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Nello zaino - Sezione Vicenza

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14 - <strong>Nello</strong> <strong>zaino</strong><br />

Cappellano militare in Russia, medaglia d’argento, cadde<br />

in prima linea mentre assisteva i suoi alpini a Warwarowka<br />

La sede Ana di Chiuppano intitolata a don Segalla<br />

Con una splendida cerimonia il 10 marzo gli alpini di<br />

Chiuppano e dei gruppi limitrofi, con il patrocinio comunale<br />

e l’esperta regia del capogruppo Franco Genitali,<br />

hanno reso omaggio a don Antonio Segalla, cappellano<br />

del Morbegno, medaglia d’argento al valor militare, caduto<br />

in Russia, intitolando la sede sociale al suo nome.<br />

Fu colpito a morte il 23 gennaio 1943 nella battaglia<br />

di Warwarowka, uno dei numerosi scontri che precedettero<br />

Nikolajewka, dove la Tridentina fu protagonista<br />

assoluta. All’eroica divisione apparteneva anche don<br />

Antonio Segalla, “prete con le stellette” inquadrato nel<br />

Morbegno, un battaglione le cui gesta sono commemorate<br />

ogni anno nell’omonimo paese della Valtellina, proprio<br />

nel ricordo del combattimento di Warwarowka. La<br />

battaglia divampò improvvisa nel cuore della notte, a<br />

seguito di un massiccio attacco di mezzi corazzati russi.<br />

Nell’impari scontro il Morbegno uscì pressoché distrutto<br />

e don Antonio, cappellano amato e stimato dai tutti<br />

i soldati, seguì la sorte dei suoi alpini in prima linea,<br />

mentre confessava, confortava, curava.<br />

Era nato a Chiuppano da Giuseppe Segalla e da Lucia<br />

Dal Pra il 14 agosto 1907; ancor giovane rispose alla<br />

chiamata al sacerdozio e, una volta consacrato, fu in<br />

servizio come cooperatore in varie comunità della diocesi<br />

padovana. Allo scoppio del conflitto la continua<br />

partenza dei suoi ragazzi per il fronte lo inquietò al punto<br />

da voler condividere il loro destino e gli fece maturare<br />

il proposito di star loro vicino, per alleviare le sofferenze<br />

morali di quei giovani e farli sentire meno lontani<br />

da casa e dagli affetti familiari. Il 4 febbraio 1941 indossò<br />

la divisa, con il grado di tenente; partì per la Russia<br />

l’11 dicembre 1941. Un documento della curia padovana,<br />

conferma a questo proposito che l’assegnazione alle<br />

truppe alpine fu una ulteriore, precisa richiesta di don<br />

Antonio, con l’intento di riunirsi ai ragazzi delle parrocchie<br />

in cui aveva operato.<br />

Oltre alla motivazione della medaglia d’argento, sono<br />

ben cinque le testimonianze che raccontano in dettaglio<br />

la scena della morte di don Antonio Segalla.<br />

La prima, di una immediatezza impressionante, è<br />

quella scritta nel libro di memorie “Calvario bianco” del<br />

cappellano militare friulano don Carlo Caneva, poi parroco<br />

e fondatore del tempio di Cargnacco, dedicato ai<br />

Caduti e Dispersi di Russia, testimone oculare, che assistette<br />

di persona al tragico epilogo; la descrizione colpisce<br />

per una crudezza, necessaria a rendere l’immagine<br />

quasi filmica di una morte, affrontata, mettendo in secondo<br />

piano il rischio, per privilegiare<br />

ad ogni costo il servizio.<br />

Scrive don Carlo: “Verso le<br />

21 la colonna arrestò bruscamente<br />

il passo…nell’oscurità da<br />

una posizione invisibile uno o<br />

più carri russi sparavano su di<br />

noi e il ritmo dei colpi aumentava…<br />

venne in testa l’82^ compagnia<br />

cannoni e piazzò i suoi<br />

pezzi per cercare di ridurre al<br />

silenzio chi ci aveva così micidialmente<br />

presi di mira. Mi<br />

chiamavano dovunque per assistere<br />

feriti e morenti... sopra una<br />

slitta stava confessando don<br />

Antonio Segalla, cappellano del<br />

Morbegno. Si era poi seduto e<br />

stava parlando col capitano<br />

Panzeri, comandante l’82^ cannoni,<br />

ferito. Tutt’a un tratto il<br />

capitano udì uno schianto e si Don Antonio Segalla<br />

trovò fra le mani la testa del<br />

cappellano troncata a secco da un proiettile che aveva<br />

trapassata l’ambulanza da parte a parte.”<br />

La seconda attestazione è scritta da mons. Arrigo<br />

Pintonello, reduce di Russia e più tardi Ordinario militare<br />

d’Italia, quasi in tempo reale, l’8 marzo del 1943,<br />

preoccupato che non si perdesse l’esemplarità di un simile<br />

atto di valore. Disponiamo poi di una terza testimonianza:<br />

la lettera dell’alpino Ermete Speziali di Silandro<br />

in forza al Morbegno, che conferma i fatti e che,<br />

trovandosi la sera del 22 in testa al battaglione, ebbe<br />

modo di scambiare una battuta con don Antonio, che gli<br />

aveva chiesto “Come va Speziali” a cui aveva risposto<br />

“Fin che siamo in piedi va sempre bene”..<br />

La quarta riguarda la ricostruzione, fatta nel 1946,<br />

dal capitano Mario Panzeri in una lettera alla mamma<br />

Lucia; Panzeri era stato il più vicino testimone diretto<br />

della sua morte e anche un miracolato, poiché nel momento<br />

del colpo fatale, giaceva nella stessa slitta-ambulanza.<br />

Al ritorno in patria, ne traccia un quadro luminoso,<br />

che merita di essere riletto: “Don Antonio cadde eroicamente,<br />

come eroicamente aveva vissuto, colpito alla<br />

testa da piombo nemico… nella piana di W.W. nell’assolvimento<br />

del suo dovere di soldato di Cristo, mentre

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