Profili28MaurizioFornari
Impossibile dire di no agli “occhi lucenti” di Ada ed eccomidai frivoli set fotografici di moda, catapultata ad intervistareil professor Maurizio Fornari, primario della Divisione diNeurochirurgia all’Istituto Galeazzi di Milano.È considerato uno dei migliori specialisti nel campo dellachirurgia spinale, una disciplina medica in cui si fondonole competenze ortopediche con quelle della neurochirurgia.Grazie a lui molte persone, affette da patologie legate allacolonna vertebrale, hanno riconquistato una vita libera daldolore e la capacità di muoversi senza problemi. Sono circa2000 gli interventi alla colonna vertebrale che la Divisione diNeurochirurgia pratica ogni anno. Il Reparto è sede didatticadella Scuola di Specializzazione in Neurochirurgia dell’Universitàdegli Studi di Milano, dove Fornari è professore.Nato a Milano nel 1950, dopo la laurea e la specializzazione,si è formato a New York, al Mount Sinai Hospital, alNiguarda e poi, dal 1975 al 2000, al Centro NeurologicoBesta di Milano.Ed è dagli studi che partiamo.29Professor Fornari perché la scelta di specializzarsi inneurochirurgia?Mi sono orientato verso questa specializzazione per ragionipersonali e familiari, ma anche casuali.Mi spiego: ero arrivato al quinto anno di medicina e dovevoscegliere l’argomento per la tesi. Non c’era nulla intorno ame che mi affascinasse, se non le scienze neurologiche e,soprattutto, la neuropsicologia, Avendo davanti a me un padrefamoso, bravo e importante (Franco Fornari ndr), la strada misembrava alquanto ardua. Intuivo la mia impossibilità di reggereil confronto con lui sul suo stesso percorso e, avevo anchela certezza di non voler neppure provarci.Non riuscivo a collocarmi. A questo punto, intervenne miasorella maggiore, ora vice presidente della Società europea dipsichiatria a Londra, che mi suggerì, quasi obbligandomi, laneurochirurgia. Mi parve un’idea elegante e andai a curiosareper la tesi. In realtà, sulle prime, ne fui respinto. Abituato allescienze cognitive basate sull’introspezione, sulla parola, sulleletture e sul pensiero, la vista dell’apertura chirurgica dellatesta, mi parve un gesto violento, brutale, egizio... e questapercezione ancora ora, dopo 35 anni di lavoro e 10.000interventi, resta forte in me. Ci si abitua solo perché diventanoevidenti i benefici che può generare.Lei mi parla di violenza. Eppure ho letto di microchirurgia,di tecniche diagnostiche e operatorie, di navigazionespinale...È vero. Negli anni ‘70 è stata introdotta la microchirurgia e,successivamente, con l’avvento prima della TAC, poi dellarisonanza magnetica ed ora dei robot, si è creato un diaframmatecnologico di protezione tra chirurgo e paziente. Nelgesto chirurgico, il primo diaframma protettivo è la spersonalizzazioneche ti permette di lavorare sulla parte anatomica.Scompare la persona. Scompare il chirurgo. Per la necessitàdi evitare contaminazioni del “campo” sterile, viene infattibardato in modo da lasciare solo due occhi che guardano edue mani che lavorano. Il paziente viene “intelato” per divenireun campo operatorio.Le tecniche proteggono sia il paziente che il chirurgo. Gliinterventi sono meno invasivi, più precisi e rapidi. I decorsioperatori sono abbreviati e straordinari: il paziente può avereuna veloce ripresa funzionale. I progressi tecnologici, inquesto senso, sono stati miracolosi. In un passato recente,anche solo per poter arrivare alla diagnosi di una patologiacerebrale, si aveva un indice di mortalità elevato.Oggi, con la radiochirurgia si è in grado di leggere unbersaglio, di definirlo con coordinate spaziali, crearlo tridimensionaleper poi colpirlo con un’unica somministrazione,risparmiando ai tessuti sani dosi potenzialmente pericolosedi radiazioni.Mi scusi, ma io la immagino in sala operatoria comeun capitano alla guida di un’astronave intergalattica nelviaggio dentro al corpo umano...