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1 CENSIMENTO DELLE AREE IN DISSESTO DA FRANA 1.1 Criteri ...

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1 <strong>CENSIMENTO</strong> <strong>DELLE</strong> <strong>AREE</strong> <strong>IN</strong> <strong>DISSESTO</strong> <strong>DA</strong> <strong>FRANA</strong><br />

<strong>1.1</strong> <strong>Criteri</strong> di classificazione e perimetrazione dei dissesti<br />

In letteratura esistono diversi criteri di classificazione delle frane. Nel presente rapporto, a<br />

livello di nomenclatura è stato seguito il Dizionario Internazionale delle frane (WP/WLI, 1990;<br />

1991;1992), mentre per la classificazione dei movimenti si è adottato il criterio di CRUDEN &<br />

VARNES (1996), considerato uno standard a livello internazionale (Figura 1).<br />

Figura 1: Fondamentali tipi di frana: 1. crollo; 2. ribaltamento; 3. scivolamento; 4. espansione; 5. colamento.<br />

Come criterio generale la mappatura delle aree in dissesto è stata eseguita nell’ottica della<br />

produzione di una carta della pericolosità, seguendo, in parte, i criteri di perimetrazione individuati<br />

nell’allegato 2 alle NTA del Piano di Bacino del fiume Arno – Stralcio Assetto Idrogeologico. Per<br />

tale motivo il censimento dei dissesti da frana è un elaborato scarno dal punto di vista<br />

geomorfologico: essa tende infatti a semplificare le geometrie, ad esempio evitando di introdurre<br />

una differenziazione fra scarpate principali e secondarie e preferendo definire un’area in dissesto<br />

complessiva e concentrare l’attenzione sulla caratterizzazione dei dissesti. Parallelamente alle<br />

attività di riconoscimento e di mappatura delle frane, ne è stata infatti condotta un’altra volta alla<br />

caratterizzazione di queste ultime a livello di tipologia e di stato di attività, attenendosi a quanto<br />

proposto da WP/WLI (1993) (Figura 2).<br />

Per quanto riguarda la tipologia dei dissesti mappati, la classificazione utilizzata è scaturita<br />

dall’integrazione delle tipologie di fenomeni franosi adottate nella classificazione di CRUDEN &<br />

VARNES (1996) con altri dissesti di versante ovvero i soliflussi e la franosità diffusa. Con questo<br />

ultimo termine ci si riferisce a zone di dissesto generalizzate all’interno delle quali esistono più<br />

fenomeni distinti, anche di piccole dimensioni, non spazialmente delimitabili. La classificazione<br />

adottata è riportata in Tabella 1.<br />

Nella fase di attribuzione dello stato di attività sono state ovviamente considerate le<br />

limitazioni imposte dalla scala e dalla data di realizzazione dei voli aerei e dei documenti


cartografici che di volta in volta venivano presi in esame. Tenendo presenti tali limitazioni, il<br />

rilevamento geomorfologico della attività è stato principalmente imperniato sul riconoscimento, da<br />

foto aerea e di campagna, della “freschezza” delle tracce di attivazione dei disseti, seguendo in linea<br />

generale i criteri proposti da CROZIER (1984) e riportati in Tabella 2.<br />

Figura 2: Stato di attività di una frana (WP/WLI, 1993): 1. attivo; 2. sospeso; 3. riattivato - Inattivo s.l.: 5.<br />

quiescente; 6. naturalmente stabilizzato; 7. artificialmente stabilizzato; 8. relitto.<br />

Tipologia<br />

Frane sensu strictu( Cruden & Varnes, 1996)<br />

• Scivolamenti<br />

• Crolli<br />

• Colate<br />

Altri dissesti di versante<br />

• Soliflussi<br />

• Franosità diffusa<br />

Stato di attività<br />

Cruden & Varnes (1996)<br />

• Attivo<br />

• Inattivo<br />

• Quiescente<br />

• Naturalmente stabilizzato<br />

• Artificialmente stabilizzato<br />

Tabella 1: Classificazione della tipologia e dello stato di attività dei dissesti franosi utilizzata per la realizzazione<br />

del censimento.


Attivo<br />

Inattivo quiescente<br />

Scarpate, terrazzi e crepacci con bordi netti Scarpate, terrazzi e crepacci con bordi<br />

arrotondati<br />

Crepacci e depressioni privi di riempimento Crepacci e depressioni con riempimento<br />

secondario<br />

secondario<br />

Movimenti di massa secondari sulle scarpate Nessun movimento di massa secondario<br />

sulle scarpate<br />

Strie fresche sulla superficie di rottura e i Strie assenti o degradate sulla superficie di<br />

piani di taglio marginali<br />

rottura e i piani di taglio marginali<br />

Superfici di frattura fresche sui blocchi Superfici di frattura degradate sui blocchi<br />

Sistema di drenaggio sconvolto. numerosi Sistema di drenaggio integro<br />

ristagni d'acqua e depressioni a drenaggio<br />

interno<br />

Creste di pressione a contatto con i margini Fessure marginali e argini abbandonati<br />

di scorrimento<br />

Assenza di sviluppo di suolo sulle<br />

Sviluppo di suolo sulle esposizioni della<br />

esposizioni della superficie di rottura superficie di rottura<br />

Presenza di vegetazione a crescita rapida Nessuna differenza di vegetazione nelle<br />

zone interne ed esterne alla frana<br />

Differenza netta di vegetazione nelle zone Alberi inclinati con ricrescita verticale sul<br />

interne ed esterne alla frana<br />

tronco inclinato<br />

Alberi inclinati senza ricrescita verticale Presenza di vegetazione a crescita lenta<br />

Tabella 2: Riconoscimento dello stato di attività delle frane (Crozier, 1984).


1.2 Acquisizione dei dati e loro informatizzazione<br />

1.2.1 Ricerche bibliografiche<br />

La mappatura della franosità intesa secondo diverse accezioni, da quelle più strettamente<br />

descrittive, di contenuto essenzialmente geomorfologico, a quelle che contemplano un maggior<br />

grado interpretativo, come gli studi che prendono in esame la pericolosità da frana, è un’attività<br />

portata avanti da almeno un ventennio sia dalla comunità scientifica che dalle pubbliche<br />

amministrazioni. I risultati di tali attività, pubblicati sotto forma di elaborati grafici di supporto alla<br />

pianificazione territoriale, si sono rivelati spesso pregevoli per il livello di dettaglio raggiunto<br />

nell’interpretazione dei dissesti.<br />

In questa fase della ricerca sono stati pertanto acquisiti tutti i documenti inerenti alla tematica<br />

delle frane pubblicati dagli Enti preposti alla tutela del territorio (Tabella 3) e una grande quantità di<br />

dati pregressi resi disponibili da istituzioni di ricerca e liberi professionisti. Tutti i dati raccolti sono<br />

informatizzati, previa selezione eseguita in funzione del loro contenuto in termini di contributo<br />

scientifico e di livello di qualità e di aggiornamento dei dati ivi riportati. A tal proposito è<br />

opportuno sottolineare che il rilevamento è coinciso nella maggior parte dei casi con quello di<br />

redazione dei Piani Strutturali dei Comuni della Regione Toscana ai sensi della L.R. 01/05. In virtù<br />

di tale circostanza, il quadro conoscitivo della franosità messo a punto dalle amministrazioni<br />

comunali si è arricchito di studi e di elaborati eseguiti ad hoc.<br />

Numerose sono state le differenze riscontrate tra i vari documenti reperiti, relative a tipologia,<br />

formato, anno di realizzazione, legenda, qualità. Si può dunque affermare che uno dei punti più<br />

complessi e delicati del lavoro è stato rappresentato dall’opera di omogeneizzazione delle banchedati,<br />

non solo in termini di aderenza ad una legenda standard concordata, ma anche in termini di<br />

applicazione all’intero territorio del bacino dei medesimi criteri di completezza, precisione e grado<br />

di aggiornamento.<br />

I documenti reperiti in formato cartaceo sono stati sottoposti a scansione elettronica, a<br />

georeferenziazione e a digitalizzazione degli elementi di interesse; i dati digitali acquisiti in Gauss-<br />

Boaga sono stati convertiti in UTM ED50, che rappresenta il sistema di riferimento prescelto per la<br />

realizzazione e la presentazione della banca dati dei dissesti. Poiché ogni passaggio/conversione<br />

comporta l’inserimento di errori, successivamente ad ognuna di queste operazioni è stato effettuato<br />

un lavoro di controllo volto alla corretta ubicazione geografica dei dati pregressi acquisiti, il più<br />

possibile fedele al documento originario, per poi avviare le attività di revisione, aggiornamento e<br />

integrazione dei dati stessi.


