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lasciò Villefort.<br />

L'anticamera era piena di gendarmi e di agenti di polizia.<br />

In mezzo ad essi, guardato a vista, circondato da sguardi fulminanti d'odio, stava calmo,<br />

immobile e ritto in<br />

piedi il prigioniero.<br />

Villefort traversò l'anticamera, diede uno sguardo obliquo a Dantès dopo aver preso un<br />

plico che gli venne<br />

rimesso da un agente, dicendo: "Mi si conduca il prigioniero."<br />

Per quanto rapido fu lo sguardo, questo bastò a Villefort per farsi un'idea dell'uomo che<br />

stava per interrogare.<br />

Egli aveva riconosciuto l'intelligenza in quella fronte larga ed aperta, il coraggio<br />

nell'occhio fisso e nel<br />

sopracciglio corrugato, e la franchezza nelle labbra grosse e semiaperte che lasciavano<br />

vedere due file di denti<br />

come l'avorio; la prima impressione era stata dunque favorevole per Dantès; ma Villefort<br />

aveva inteso dire<br />

spesso, in segno di profonda politica, che bisogna diffidare del primo impulso, allorché sia<br />

favorevole, per cui<br />

applicò la sentenza all'imp ressione ricevuta, senza tener conto della differenza che passa<br />

fra due impressioni.<br />

Egli soffocò dunque i buoni istinti che premevano il suo cuore per liberare lo spirito dalla<br />

violenza, accomodò<br />

davanti allo specchio il suo portamento come nei giorni dei grandi processi, e si sedette<br />

cupo e minaccioso dietro<br />

lo scrittoio.<br />

Un istante dopo entrò Dantès.<br />

Il giovane era sempre pallido, ma calmo e sorridente. Egli salutò il suo giudice con una<br />

deferenza non<br />

affettata, poi cercò con gli occhi una sedia, come si fosse trovato nella camera del signor<br />

Morrel.<br />

Fu allora soltanto che incontrò lo sguardo di Villefort, sguardo particolare degli uomini di<br />

palazzo che non<br />

vogliono che si legga il loro pensiero, e fanno del loro occhio un cristallo appannato.<br />

Questo sguardo gli fece capire che era davanti alla giustizia, simbolo di sinistre maniere.<br />

"Chi siete voi, e come vi chiamate?" domandò Villefort sfogliando le note che l'agente gli<br />

aveva rimesse<br />

entrando, e che da un'ora erano divenute voluminose, tanto la corruzione si attacca presto<br />

al corpo disgraziato di<br />

colui che si definisce imputato.<br />

"Signore, mi chiamo Edmondo Dantès" rispose il giovane con voce calma e sonora, "sono<br />

secondo a bordo<br />

del bastimento il Faraone, che appartiene ai signori Morrel e Figli."<br />

"La vostra età?" continuò Villefort.<br />

"Diciannove anni" rispose Dantès.<br />

"Che facevate, al momento che foste arrestato?"<br />

"Assistevo al pranzo del mio fidanzamento" disse Dantès, con una voce leggermente<br />

commossa, tanto era<br />

doloroso il contrasto fra i momenti di gioia e la lugubre cerimonia che si compiva, e tanto<br />

il viso cupo di<br />

Villefort faceva brillare di luce la raggiante figura di Mercedes.<br />

"Voi assistevate al pranzo del vostro fidanzamento?" disse il sostituto, rabbrividendo suo<br />

malgrado.<br />

"Sì, signore, sono sul punto di sposare una donna che amo da tre anni!"<br />

Villefort, sebbene d'ordinario impassibile, fu colpito da questa coincidenza; e quella voce<br />

commossa di<br />

Dantès sorpreso in mezzo alla sua felicità, andò a svegliare una fibra simpatica nel fondo<br />

della sua anima.<br />

Egli pure si ammogliava, egli pure era felice e si veniva a disturbare la sua felicità perché<br />

contribuisse a

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