare<br />

del 1985, il maestro Felci è riuscito<br />

ad ottenere validi risultati con<br />

il suo sistema ingegnoso, anche<br />

nelle altre discipline: aritmetica<br />

e geometria, lingua italiana, storia<br />

e geografia. Anche nell’educazione<br />

civica rivelò la sua<br />

originalità con modalità mirate<br />

a sviluppare negli alunni il<br />

senso di responsabilità, lo spirito<br />

collaborativo, l’impegno<br />

nello studio e l’amore per la conoscenza,<br />

oltre ad estrose forme<br />

di autogestione rievocanti le tribù<br />

indiane.<br />

Mantenendo la caratteristica discrezione,<br />

quasi senza volerlo,<br />

Gino Felci è diventato un personaggio<br />

“popolare”, dovunque<br />

stimato ed ammirato, tanto<br />

che, quando fu convinto a<br />

candidarsi per le elezioni del<br />

Consiglio Comunale, fu eletto<br />

Consigliere con un gran numero<br />

di preferenze; ma, quando capì<br />

che la pratica politica era ben<br />

diversa dalla sua concezione di<br />

vita, si ritirò irrevocabilmente.<br />

Negli anni ha mantenuto la giovinezza<br />

interiore ed anche una<br />

buona forma fisica, grazie alle<br />

frequenti e lunghe camminate<br />

dalla città alle zone preferite del-


Aprile_11:Pag prova.qxd 02/04/2011 10.00 Pagina 37<br />

L<br />

Aprile<br />

2011<br />

don Marco Nemesi*<br />

a pittura di Paul Gauguin è una sintesi<br />

delle principali correnti che attraversano<br />

il variegato e complesso panorama della<br />

pittura francese di fine secolo. Egli partì dalle<br />

stesse posizioni impressioniste, comuni a tutti<br />

i protagonisti delle nuove ricerche pittoriche di<br />

quegli anni. Superò l’Impressionismo per ricercare<br />

una pittura più intensa sul piano espressivo.<br />

Fornì, dunque, soprattutto per i suoi colori forti<br />

e intensi, stesi a campiture piatte, notevoli suggestioni<br />

agli espressionisti francesi del gruppo<br />

dei «Fauves», ma soprattutto per l’intensa spiritualità<br />

delle sue immagini, diede un importante<br />

contributo a quella pittura «simbolista», che<br />

si sviluppò in Francia ed oltre, in polemica con<br />

il naturalismo letterario di Zola e Flaubert e con<br />

il realismo pittorico di Courbet, Manet e degli<br />

Impressionisti.<br />

Il suo contributo al «simbolismo» avvenne attraverso<br />

la formazione del gruppo detto «scuola di<br />

Pont-Aven». Fonte d’ispirazione per questa pittura<br />

erano le vetrate gotiche e<br />

gli smalti cloisonne medievali.<br />

Prendendo spunto da essi i pittori<br />

di Pont-Aven stendevano colori<br />

puri e uniformi, contornati da<br />

un netto segno nero.<br />

Ne derivò una pittura dai toni intimistici<br />

che rifiutava la copia dal<br />

vero e l’imitazione della visione<br />

naturalistica.Gauguin, figlio di un<br />

giornalista e di una madre di nobile<br />

famiglia spagnola, nacque il<br />

7 giugno del 1848, entrò per qualche<br />

tempo in seminario, divenne<br />

poi impiegato di Banca e soltanto<br />

a ventiquattro anni incominciò<br />

a dipingere da dilettante.<br />

La sua anima profondamente<br />

religiosa era tutta protesa alla<br />

ricerca di un’arte primitiva che<br />

potesse dare voce a quella visione<br />

di bellezza che ogni uomo ha<br />

in sé, per questo lascerà ripetutamente<br />

la Francia per recarsi<br />

in Polinesia dove dipingerà molti dei suoi capolavori.<br />

Fondamentale per lui sarà il confronto con<br />

Van Gogh, con il quale Gauguin stringerà un’amicizia<br />

profonda ma drammaticamente conflittuale.<br />

Morirà per una crisi cardiaca, povero e segnato<br />

dalla malattia, l’8 maggio del 1903 all’età di<br />

55 anni. Nell’opera presa in esame, L’agonia nel<br />

Giardino, la sagoma di un albero nero taglia di<br />

Paul Gauguin,<br />

L’agonia nel Giardino<br />

Norton Museum of Art, West Palm Beach, Florida 1889<br />

netto la scena dividendola in due; risuonano in<br />

cuore le parole del Battista: la scure è alle radici.<br />

L’albero segna lo scoccare dell’ora della verità<br />

e mentre i toni verde-blu dell’oscurità sembrano<br />

inghiottire ogni cosa; squillante e vivo, palpita un<br />

raggio di sole sulla chioma del Cristo.<br />

Un Cristo fulvo, come un vero figlio di Davide,<br />

fulvo perché infuocato dall’amore divino che gli<br />

arde in petto.<br />

Gauguin definirà questo colore un “rosso soprannaturale”<br />

e terrà a lungo questo quadro con sé<br />

intuendo che non sarebbe stato facilmente compreso.<br />

Nei lineamenti di Cristo, infatti, si distingue<br />

chiaramente l’autoritratto dell’artista.<br />

Gauguin si rivede nella serena tristezza di Cristo,<br />