Documento Anno Contenuto Ente<br />

Banca dati<br />

censimento frane<br />

1996 347 frane censite nel bacino dell’Arno Autorità di Bacino<br />

dell’Arno;<br />

Progetto CNR-AVI<br />

“Aree vulnerate<br />

italiane”<br />

Banca dati<br />

censimento frane<br />

con perimetrazioni<br />

Banca dati del<br />

Piano Straordinario<br />

per la rimozione<br />

delle situazioni a<br />

rischio da frana più<br />

alto<br />

Progetto CNR-<br />

GNDCI SCAI<br />

“Studio dei Centri<br />

Abitati Instabili”<br />

Archivio evento<br />

1996 Oltre 18.000 frane censite su tutto il<br />

territorio nazionale, di cui 228 ricadenti<br />

nel Bacino dell’Arno.<br />

1999 Perimetrazione di oltre 225 frane a<br />

rischio R3 e R4 nei bacini del Fiume<br />

Arno e fiume Serchio ai sensi della L.<br />

267/98, di cui 154 ricadenti nel bacino<br />

dell’Arno. Aggiornamento banca dati<br />

ed omogeneizzazione dei record censiti<br />

nei bacini dell’Arno e del Serchio, per<br />

un totale di 2303 censiti puntualmente<br />

1999-<br />

2001<br />

2000-2001<br />

PAI 2001-<br />

2002<br />

Quadro conoscitivo<br />

Piani Strutturali e<br />

PRG<br />

e schedati.<br />

Verifica e perimetrazione di 43<br />

movimenti franosi a maggior rischio<br />

nel bacino dell’Arno.<br />

2000 48 centri abitati instabili cartografati<br />

sul territorio della Regione Toscana, di<br />

cui 12 ricadenti all’interno del bacino<br />

dell’Arno.<br />

2002 Localizzazione di 108 frane verificatesi<br />

1994-<br />

2002<br />

nel periodo Nov. 2000-Gen. 2001.<br />

Omogeneizzazione, sintesi ed<br />

interpretazione delle informazioni<br />

contenute nei PTC e nelle banche dati<br />

dell’AdB.<br />

Cartografia geomorfologica relativa a<br />

circa il 15% dell’area del bacino.<br />

Tabella 3: Elenco dei documenti e dei dati esistenti.<br />

DST-UNIFI<br />

CNR – GNDCI<br />

Autorità di Bacino<br />

dell’Arno;<br />

UNISI, UNIFI,<br />

UNIPI<br />

Autorità di Bacino<br />

dell’Arno<br />

Regione Toscana;<br />

DST – UNIFI; DST-<br />

UNISI; DST-UNIPI<br />

Autorità di Bacino<br />

dell’Arno<br />

Autorità di Bacino<br />

dell’Arno<br />

Autorità di Bacino<br />

dell’Arno, Regione<br />

Toscana, Comuni,<br />

Ordine dei Geologi


1.2.2 Fotointerpretazione<br />

Per la fotointerpretazione sono stati utilizzati i voli messi a disposizione dall’Autorità di<br />

Bacino dell’Arno (Volo 1993 relativo all’asta principale del Fiume Arno, Volo 1995 con copertura<br />

estesa a tutti gli affluenti del Fiume Arno). Le aree escluse dai voli dell’Autorità di Bacino sono<br />

state coperte da voli della Regione Toscana.<br />

La fotointerpretazione è stata effettuata privilegiando le riprese avvenute in data più recente e<br />

a più bassa quota. I risultati della fotointerpretazione sono stati informatizzati mediante il software<br />

ARCGIS (ESRI), utilizzando come supporto cartografico i fotopiani digitali commissionati nel<br />

1996 per scopi fotointerpretativi da A.I.M.A (Agenzia Interventi Ministeriali in Agricoltura). Si è<br />

scelto di seguire questa modalità operativa principalmente per due motivazioni:<br />

a) il riporto dei risultati della fotointerpretazione appare facilitato se eseguito su un fotopiano<br />

rispetto a quanto sarebbe possibile ottenere mediante il tradizionale riporto a video su CTR raster;<br />

b) scaturisce la possibilità di affiancare alla restituzione cartografica un confronto fra riprese<br />

aerofotogrammetriche eseguite in anni diversi; infatti, seguendo il tipo di approccio proposto da<br />

CANUTI et al. (1979), sono state raccolte indicazioni multitemporali sull’evoluzione dei dissesti,<br />

cercando di determinarne in modo più corretto lo stato e, ove possibile, la distribuzione di attività.<br />

In una seconda fase è stato effettuato il riporto sulle tavolette CTR della Regione Toscana<br />

opportunamente rasterizzate.<br />

L’utilizzo combinato delle ortofoto Aima e delle CTR ha permesso di riconoscere a video<br />

evidenze morfologiche e topografiche riconducibili alla presenza di dissesti. Per esempio, la<br />

variazione della forma delle curve di livello da concava a convessa lungo il versante può indicare la<br />

presenza rispettivamente della zona di distacco e della zona di accumulo del corpo di frana (Figura<br />

3). Nelle situazioni più incerte una ulteriore conferma può essere fornita anche dalla carta<br />

litotecnica, dato che alcune litologie risultano in modo ricorrente associate a specifiche tipologie di<br />

fenomeno franoso (Figura 4).


Figura 3: Mappatura di un dissesto da frana utilizzando CTR e ortofoto AIMA.<br />

Figura 4: Mappatura di un dissesto da frana utilizzando CTR, ortofoto AIMA e carta litotecnica.


1.2.3 Indagini di campagna<br />

I sopralluoghi sono stati funzionali alla validazione di campagna di quanto interpretato da foto<br />

aerea, con particolare riferimento alla determinazione della tipologia e dello stato di attività dei<br />

dissesti. In linea di principio è stato eseguito un sopralluogo per ogni Comune ricadente nel Bacino<br />

dell’Arno, con controllo a campione sulle frane censite. In particolare sono state privilegiate le zone<br />

con più alta densità di dissesti, più difficili da interpretare sulla esclusiva base di foto aeree.


