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sq16 - lo Squaderno - professionaldreamers

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e perico<strong>lo</strong>se capaci di mettere in questione l’immaginario collettivo. Storie che vedono ortinascosti al quindicesimo piano, mucche incastrate tra un bagno e un corridoio, pasticcerie informaliper matrimoni e cerimonie di quartiere, sa<strong>lo</strong>tti casalinghi che accolgono per qualchegiorno al mese ballerini di liscio e molto altro, sussurrato quasi a voler<strong>lo</strong> ridicolizzare. Questevoci, però, troppo spesso vengono usate ad alta voce da chi governa questi luoghi per “azionimemoriali” che si traducono spesso in libretti o documentari di bella fattura in ricordo di unedificio demolito: una specie di bonus che assomiglia a una lapide funeraria.Sottovoce vengono dette queste cose, e bisogna abituarsi a questo sussurrio per raccoglierlee restituirle, perché per <strong>lo</strong> più invece si urla: i media urlano che è un disastro e al<strong>lo</strong>ra i politicigridano promettendo un altro nuovo avvenire. Ci si crede ancora, e al<strong>lo</strong>ra si svuotano questipalazzi, li si imbottisce di dinamite e davanti a tutti li si abbatte. Ma che succede? Durantequesto momento tra “l’ultimo secondo” e il secondo dopo, dagli applausi, dai discorsi pienidi promesse, dalla musica da sagra e dalle grida quasi televisive che riempiono il paesaggiosonoro del pre-esp<strong>lo</strong>sione ci si ritrova, in un istante, in un silenzio sacrale abitato ancoradal sordo rumore lasciato dell’avvenuto crol<strong>lo</strong>, dove la folla si smembra improvvisamente eciascuno si protegge un po’ per piangere liberamente casa sua, per guardare il mostro chenon c’è più dietro il fumo di polvere che sta scendendo per gravità pian piano a terra, per farebuchi nella griglia che protegge le macerie, per andare a prendere una mattonellina dellafacciata come ricordo. Un silenzio rispettoso che avvolge le macerie (Sebald, 2004) e untempo più lento si impongono all’ambiente circostante che non riesce più a gesticolare e amuoversi come poco prima. Un tempo tutto particolare, quel<strong>lo</strong> che avvolge il periodo dopola demolizione, un tempo sospeso che permette all’immagine di sistemarsi laddove ora c’è ilvuoto e alle grandi ombre degli edifici demoliti di scomparire pian piano. Un’immagine cheper gli abitanti corrisponde ancora per un po’ di tempo a quel<strong>lo</strong> che c’era, mentre per i politicie gli urbanisti corrisponde già astrattamente a quel<strong>lo</strong> che ci sarà.Un gioco di immagini che non si corrispondono mai dove le temporalità dell’una e dell’altranon ritmano assolutamente al<strong>lo</strong> stesso modo la vita del quartiere. Un “frattempo” che obbligaad abituarsi a un paesaggio dove tonnellate di cemento sono diventate macerie, dove siintravedono ancora pezzi di quotidianità nei brandelli di carta da parati rimasti attaccati airesti dei muri, ma dove non si possono vedere, o non si è preparati a vedere, le future case ei giardini in fiore. Un “frattempo” che sospende anche noi dall’essere di quel posto che non èpiù, ma che nel<strong>lo</strong> stesso tempo non è ancora.Riferimenti bibliograficiFerdinando Fava, 2008. Lo Zen di Palermo. Antropo<strong>lo</strong>gia dell’esclusione. Milano: Franco Angeli.Winfried G. Sebald, 2004. Storia naturale della distruzione. Milano: Adelphi.It is not dust on a jacket[National news 1 pm, the journalist announces the report]Today, for thousand of inhabitants of the 4000 South of La Courneuve the landscape has been clearedaway. In eight seconds, in a great c<strong>lo</strong>ud of dust, a building of sixteen f<strong>lo</strong>ors and almost two hundredmeters <strong>lo</strong>ng has been demolished with the exp<strong>lo</strong>sive. In one word, spectacular.[At La Courneuve, journalist voice off; frame on the landscape]11

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