incompreso e drammaticamente solo nonostante<br />

la presenza di due dei suoi discepoli lì,<br />

più oltre, alle sue spalle. E, forse, in questa interpretazione<br />

così personalizzata del Primo Mistero<br />

doloroso, c’è il tacito invito dell’artista rivolto a<br />

tutti quelli che hanno sperimentato il tradimento<br />

e l’incomprensione, che hanno amato a fondo<br />

perso, ad immedesimarsi nella melanconica<br />

solitudine di Gesù.<br />

Gauguin, così attento all’anima delle cose, pare<br />

qui raccogliere le tempeste di tutti i tempi e d’intere<br />

generazioni, e stende vigorose pennellate<br />

radenti che, come pioggia battente, infuriano sul<br />

37<br />

paesaggio.Tutto si muove nell’incertezza:<br />

gli alberi, il prato, le rocce.<br />

Anche i due discepoli paiono<br />

ombre, fuggiaschi e persi in un mondo divenuto<br />

all’improvviso inospitale. Essi in qualche modo<br />

incarnano la società francese sul finire<br />

dell’Ottocento, così inquieta, presaga di un mondo<br />

in profondo mutamento ma incapace di indovinarne<br />

gli sviluppi, le conseguenze, i confini.<br />

Una società in cui l’amore, vera potenza che muove<br />

il mondo, è come infiacchito, indebolito dalla<br />

provvisorietà e dall’immediato.<br />

Un ritratto tanto vicino a quello della società odierna<br />

dove il relativismo muove ogni rapporto umano,<br />

ogni evento, ogni scelta e si fatica a ritrovare<br />

i confini del reale, del vero e del Bene.<br />

Gauguin non si ferma, però, ad annotare lo strazio<br />

di un mondo senza freni e senza coordinate,<br />

c’è pur sempre un’ora in cui scocca la possibilità<br />

di ritrovare la giusta rotta. Di là dall’albero<br />

austero c’è Cristo che è confinato, è vero, entro<br />

uno spazio angusto, ma è più vivo e reale dell’intero<br />

scenario in cui è immerso.<br />

Anche il tratto della pennellata<br />

cambia e cade pesante a terra<br />

segnando con il suo senso verticale<br />

l’oppressione dell’anima<br />

di Gesù il quale, compreso della<br />

gravità dell’ora, si ritrova solo<br />

con il suo Amore.<br />

Gauguin ridisegna nel volto di<br />

Cristo se stesso perché s’identifica<br />

con quanti, pur nella loro<br />

fragilità, cercano di rimanere fedeli<br />

ad un ideale di amore puro.<br />

Così ciascuno di noi è invitato<br />

a domandarsi da quale parte dell’albero<br />

stare.<br />

Paul Gauguin con la sua arte e,<br />

con la sua vita tormentata, ci incoraggia<br />

a metterci senza remore<br />

dentro i panni del «suo» Gesù,<br />

così oppresso, così pesante nel<br />

corpo ma vittorioso e lucente nel<br />

capo. Sì, quanti scelgono l’amore,<br />

sperimentano una lotta che li condanna<br />

sempre più spesso entro spazi angusti,<br />

ma - affidandosi a quell’Amore con la maiuscola<br />

che non mente né cede - partecipano pure alla<br />

sua vittoria. Il loro corpo si batterà nelle tenebre,<br />

ma il loro capo brillerà nella luce, non saranno<br />

disorientati né sopraffatti perché l’Amore stesso<br />

li guiderà.<br />

*direttore Ufficio diocesano Beni culturali<br />

l’estesa campagna veliterna. Nella “Didattica delle<br />

scienze” – n. 188 del feb. 1997 – il Dir. Mauro<br />

Laeng, docente di Pedagogia all’Univ. di Roma,<br />

scrive : “Tra i maestri geniali che hanno passato<br />

una vita a inventare per i ragazzi le occasioni<br />

e gli strumenti adatti ad un avviamento intelligente<br />

alla ricerca è Gino Felci, docente nelle scuole<br />

di <strong>Velletri</strong>. Meccanica dei solidi e dei fluidi, acustica,<br />

ottica, elettricità e magnetismo, sistemi di<br />

misura sono esplorati con apparecchi semplicissimi<br />

e ingegnosi. Serie di domande ben impostate<br />

fanno riflettere davanti alle cose, con manipolazioni<br />

dirette, e non davanti alle sole parole<br />

di un manuale. Ma i sussidi del Felci si estendono<br />

anche alla geografia, alla storia e alle altre<br />

discipline…Alcuni dei materiali allestiti nelle scuole<br />

di <strong>Velletri</strong> sono visibili nella città a cura dello<br />

stesso insegnante. Sono stati visitati da pedagogisti<br />

e da allievi delle magistrali, e mostrati in<br />

parecchi convegni ai quali il Felci è sempre invitato<br />

come “mago della didattica”.<br />

Con questa felice espressione di “mago” buono<br />

e suadente, capace di entusiasmare i piccoli<br />

attori sul palco della conoscenza, ognuno<br />

con la sua parte da recitare e con la luce dell’intelligenza<br />

da accendere nella comunità, mi<br />

piace terminare questa “dedica” al mio carissimo<br />

ed indimenticabile “collega” Gino.


