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L'INDICATORE MIRANDOLESE - Comune di Mirandola

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EVENTI<br />

Con quasi 3.000 visitatori in un<br />

mese, è stato un successo oltre ogni<br />

aspettativa quello ha caratterizzato<br />

la mostra “C’era una volta la nostra<br />

scuola”. L’esposizione è stata allestita<br />

nella Sala principale del Castello Pico<br />

<strong>di</strong> <strong>Mirandola</strong> in occasione dei “primi”<br />

cento anni delle Elementari <strong>di</strong> via<br />

Circonvallazione. A visitarla sono<br />

Successo per la mostra sulla scuola<br />

In 3.000 al Castello Pico<br />

per rivedersi sui banchi<br />

LA LETTERA<br />

«Ecco perché meritai la lode<br />

nei patetici anni del Regime»<br />

Ho sotto gli occhi il pieghevole<br />

<strong>di</strong>ffuso per le celebrazioni del primo<br />

centenario della Scuola Elementare<br />

<strong>di</strong> <strong>Mirandola</strong>. E’ stata una gra<strong>di</strong>ta<br />

sorpresa vedere riprodotto il mio<br />

“bigliettino <strong>di</strong> lode”, datomi dalla<br />

maestra Egide Berni Ceretti<br />

nel lontanissimo 1938. Si tratta<br />

<strong>di</strong> un documento superstite<br />

della mia prima<br />

frequenza<br />

scolastica,<br />

salvato da mia<br />

madre e poi da<br />

mia moglie,<br />

che testimonia<br />

un modo <strong>di</strong> far<br />

scuola forse un<br />

po’ patetico e<br />

ingenuo; che<br />

non sembra godere<br />

del favore<br />

delle scienze del- le formazioni attuali,<br />

poiché stimola un certo spirito<br />

<strong>di</strong> emulazione e competitività. Non<br />

credo sia il caso, ora <strong>di</strong> addentrarci<br />

in questi problemi. Ricordo benissimo<br />

la ragione e la circostanza <strong>di</strong><br />

quel premio <strong>di</strong> carta. E questo può<br />

incuriosire. Al mattino la maestra<br />

stati 1.400 alunni <strong>di</strong> 58 classi/sezioni<br />

mirandolesi e non solo. A questi vanno<br />

aggiunti 1.382 visitatori adulti, che<br />

hanno apprezzato i tanti oggetti e le<br />

fotografie della loro giovinezza. La<br />

mostra fotografico-documentaria, che<br />

si è conclusa lo scorso 20 novembre,<br />

raccontava 150 anni <strong>di</strong> scuola mirandolese<br />

attraverso documenti d’archivio,<br />

entra in classe e, dopo l’appello,<br />

<strong>di</strong>ce che in mattinata deve arrivare<br />

un ispettore. Fa le raccomandazioni<br />

opportune e inizia la lezione. Quando<br />

bussano alla porta, entra un signore <strong>di</strong><br />

mezz’età, rotondetto, in abito blu con<br />

don Cesare Boccafoli, allora parroco<br />

a San Martino Carano. Detto tra<br />

parentesi, don<br />

Cesare aveva il<br />

pallino del gioco<br />

delle bocce,<br />

teneva sempre<br />

ben rullato<br />

il terreno <strong>di</strong><br />

gioco presso<br />

la chiesa, perché<br />

era convinto<br />

<strong>di</strong> poter<br />

attirare con<br />

questo passatempo<br />

gli uomini che non<br />

entravano mai in chiesa. L’ispezione<br />

deve accertare il buon insegnamento<br />

della religione nella scuola. L’ispettore<br />

invita la maestra a chiamare un<br />

alunno. Io sono il prescelto. L’ispettore<br />

mi chiede <strong>di</strong> raccontare un episo<strong>di</strong>o<br />

della vita <strong>di</strong> Gesù e io racconto il<br />

miracolo della risurrezione <strong>di</strong> Laz-<br />

arre<strong>di</strong> del passato, decine <strong>di</strong> fotografie<br />

ed era arricchita da un documentario<br />

realizzato da Sergio Piccinini e Silvia<br />

Golinelli, con interviste sui ricor<strong>di</strong><br />

della scuola <strong>di</strong> un tempo. La mostra<br />

si è anche trasformata in un set per le<br />

riprese <strong>di</strong> un cortometraggio girato per<br />

la Scuola dal maestro Milo Dotti, che<br />

parteciperà ad un concorso nazionale.<br />

zaro. Probabilmente parlo in modo<br />

abbastanza appropriato, nonostante<br />

le abitu<strong>di</strong>ni <strong>di</strong>alettali <strong>di</strong> noi fanciulli<br />

