Madrugada numero 74 - Associazione Macondo
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Il salotto buono<br />
delle città<br />
Ode alla panchina fossile<br />
di Heimat<br />
> luoghi<<br />
Il rivestimento esterno di marmo della facciata (mai completata) della chiesa di<br />
San Petronio a Bologna contemplava una sporgenza appena sopra il ginocchio<br />
dei fedeli. Una panchina a correre lungo tutto il lato corto della basilica posta a<br />
ristoro tra una visita alle sacre volte e una pausa di contemplazione rivolta alla<br />
piazza. Studenti, turisti, vecchi, immigrati. Flaneur provinciali, residenti, osservatori<br />
perditempo. Tutti a sfidare la buona creanza degli stormi di colombi locali<br />
per sedersi sulla panchina a cielo aperto della città. Accomodarsi a ridosso della<br />
chiesa era un po’ come avere un bel posto da cui guardare la gente passare. Senza<br />
pretese né massimi sistemi. Un comodo cornicione - freddo o meno a seconda<br />
della stagione - su cui consumare un bonus di tempo libero da 10 minuti, o più.<br />
E parlare di affari umani, o prendere il sole, o mangiare un panino.<br />
Sul letterario ponte sulla Drina, Ivo Andric aveva posto due panchine di pietra<br />
che si guardavano, una per ciascun lato del ponte, a «salotto della città»: centro<br />
gravitazionale della storia degli uomini di quella lontana landa di Bosnia, incrocio<br />
di imperi, avamposto della porta d’Oriente in Europa. Staffetta di guerre, di<br />
idee, di cambiamenti. Andric aveva messo un ponte al centro di quella civiltà<br />
maestra di coesistenza tra elementi diversi. E al centro del ponte due panchine,<br />
simboli a loro volta del gesto per eccellenza della convivenza: la conversazione.<br />
O anche solo un bel posto dove sedersi e guardare il fiume scorrere sotto il<br />
cielo immenso. E rendersi conto della propria effimera piccolezza: antidoto<br />
formidabile a ogni ideologia.<br />
La panchina di San Petronio era sempre affollata. Tra i marmi bianchi e rosa<br />
si rifugiavano anche nigeriani con grandi sporte di plastica, punkabbestia<br />
accompagnati da cani con il pedigree, forse qualche tossico solo in cerca di<br />
un puntello su cui appoggiarsi. Nel 2002, nel pieno della lotta al terrore post<br />
11 settembre, un gruppo legato ad Al Qaeda fu intercettato mentre tentava di<br />
colpire il Maometto all’inferno dipinto da Giovanni da Modena nel XV secolo<br />
proprio all’interno di San Petronio: un simbolo giudicato offensivo. L’attacco fu<br />
sventato. Ma da allora una transenna fece la sua comparsa intorno al perimetro<br />
dell’edificio, chiudendo l’accesso non tanto al tempio, quanto alla sua panchina<br />
secolare. Nel 2006 un nuovo allarme portò ad allargare la zona di sicurezza:<br />
anche la scalinata che scende verso il Crescentone - la pavimentazione rialzata<br />
della piazza a geometrie bianche e rosa ristrutturata da Giorgio Guazzaloca nel<br />
2004 nell’estremo tentativo estetico di respingere gli attacchi del Cofferati di<br />
sinistra che si presentava a insediare la sua poltrona di primo cittadino di destra<br />
- fu rinchiusa dentro un cordone di protezione. Ancora oggi un energumeno<br />
della Digos ha il veto inappellabile sull’entrata dei pellegrini: chi ha uno zaino<br />
troppo grande resta fuori. Così l’unico gradino rialzato che rimane a Piazza<br />
Maggiore è proprio quello del Crescentone. Ma è come sedersi per terra. Gesto<br />
di assoluta poca dignità. E così l’eleganza bolognese ha rinunciato al suo salotto<br />
cittadino per ragioni maggiori di sicurezza nazionale. Per fortuna i muriccioli<br />
di mattoni rossi sotto le volte di piazza Santo Stefano, dove si raccolgono primaverili<br />
accrocchi di giovanotti in giacca di velluto e ragazze con la sciarpa di<br />
seta, resistono ancora. Come pure le panchine di piazza San Francesco, rifugio<br />
del via vai che va in scena nella vicina via del Pratello.<br />
23<br />
Le panchine di Gentilini e compagnia<br />
Eppure la guerra alla panchina in questi tempi di estirpazione del degrado