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Aprile<br />

38 2011<br />

M<br />

Mara Della Vecchia<br />

olta musica è stata composta nel<br />

corso dei secoli per le celebrazioni<br />

della settimana santa e ripercorrendo<br />

la splendida stagione della musica<br />

sacra che è stato il Rinascimento, emerge<br />

l’opera di Tomàs Luis de Victoria, musicista<br />

spagnolo, nato ad Avila intorno al 1548,<br />

ma attivo prevalentemente a Roma, dove<br />

giunse giovanissimo come insegnante di canto<br />

e musica al Seminario romano, successore<br />

di Giovanni Pierluigi da Palestrina; egli stesso<br />

fu ordinato sacerdote nel 1575 proprio<br />

a Roma.<br />

Tomàs Luis de Victoria era profondamente<br />

convinto che lo scopo della musica fosse<br />

quello di alimentare la spiritualità degli<br />

uomini e di aiutarli ad elevarsi a Dio, per<br />

questo non compose opere profane, che<br />

non avrebbero potuto perseguire tale finalità,<br />

dunque le sue composizioni sono molto<br />

di più che musica liturgica per accompagnare<br />

le diverse funzioni e celebrazioni,<br />

perché davvero rappresentano l’espressione<br />

del suo modo di essere credente.<br />

Uno dei suoi capolavori è l’Officio per la<br />

Settimana Santa (Officium Hebdomadae<br />

Sanctae) del 1585, composto dopo un periodo<br />

di ritiro spirituale nella chiesa di san Gerolamo<br />

della Carità a Roma, durante il quale trovò<br />

l’ispirazione necessaria per affrontare tale<br />

lavoro, a testimonianza della stretta correlazione<br />

tra la sua attività di compositore e<br />

la sua dimensione spirituale; a differenza<br />

di molti suoi contemporanei che entravano<br />

nella chiesa per convenienza o per costrizione,<br />

egli aveva scelto la vita sacerdotale<br />

per sincera vocazione, una scelta, che<br />

per lui significava preghiera, raccoglimento,<br />

misticismo, meditazione,<br />

contemplazione. L’Officio della<br />

Settimana Santa è costituito<br />

da 37 composizioni: un’antifona<br />

iniziale (Pueri Hebraerorum),<br />

due mottetti (O Domine Jesu<br />

Coriste e Vere languores<br />

nostros) nove lamentazioni,<br />

diciotto responsori, due inni (<br />

Tantum Ergo e Vexilla Regis),<br />

due salmi tracci il Miserere a<br />

due cori, un’impropreria (Popule<br />

Meus) e due passioni, secondo<br />

Matteo e secondo Giovanni.<br />

Le passioni sono destinate ad un uso esclusivamente<br />

liturgico, legate strettamente ai<br />

tempi e ai modi della celebrazione, a differenza<br />

di passioni scritte da altri autori fruibili,<br />

invece, solo in contesti non liturgici. In<br />

tutte le musiche delle passioni è fortemente<br />

riconoscibile la volontà del compositore di<br />

privilegiare l’aspetto e espressivo rispetto<br />

a quello puramente artistico, adottando uno<br />

stile scarno che comunichi direttamente la<br />

forza delle parole e descriva chiaramente<br />

la vicenda.<br />

In queste composizioni l’autore rinuncia a<br />

tutta la sua grande competenza tecnica, per<br />

dare spazio alla meditazione, esprimendo<br />

la sua religiosità così austera. Un atteggiamento<br />

diverso troviamo nei mottetti, nei quali il musicista<br />

da più libertà alla musica, utilizzando<br />

al meglio la sua formidabile tecnica contrappuntistica.<br />

L’esperienza del Cursillo<br />

Si è svolto presso il centro spirituale di Santa Maria dell’Acero in <strong>Velletri</strong> il 16° Cursillo Donne nei giorni 24-27 marzo 2011.<br />

Per i non “addetti ai lavori”, il Cursillo consiste in un breve corso di cristianità vissuto in comunità sotto le ali protettrici di nostro<br />

Signore. Le signore corsiste, le responsabili e i sacerdoti hanno lavorato intensamente in piena comunione verso un unico fine:<br />

FARSI INVADERE DALLO SGUARDO DI CRISTO!<br />

Altro importante scopo del Cursillo è preparare i credenti alla grande sfida della Chiesa del nostro tempo: la Nuova Evangelizzazione.<br />

Vivere questi tre giorni è un’esperienza indimenticabile da inserire nel “calendario” degli appuntamenti che ogni cristiano si dovrebbe<br />

impegnare a vivere.


