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Acli Trentine GIUGNO 2008

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primo pianodi Walter NicolettiUNA RIFLESSIONE SUL VOTOCHE NON C’ÈFra elettori scomparsi e voglia di territorioCi sono due livelli di riflessione che siaggiungono alle tante analisi compiutesu queste elezioni politiche. La paura, omeglio la sicurezza, sono certamente dellerisposte razionali alla natura di questovoto, ma crediamo vi siano anche altrequestioni sulle quali ragionare.Il voto scomparsoOltre 9 milioni di elettori si sono rifiutatidi andare alle urne e a questi è necessarioaggiungere un altro milione e mezzo fraschede bianche, non voto e nulle.10,5 milioni di italiani su 47 milioni dielettori.Una massa fisiologica sostengono glianalisti che guardano al bipartitismocome alla panacea per i mali della democraziae della governabilità.Peccato che in questo calcolo rientrianche quel 7% di elettori che la voltascorsa si era espresso per i partiti dellasinistra radicale e quindi indirettamenteper l’Unione. Circa due milioni e mezzo dielettori che si sono persi nelle pieghe dell’astensionee solo in minima parte hannoscelto la Lega come partito “antagonista”.Il Partito democratico perde, sempresecondo gli analisti, in favore dell’astensionee dello schieramento opposto (lamobilità elettorale c’è sempre stata) erecupera solo a sinistra nel nome del“voto utile”.Il dato che viene raccolto da Ilvo Diamanti,sociologo ed apprezzato analistadi Repubblica, è quindi l’impressionantestabilità elettorale del voto democratico.L’Ulivo prima, l’Unione poi ed il Pd adessosi attestano sempre sul 30-33 % deglielettori confermando, anche geograficamente, la natura del votoalla provenienza dagli ex DS-PDS-PCI. Un voto, per dirla ancora conDiamanti, con i numeri nelle regioni rosse (Emilia Romagna e Toscana)e la testa a Roma. Insomma un partito centralista, conservatorenella sua classe dirigente, incapace di cogliere le istanze del Nord edil malcontento del Sud.L’eterna questione territorialeNon c’è dubbio che, specie sul piano mediatico, Veltroni abbia cercatodi lavorare per il rinnovamento. Ma a ben guardare nei gruppidirigenti democratici si scoprono sempre le stesse candidature, glistessi gruppi ereditati dai partiti della Prima repubblica (PCI, DC, pezzidi nuova sinistra e ambientalisti di professione con l’aggiunta disindacalisti a fine carriera). Insomma cose vecchie che hanno spintomigliaia di elettori verso la rassegnazione e la protesta, forse tristee solitaria, del non voto. Contro questo “trombonismo di sinistra” siè quindi sollevato anche il vento mediatico dell’antipolitica che hafinito, come sempre accade in Italia a dispetto degli astensionisti allaGrillo, per favorire la destra. La Lega Nord, come afferma GianfrancoBettin, ha quindi finito col rappresentare la genuina voglia di cambiamentodel settentrione incamerando “un voto utile al cubo controquesta sinistra e tuttavia distinto dal berlusconismo”.Ai problemi del mancato rinnovamento della classe dirigente democratica(a poco servono le candidature di facciata del giovane operaioe dell’imprenditore moderno), si aggiunge poi lo scollamento ela mancanza di contatto con la questione settentrionale. Questioneincamerata dalla Lega in assenza di proposte per il “nuovo capitalismo”di cui parla Aldo Bonomi. Vale a dire in mancanza di proposteper quelle milioni di partite Iva che non appartengono alla cultura diimpresa tradizionale e che di fatto rappresentano una sorta di “neoproletariato territoriale”. Questo popolo, in presenza di un centro sinistratrombonista e centralista, si è spostato a destra dentro formeidentitarie che a poco serve definire rozze ed egoiste se non si hacapito che il mondo e il territorio sono cambiati.Un ritorno al protagonismo della comunità, alla costruzione reticolaredi forme di aggregazione e di socializzazione dal basso sembra peril momento l’unico antidoto di lunga durata per far risalire la chinaad un centrosinistra sempre più atomizzato dentro l’autonomia delpolitico e permeato da una inquietante distanza dal mondo reale.11

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