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28 Ordine Giugno 2002 - Ordine dei Giornalisti

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A.A.V.V. Il tesoro<strong>dei</strong> poveri.Il patrimonio artisticodelle Istituzioni pubblichedi assistenzae beneficenza (ex Eca)di Milano,pagina 496,s.i.p. Silvana Editoriale.L’oratorio di San Roccoa Riozzo negli anni 50Il patrimonioartisticoe culturaledelle IPAB,praticamentesommersofino a pochi annifa, in un volumeche illustra lastoria della societàmilanesee delle sue operecaritativedel Medioevoad oggiIl tesoro <strong>dei</strong> poveri escedalla polvere <strong>dei</strong> secolidi Mario PanceraUna volta era singolare e si chiamava Eca,Ente comunale assistenza, poi è diventatoplurale, e si chiama Ipab, Istituzione pubblichedi assistenza e beneficenza. Era, ed è,l’organizzazione di Milano che si occupa <strong>dei</strong>poveri anzi <strong>dei</strong> più poveri e <strong>dei</strong> miseri. Io laricordo quando era al singolare; nel dopoguerrasono stato alcune volte alla mensaEca, piena di fumi e di vapori di minestronipesanti e appiccicosi, seduto tra i mendicanti,un po’ per la curiosità del cronista e un po’perchè non avevo soldi. L’Italia stessa, tra lafine degli anni Quaranta e l’inizio <strong>dei</strong>Cinquanta del secolo scorso, era senzasoldi: stava tra la ricostruzione e il periodopoi chiamato del “miracolo” economico. Moltifrequentatori non erano veri mendicanti, maerano stati impoveriti dai bombardamenti,dalla distruzione della città, dal crollo dellamoneta, dalla ferocia, dai morti. I giornaliavevano quattro pagine. Era un’Italia allaGrosz.Avevo vent’anni e cominciavo a fare il giornalista,sostanzialmente non pagato. Ci chiamavano“abusivi”. Andavo a questa mensacon un collega praticante, da solo non avreimai avuto il coraggio. Si può avere il coraggiodi fingersi poveri quando si è ricchi, maquando si hanno pochi centesimi in tasca siarrossisce a far finta di non avere niente deltutto. Mangiavamo all’Eca di Porta Nuova,edificio ormai storico, rosso e giallo, cheesiste ancora; e in una baracca di piazzaleBacone, che non esiste più. Devo ricordarequeste piccole cose, per dare un’idea di queitempi. Sembrano del profondo Medioevo einvece sono appena dietro l’angolo.Alcuni capolavori del patrimonio artisticodell’Ipab milanese, a sinistra, pittorelombardo, ritratto di Alessandro Moriggia,al centro, Giuseppe Vermiglio, SanGiovanni Battista, e a destra, EmilioMagistretti, ritratto di Maria Mantegazza.Lo scudovisconteoNon sapevo che tutti quei poveri avessero un“tesoro”, dovuto alla beneficenza di cui potevanogodere. Un vero tesoro, costituito dadonazioni, lasciti testamentari e altro: opered’arte, edifici, terreni. E con radici lontane,visto che oggi si festeggia il settimo centenariodella confraternità del Pio Luogo delleQuattro Marie, i cui ultimi rami fioriti sono leIpab. Questa degna istituzione sarebbe peròancora più antica: pare che risalga ai tempidelle crociate o si debba addirittura all’arcivescovoAngilberto, nel 845 d.C. Ricavoqueste notize dal chiaro testo con cuiRodolfo Masto, presidente dell’AmministrazioneIpab, presenta, con numerose firmeufficiali e un’introduzione dello storico GiorgioRumi, un ponderoso volume, appunto Iltesoro <strong>dei</strong> poveri, che riproduce, cataloga ecommenta il patrimonio culturale dell’istituzione.Sono edifici, dipinti, sculture, disegni,arredi, requiari, medaglie, diplomi, documentistorici d’ogni genere, a cura di Marco G.Bascapè, Paolo M. Galimberti e SergioRebora, con uno stuolo di collaboratori.Fatti, dunque, gli onori di casa, ricordato,come pura testimonianza di una società, checos’era la mensa Eca del dopoguerra e dettoche “oggi il campo specifico delle Ipab èquella della cura e dell’assistenza agli anziani”a Milano e provincia, eccoci al catalogo,che risulta piuttosto un’ enciclopedia, tanto evasto e ricco di riferimenti. C’è dentro unafetta importante della multiforme societàambrosiana. Il volume è diviso in quattrosezioni: La sede (che si trova nel