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Antonella Kubler - Comune di Modena

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informazioni che ci servono, per imparare a <strong>di</strong>scutere su dati osservabili all’interno deinostri gruppi <strong>di</strong>sciplinari e <strong>di</strong> progetto.Cosa possiamo capire dalle prove, quali i processi sottesi? Siamo <strong>di</strong>sposti adavvicinarci alla descrizione senza una sensazione riduttiva?“Il valore aggiunto non può essere solo un algoritmo.” precisa il Dirigente tecnico delMinistero, Giancarlo Cerini. Siamo alla ricerca <strong>di</strong> una “valutazione mite”, poiché in ambitoeducativo tutti i riduzionismi sono pericolosi: se vogliamo capire <strong>di</strong> più rispetto ai numeri,non possiamo far mancare la <strong>di</strong>mensione riflessiva. Ma non contrapponiamo gli aspettiquantitativi e quelli qualitativi, impariamo piuttosto a farli parlare tra loro; gli strumentidocimologici sono al nostro servizio. “Valutare per decidere, per governare, per gestire,”suggerisce, “per non andare solo secondo l’ intuizione”.Un esempio. Il modello olandese portato da Jaap Scheerens, docente <strong>di</strong> Organizzazione eManagement dell’Educazione all’Università <strong>di</strong> Tweente, evidenzia che nei Paesi Bassi lescuole dotate <strong>di</strong> ren<strong>di</strong>contazione interna risultano a più alto livello <strong>di</strong> coerenza, coesione econsenso; in più, che la ren<strong>di</strong>contazione esterna, cioè la valutazione a livello nazionale,funziona meglio per le scuole nelle quali viene già attuata quella interna. Certo, si parla <strong>di</strong>un sistema scolastico in cui tra istituti c’è reale concorrenza, in cui quin<strong>di</strong> la selezione trauna scuola e l’altra è all’or<strong>di</strong>ne del giorno nell’opinione pubblica; non intendendo in questasede giu<strong>di</strong>care un sistema molto <strong>di</strong>fferente dal nostro, vorremmo limitarci a riflettere se sipuò <strong>di</strong>re onestamente che il nostro sistema oggi offra a tutti le garanzie <strong>di</strong> inclusività e <strong>di</strong>pari opportunità che nobilmente si prefigge. Non possiamo negare che sul nostro territorionazionale la <strong>di</strong>fferenziazione tra le proposte <strong>di</strong>dattiche sia così accentuata da rischiare <strong>di</strong>fare venir meno il valore unificante della scuola pubblica. Non pare inopportuno delinearequadri <strong>di</strong> riferimento da cui non si prescinda, che tengano ferme lingua, tra<strong>di</strong>zioni, rapportocon l’Europa.E non potrebbero proprio gli stimoli forniti da prove nazionali sulla preparazione deglistudenti, uguali su tutto il territorio nazionale, favorire una maggiore convergenza?Tra le obiezioni ad un sistema che valuti le scuole italiane attraverso provestandar<strong>di</strong>zzate, si in<strong>di</strong>vidua il problema <strong>di</strong> evitare la pratica dell’addestramento ai test, chei docenti <strong>di</strong> lingue straniere conoscono già da tempo in virtù delle certificazioni con valoreeuropeo: ad<strong>di</strong>rittura si adottano in alcuni casi testi in funzione delle prove, caricando laspesa delle famiglie e <strong>di</strong>storcendo gli obiettivi <strong>di</strong>dattici. Lo stesso potrebbe accadere con leprove standar<strong>di</strong>zzate del sistema nazionale. Solo se noi lo vorremo, però, nell’ambito dellanostra libertà/capacità critica/professionalità <strong>di</strong> insegnanti: siamo noi, nel Collegio deidocenti, a deliberare le adozioni dei libri <strong>di</strong> testo, così come a noi soltanto attengono lescelte <strong>di</strong>dattiche. Non lasciandoci fuorviare dalla pratica del cosiddetto teaching to test,che riduce al superamento delle prove gli obiettivi del nostro ben più ampio e profondolavoro nelle classi, ricor<strong>di</strong>amoci che la rosa degli strumenti per la valutazione è articolataed è tutta a nostra <strong>di</strong>sposizione. Come la scelta delle pratiche <strong>di</strong>dattiche e <strong>di</strong> quelle <strong>di</strong>lavoro in equipe, grazie alle quali abbiamo la possibilità <strong>di</strong> mettere a punto le strategiecomuni più efficaci.Ancora: si teme che la valutazione esterna risponda ad un gioco <strong>di</strong> potere, parli troppo illinguaggio dell’economia. Ancora, il problema può essere rovesciato: ce la fa la scuola – sidomanda provocatoriamente Damiano Previtali, Dirigente scolastico e docenteall’Università Cattolica - a ridare vigore al proprio linguaggio, quello che mette al centroparole come benessere, integrazione, opportunità, senza sottrarsi al <strong>di</strong>alogo con la societàdell’economico? Le scuole e i loro <strong>di</strong>rigenti riescono a prendere in mano le proprie risorseinterne e a potenziarle? E’ realistico pensare ad una percezione della scuola e degliinsegnanti come ad un valore sociale aggiunto, dal momento che producono servizieducativi per gli immigrati, per i <strong>di</strong>sabili, offrendo un sostegno migliore <strong>di</strong> tante altreistituzioni? Insomma, si prendano in mano le re<strong>di</strong>ni della nostra carrozza - carrozzone,invece <strong>di</strong> lasciarle sempre a chi ci governa da fuori.Ai <strong>di</strong>rigenti scolastici non fa sconti nemmeno Ricci, sostenendo con chiarezza che, seproprio loro non guidano il processo, il sistema non funziona: la raccolta dei dati, in3

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