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aA T T U A L I T À di Mauro di Napoli, Emilio Scotti La qualità professionale per la qualità delle cure Osservazioni sulla 2 a Conferenza Nazionale della Professione Medica (2-3 dicembre 2010) La qualità professionale è lo scopo al quale deve mirare la formazione continua del Medico e al tempo stesso è il mezzo per attuare la mission del Servizio Sanitario Nazionale: mantenimento e protezione dello stato di salute della popolazione. Le difficoltà e i limiti per il raggiungimento di una qualità professionale elevata non sono insiti nel nostro modello di Stato Sociale ma nel sistema attuativo che risente in maniera eccessiva dell’imperativo economico. Lo scopo della formazione, ai fini del raggiungimento e del mantenimento della qualità professionale, è quello di abbinare le necessarie basi scientifiche e le capacità diagnostico-terapeutiche con la buona pratica clinica, ma anche di pianificare i processi operativi e i loro cambiamenti con l’uso appropriato delle risorse. Pertanto la qualità professionale deve essere considerata in una visione olistica in cui siano collegati i principi, le linee guida e i servizi; infatti, non è corretto considerare solo il professionista ma il professionista nell’ambito di una struttura adeguata e idonea a ricevere un professionista così preparato. La formazione deve cominciare dal Corso di Laurea. Gli accessi a Medicina dovrebbero essere programmati in relazione alla richiesta effettiva e non teorica di Medici, non presente ma futura, considerando le necessità a distanza di sei anni. A questo, attualmente, si deve aggiungere l’emergenza formativa dovuta al fatto che circa il 52% dei medici occupati in regime di dipendenza hanno tra i 51 e i 59 anni e che, in un ambito ristretto di anni, dovranno essere sostituiti da altri professionisti adeguatamente preparati. Dovrebbe essere rivista la modalità di selezione attualmente effettuata tramite quiz. Durante il corso di Laurea, accanto alla teoria, di indiscutibile e fondamentale importanza, la pratica deve essere iniziata al più presto possibile con l’ausilio di Tutors, costantemente presenti e preparati ai quali vengono affidati piccoli gruppi di studenti che devono essere stimolati costantemente a lavorare a fondo e seriamente. Come per il corso di Laurea, è indispensabile che l’ingresso alle Scuole di Specializzazione venga riportato alle vere necessità della Società e alla programmazione del Servizio Sanitario Nazionale e Regionale. In ogni caso lo Specializzando, remunerato solo se in regola con il corso, non deve sostituire il Tutor a cui è affidato, ma accompagnarlo costantemente nell’attività quotidiana teorico-pratica ed aiutarlo, anche per un futuro inserimento autonomo, completo e valido. Le Scuole di Specializzazione non dovrebbero essere gestite solo dalle strutture Universitarie ma anche da quelle Ospedaliere pubbliche e private accreditate e dalle strutture territoriali di cui fanno parte anche i Medici di Medicina Generale. L’attuazione del percorso sarà diversa per le varie Specializzazioni: la distribuzione dei tempi ospedale-territorio varierà in relazione al tipo di Specializzazione. Tutto ciò presuppone una capacità ade- bollettino o.m.c.eo. di roma - n. 2/2011 24
guata di programmazione e di distribuzione dei corsi nelle varie strutture, una capacità gestionale ed educativa presente a livello di tutti i settori. La sostituzione della Specializzazione con il lavoro in un reparto per 5 anni sminuisce il senso della Specializzazione che, se eseguita anche in strutture ospedaliere e accompagnata da relazioni annuali di attività medica e soprattutto chirurgica (numero d’interventi a cui lo specializzando ha partecipato, tipo di interventi, esiti) migliorerebbe la validità della preparazione e, se ben programmata, permetterebbe un immediato ingresso nell’attività lavorativa. Per quanto riguarda la Specializzazione in Medicina Generale, sarebbe auspicabile che provvedesse lo Stato e non le Regioni, che la qualifica e la retribuzione fossero uguali a quelle delle altre Specializzazioni, evitando dannose discriminazioni. L’unica differenza dovrebbe essere nella diversa conoscenza del territorio rispetto alle strutture centrali e dei servizi presenti nel territorio per poter migliorare l’assistenza del paziente a domicilio, nei PTP, nelle RSA. Comunque, potrebbe essere utile conoscere, a qualsiasi livello di assistenza, se esistono e