1.3 Dati telerilevati<br />

1.3.1 Immagini radar ad apertura sintetica (SAR)<br />

Le immagini radar (RAdio Detecting And Ranging,) vengono prodotte da sensori attivi che<br />

trasmettono un segnale nel campo delle microonde. L’onda riflessa dallo scenario illuminato torna<br />

verso la sorgente, dove viene registrata in fase e in ampiezza. Dal ritardo temporale tra l’istante di<br />

trasmissione e quello di ricezione, il sensore riesce a valutare la distanza alla quale è posizionato il<br />

bersaglio, localizzandolo in modo preciso lungo la direzione di puntamento dell’antenna.<br />

I sistemi radar ad apertura sintetica (SAR) forniscono immagini elettromagnetiche (a<br />

frequenze comprese tra 500 MHz e 10 GHZ) della superficie terrestre con risoluzione spaziale di<br />

alcune decine di metri. Rispetto ai più noti sistemi ottici operano con continuità, potendo acquisire<br />

dati in presenza di copertura nuvolosa e sia di giorno che di notte.<br />

Nel maggio 1991 l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) lanciò il primo SAR europeo a bordo del<br />

satellite ERS-1. Nel 1995 venne lanciato ERS-2, gemello di ERS-1 e posto sulla stessa orbita ma<br />

con un ritardo di un giorno. Per vaste aree del pianeta sono così disponibili dati di archivio composti<br />

da un’immagine radar ogni 35 giorni. Nel 2002 ESA ha lanciato un altro satellite, ENVISAT, che<br />

orbita intorno alla terra con un periodo di 100 minuti.<br />

Questi satelliti seguono orbite elio-sincrone lievemente inclinate rispetto ai meridiani,<br />

illuminando, da una quota attorno a 780 km, una striscia di terreno larga circa 100 km con un<br />

sistema SAR operante nel dominio delle microonde alla frequenza di 5.3 GHz per i satelliti ERS-1/2<br />

e 5.331 GHz per il satellite ENVISAT, ovvero con una lunghezza d’onda rispettivamente pari a<br />

5.66 cm e 5.63 cm, caratteristica fondamentale per poter apprezzare movimenti millimetrici.<br />

La componente tra la distanza delle due orbite normale alle direzioni della linea di vista del<br />

satellite nelle due acquisizioni, viene chiamata baseline normale, mentre l’intervallo di tempo fra le<br />

due acquisizioni viene chiamato baseline temporale.<br />

L’utilizzo del contenuto di fase delle immagini SAR permette di ottenere misure di<br />

spostamento del terreno, tramite la tecnica dell’interferometria radar, con la quale è possibile<br />

ricostruire la storia delle deformazioni.<br />

Le immagini radar vengono acquisite secondo due differenti geometrie di vista, a causa del<br />

movimento di rotazione della terra intorno al proprio asse, con angolo d’incidenza locale dell’onda<br />

elettromagnetica, per entrambi i casi, mediamente di circa 23° rispetto alla verticale. In particolare<br />

le due geometrie di vista sono (Figura 5):<br />

• satellite in orbita ascendente con direzione sensore-bersaglio diretta verso E;<br />

• satellite in orbita discendente con direzione sensore-bersaglio diretta verso W.


Acquisizioni lungo orbite<br />

ascendenti<br />

Acquisizioni lungo orbite<br />

discendenti<br />

Direzione di<br />

movimento del<br />

satellite<br />

N<br />

81.5°<br />

N<br />

Line of Sight<br />

Line of Sight<br />

278.5°<br />

Direzione di<br />

movimento del<br />

satellite<br />

Figura 5: Schema relativo alla proiezione planimetrica della linea di vista dei satelliti.<br />

1.3.2 Interferometria differenziale (DInSAR)<br />

La tecnica tradizionale per lo studio dei dati SAR è l’interferometria differenziale (DInSAR),<br />

consistente nell’analisi della variazione del valore di fase tra due distinte acquisizioni (MASSONET<br />

& FLEIG, 1998; ROSEN et al., 2000).<br />

Il valore di fase dipende dalla riflettività del bersaglio, dalla presenza dell’atmosfera, dalla<br />

distanza sensore-bersaglio e dal rumore proprio del sistema di acquisizione.Se si hanno a<br />

disposizione due acquisizioni relative alla stessa area e registrate sulla stessa griglia di riferimento,<br />

è possibile generare un interferogramma.<br />

L’interpretazione degli interferogrammi è notevolmente complicata da fenomeni di<br />

decorrelazione, sia temporale (se le acquisizioni sono separate da un consistente gap temporale) che<br />

geometrica, quest’ultima legata alla distanza tra le orbite reali del satellite in corrispondenza delle<br />

singole acquisizioni. La variabilità atmosferica e la vegetazione, influenzabile dal vento e di diverso<br />

aspetto a seconda della stagione, sono ulteriori fonti di degrado dell’interferogramma.<br />

1.3.3 Tecnica dei Permanent Scatterers (PS)<br />

Le difficoltà associate alla tecnica DInSAR, connesse ai fenomeni di decorrelazione e al<br />

contributo atmosferico di fase, sono elementi di disturbo che generano effetti spesso difficili da<br />

isolare e da distinguere dai movimenti del terreno. Tali problemi sono stati risolti con la tecnica dei<br />

diffusori permanenti (Permanent Scatterers: PS), costituiti da un limitato sottoinsieme di bersagli<br />

radar praticamente immuni da effetti di decorrelazione (FERRETTI et al., 2001; COLESANTI et<br />

al., 2003).<br />

Come accennato nell’introduzione, la realizzazione del censimento delle aree in dissesto da<br />

frana ha potuto beneficiare dei risultati del progetto ESA SLAM (Service for Landslide<br />

Management) (DUP) nel corso del quale è stata realizzata la copertura dell’intero bacino idrografico<br />

con la tecnica PS.


L’elaborazione di una sequenza multitemporale di immagini radar permette di identificare<br />

elementi riflettenti presenti sul terreno, i PS, la cui velocità media annuale nell’intervallo di tempo<br />

analizzato, viene stimata attraverso una procedura automatica, messa a punto dal Politecnico di<br />

Milano. La procedura di elaborazione ipotizza un modello lineare di deformazione nel tempo,<br />

fornendo misure di velocità lineare.<br />

In particolare, per selezionare l’insieme dei PS, viene condotta un’analisi multi-immagine<br />

sull’intero dataset disponibile, che deve contenere almeno 25-30 immagini. I PS mantengono la<br />

stessa “firma elettromagnetica” in tutte le immagini, al variare della geometria di acquisizione e<br />

delle condizioni climatiche, preservando l’informazione di fase nel tempo.<br />

I PS coincidono tipicamente con parti di edifici, strutture metalliche, rocce esposte, in<br />

generale elementi già presenti al suolo, le cui caratteristiche elettromagnetiche non variano<br />

sensibilmente di acquisizione in acquisizione; questo non accade invece alla vegetazione, il cui<br />

aspetto muta di continuo.<br />

L’elaborazione PS consiste quindi in uno studio statistico delle immagini radar e segna un<br />

passaggio da un’analisi per coppie di immagini, tipica dell’interferometria differenziale classica<br />

(DInSAR), ad un’analisi multi-immagine dell’intero dataset disponibile sull’area di interesse.<br />

In corrispondenza dei PS è possibile stimare e rimuovere il disturbo atmosferico, utilizzando<br />

le serie storiche delle acquisizioni, e isolare il contributo dovuto a possibili deformazioni<br />

superficiali. Più precisamente, una volta stimato il contributo atmosferico, vengono individuate tutte<br />

le componenti che costituiscono la fase interferometrica, eliminati i termini spuri e isolato il termine<br />

che descrive la variazione di cammino ottico dell’onda elettromagnetica nelle varie acquisizioni,<br />

cioè il movimento del “bersaglio” nell’arco temporale tra il primo e l’ultimo dato disponibile.<br />

Si può immaginare la griglia dei PS come una sorta di rete di stazioni GPS (Global<br />

Positioning System) “naturali” per il monitoraggio di vaste aree di interesse, con una frequenza di<br />

aggiornamento del dato mensile e con una densità spaziale di punti di misura estremamente elevata<br />