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Aprile<br />

2011<br />

39<br />

Valentina Fioramonti<br />

Il discorso del re (The King’s Speech).<br />

Un film di Tom Hooper, con Colin Firth, Geoffrey Rush,<br />

Helena Bonham Carter, Guy Pearce, Jennifer Ehle.<br />

Gran Bretagna, Australia 2010, durata 111 min.<br />

N<br />

ella sua recensione de “Il discorso del re”,<br />

strizzando l’occhio alla nostra attualità,<br />

Natalia Aspesi inizia dicendo:<br />

“Ci sono stati tempi e luoghi in cui un primo ministro<br />

si dimetteva per non aver capito in tempo la<br />

gravità di una situazione politica, in cui il rispetto<br />

della carica era più importante della persona che<br />

la rappresentava, in cui rivolgendosi alla nazione<br />

il suo massimo rappresentante non si scagliava<br />

contro neppure il più pericoloso dei nemici ma invitava<br />

un intero popolo all’ unità e al sacrificio per<br />

difendere i valori del proprio paese: responsabilità,<br />

coraggio, abnegazione, decoro, erano ancora<br />

virtù indispensabili per governare” (La Repubblica,<br />

25 Gennaio 2011).<br />

“Il discorso del re” è uno di quei rari film che riescono<br />

ad essere estremamente accessibili al grande<br />

pubblico ed estremamente raffinati nella<br />

sostanza come nella confezione. Il tutto grazie alla<br />

capacità – del regista prima e dell’attore protagonista<br />

poi – di aver dato al potere un volto umano, di averlo<br />

reso quotidiano e dunque comprensibile e, perché<br />

no, giustificabile.<br />

La storia è quella di Albert Windsor (il futuro re Giorgio<br />

VI d’Inghilterra, padre dell’attuale regina Elisabetta<br />

II) e della sua grande difficoltà sia ad esprimersi,<br />

poiché soffriva di una grave forma di balbuzie, che<br />

a ricoprire il suo ruolo di leader.<br />

Duca di York e secondogenito dell’energico e amato<br />

re Giorgio V, Albert (Colin Firth), è afflitto fin dall’infanzia<br />

da una grave forma di balbuzie che gli<br />

aliena la considerazione del padre, il favore della<br />

corte e l’affetto del popolo inglese. Secondo nella<br />

linea di successione – primo è quell’Edoardo<br />

Principe di Galles (Guy Pierce) più interessato a<br />

tutelare la sua relazione con l’americana divorziata<br />

Wally Simpson che a regnare – Albert<br />

si troverà più volte costretto suo malgrado<br />

a parlare in pubblico, sull’esempio<br />

del padre che fece dei discorsi<br />

alla radio, medium principe degli<br />

anni Trenta, il suo segno distintivo.<br />

La devozione di Lady Lyon, sua premurosa<br />

moglie (interpretata dalla sempre<br />

eccellente Helena Bonham<br />

Carter), e le tecniche poco convenzionali<br />

di Lionel Logue, logopedista di origine<br />

australiana con la passione per<br />

Shakespeare (l’altrettanto scintillante<br />

Geoffrey Rush), rinforzeranno<br />

la voce del re che, tra spasmi, rilassamenti<br />

muscolari, gorgheggi e<br />

articolazioni più o meno perfette, scalzerà<br />

il fratello, salirà al trono e ispirerà<br />

la sua nazione con il suo discorso<br />

più bello, guidandola contro la<br />

Germania nazista.<br />