<strong>di</strong> via Montanari. Concludo con<br />

enfasi, pronunciando queste testuali<br />

parole apprese a memoria dal libro<br />

<strong>di</strong> testo: «E Lazzaro uscì dalla tomba<br />

tutto fasciato, come era in suo presso<br />

gli ebrei». Per me è una espressione<br />

misteriosa, enigmatica non capisco<br />

proprio cosa vuol <strong>di</strong>re: «come era<br />

in uso presso…». Ma è scritta sul<br />

libro ed è senz’altro qualcosa <strong>di</strong><br />

importante. Don Boccafoli mi <strong>di</strong>ce:<br />

«Bravo!» e rivolto all’ispettore:<br />

«An<strong>di</strong>amo, an<strong>di</strong>amo, qui la religione<br />

la insegnano bene». La maestra mi<br />

<strong>di</strong>ce che è molto orgogliosa <strong>di</strong> me.<br />

Insomma, l’onorificenza <strong>di</strong> carta è<br />

ben meritata dal “figlio della lupa”<br />

che sono. A proposito del figlio della<br />

lupa, proprio in quel periodo, mia<br />

zia Pia, un tipo ridanciano, sorella<br />

<strong>di</strong> mio padre, che tiene allegre le<br />

vie Montanari e Castelfidardo, <strong>di</strong>ce<br />

in giro: «Me fiòl a scòla l’a <strong>di</strong>t ca<br />

sòn na vàca!». Le amiche ridono<br />

incredule, con un’alzata <strong>di</strong> spalle.<br />

«No, l’è propria vèra. Al se sbaglià,<br />

inveci ad <strong>di</strong>r sono il figlio della lupa,<br />

la <strong>di</strong>t: sono il figlio della mucca Malagoli<br />

Mario». Un modo popolare <strong>di</strong><br />

demolire la retorica fascista ispirata<br />

all’antica Roma. Con i miei migliori<br />

saluti e a rivederci in <strong>Mirandola</strong> al<br />

mio prossimo libro.<br />

REMO RINALDI<br />

1935/36 .<br />

Com’era la scuola?<br />

«La scuola era vecchia,<br />

ma c’era già il termosifone.<br />

La maestra<br />

ci <strong>di</strong>ceva <strong>di</strong> non andarci<br />

troppo vicino con la<br />

schiena, anche se avevamo<br />

freddo, perché dopo<br />

saremmo state male.<br />

Davanti c’erano cinque<br />

porte: due a sinistra per<br />

l’entrata a scuola dei maschi, due a<br />

destra per le femmine e quella in mezzo<br />

per la Direzione. C’erano due scale<br />

grigie che portavano al primo piano, in<br />

cui erano collocate le classi 1°, 2° e 3°.<br />

Al secondo piano c’erano le classi 4° e<br />

5°. Io mi sono tanto “stimata” quando<br />

ho iniziato a frequentare la scuola al<br />

secondo piano perché significava che<br />

ero “grande”».<br />

Com’era arredata l’aula?<br />

«C’erano la lavagna con i pie<strong>di</strong>,<br />

la cattedra con sotto la pedana che la<br />

rialzava, i banchi <strong>di</strong> legno “a due”con<br />

i seggiolini attaccati e con il calamaio.<br />

Sul muro c’erano il crocefisso, la fotografia<br />

del re, la fotografia del duce<br />

e anche quella <strong>di</strong> donna Rachele, sua<br />

moglie. C’era anche una piantina <strong>di</strong><br />

<strong>Mirandola</strong> con le sue frazioni tanto<br />

grande che arrivava fino al soffitto<br />

così la vedevano anche le bambine che<br />

stavano negli ultimi banchi e c’era il<br />

termosifone caldo».<br />

Portavi il grembiule?<br />

«Sì, certo. In 1°, 2° e 3° portavo<br />

un grembiule nero, poi in 4° e 5° un<br />

grembiule bianco. Le scuole sono state<br />

chiuse il 10 giugno del 1940 quando è<br />

iniziata la guerra e poi anche dopo per<br />

via dei bombardamenti. Io, però, ho<br />

fatto in tempo a finire la 5° prima che<br />

le chiudessero. Dopo le hanno riaperte<br />

così mia sorella Isabella è andata a<br />

scuola nel 1945».<br />

Com’erano la tua cartella, l’astuccio<br />

e le penne?<br />

«Avevo una cartella <strong>di</strong> cartone, un<br />

astuccio <strong>di</strong> legno con il portapenne,<br />

una scatola <strong>di</strong> cartone con sei colori.<br />