(in aree urbane fino a 100-400 PS/km 2 ).<br />

Per eseguire stime accurate dei disturbi atmosferici è necessario che la densità spaziale dei PS<br />

sia sufficientemente elevata (maggiore di 5-10 PS/km 2 ), vincolo sempre verificato in aree urbane,<br />

ed utilizzare per l’analisi dataset di almeno 25-30 immagini.<br />

Per ogni singolo PS si ricavano la posizione (le sue coordinate geografiche: latitudine,<br />

longitudine, altezza) il trend medio di deformazione, con un’accuratezza compresa tra 0.1 e 1<br />

mm/anno, e l’intera serie temporale di deformazione (in questo caso la precisione arriva a 1 mm su<br />

ogni singola misura, per i PS migliori, ed è tale da far apprezzare fenomeni di dilatazione termica<br />

stagionale di singole strutture).<br />

La precisione è funzione del numero di immagini e della “qualità” del PS stesso, cioè di<br />

quanto l’informazione di fase del PS sia immune dai fenomeni di disturbo.<br />

Tutte le misure sono rilevate lungo la congiungente sensore-bersaglio (LOS, Line of Sight), e<br />

sono di tipo differenziale, ottenute dopo avere determinato un puntio di riferimento a terra, stabile e<br />

di coordinate note, detto reference point (indicato come tale ad esempio da misure GPS o di<br />

livellazione ottica). Le velocità fornite dai PS sono pertanto velocità relative e non assolute,<br />

determinate rispetto al reference point.<br />

Per visualizzare i risultati, è possibile rappresentare il trend medio di spostamento su un<br />

qualsiasi supporto che aiuti un’interpretazione e una geo-localizzazione dei fenomeni in atto. A tal


fine risulta ottimale operare in ambiente GIS, dove l’utente può selezionare il layer ( es. topografia,<br />

foto aerea, immagine ottica, litologia, uso del suolo, etc.) più opportuno per interpretare<br />

correttamente l’informazione PS e per estrapolarla spazialmente.<br />

La tecnica permette di ottenere misure estremamente precise delle deformazioni del terreno su<br />

singoli capisaldi radar in remoto e di monitorare con frequenza mensile vaste porzioni di territorio,<br />

rendendo quindi i dati PS estremamente utili per il monitoraggio e la mappatura dei movimenti di<br />

versante.<br />

Le informazioni ottenibili con questo tipo di dato, che grazie all’automatismo<br />

dell’elaborazione che lo produce e all’ottimizzazione dei tempi di calcolo bene si presta ad<br />

un’applicazione su area vasta, riguardano prevalentemente la quantificazione dei tassi di<br />

deformazione di aree instabili già conosciute, l’eventuale variazione dei limiti di tali aree e<br />

l’identificazione di nuove aree in dissesto da frana con la conseguente quantificazione dei tassi di<br />

deformazione.<br />

A causa delle caratteristiche intrinseche dell’informazione PS (quali la misura della<br />

componente di spostamento lungo la linea di vista del satellite e non dell’intero vettore<br />

spostamento, la possibilità di misurare solo movimenti superficiali e l’informazione puntuale non<br />

distribuita con continuità nello spazio) è necessario affiancare i dati provenienti dall’analisi PS con<br />

metodologie tradizionali ed una serie di dati ancillari di supporto. Affiancare quindi ai dati PS<br />

l’analisi di immagini satellitari e foto aeree di dettaglio permette di estendere spazialmente<br />

l’informazione puntuale dei capisaldi radar.<br />

A differenza di fenomeni interessati da movimenti verticali, nel caso di frane, i PS che sono<br />

sullo stesso versante ma derivati da orbite diverse (ascendente e discendente) possono avere delle<br />

notevoli differenze nel tasso di deformazione a causa della diversa linea di vista del satellite. E’<br />

necessario pertanto mantenere separati i dataset PS relativi alle due diverse geometrie e procedere<br />

ad un’interpretazione distinta delle elaborazioni ottenute con le immagini discendenti ed ascedenti<br />

(cfr. Figura 5).<br />

1.3.4 Vantaggi e limiti della tecnica PS<br />

I punti di forza della tecnica PS, rispetto ad un’analisi DInSAR convenzionale, consistono<br />

principalmente nella possibilità di valutare e rimuovere dal segnale i contributi di disturbo<br />

atmosferico e di ottenere stime puntuali, e nella maggiore accuratezza delle misure (sino al<br />

millimetro su singola misura).<br />

In particolare i principali vantaggi della tecnica possono essere così riassunti:<br />

1. possibilità di elaborare l’intero archivio storico di immagini radar ERS/ESA (dal 1992), da cui<br />

la possibilità di indagare i fenomeni di disseto attivi o riattivati in questo arco temporale,<br />

fornendo informazioni quantitative sulla probabilità di occorrenza e sui tempi di ritorno degli<br />

eventi, dato di fondamentale importanza per le indagini geologiche di pericolosità;<br />

2. misure differenziali, con accuratezza elevata sul trend di deformazione (velocità media PS fino a<br />

0.1 mm/anno) e sulla singola misura (spostamento verticale PS fino a 1 mm e spostamento estovest<br />

fino a 1 cm con utilizzo congiunto dei dataset ascendente e discendente);<br />

3. elevata densità spaziale di capisaldi radar (in area urbana fino a circa 400 PS/km2), già presenti<br />

sul territorio;


4. abbattimento dei costi e dei tempi di indagine per la zonazione del territorio, su larga scala;<br />

5. integrabilità in ambiente GIS;<br />

6. applicazioni sinergiche con altre tecniche di rilevamento (es. interferometria differenziale<br />

DInSAR, interpretazione immagini ottiche, etc.) ;<br />

7. accuratezza delle misure in direzione verticale superiore rispetto alla tecnica GPS.<br />

È importante sottolineare anche i limiti della tecnica PS: la facoltà di apprezzare deformazioni<br />

solo lungo la direzione di LOS, cioè approssimativamente lungo la verticale (salvo il caso di analisi<br />

ad hoc, con diverse geometrie di acquisizione) e il fatto che per portare a termine con successo<br />

un’analisi PS sia necessario che l’area oggetto di studio presenti una densità sufficiente di diffusori<br />

permanenti (quantomeno lieve urbanizzazione, oppure presenza di rocce esposte). Inoltre, per<br />

l’analisi dei fenomeni di deformazione ad evoluzione particolarmente rapida (ad es. un fenomeno<br />

franoso rapido impulsivo), il problema legato all’equivocazione di fase può complicare<br />

notevolmente l’interpretazione dei risultati, come in tutti i sistemi di tipo coerente.<br />

L’interferometria SAR consente di valutare con accuratezza millimetrica solo variazioni di<br />

distanza sensore-bersaglio pari ad una frazione della lunghezza d’onda (5.66 cm per i satelliti ESA-<br />

ERS), ma eventuali “salti” di diversi centimetri vengono “equivocati”, ovvero non è possibile<br />

“contare” il numero intero di lunghezze d’onda. Al limite, se il bersaglio si muovesse esattamente di<br />

mezza lunghezza d’onda (2.8 cm per i satelliti ERS) non risulterebbe possibile misurare alcuna<br />

variazione di fase rispetto al caso di bersaglio fermo. L’attuale frequenza di passaggio dei satelliti<br />

(revisiting time), 1 mese circa, impedisce di osservare situazioni di pericolo che richiedono invece<br />

un monitoraggio in tempo reale. E’ tuttavia possibile molto spesso identificare i precursori lenti di<br />

fenomeni ad evoluzione parossistica.<br />

In particolare i principali limiti della tecnica possono essere così riassunti:<br />

1. moti rapidi (superiori ad un 1cm nell’intervallo di tempo fra due acquisizioni successive) non<br />

possono essere monitorati senza informazioni “a priori”;<br />

2. monitoraggio in “tempo reale” impossibile, data la frequenza del dato (35 giorni) anche se è<br />

possibile integrare più geometrie di acquisizione;<br />

3. assenza di misure in aree senza bersagli radar stabili;<br />

4. difficile previsione della posizione dei PS in aree non urbanizzate;<br />

5. necessità di un’elaborazione minima 25-30 immagini radar;<br />

6. carico computazionale elevato.<br />

1.3.5 Precisione delle misure<br />

Nell’ambito dei numerosi progetti già svolti sia in ambito commerciale che nel contesto di<br />

progetti di ricerca nazionali ed internazionali, il Politecnico di Milano e la società Tele-Rilevamento<br />

Europa hanno potuto verificare la consistenza dei risultati, dimostrando come la Tecnica PS sia uno<br />

strumento da affiancare con successo ai più tradizionali metodi di monitoraggio, quali ad esempio<br />

GPS e levelling ottico.