quali sono le linee guida e d’indirizzo gestionale del paziente nel rapporto territorio – ospedale – territorio. La formazione continua dovrebbe essere lo strumento portante di aggiornamento garantito da Strutture pubbliche e private convenzionate che, purtroppo, non riescono ancora a compiere questo percorso così importante in maniera autonoma. In teoria potrebbero permettersi non solo l’aggiornamento teorico ma anche quello pratico e, ancora, un aggiornamento in cui il singolo professionista venga indirizzato e facilitato verso uno specifico campo d’azione da cui trarre vantaggi applicativi da trasferire nell’attività quotidiana, sia essa ospedaliera o territoriale. La qualità dovrebbe essere valutata in base alle prestazioni, alla quantità e qualità degli interventi diagnostico-terapeutici e ai loro risultati; questi dovrebbero essere i veri indicatori di performance e competence dei singoli e delle équipes oltre che delle organizzazioni sanitarie. Nel nostro paese è in forte ritardo la cultura della promozione e della valutazione delle qualità dei professionisti e dei servizi, di standard e indicatori di qualità dei singoli, delle équipes e delle organizzazioni sanitarie, di sistematica produzione e diffusione di buone pratiche (linee guida, protocolli, percorsi di cura), dello sviluppo di ricerca clinica indipendente per colmare il gap tra innovazioni tecnico scientifiche e organizzative da un lato e pratica clinica dall’altro. Questo ritardo non può essere affrontato attraverso l’esclusivo potenziamento di modelli burocratici, inquisitori e sanzionatori di controllo. È necessario che le Società Scientifiche siano, tramite il Coordinamento istituito a livello degli Ordini provinciali dei Medici, interlocutrici degli organi politici e dei programmatori delle politiche sanitarie senza per questo sottrarsi alla loro identità ed al loro ruolo istituzionale (formazione e ricerca). La finalità è di fare scelte programmatiche capaci di coniugare la sostenibilità economica, correlata al trend di crescita dei costi, con lo sviluppo delle tecnologie diagnosticoterapeutiche e con il mutato scenario epidemiologico. In tal modo le Società Scientifiche possono operare per la qualità dei servizi facendo leva su appropriatezza, efficacia ed efficienza del sistema. Queste Organizzazioni sono il supporto più efficace e più disinteressato a disposizione del Ministero della Salute e degli Assessorati Regionali; però hanno un grosso difetto: sono eccessive numericamente, alcune tendono a spezzettare troppo la cultura e talvolta corrono il rischio di essere rappresentative di persone (Presidenti e Consigli Direttivi) più che di specifici settori della Medicina. È necessario superare l’eccessivo frazionamento in specialità e subspecialità, le differenze tra università e ospedale, le difficoltà a pianificare collaborazioni intersocietarie e con le istituzioni di politica sanitaria. Purtroppo, attualmente, nessun documento condiviso definisce il ruolo delle società scientifiche nell’era del governo clinico. La diffusione sistematica delle buone pratiche cliniche, l’individuazione e la misurazione di standard ed indicatori di competence e performance di professionisti e organizzazioni, la produzione e diffusione di linee guida, protocolli, percorsi, la formazione continua di base e specialistica, la valutazione delle attività professionalizzanti, la promozione ed il supporto alla ricerca clinica ed osservazionale, gli indirizzi alle politiche di Health Technology Assessment (HTA) sono compiti delle Società scientifiche. Per questo è necessario un modello di accreditamento istituzionale delle stesse secondo criteri e requisiti di rappresentatività, organizzazione, operatività, autonomia gestionale. La ricerca clinica si pone l’obiettivo di ridurre il gap tra ricerca e pratica clinica, di creare una rete tra clinici, managers, ricercatori, di monitorare la pratica clinica con indicatori di processo e di outcome, di confrontare i dati raccolti, in modo da valutare la trasferibilità dei risultati degli studi (survey e osservazionali) e delle indicazioni diagnostico-terapeutiche alla pratica clinica in un ambito di appropriatezza e di efficacia/efficienza. Sarebbe opportuno, infine, implementare la presenza di Registri di malattie che, in alcune Regioni e per alcune patologie, non sono presenti. a ATTUALITÀ 25 bollettino o.m.c. e o. di roma - n. 2/2011
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