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Numero Speciale - DF Sport Specialist

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INTERVISTAdi tali convegni organizzato da CAAI, AGAI, CNSASA sul temascottante di “Alpinismo e Rischio”, incontro al quale, previa registrazionegratuita sul sito della commissione scuole di alpinismo,è possibile partecipare.6 - Alla luce della visione complessiva e certamente obiettiva dicui dispone a riguardo della pratica dell’alpinismo in Italia, potrestitracciare sinteticamente un quadro della situazione attualeriferita ai suoi attori, anche nel confronto con le varie stagioni chehanno caratterizzato il nostro alpinismo?Credo che sino agli anni 70 si potesse parlare di un solo “tipo”di alpinismo, quello che portava l’alpinista sulle varie cime delleAlpi e del mondo attraverso itinerari più o meno difficili, ma semprecon la visione della vetta, al punto a volte di rendere questoconcetto anche un po’ retorico in certi periodi storici. Il “NuovoMattino” di G.P. Motti ha cambiato radicalmente i termini del discorso“liberando” l’alpinista dall’ossessione della vetta e quindiaprendo sostanzialmente la strada a tutte le possibili variantidell’andare in montagna. La specializzazione, come fenomenogenerale socio-economico che ha interessato tutti i settori dellavoro, dello studio, dello sport, ha fatto il resto indirizzando, nondico più gli alpinisti, ma i frequentatori dell’ambiente verticale inuna miriade di direzioni diverse (falesia, palestre indoor, bouldering,cascate di ghiaccio, dry tooling) di fatto creando mondi avolte completamente avulsi l’uno dall’altro. Si sono quindi ridottii margini per la pratica dell’alpinismo “tradizionale”, al punto cheaddirittura questa dizione assume per alcuni un significato negativodi vecchio e retrogrado, e quindi sempre meno sono coloroche si avvicinano alla montagna secondo i criteri che hanno guidatogli alpinisti sino agli anni 70.di quegli alpinisti che si sono poi riuniti in un gruppo, i Ragni,poiché l’aggregazione aumentava la forza e la convinzione deisingoli, e questo, con la fortuna di avere in casa un caposcuolastraordinario, Cassin, ha favorito la crescita di tanti altri straordinarialpinisti. Emulazione e competizione. Oggi impera il mordi efuggi, per cui i giovani non si impegnano in un progetto di lungorespiro ed impegnativo come è l’alpinismo. Fanno peraltro tantissimeattività, spesso per brevi periodi, anche perché i mediapropongono sempre qualcosa di nuovo da provare, viene propostal’avventura preconfezionata che provoca brividi, ma nonfa rischiare, quindi oggi c’è la ricerca dell’emozione, ma possibilmentesenza faticare. I giovani sono molto più individualisti diuna volta, quando appunto l’aggregazione era fisica (i gruppi,ma anche l’oratorio della domenica se mi passate l’esempio)e ci si doveva incontrare per parlare e scambiarsi le idee, oggil’aggregazione è virtuale attraverso i social network, la gentesi parla al telefonino senza magari incontrarsi per giorni e siha una percezione distorta, almeno dal mio punto di vista, deirapporti personali. Naturalmente ci sono delle eccezioni, e sivedono anche nell’ambiente lecchese, ma non sono più, comepoteva succedere una volta, l’espressione di un gruppo all’internodel quale, per competizione, risaltavano gli elementi migliori,ma sono vere e proprie individualità che nascono forse perchél’humus “alpinistico” dell’ambiente lecchese è ancora sufficientementefertile. E se è così dobbiamo ancora dire grazie a coloro,“quei vecchi”, che hanno seminato bene per tanto tempo.7 - L’ultima domanda esula senza dubbio dalla specifica competenzaper cui ti abbiamo interpellato, ma non certamente dallatua intelligenza e dalla tua esperienza, per cui ci permettiamochiederti se condividi una certa impressione di decadenza e direcessione che ci deriva guardando la situazione alpinistica sulnostro territorio. Qui amaramente non scorgiamo più quei gruppinumerosi che nei decenni scorsi esprimevano forte passione erisultati entusiasmanti. Forse Lecco è lo specchio di un contestomolti più ampio, e se così, cos’è allora che fa la differenza algiorno d’oggi? Sono gli stimoli che mancano, oppure non si hapiù voglia di affrontare sacrifici e rinunce, troppo abituati alle comoditàdi ogni genere? O che altro ancora?La risposta a questa domanda è di tipo sociologico ed investeil mondo dell’alpinismo come tanti altri settori della sport e dellavita in generale. Se vogliamo prendere l’esempio, calzante, diLecco e pensiamo agli uomini (prima che alpinisti) usciti dalla 2°guerra mondiale, in un periodo che ha portato alla rinascita economicae morale dell’Italia, possiamo immaginare le grandi motivazionidi rivincita, di voglia di emergere, di realizzare qualcosa29

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