Per i prodotti PS può essere definita la precisione in termini di:<br />

1. velocità stimate;<br />

2. quote stimate;<br />

3. geocodifica.<br />

Per quanto riguarda la precisione delle velocità stimate, due sono le cause che concorrono a<br />

degradare la stima delle velocità: disturbo atmosferico e rumore di decorrelazione.<br />

Il disturbo atmosferico, spazialmente correlato, produce un contributo simile per tutti i PS che<br />

distano tra loro meno di 1km, tale disturbo si traduce in una polarizzazione sistematica dei valori di<br />

fase.<br />

Il rumore di decorrelazione ha invece un comportamento totalmente diverso, risultando<br />

spazialmente incorrelato e indipendente dal disturbo atmosferico; presenta generalmente potenze<br />

molto basse (σ noise < 0.3 rad).<br />

Questi due fattori rendono necessario distinguere tra la dispersione dei valori di velocità<br />

rispetto ad un punto di riferimento (per esempio il punto di riferimento utilizzato nella catena di<br />

elaborazione della Tecnica PS) e la precisione tra due PS vicini tra loro. In questa ultima situazione,<br />

usando un dataset composto da almeno 30 scene SAR, l’errore nella stima della velocità relativa tra<br />

due PS vicini (posti a distanza inferiore ad 1 km) è generalmente inferiore a ± 0.1 mm/anno.<br />

Nonostante in entrambi i casi la precisione dei risultati dipenda dal numero di immagini utilizzate<br />

nell’elaborazione, la valutazione dell’errore di velocità di un punto rispetto al riferimento è molto<br />

più complessa perché dipende dalla distanza tra i due (come accade del resto in ogni rete geodetica)<br />

e dalla potenza del rumore atmosferico, che differisce da un’immagine ad un’altra. I risultati<br />

ottenuti dall’elaborazione vengono quindi forniti con un’immagine che mostra la variazione della<br />

potenza dell’errore commesso nella stima delle velocità in funzione della distanza dal punto di<br />

riferimento.<br />

Le considerazioni riguardanti la precisione nella stima dei valori di velocità possono essere<br />

estese per definire la precisione delle quote stimate in corrispondenza dei PS. L’errore relativo tra<br />

punti posti ad una distanza inferiore ad 1 km è generalmente minore di ± 1.5 m, mentre la<br />

variazione dell’errore all’aumentare della distanza dal punto di riferimento, come nel caso della<br />

stima delle velocità, viene illustrato in un’immagine.<br />

Per quanto riguarda la precisione di geocodifica è possibile definire un errore di<br />

posizionamento assoluto (rispetto al punto di riferimento utilizzato nell’elaborazione) e un errore di<br />

posizionamento relativo (tra PS vicini).<br />

A causa di possibili imprecisioni nella stima dei parametri orbitali e nelle coordinate del<br />

reference utilizzato durante l’elaborazione, è possibile che i risultati non siano perfettamente<br />

allineati alla griglia di riferimento. In questo caso il problema può essere facilmente superato<br />

applicando una traslazione rigida a tutti i PS. L’errore di posizionamento assoluto dipende quindi<br />

dall’accuratezza del layer di riferimento utilizzato.<br />

L’errore di posizionamento relativo è dettato dalla risoluzione del sistema SAR impiegato, ed<br />

è pari a ±10 m nella direzione di range (direzione est-ovest), e ±2 m nella direzione di azimut<br />

(direzione NS).


1.3.6 Applicazione della metodologia<br />

L’applicazione della tecnica PS per l’aggiornamento del censimento delle aree in dissesto da<br />

frana avviene mediante l’integrazione dell’informazione proveniente dai PS con i dati ancillari in<br />

ambiente GIS mediante l’utilizzo del software ArcGis.<br />

La catena operativa sviluppata nell’ambito del progetto ESA/SLAM prevede i seguenti passi:<br />

1) Visualizzazione e classificazione dei PS;<br />

2) Omogeneizzazione e scalatura dei PS;<br />

3) Sovrapposizione dei PS con i dati ancillari;<br />

4) Interpretazione aree in movimento.<br />

Tali operazioni possono essere effettuate mediante la creazione di un progetto ARCGIS<br />

(.mxd) all’interno del quale vengano importati tutti i tematismi necessari all’analisi (PS, foto aeree,<br />

DTM, carte topografiche, carta dei dissesti, etc.) e visualizzati come layers differenti.<br />

Il primo passo consiste nell’importare i Permanent Scatterers, che sono in formato .dbf,<br />

all’interno del progetto e visualizzarli, associando le coordinate contenute all’interno della tabella<br />

dei PS alle coordinate X ed Y del progetto.<br />

La visualizzazione dei PS viene effettuata classificando i punti in funzione della velocità con<br />

colori differenti. I valori di velocità vengono normalmente raggruppati in un numero finito di classi<br />

i cui limiti possono essere scelti in funzione delle esigenze di analisi. Normalmente la classe<br />

corrispondente ai PS considerati “stabili” viene scelta tra -1.5 e 1.5 mm/anno.<br />

Nell’ambito del presente progetto sono state considerate le classi di velocità definite nella<br />

Tabella 4.


Ascendenti 10 anni<br />

Nome del dataset<br />

Vel. min Vel. max<br />

mm/anno mm/anno<br />

Arezzo_T172_F855a873_Gb.dbf -29.72 31.88<br />

Bibbiena_172_855a873_Slam_Fusion_NoTS.dbf -25.27 11.92<br />

Casentino_172_873_Gb.dbf -31.39 23.64<br />

Castelfiorentino_444_873_Gb.dbf -26.82 vel mod 31.61 vel mod<br />

Firenze_444_873_Gb.dbf -05.31 vel mod 03.10 vel mod<br />

Montepulciano_444_855_Gb.dbf -30.24 29.61<br />

Montevarchi_444_873_Gb.Dbf -29.18 29.05<br />

Pisa_215_873_Gb.dbf -28.77 27.84<br />

Pistoia_215_873_Gb.dbf -12.08 5.57<br />

Pistoia_444_873_Gb.dbf -09.00 vel mod 04.10 vel mod<br />

Siena_444_873_Gb.dbf -26.76 28.22<br />

Volterra_215_855a873_Gb.dbf -26.52 29.45<br />

Discendenti 10 anni<br />

Nome del dataset<br />

Vel. min Vel. max<br />

mm/anno mm/anno<br />

Arezzo_desce_utm32.dbf -18.00 28.50<br />

Casciano.dbf -28.25 11.50<br />

Chiusi_desce_utm32.dbf -18.75 29.00<br />

Empoli_desce_nots.dbf -28.75 30.00<br />

Empoli.dbf -29.25 29.25<br />

Pisa_desce_NoTS.dbf -28.50 vel mod 28.50 vel mod<br />

Pistoia.dbf -31.57 07.26<br />

Stia.dbf -11.75 05.50<br />

Volterra_desce_ NoTS.dbf -24.00 vel mod 30.00 vel mod<br />

Discendenti 2 anni<br />

Nome del dataset<br />

Vel. min Vel. max<br />

mm/anno mm/anno<br />

Arezzo_desce_from_d19990707_to_d20020731.dbf -18.74 28.32<br />

Casciano_from_19990726_to_20020923.dbf -29.36 10.59<br />

Chiusi_desce_from_d19990707_to_d20030402.dbf -29.43 29.09<br />

Empoli_desce_from_19990918_to_20030125_nots.dbf -30.19 30.00<br />

Empoli_from_19990726_to_20020923.dbf -28.67 29.53<br />

Pisa_desce_from_19990918_to_20030125_nots.dbf -28.16 30.75<br />

Pistoia_from_19990726_to_20020923.dbf -30.00 vel mod 06.98 vel mod<br />

Stia_from_19990726_to_20020923.dbf -12.62 6.68<br />

Volterra_desce_from_19990918_to_20030125_nots.dbf -23.85 31.96<br />

Tabella 4: Dataset PS impiegati nell’ambito del presente progetto per l’aggiornamento del censimento delle aree<br />

in dissesto.<br />

Va precisato che è necessario visualizzare PS ascendenti con una simbologia diversa rispetto a<br />

