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2. La percezione del suono musicale

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T. Pecker Berio, Fondamenti <strong>del</strong> linguaggio <strong>musicale</strong> a.a. 2008-2009 / <strong>2.</strong> <strong>La</strong> <strong>percezione</strong> <strong>del</strong> <strong>suono</strong> <strong>musicale</strong><br />

non ne consegue che esso debba essere emesso dalla propria causa, o che esso debba essere inteso<br />

come il <strong>suono</strong> di quella causa.<br />

<strong>2.</strong> L’esperienza acusmatica<br />

<strong>La</strong> separabilità <strong>del</strong> <strong>suono</strong> dalla sua causa ha <strong>del</strong>le conseguenze importanti. Si racconta che Pitagora<br />

teneva le sue lezioni dietro uno schermo, così che i suoi discepoli potessero concentrarsi sul<br />

contenuto <strong>del</strong>le sue parole senza essere distratti dalla vista di chi le emetteva. Da qui la qualifica dei<br />

pitagorici come Akousmatikoi - quelli che desiderano sentire (e ascoltare). Il compositore e<br />

ricercatore francese Pierre Schaeffer (1910-1995), padre <strong>del</strong>la “musica concreta”, nel suo famoso<br />

Traité des objets musicaux (trattato degli oggetti musicali), ritiene che quando ascoltiamo, tendiamo<br />

a staccare il <strong>suono</strong> dalle circostanze <strong>del</strong>la sua produzione e di riferirci ad esso come a una cosa in<br />

sé. Questa esperienza “acusmatica” è rinforzata nel contesto <strong>del</strong>la musica riprodotta: dalla radio e<br />

dai dischi che completano e ‘sanciscono’ la scissione <strong>del</strong> <strong>suono</strong> dalla sua causa che ha avuta il suo<br />

inizio nella moderna sala da concerto.<br />

Questa particolare qualità <strong>del</strong> <strong>suono</strong> sta alla base <strong>del</strong>l’esperienza <strong>musicale</strong> nel suo contesto artistico:<br />

la musica colta occidentale si è sviluppata al di fuori e di là <strong>del</strong>la dimensione rituale che collega<br />

l’emissione <strong>del</strong> <strong>suono</strong> al corpo che gli dà voce (con le corde vocali o con uno strumento). Per<br />

quanto importante fosse diventata la figura <strong>del</strong>l’interprete nel corso <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong>la musica<br />

occidentale (significativamente con la voce umana nell’ambito <strong>del</strong> teatro d’opera, ma anche nei vari<br />

generi di virtuosismo strumentale), l’identificazione <strong>del</strong> ‘prodotto’ <strong>musicale</strong> con il corpo o corpi<br />

umani che lo producono è diventata sempre meno diretta e più sofisticata attraverso l’invenzione e<br />

l’elaborazione di artefatti sonori via via più complessi quali la polifonia vocale dei secoli XV-XVI o<br />

le forme sinfoniche <strong>del</strong>l’Ottocento. I lavori per grande orchestra sono stati (e sono tuttora) concepiti<br />

per la moderna sala da concerto, nella quale può accadere che si sente ma non si vede, e anche<br />

quando si vede - da quei posti privilegiati in platea o nelle prime file <strong>del</strong>la prima galleria - non è<br />

sempre possibile differenziare i singoli suoni che compongono il tutto, e tanto meno tenere<br />

simultaneamente in vista i singoli strumenti che li producono. Il concetto stesso di ‘opera’ (nel<br />

senso di opus o oeuvre) <strong>musicale</strong> - retaggio esclusivo <strong>del</strong>la cultura occidentale - più che con la fonte<br />

fisica dei suoni che compongono l’opera - è diventato sinonimo <strong>del</strong>la propria notazione - la traccia<br />

scritta costituita dalla partitura che ne garantisce la trasmissione al di là <strong>del</strong>le circostanze specifiche<br />

che di volta in volta (e di epoca in epoca) determinano la sua esecuzione. Lungo il nostro percorso<br />

incontreremo spesso questa distinzione tra culture e i relativi modi di concepire la musica.<br />

A prescindere dal grado d’identificazione o di distanza tra l’evento sonoro e la sua fonte, è nella<br />

natura <strong>del</strong> <strong>suono</strong> essere autosufficiente: qualsiasi sia la sua ‘causa’ - la cosa che lo causa o lo genera<br />

- chi ascolta lo sente come tale. Ciò è doppiamente vero se e qualora quel evento diventa <strong>musicale</strong><br />

(ma dovremmo ancora chiarire che cosa trasforma un insieme di suoni in musica). Pensiamo, ad<br />

esempio, a quel che succede quando entriamo in una stanza in cui si sta suonando o ascoltando<br />

Syrinx per flauto solo di Claude Debussy. Riconosciamo i suoni come tali senza o prima di<br />

attribuirli alla loro fonte. Anche chi non aveva mai sentito il <strong>suono</strong> di un flauto, oppure l’aveva<br />

sentito (alla radio, attraverso una porta chiusa, ecc.) senza sapere che quel <strong>suono</strong> è il <strong>suono</strong> di un<br />

flauto, si rende conto che nella stanza si sta facendo <strong>del</strong>la musica, e ascolta il messaggio sonoro in<br />

quanto musica.<br />

3. Evento e processo<br />

Che cos’è il <strong>suono</strong>? Che fosse un fenomeno è ovvio. Ma non possiamo definirlo né come oggetto né<br />

come proprietà.<br />

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