Con 14 nomination ai Bafta e 12 candidature<br />

agli Academy Awards (ne<br />

ha poi vinti quattro, n.d.r.), “Il discorso<br />

del Re” si è dimostrato una perfetta<br />

macchina da Oscar, pur riuscendo<br />

ad essere un film apprezzabile<br />

– ed effettivamente apprezzato – anche<br />

dal pubblico più esigente.<br />

Impeccabile, elegante, delicatamente<br />

ironico, a tratti malinconico, il film si affida<br />

ad un impianto narrativo solido. La sceneggiatura,<br />

ma anche la regia e la recitazione, costruiscono<br />

il racconto in modo apparentemente semplice, consentendo<br />

allo spettatore una forte identificazione<br />

emotiva con il re e il suo problema, ma allo stesso<br />

tempo arricchiscono la narrazione di dettagli<br />

quasi subliminali, in modo che anche il pubblico<br />

più esigente e sofisticato possa trovare pane per<br />

i propri denti.<br />

Queste caratteristiche, insieme al ritmo dolce del<br />

racconto e all’appeal che sempre possiedono le<br />

vicende della monarchia britannica di ieri e di oggi,<br />

lo rendono rassicurante, dove rassicurante non vuol<br />

dire banale e meno che mai consolatorio (caratteristica<br />

che sempre più spesso definisce i cosiddetti<br />

“acchiappa-premi”).<br />

Il film, infatti, non indugia mai sul dramma personale<br />

del sovrano né rende il personaggio un santo.<br />

Al contrario, ne mostra l’umanità, condita di irritabilità,<br />

arroganza, snobismo, pur mantenendo,<br />

in ogni scena, una misura e un rigore che sono<br />

la conseguenza di un sapiente lavoro di regia e<br />

di sceneggiatura. Il regista britannico, Tom<br />

Hooper, si concentra sul vissuto interno del protagonista,<br />

rivelando le conseguenze emotive del<br />

disagio nel parlato ai tempi della radio e in assenza<br />

del visivo e, soprattutto, in un contesto storico<br />

drammatico: l’Europa dei totalitarismi, prossima<br />

alle intemperanze strumentali e propagandistiche<br />

di Adolf Hitler.<br />

La regia colta di Hooper mira quasi a creare un<br />

dualismo tra il modo di usare la radio di re Giorgio<br />

VI e l’abilità oratoria del Furher. Mentre il re sensibile<br />

di Colin Firth è impegnato nel tentativo di<br />

dare un corpo alla sua voce quasi inesistente,<br />

il Führer, che intuì precocemente le strategie di<br />

negoziazione tra ascoltatore e oggetto sonoro,<br />

riesce ad istituire un rapporto di credibilità, se non<br />

addirittura di fede, con la voce dall’altoparlante.<br />

Simili riflessioni rendono il film interessante e sottile,<br />

anche se a fargli meritare i tanti premi è stata<br />

senza dubbio la splendida interpretazione di<br />

Colin Firth, attore di robusta formazione teatrale,<br />

con tanti ruoli di media importanza e una moglie<br />

italiana (metà della sua vita, infatti, la trascorre<br />

a Roma e in Umbria). Sorpendente il lavoro che<br />

ha fatto sul personaggio, modificando il suo corpo<br />

– goffo e ingobbito, a dispetto del suo metro<br />

e 85 e del suo fisico atletico – e la sua voce, stridula<br />

e cantilenante. Un motivo in più per vedere<br />

il film in lingua originale.


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