PS discendenti (ad esempio quadrati per gli ascendenti e cerchi per i discendenti). Tale distinzione è<br />

necessaria a causa delle differenti geometrie di vista delle due orbite e quindi per evitare di<br />

confondere le due informazioni. Infatti, a differenza di fenomeni interessati prevalentemente da<br />

movimenti verticali come per la subsidenza, nel caso di frane PS che sono sullo stesso versante, ma<br />

provenienti da orbite diverse (ascendente e discendente) possono avere delle notevoli differenze nel<br />

tasso di deformazione date dalla diversa linea di vista.<br />

Successivamente è necessario procedere all’omogeneizzazione e alla scalatura dei PS. In<br />

particolare è necessario rendere omogenei i dati PS provenienti da diverse orbite (ascendenti e<br />

discendenti) o da track parzialmente sovrapposte. Le velocità fornite dai PS sono velocità relative e<br />

non assolute, cioè sono velocità differenziali calcolate rispetto ad un punto di riferimento, detto


eference point. Dataset diversi di PS avranno reference points diversi, per cui PS corrispondenti<br />

provenienti da due track diverse (cioè da due acquisizioni che hanno una parte comune di<br />

sovrapposizione) possono avere velocità leggermente differenti. Questo può essere indotto dal fatto<br />

che i reference points non sono perfettamente fermi, ma che sono affetti da un leggero movimento.<br />

E’ necessario quindi stimare quanto sia tale differenza, valutandola statisticamente su punti vicini e<br />

rimuoverla, per poter rendere confrontabili diversi dataset.<br />

Un altro fattore da tenere in considerazione è la possibilità di analizzare dei dati provenienti<br />

da un’area affetta da deformazioni regionali di origine tettonica, come quelle che interessano alcune<br />

porzioni dell’Appennino. Tali deformazioni, dell’ordine di pochi mm/anno, normalmente<br />

interessano zone abbastanza ampie ed omogenee dal punto di vista geologico (ad esempio bacini<br />

intermontani), per cui si riflettono come piccoli offset sulla velocità dell’intera popolazione di PS<br />

presenti in queste aree. Per poter effettuare un’analisi finalizzata all’identificazione di fenomeni<br />

franosi tali offsets non costituiscono un problema, ma per far risaltare maggiormente le aree in<br />

dissesto da frana è possibile valutare statisticamente il valore medio di tali offset, analizzando la<br />

distribuzione di frequenza della velocità, e rimuoverlo.<br />

Per facilitare la comprensione dei fenomeni e quindi per poter risalire alla direzione di<br />

movimento senza dover tenere presente la direzione della linea di vista delle acquisizioni ascendenti<br />

o discendenti è possibile visualizzare i PS anche mediante delle frecce nella direzione della linea di<br />

vista (LOS) proiettata sull’orizzontale e nel verso dato dal segno (- allontanamento, +<br />

avvicinamento), rendendo più intuitiva l’interpretazione (Figura 6).<br />

Figura 6: PS visualizzati mediante frecce nella direzione proiettata sull’orizzontale della linea di vista dei satelliti<br />

ERS.<br />

Una volta visualizzati i PS è necessario importare le carte topografiche e le foto aeree per<br />

poter iniziare la fase interpretativa. Le carte topografiche devono essere visualizzate in trasparenza,<br />

in maniera tale da poter essere sovrapposte alle foto aeree durante l’analisi, per associare<br />

all’informazione data dalla foto quella topografica e quindi ottenere una migliore comprensione del<br />

fenomeno.<br />

Dal DTM della zona è possibile produrre la carte delle pendenze e quella dell’esposizione dei<br />

versanti. La mappa delle pendenze è utile per evidenziare possibili anomalie nella morfologia come


terrazzamenti, o riconoscere nel versante eventuali accumuli di frana, caratterizzati da bassi valori<br />

di pendenza, e nicchie di distacco, rappresentate da brusche incrementi del gradiente.<br />

La carta dell’esposizione è invece fondamentale nella lettura dei PS al fine di comprendere il<br />

significato del segno dei PS. Infatti spesso è sufficiente osservare le curve di livello per<br />

comprendere la direzione di esposizione del versante, ma quando le curve di livello non sono chiare<br />

risulta conveniente aiutarsi con la carte dell’esposizione.<br />

Dal DTM è anche possibile creare immagini così chiamate di “shaded relief”, ossia immagini<br />

della topografie con falsa illuminazione del sole che genera ombre utile a mettere in risalto le<br />

geometrie dei corpi di frana. Infine le informazioni riguardanti le aree in dissesto, normalmente in<br />

formato shapefile, vanno importate e visualizzate secondo lo stato di attività (se la distinzione è<br />

presente). La sovrapposizione di queste carte con la distribuzione dei PS permette di ottenere delle<br />

informazioni aggiuntive utili all’identificazione di aree instabili (Figura 7).<br />

Una volta importati tutti i layers su ARCGIS è possibile iniziare ad interpretare l’area di<br />

interesse. Data l’estrema accuratezza delle deformazioni misurabili mediante i PS (precisione<br />

dell’ordine del millimetro all’anno) e l’informazione puntuale che ne deriva, è consigliabile al fine<br />

di limitare la soggettività dell’interpretazione, focalizzare l’attenzione su cluster di almeno 3-4 PS<br />

caratterizzati da valori di velocità sopra una determinata soglia, funzione della tipologia di analisi<br />

che si sta realizzando. Se lo scopo del lavoro è quello di aggiornare il censimento delle aree in<br />

dissesto da frana a fini di pianificazione territoriale anche movimenti estremamente lenti possono<br />

risultare di estremo interesse.<br />

Il primo passo è cercare di capire quale possa essere l’area interessata dai movimenti,<br />

estrapolando quindi spazialmente l’informazione dei PS. Un supporto in questo senso può venire<br />

dal censimento, nel caso in cui i PS ricadano in zone già mappate come aree in dissesto oppure<br />

vicine ad esse. Altrimenti l’analisi delle foto aeree insieme alla morfologia deducibile dalle curve di<br />

livello e dall’immagine in shaded relief dell’area può evidenziare la presenza di indicatori di<br />

movimento o addirittura una possibile forma dell’area instabile.<br />

In caso di assenza di evidenze (anomalie nella vegetazione o morfologia particolare) di<br />

possibili movimenti dalle carte e foto 2D è consigliabile proiettare la foto sul DTM mediante un<br />

opportuno software (ad es. ArcScene, il modulo 3D di ArcGIS) od utilizzare coppie stereoscopiche<br />

di foto aeree, se disponibili. Trovate delle indicazioni sulla consistenza dei movimenti indicati dai<br />

PS con la presenza di un corpo franoso è necessario cercare di interpretare la geometria del<br />

movimento. Combinando l’uso di curve di livello e della mappa di esposizione dei versanti con la<br />

proiezione sul piano orizzontale dei PS (frecce che indicano la direzione ed il verso lungo i quali è<br />

stato misurato il movimento dai PS) è possibile definire la probabile direzione di movimento nel<br />

piano orizzontale.