Altre bimbe ne avevano <strong>di</strong> più, ma io<br />

ne avevo solo sei».<br />

Quanti libri avevi?<br />

«Il libro <strong>di</strong> lettura in 1° e 2° e<br />

dopo anche il libro <strong>di</strong> storia, geografia<br />

e scienze. Avevo due quaderni, uno a<br />

righe e uno a quadretti. Nell’arma<strong>di</strong>o<br />

della maestra c’erano anche i nostri<br />

quaderni <strong>di</strong> bella scrittura. I quaderni ce<br />

li passavano, <strong>di</strong>eci ogni anno. Io avevo<br />

la tessera da Piccola Italiana anche se<br />

mia mamma Armanda non l’avrebbe<br />

L’INTERVISTA<br />

C’era una volta<br />

la nostra Scuola<br />

A CURA DI SILVIA GOLINELLI<br />

n. 23 - <strong>di</strong>cembre 2011 · 25<br />

Prosegue la rubrica <strong>di</strong> ricor<strong>di</strong> sulla scuola, con testimonianze ine<strong>di</strong>te<br />

raccolte dal gruppo <strong>di</strong> lavoro che ha realizzato il libro e la mostra sui 100<br />

anni dell'e<strong>di</strong>ficio delle Elementari "Alighieri". Dopo Reovaldo Molinari, è la<br />

volta <strong>di</strong> Dina Golinelli (foto sotto), alunna della classe 1^ nell'anno scolastico<br />

voluta».<br />

Quanti eravate<br />

in classe? Le classi<br />

erano miste? C’erano<br />

compagni molto più<br />

gran<strong>di</strong>?<br />

«In classe siamo<br />

state fino a 44 femmine.<br />

Non c’erano classi miste,<br />

non si poteva. C’era<br />

anche una bidella per le<br />

femmine e un bidello<br />

per i maschi. C’erano molte ripetenti in<br />

classe, anche molto più gran<strong>di</strong>».<br />

Come si svolgeva la ricreazione?<br />

«Io portavo da casa una mela da<br />

mangiare e poi davano ai poveri la<br />

pagnotta <strong>di</strong> pane nero. Poi ci davano da<br />

bere l’olio <strong>di</strong> merluzzo in un cucchiaio<br />

portato da casa (mia mamma mi aveva<br />

dato un cucchiaione, il più grosso che<br />

c’era a casa), incartato, insieme con<br />

alcune mentine da mangiare dopo averlo<br />

bevuto. Com’era <strong>di</strong>sgustoso quell’olio<br />

unto che sapeva <strong>di</strong> pesce! Dopo a me e<br />

a mio fratello Fernando, che aveva lo<br />

stomaco delicato, hanno dato un’emulsione<br />

<strong>di</strong> pesce che era più buona. Noi<br />

eravamo tanto poveri! Mio padre Edoardo<br />

mi portava a scuola in braccio<br />

in inverno perché io avevo solo delle<br />

scarpe <strong>di</strong> stoffa e non potevo andare sulla<br />

neve. C’era tanta neve! Mio fratello<br />

Fernando, invece, aveva gli zoccoli <strong>di</strong><br />

legno e poteva andare a scuola a pie<strong>di</strong>.<br />

Era il <strong>Comune</strong> che dava gli zoccoli ai<br />

poveri insieme al pane nero. Si andava<br />

a prenderli dal “suclar”».<br />

Com’era la tua maestra?<br />

«La mia maestra era “in gamba”.<br />

Se una non era brava dava anche 0 o<br />

picchiava le <strong>di</strong>ta con la bacchetta. Se<br />

una era brava, invece, dava anche 10<br />

e lode. Io ero brava nei problemi. Un<br />

anno, invece dei voti, c’era 1°, 2° e<br />

3°, un altro anno “bene”. Molte bimbe<br />

avevano i pidocchi».<br />

Ti ricor<strong>di</strong> qualche avvenimento<br />

particolare?<br />

«Non c’erano feste a scuola. C’era il<br />

refettorio e, quando in inverno si faceva<br />

tutta la giornata a scuola, a pranzo ci<br />

davano da mangiare la minestra con<br />

i fagioli. Io stavo volentieri a scuola<br />

perché a casa avevo solo delle patate<br />

(abbiamo mangiato sei quintali <strong>di</strong> patate<br />

durante la guerra!) e qualche mela<br />

campanina. Il pane, un filoncino in tanti,<br />

lo lasciavamo a Isabella, la mia sorella<br />

più piccola. Mio fratello Fernando, che<br />

aveva lo stomaco delicato, preferiva<br />

invece, andare a casa a pranzo».

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