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094 - Monaco 2011 (original) - Tuttomclaren.it

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Senza dilungarci oltre, possiamo<br />

dire che il fattore mortal<strong>it</strong>à<br />

era, purtroppo, enormemente<br />

superiore ad oggi e<br />

questo, da punto di vista psicologico,<br />

contribuiva ad abbreviare<br />

la carriera del pilota.<br />

Il corridore che dopo sei o<br />

sette anni di attiv<strong>it</strong>à in formula<br />

uno aveva visto morire gli<br />

amici-colleghi, cominciava a<br />

chiedersi se fosse il caso di<br />

continuare. La convinzione<br />

che “tanto, sarebbe cap<strong>it</strong>ato<br />

agli altri”, via via che il tempo<br />

passava si affievoliva,<br />

complice magari qualche<br />

scampato pericolo, con la<br />

conseguenza che il tarlo del<br />

dubbio cominciava a minare<br />

l’iniziale audacia.<br />

Anche il fattore età è mutato:<br />

a venticinque anni un pilota<br />

di formula uno è oggi considerato<br />

maturo. Negli anni<br />

Cinquanta, salvo rare eccezioni,<br />

era poco più che un<br />

debuttante. In più c’è da considerare<br />

che i corridori gareggiavano<br />

sistematicamente in<br />

altre categorie e in competizioni<br />

su strada, a quel tempo<br />

molto segu<strong>it</strong>e da pubblico e<br />

stampa, dove, oltre alla veloc<strong>it</strong>à,<br />

era richiesta la resistenza<br />

a lunghi turni di guida di<br />

giorno e di notte e la capac<strong>it</strong>à<br />

di adattarsi alle diverse condizioni<br />

del fondo stradale.<br />

Vincere una classica stradale<br />

come la Mille Miglia, che a<br />

quel tempo era tra le tre manifestazioni<br />

di maggiore risonanza<br />

mondiale, donava gloria<br />

imper<strong>it</strong>ura.<br />

Negli anni Sessanta le monoposto<br />

diventano più agili e<br />

maneggevoli, ma la collocazione<br />

posteriore del motore<br />

fa sì che i piloti siano letteralmente<br />

“fasciati di benzina”,<br />

secondo un’espressione allora<br />

in voga. I serbatoi, infatti,<br />

sono sistemati attorno<br />

all’ab<strong>it</strong>acolo. Sono metallici<br />

e si squarciano se la monoposto<br />

subisce urti laterali, con<br />

forte rischio d’incendio. I<br />

leggeri telai delle formula<br />

uno di 1500 cc del periodo<br />

1961-1965, inoltre, offrono<br />

una protezione relativa, ragione<br />

per cui incidenti dai<br />

quali oggi il pilota esce con<br />

le proprie gambe, a quel tempo<br />

potevano risultare assai<br />

gravi quando non fatali, anche<br />

perché non si usavano le<br />

cinture di sicurezza e il riparo<br />

offerto dal roll-bar in caso di<br />

ribaltamento era eufemistico.<br />

I circu<strong>it</strong>i non vengono adeguati<br />

al crescere delle veloc<strong>it</strong>à<br />

medie e ciò mette a rischio<br />

piloti e spettatori. Sono contornati<br />

da alberi, terrapieni,<br />

ostacoli di natura varia<br />

(muretti, fossati...) spesso<br />

protetti in modo approssimativo.<br />

L’incidente di Monza<br />

durante lo svolgimento del<br />

gran premio d’Italia del 1961,<br />

che costò la v<strong>it</strong>a al pilota tedesco<br />

della Ferrari Wolfgang<br />

Von Trips e a tredici spettatori,<br />

ne è un esempio lampante.<br />

Nella foto Bruce McLaren sulla McLaren<br />

motorizzata Ford a Watkins Glen nel 1966<br />

© F1fanatic.co.uk<br />

Dan Gurney e A.J. Foyt si aggiudicano<br />

la 24 Ore di le Mans edizione 1967<br />

al volante della Ford GT-40 Mk IV.<br />

© roadandtrack.com<br />

Vincere la 24 Ore di Le Mans o quella di Daytona, equivaleva,<br />

in notorietà, quasi a vincere il Mondiale piloti di F1.<br />

Da metà anni Sessanta<br />

alla fine dei Settanta<br />

Nel 1966 la formula uno passa a<br />