A<br />

B<br />

C<br />

D<br />

E<br />

F<br />

Figura 7: A: carta topografica; B:foto aerea con PS e curve di livello; C:PS sovrapposti a carta dei dissesti; D:<br />

immagine in shaded relief con PS e sovrapposti possibili corpi di frane; E: carta delle pendenze con PS; F: carta<br />

dell’esposizione dei versanti con PS.<br />

Se le analisi effettuate in ambiente GIS non permettono di ottenere alcuna informazione<br />

aggiuntiva rispetto ai PS è necessario effettuare dei rilievi di campagna per evidenziare eventuali<br />

lesioni su edifici, presenza di contropendenze nel terreno, venute di acqua ed altre evidenze<br />

geomorfologiche di fenomeni di instabilità.<br />

I possibili casi che nella fase interpretativa possono verificarsi e le conseguenti soluzioni da<br />

adottare possono essere schematizzate come segue:


Permanent Scatterers all’interno di aree già mappate come zone in dissesto:<br />

• accordo tra stato di attività e la velocità media dei PS: modificare gli attributi del poligono<br />

aggiungendo il numero e la velocità media (relativa sia agli ultimi 10 anni che alle ultime 20<br />

acquisizioni SAR) dei PS all’interno dell’area in dissesto nei campi relativi alla presenza dei<br />

PS della tabella dello shapefile riguardante il censimento;<br />

• disaccordo tra stato di attività e la velocità media dei PS: valutare la possibilità di modificare<br />

lo stato di attività del dissesto facendo riferimento alle velocità medie dei PS a lungo<br />

termine e nelle ultime acquisizioni. Tale valutazione deve essere supportata<br />

dall’interpretazione delle immagine ottiche ed in particolare dal confronto tra acquisizioni<br />

multi-temporali.<br />

Permanent Scatterers vicino ad aree mappate come zone in dissesto:<br />

• accordo tra stato di attività e la velocità media dei PS: valutare la possibilità di modificare i<br />

limiti del poligono in dissesto per comprendere l’area interessata dai PS. Tale valutazione<br />

deve essere supportata dall’interpretazione delle immagine ottiche e dall’analisi della<br />

morfologia, desunta dalle curve di livello, al fine di evidenziare la presenza di elementi che<br />

possano suggerire l’appartenenza ad un unico dissesto;<br />

• disaccordo tra stato di attività e la velocità media dei PS: valutare la possibilità di modificare<br />

i limiti dell’area in dissesto ed il suo stato di attività o di creare un nuovo poligono<br />

indipendente.<br />

Permanent Scatterers in movimento lontani da aree mappate come zone in dissesto:<br />

• presenza di evidenze morfologiche e vegetazionali connesse alla presenza di un dissesto:<br />

generazione di un nuovo poligono;<br />

• assenza di evidenze morfologiche e vegetazionali: aggiungere un elemento puntuale al<br />

database degli elementi lineari (scarpate, corone, ecc.).<br />

Nella Tabella 5 sono riportati i risultati finali del progetto ESA/SLAM relativi<br />

all’applicazione della tecnica PS per l’aggiornamento del censimento delle aree in dissesto da frana<br />

ottenuta mediante fotointerpretazione, ricerche bibliografiche e controlli di campagna. In particolare<br />

la tabella presenta una sintesi dei risultati espressa in forma di statistiche sul numero di PS utilizzati<br />

per l’aggiornamento del censimento.<br />

La Tabella 6 presenta una sintesi degli stessi risultati espressa in temini di numero ed<br />

estensione areale dei dissesti censiti nella banca dati e aggiornati con l’informazione PS.


Figura 8: Evidenze di lesioni su edifici e muretti corrispondenti alla zona mappata sulla figura in basso.


GENERAL <strong>DA</strong>TA<br />

Area of Arno river basin (m²) 9 131 133 243<br />

mountainous and hilly area (outside buti.shape) (m²) 7 190 097 252<br />

STATISTICS ON PS<br />

PS in the whole Arno river basin<br />

No. of PS in the whole Arno river basin 591 263<br />

No. of PS asc 10 anni in the whole Arno river basin 263 321<br />

No. of PS desc 10 anni in the whole Arno river basin 327 942<br />

PS density tot (PS/km²) 64.75<br />

PS_ASC density (PS/km²) 28.84<br />

PS_DESC density (PS/km²) 35.91<br />

PS in hilly and mountainous areas<br />

No. of PS (in hilly and mountainous areas) 265 177<br />

% on whole No. of PS 44.8%<br />

No. of PS asc 10 anni (in hilly and mountainous areas) 82 607<br />

No. of PS desc 10 anni (in hilly and mountainous areas) 182 570<br />

PS density tot (PS/km²) 36.88<br />

PS_ASC density (PS/km²) 11.49<br />

PS_DESC density (PS/km²) 25.39<br />

SLAM work - geological/geomorphologic interpretation<br />

(only performed in hilly and mountainous areas)<br />

No. of PS within the landslides mapped by AdB 8 463<br />

% on whole PS 1.4%<br />

No. of PS within the landslides mapped by AdB in hilly and mountainous areas 8 454<br />

% on PS in hilly and mountainous areas 3.2%<br />

No. of PS used for new landslide detection (in hilly and mountainous areas) 2 653<br />

% on PS in hilly and mountainous areas 1.0%<br />

No. of PS used for modification of boundaries (in hilly and mountainous areas) 3 042<br />

% on PS in hilly and mountainous areas <strong>1.1</strong>%<br />

No. of PS used for modification of state of act. (in hilly and mountainous areas) 970<br />

% on PS in hilly and mountainous areas 0.4%<br />

No. of PS used for confirmation (in hilly and mountainous areas) 4 442<br />

% on PS in hilly and mountainous areas 1.7%<br />

Total number of PS considered by SLAM work (in hilly and mountainous areas) 11 107<br />

% on PS in hilly and mountainous areas 4.2%<br />

No. of additional locations with important PS information 931<br />

Tabella 5: Statistiche finali sul numero di PS impiegati per l’aggiornamento della banca dati delle aree in<br />

dissesto da frana.


STATISTICS ON LANDSLIDES<br />

Landslides in the whole Arno river basin<br />

Number of landslides mapped by AdB in the whole Arno river basin 27 271<br />

Number of landslides mapped by AdB with PS information 1664<br />

% for number of landslides mapped by AdB with PS information 6.1%<br />

Area of AdB landslides in the whole Arno river basin (m²) 802 986 420<br />

Area of landslides mapped by AdB with PS information (m²) 151 366 566<br />

% of area of landslides mapped by AdB with PS information 18.9%<br />

Landslide density (km2/km2 as percentage of whole river basin) 8.8%<br />

Landslides in hilly and mountainous areas<br />

Number of landslides mapped by AdB in hilly and mountainous areas 27 232<br />

Number of landslides mapped by AdB with PS information 1660<br />

% for number of landslides mapped by AdB with PS information 6.1%<br />

Area of AdB landslides in mountainous and hilly areas (m²) 685 775 836<br />

Area of landslides mapped by AdB with PS information (m²) 151 337 003<br />

% of area of landslides mapped by AdB with PS information 22.1%<br />

Landslide density (km2/km2 as percentage of mountainous and hilly area) 9.5%<br />

SLAM work - geological/geomorphologic interpretation<br />

(only performed in hilly and mountainous areas)<br />

Number of new landslides mapped by SLAM (in hilly and mountainous areas) 223<br />

% on number of landslides in hilly and mountainous areas 0.8%<br />

Number of landslides modified for boundary by SLAM (in hilly and mountainous areas) 344<br />

% on number of landslides in hilly and mountainous areas 1.3%<br />

Number of landslides modified for state of activity by SLAM (in hilly and mountainous areas) 115<br />

% on number of landslides in hilly and mountainous areas 0.4%<br />

Number of landslides confirmed by SLAM (in hilly and mountainous areas) 1201<br />

% on number of landslides in hilly and mountainous areas 4.4%<br />

Total number of landslides considered by SLAM work (in hilly and mountainous areas) 1883<br />

% on total number of landslides in NEW inventory map (27.270 + 223 = 27493 landslides) 6.8%<br />

Tabella 6: Statistiche finali sul numero di dissesti da frana censiti nella banca dati e di quelli aggiornati mediante<br />

l’informazione PS.


