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Il tempo che non venne

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La cimice e l’orso<br />

Sembra ampio questo spazio – arioso<br />

ma <strong>non</strong> troppo – dove salta la cimice<br />

nel suo rango di cimice. Qualcosa di più<br />

qualcosa di meglio del povero orso bruno<br />

di stanza in Sicilia quando gemeva di vergogna<br />

ridotto a cosa mai vista, incredibile a vedersi.<br />

Io, nei pomeriggi di certe estati infinite,<br />

me ne stavo a guardare la bestia umiliata<br />

chiusa nella cella di mattoni e cemento.<br />

Simile a un santo – e sant’Orso lo chiamavo –<br />

steso attorno al catino d’acqua putrida, bollente,<br />

ammasso di nuda carne e di mos<strong>che</strong> feroci.<br />

Allora alzavo gli occhi alla collina<br />

del vecchio borgo senza vita<br />

dove la torre – semplice di linee,<br />

primitiva, indistruttibile –<br />

tranciava un cielo di azzurrato borotalco<br />

e dicevo: questa tempesta di mondo<br />

ha proprio bisogno di una cimice<br />

<strong>che</strong> lavori in uno spazio ampio – arioso<br />

ma <strong>non</strong> troppo – e sia capace<br />

di infilarsi ovunque, di attraversare montagne,<br />

di bucare il piombo.<br />

Ancora oggi sento <strong>che</strong> questa cimice<br />

qualcosa sta facendo. Qualcosa, mi ripeto, combinerà.<br />

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