tre l<strong>it</strong>ri di cilindrata ed inizia la<br />

corsa alla potenza. Le monoposto<br />

restano, tuttavia, concettualmente<br />

analoghe a quelle del quinquennio<br />

precedente, con la conseguenza<br />

che le aumentate veloc<strong>it</strong>à diventano<br />

causa di incidenti più<br />

gravi. Nel corso di una stagione,<br />

nel periodo che va dalla seconda<br />

metà degli anni Sessanta fino ai<br />

primi ’70, la probabil<strong>it</strong>à che non<br />

tutti i piloti che la iniziano ne<br />

vedano la fine, è elevata. Se ne<br />

vanno, per elencarne alcuni, assi<br />

del calibro di Jim Clark e Jochen<br />

Rindt, accanto a giovani promesse<br />

come Piers Courage o a piloti<br />

affermati come Pedro Rodriguez<br />

e Bruce McLaren. Altri sono v<strong>it</strong>time<br />

di incidenti che li tengono<br />

fermi per lungo tempo (Graham<br />

Hill, John Surtees) quando non ne<br />

precludono il proseguimento di<br />

carriera (Mike Parkes).<br />

Ma c’è anche da tenere presente<br />

che negli anni Sessanta il Campionato<br />

Mondiale Marche, che si<br />

disputava con vetture biposto a<br />

ruote coperte Sport-Prototipo,<br />

assume un’importanza addir<strong>it</strong>tura<br />

superiore a quella del mondiale di<br />

formula uno.<br />

Ecco che i piloti devono dividersi<br />

tra questi due campionati, spesso<br />

dando la precedenza al primo per<br />

ragioni di prestigio o per ordine<br />

di scuderia. Vincere, per esempio,<br />

la 24 Ore di Le Mans o quella di<br />

Daytona, equivaleva, in notorietà,<br />

quasi a vincere il Mondiale piloti<br />

di F1. E vincere il Mondiale Marche,<br />

per una Casa, era più importante<br />

che aggiudicarsi quello piloti.<br />

Questo è un aspetto che oggi,<br />

nel confronto inter-generazionale,<br />

non viene mai preso in considerazione.<br />

Eppure è un argomento<br />

fondamentale che ha orientato<br />

molte carriere, anche di piloti di<br />

formula uno. E non è fin<strong>it</strong>a, perché<br />

ci sono le manifestazioni fuori<br />

dal calendario iridato, come la<br />

Corsa dei Campioni a Brands-<br />

Hatch o il Daily Express Trophy,<br />

ad attirare lo schieramento al<br />

completo dei migliori calibri in<br />

circolazione. Essi non vengono<br />

però quasi mai c<strong>it</strong>ati, proprio perché<br />

non erano inser<strong>it</strong>i nel calendario<br />

iridato della massima formula.<br />

Vincerli era importante,<br />

come lo erano le manifestazioni<br />

che riempivano il calendario al di<br />

fuori del Mondiale Conduttori<br />

nell’altro emisfero del mondo<br />

dove, quando da noi è inverno, lì<br />

è estate. Erano dei campionati<br />

brevi ma molto combattuti, come<br />

la Tasmania Cup o la Temporada<br />

Argentina e vedevano al via gli<br />

assi della formula uno. Qualcuno<br />

tra loro queste competizioni le<br />

vinceva, e anche di questo si dovrebbe<br />

tenere conto negli improb<br />

a b i l i c o n fr o n t i i n t e r -<br />

generazionali.<br />

Maggiori potenze e motori di<br />

cilindrata doppia: significa partire<br />

con un carico di carburante più<br />

corposo perché la gara si disputa<br />

senza soste per il rifornimento. Il<br />

risultato è che il pericolo<br />

d’incendio aumenta esponenzialmente<br />

e le conseguenze si vedono.<br />

In formula uno Bandini,<br />

Schlesser, Courage, Siffert e Williamson<br />

sono v<strong>it</strong>time del fuoco:<br />

Ickx se la vede brutta in Spagna<br />

1970 e Hulme, pilota di formula<br />

uno, rischia nello stesso anno di<br />

perdere l’uso di una mano per le<br />

ustioni riportate ad Indianapolis,<br />

gara del campionato USAC. E<br />

tutto questo lascia un solco in chi<br />

continua.

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