PalazzoArchinto, in via Olmetto, a Milano; vi lavoròanche il Tiepolo) e la quadreria, con tutto unelenco e le notizie storico-artistiche <strong>dei</strong>numerosi Luoghi pii (San Nazaro in Brolo,San Simpliciano ecc.); I monumenti sepolclari(<strong>dei</strong> benefattoril al Cimitero Monumentale);Gli Istituti, dal monastero di Santa Chiarain Abbiategrasso (1477-1782) all’Istitutogeriatrico Piero Redaelli di Vimodrone(1970); e, infine, Le chiese di patronato e gliedifici storici, con amplissime appendici.L’ultimo capitolo meriterebbe un volume a séperché ci introduce in amabili realtà dellaprovincia e della regione, attraverso le quali,oltre a conoscere l’attuale ambiente lombardo,potremmo imparare un po’ di storia eciviltà. Sapete dov’è Campalestro? E Carpianoe Cantalupo e Riozzo (con il misticoOratorio di San Rocco), e Tavernasco eTrognano e Zunico? Sono tra Milano, il Lodigianoe la Lomellina, tutti possiedono piccoligioielli. Se aveste tra le mani questo libro,targhe alternate permettendo, correreste avedere queste località campestri, che costudisconopreziose, anche se non famose,testimonianze laiche ed eclesiastiche plurisecolari.Non so quanto il Tesoro <strong>dei</strong> poveri contribuiscaad alleviare i dolori <strong>dei</strong> poveri, sonocalcoli che non mi competono, ma il libroinevitabilmente induce a riflettere sull’argomento.Penso e spero che gli amministratorimilanesi siano molto oculati e per i loro assistitiottengano il meglio. Detto questo, il volumeci consegna cronache e storie di vita dinobili, prelati, professionisti, mercanti e delleloro famiglie, che sembrano riassunti diromanzi.Nei ritratti, le dame sono sempre severe, avolte dure; gli uomini, sempre più baffuti ebarbuti man mano che ci si inoltra nel passato,sono compresi nel loro rango. Quasi tutti inomi, e sono tanti, sono illustri.Citerò due o tre immagini, tra le mille: dueritratti femminili, e il dipinto Il cortile dell’ospedaleMaggiore, che ricorda i pitocchi delbresciano Giacomo Ceruti che nel Settecentoscandalizzò i suoi facoltosi clienti ritraendoappunto i poveracci che esibivano la loromiseria sulle pubbliche strade. In questocortile si muovono la vita, le malattie, lamorte; c’è anche un funerale. Si vedonopreti, frati, dame, contadini, carretti (le lettighedel tempo): un formicaio umano brulicatra solidi colonnati e formidabili architetture. Ilquadro è di un pittore milanese sconosciuto,un cronista della pittura, ma c’è dentro tuttal’attenzione e l’anima che lo stesso Manzoniha messo nel descrivere la peste neiPromessi Sposi.Il primo dipinto femminile è pure dovuto a unmilanese ignoto e incerto è il soggetto delritratto, forse Geronima Croce Sansoni,morta nel 1622, ricchissima. Questo ritrattonon è di mano di un artista, ma anche qui ilpittore ha dovuto dare il meglio di sé: la roseasignora ha uno sguardo incerto, sognante eguardingo, una Monna Lisa di provincia; trale dita immobili tiene un’immobile rosa, mal’abito è tutto una preziosa pittorica, che indicala sua eleganza e il suo livello sociale.Da ultimo è il ritratto di Maria Mantegazza,“nubile e agiata”, vissuta quasi cento anni fa(1796-1891), eseguito da Emilio Magistretti,allievo di Hayez, nel 1893, ovvero due annidopo la morte della benefattrice. Questoquadro è un racconto: la signora, seduta suuna sedia barocca dall’alto schienale imbottitoe borchiato, si appoggia al bracciolodestro e nella mano sinistra tiene un cartiglio(una posizione ritrattistica classica), ma bisognaammirare il suo viso, i capelli sormontatida una parrucca a riccioli, i tappeti e le pelliai suoi piedi, lo scrittoio con le penne d’oca,l’angolo dello studio e, tra lei e un tendaggiodamascato, un alto basamento in marmo sucui campeggia il candido busto di un uomobaffuto e austero, cioè il nobile fratelloBoschino, “dottore in legge presso l’Universitàdi Pavia”, che le aveva lasciato la suecospicue sostanze. Una pagina pittorica epsicologica non indegna di una grande paginadi Balzac.■30 (34) ORDINE 6 <strong>2002</strong>

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