1.4 Discussione dei risultati<br />

Il censimento realizzato nell’ambito del presente progetto e aggiornato al giugno 2004<br />

comprende complessivamente 27˙271 aree in dissesto.<br />

A seguito del completamento del progetto SLAM, alla fine di novembre 2004, l’informazione<br />

ottenuta dai PS ha permesso di aggiungere 223 nuovi dissesti alla banca dati, di modificare 344<br />

dissesti nella definizione del perimetro e 115 nello stato di attività.<br />

Complessivamente il censimento finale comprende 27˙494 aree in dissesto, delle quali 74.8%<br />

corrispondono a scivolamenti, 12.8 % a franosità diffusa, 6.6 % a soliflussi, 4.5 % a colate, 1.2 % a<br />

crolli e soltanto lo 0.1 % a colate rapide. Per quanto riguarda lo stato di attività, il 60% dei fenomeni<br />

franosi è allo stato quiescente, il 38% allo stato attivo e il 2% allo stato inattivo stabilizzato<br />

artificialmente o naturalmente (Figura 9).<br />

0.1%<br />

4.5%<br />

6.6%<br />

1.2%<br />

12.8%<br />

2%<br />

38%<br />

60%<br />

74.8%<br />

Colate<br />

Franosità diffusa<br />

Soliflussi<br />

Crollo<br />

Scivolamenti<br />

Colate rapide<br />

Attiva Quiescente Inattiva stabilizzata<br />

Figura 9: Distribuzione delle tipologie e dello stato di attività dei dissesti censiti nella banca dati.


Figura 10: Distribuzione area-frequenza dei dissesti di tipo franoso nel bacino dell’Arno.<br />

L’analisi delle relazioni tra le dimensioni dei dissesti e la loro frequenza è un interessante<br />

campo di ricerca che ha trovato molteplici applicazioni negli ultimi anni (FUJII, 1969, HOVIUS et<br />

al., 1997, HUNGR et al., 1999, MALAMUD & TURCOTTE, 1999, STARK & HOVIUS, 2001,<br />

FRATT<strong>IN</strong>I et al., 2003). I numerosi studi pubblicati sull’argomento hanno evidenziato l’esistenza<br />

di correlazioni tra area e frequenza delle frane secondo leggi di potenza del tipo:<br />

−<br />

dN<br />

dA<br />

= αA<br />

−β<br />

dove N è la frequenza di frane appartenenti ad una determinata tipologia, A è la loro area ed α e β<br />

sono costanti empiriche.<br />

La distribuzione area-frequenza è descritta per un certo intervallo, al di sotto del quale si<br />

osserva un calo di frequenza noto in letteratura come rollover.<br />

Per ottenere distribuzioni area-frequenza di tipo non cumulativo, si è utilizzato il metodo delle<br />

derivate. Essendo N(A) la distribuzione cumulativa, si ha che dN/dA corrisponde alla distribuzione<br />

non cumulativa.<br />

La distribuzione area-frequenza dei disseti del bacino dell’Arno (Figura 10) segue una<br />

relazione di potenza con un esponente β= 3.35 e un coefficiente α= 40.13. Tale relazione di potenza<br />

è valida da un’area massima di circa 5·100 km 2 , corrispondente all’incirca all’estensione del<br />

dissesto più grande mappata nel bacino (Tabella 7:), ad un’area minima di 1·10-2 km 2 (Tabella 7:).


Numero di<br />

Aree dei fenomeni mappati (km 2 )<br />

Tipologie fenomeni<br />

franosi<br />

Valore Valore Area<br />

Valore minimo<br />

massimo Medio totale<br />

Scivolamenti 20˙571 1.02 10 -4 4.68 10 0 2.86 10 -2 5.88 10 2<br />

Colate 1245 1.83 10 -4 3.40 10 -1 1.49 10 -2 1.85 10 1<br />

Colate rapide 13 4.10 10 -3 3.31 10 -2 1.26 10 -2 1.64 10 -1<br />

Crolli 330 2.98 10 -4 4.36 10 -1 2.07 10 -2 6.83 10 0<br />

Soliflussi 1808 4.76 10 -4 9.10 10 -1 3.78 10 -2 6.83.10 1<br />

Franosità diffusa 3527 2.31 10 -4 1.80 10 0 3.67 10 -2 1.30 10 2<br />

Tabella 7: Distribuzione della tipologia, numero dei fenomeni e area individuati nel censimento dei dissesti da<br />

frana.<br />

Il rollover che si osserva in tutte le curve di frequenza riportate in letteratura è interpretato da<br />

alcuni autori come reale, cioè dovuto al limite fisico delle dimensioni delle frane in un certo<br />

contesto (PELLETIER et al., 1997, GUZZETTI et al., 2002), da altri come effetto del<br />

sottocampionamento dovuto alla risoluzione della mappatura (STARK & HOVIUS, 2001). In<br />

realtà, il sottocampionamento può essere causato sia dall’incapacità soggettiva di riconoscere i<br />

fenomeni, sia dall’impossibilità oggettiva di osservarli (insufficiente risoluzione delle foto, presenza<br />

di copertura boscosa e di zone ombreggiate, cancellazione dei fenomeni ed erosione delle forme,<br />

etc.). In relazione a quest’ultima spiegazione va inoltre considerato il fatto che le frane di piccole<br />

dimensioni vengono frequentemente asportate antropicamente per restituire terra all’agricoltura e<br />

sono individuabili soltanto durante pochissimi anni in seguito dell’evento. Le grandi frane, invece,<br />

lasciano tracce che si riconoscono a distanza di secoli o millenni. Il rollover dipende quindi dal<br />

dettaglio con il quale sono state mappate le frane e dal contesto geologico e geomorfologico.<br />

Nella curva di frequenza del bacino dell’Arno si osserva l’inizio del rollover intorno a un’area<br />

di 1·10 -2 km 2 . Esso è probabilmente dovuto all’impossibilità di riconoscere, tramite il rilievo<br />

fotogrammetrico condotto principalmente alla scala 1:30000, fenomeni franosi più piccoli di questa<br />

soglia. Questo valore di rollover è tuttavia uno dei più bassi riportati in letteratura: GUZZETTI et<br />

al. (2002), ad esempio, analizzando la curva di frequenza del database delle frane dell’Umbria e<br />

delle Marche, comprendente all’incirca 16˙000 fenomeni franosi, hanno osservato il rollover a 2·10 –<br />

2 km 2 , mentre FRATT<strong>IN</strong>I et al. (2003), analizzando circa 60˙000 fenomeni franosi della regione<br />

Lombardia, hanno osservato un rollover intorno ai 9·10 -1 km 2 . Il confronto fra i risultati ottenuti nel<br />

bacino dell’Arno e quelli relativi ad altre zone d’Italia ha permesso quindi di trovare positiva<br />

conferma riguardo alla precisione e al dettaglio adottati durante la realizzazione della banca dati dei<br />

dissesti e riguardo alla completezza di quest’ultima.<br />

La completezza del censimento è importante perchè esso, oltre a fornire indicazioni sulla<br />

suscettibilità in riferimento a possibili fenomeni di riattivazione, è anche lo strumento<br />

indispensabile per la calibrazione delle metodologie di previsione (analisi statistica, approccio<br />

deterministico, reti neurali) che saranno utilizzate in seguito.<br />

Dalla statistica effettuata sulla banca dati dei dissesti da frana emerge che la maggior parte dei<br />

dissesti presenti nel bacino sono movimenti a cinematismo lento, cioè scivolamenti, colate e<br />

soliflussi, i quali nel totale rappresentano il 98,7% dei fenomeni mappati. Sebbene i crolli e le colate<br />

rapide interessino una percentuale molto bassa del territorio del bacino (rispettivamente l’1,2% e lo<br />

0,1 %), l’impatto che essi hanno sull’ambiente e sugli elementi a rischio può essere notevole. E’<br />

possibile tuttavia, dato che le tipiche dimensioni di questi fenomeni rapidi sono spesso vicine al<br />

rollover di Fig. 5, che essi siano in parte sfuggiti. Altro problema è che, specie per quanto riguarda i<br />

fenomeni superficiali (debris-flow e simili) le tracce dell’avvenuto movimento vengono


apidamente obliterate dalla ricrescita della vegetazione e dai normali processi di erosione e<br />

modellazione del versante.

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