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Madrugada numero 74 - Associazione Macondo

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luoghi<<br />

24<br />

cittadino conta molti successi. Quasi fosse tempo di estinzione<br />

per un gingillo che da protagonista dell’arredo urbano<br />

diventa un fossile. Il primo a farla franca, a memoria, deve<br />

essere stato quel già imitato Giancarlo Gentilini, sceriffo di<br />

Treviso, che tolse le panchine perché vi si fermava la feccia<br />

che deturpava il paesaggio. Immigrati, nullafacenti, accattoni,<br />

ambulanti. Chi fa vita sulla strada non ha una proprietà<br />

privata in cui rifugiarsi: usa il salotto condiviso della città.<br />

Chi ha tempo per sostare a naso all’aria gode della pubblica<br />

riprovazione perché l’attività e il lavoro dei giorni riempie<br />

i minuti della società della produzione infinita. Togliere<br />

le panchine significa togliere anche quell’estremo urbano<br />

piacere di guardare il mondo e non fare niente. Stare seduti,<br />

pensare, osservare. E basta.<br />

La scalinata di piazza di Spagna, a Roma, ha sofferto<br />

degli stessi divieti delle nuove città pulite: niente briciole<br />

di prosciutto, niente gelati, niente soste accovacciati sulla<br />

visuale della Barcaccia. Si guarda senza toccare. L’estetica<br />

del paesaggio perfetto vince sulle esigenze corporee di sollievo,<br />

di un momento per rifocillarsi o sorridere alla vista<br />

di Roma secolare. Si toglie la fauna umana per permettere<br />

ad altra fauna, sempre umana, di fare belle foto.<br />

Anche a Milano nell’epoca della campagna elettorale per<br />

vincere l’Expo 2015 erano apparse speciali panchine di<br />

design in piazza Duomo. In legno e acciaio, celebravano<br />

qualcosa come «Milano città a misura d’uomo». Iniziativa<br />

che mi aveva piacevolmente sorpreso. Tra uomini in gessato,<br />

giapponesi, venditori di rose, africani, russi, ragazze<br />

in tacco 12 e badanti si poteva sempre trovare uno di<br />

quegli ubriaconi docili che - come nel caso classico in cui<br />

la verità si manifesta per bocca dello scemo del villaggio -<br />

punzecchiava il genere umano milanese: «Ma siamo sicuri<br />

che tutto questo lavoro faccia la felicità ?». Purtroppo dopo<br />

che la città di Letizia Moratti ha tolto a Smirne la soddisfazione<br />

di organizzare l’Expo, le panchine sono sparite.<br />

Senza motivo apparente. Non ci sono più. Forse perché<br />

ora tocca ai palazzinari veri entrare in campo. Quelli che<br />

costruiscono panchine hanno un business troppo limitato<br />

e residuale per il grande affare di Expo 2015 che si gioca<br />

attorno alla periferia Nord-Ovest di Rho, dove c’è ora la<br />

nuova fiera. Peccato, proprio ora che dal Duomo è scomparso<br />

l’ultimo drappeggio del pluriannuale restauro e la<br />

facciata risplende nella sua luce di pietra chiara. Bisognerà<br />

ammirarla restando in piedi.<br />

Via del Paradiso? No!<br />

Una volta stavo gironzolando per Firenze. Avevo del tempo<br />

libero che volevo spendere senza guida o cartine della<br />

città. Mi infilavo nei vicoli procedendo un po’ a caso. Avevo<br />

incrociato via dell’Inferno e via del Purgatorio a poca<br />

distanza una dall’altra: la cosa mi incuriosiva e mi stavo<br />

chiedendo se via del Paradiso non si trovasse nella stessa<br />

zona. Non riuscendo a scovarla avevo chiamato un amico<br />

che conosceva la città. A sentire la mia richiesta lui si era<br />

fatto una risata. «Hai sbagliato a cercare», mi aveva detto:<br />

«il Paradiso non può essere una via, deve essere per forza<br />

una piazza dove uno si ferma, magari si accomoda sotto la<br />

veranda di un bar, e fa quattro chiacchiere, beve qualcosa.<br />

Una piazza dove ci si possa incontrare, ci si possa sedere<br />

su una panchina a guardare passare la gente. E stare lì, e<br />

non dire niente».<br />

HEIMAT<br />

o forse meglio HEIMWEH

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