Bisogna tornare a spalancare le finestre, dobbiamo vedere di nuovo la vastitàdel mondo, il cielo e la terra. Benedetto XVI6 fraternitàemissioneNOVEMBRENotizie Flasha cura di Fabrizio CavaliereNUOVE DESTINAZIONIOlanda, Italia, Cile, UsaInizia una nuova presenza dellaFraternità in Olanda, a ‘s-Hertogenbosch(in italiano: Boscoducale),con Michiel Peeters.In Italia, Ubaldo Orlandelli va aVigevano (Pv) dove collaboreràcon la Fondazione «MaddalenaGrassi», come cappellano.Giampiero Caruso lavorerà aRoma.Silvano Lo Presti ha iniziato lasua nuova missione a <strong>San</strong>tiagodel Cile, come viceparroco dellachiesa «Beato Pedro Bonilli».Paolo Cumin è destinato allacasa di Boston (Usa).Freschi di ordinazioneLa casa di formazione di <strong>San</strong>tiagoospiterà il neodiaconoRuben Roncolato. Per quanto riguardagli altri diaconi: EmanueleAngiola ha raggiunto la casadi Taipei, Diego Garcia quella diBroomfield (Denver, Usa); SimoneGulmini è destinato allacasa di Fuenlabrada (Madrid,Spagna). Tommaso Pedroli eLuca Speziale proseguono illoro lavoro a Roma.Patricio Hacin, novello sacerdote,si trasferisce da Città delMessico a Washington DC(Usa), come viceparroco di«Christ the King». ChristophMatyssek, anch’egli ordinato agiugno, prosegue la sua missionein Terra <strong>San</strong>ta come viceparrocoe cappellano degli studentiuniversitari a Bir Zeit.NUOVI INCARICHI<strong>San</strong>ta SedeMassimiliano Boiardi è statonominato cerimoniere pontificio.INIZIO ANNO SOCIALENuovi ingressi in seminarioCon la messa in Casa di formazioneil 5 settembre, si è inauguratoil nuovo anno di studi.I nuovi seminaristi sono dieci.José Medina, sacerdote della <strong>San</strong> <strong>Carlo</strong>, è preside dellaCristo Rey High School, scuola diocesana di Boston. Lascuola è nata sei anni fa e Medina vi lavora dal 2007.José, a chi si rivolge la vostra scuola?Abbiamo quasi 300 ragazzi provenienti soprattutto daBoston e dalle zone limitrofe, e tutti di famiglia povera.Le famiglie con un reddito superiore ad una certa cifranon possono mandare i figli nel nostro istituto. La maggioranzadelle famiglie dei nostri studenti è costituitada immigrati, soprattutto dall’America Latina (quasi il40%), da Haiti (il 20%), dalle isole portoghesi. C’è poiuna minoranza di afroamericani. Il profilo etnico è moltosimile a quello che caratterizza la città di Boston: tra 4-5anni la maggioranza sarà rappresentata da latinoamericani,non irlandesi o italiani.La Cristo Rey è una scuola diocesana, e fa parte di unarete di ventiquattro istituti. Il fondatore, un gesuita, avevaun obiettivo preciso: offrire una possibilità di educazionealle famiglie povere negli Stati Uniti. Qui le rettescolastiche sono molto costose, tante famiglie non possonopagarle e i sostegni pubblici sono scarsi. Allora siè trovata questa formula: i ragazzi lavorano una volta allasettimana nelle aziende e queste sostengono i lorostudi, ottenendo in cambio vantaggi fiscali dallo Stato.La scuola da un lato funziona come una scuola normale,dall’altro assolve anche le funzioni di una agenzia dilavoro temporaneo.Quali sono le difficoltà più grandi, in questo contesto dipovertà?Nonostante la scuola sia una high school, ovvero offragli ultimi quattro anni di formazione (dai 14 ai 18 anni),solitamente i nostri studenti non hanno ricevuto una buonaeducazione. Non hanno le basi del leggere, dello scrivere,della matematica. Questa è la difficoltà maggiore.Un secondo ostacolo è la povertà stessa: molti ragazzivivono in famiglie in cui il padre non c’è, la madre falavori molto umili. Viene a galla un mondo di violenza edi indigenza, poco visibile ma durissimo. Alcuni servizipubblici, come la sanità, non sono assolutamente coperti.Inoltre, andare in università in America è fondamentaleper avere una vita normale, e i genitori dei nostri studentinon sono mai andati in università; non sanno checosa significhi. Queste le sfide che potremmo definire"tecniche".E quali sono invece gli aspetti più interessanti?Sono principalmente due. Il primo è la sfida dellavoro. Come spiegavo prima, ogni mese gli studentihanno cinque giorni di lavoro e quindicigiorni di lezione; se un ragazzo arriva danoi a quattordici anni, alla fine degli studiavrà lavorato l’equivalente di un anno atempo pieno. Molto spesso, quando iragazzi arrivano al quarto anno, durantel’estate o nel fine settimana guadagnanopiù dei loro genitori. In America è facilecadere nel tranello per cui “fai i soldi e perciòsei a posto”: emerge allora la questionedel significato e delle ragioni del lavoro.L’altra sfida su cui poniamo molta attenzioneè la tradizione. I nostri studenti provengono dafamiglie prive di cultura, o in cui si parla male l’inglese,ma spesso animate da una religiosità profonda. Quandoi ragazzi entrano nel mondo del lavoro, da un quartierepovero e malandato si trasferiscono in grandiosi grattacieli,in un mondo completamente ateo e anti-religioso,in cui tutto è competitività. È facile che essi colganoquesto gap e che, nel passaggio, si dimentichino osi vergognino della famiglia e del rapporto con Dio.Spesso chiedo:«per cosapreghi?». È unaeducazione: èrenderli coscientidi come è grandeil mondoUsa La scuola è qSui banchi di Boston, dove José Medina insegna a studeLatina. La sfida del lavoro, il rapporto con la tradizione, la paa cura di Gianluca AttanasioAllora bisogna aiutarli a capire che c’è un’unità in tuttequeste cose. La povertà o la difficoltà non coincidonocon la famiglia. La religiosità non è solo per i poveri odisperati, ma c’entra con tutto.Ciò significa educare a una diversa concezione dellapersona.È così. I genitori sono in grosse difficoltà. È perciòimportante far capire ai ragazzi che le circostanze nondefiniscono la persona, come del resto non garantisconola felicità. Uno può lavorare duramente, ma ladefinizione della propria persona non è il risultato delproprio lavoro. La definizione della propria persona èla coscienza di essere amati da Dio, e questo essereamati si riflette nelle circostanze che succedono. L’esserecapaci di riconoscerle è importante. I ragazzi nonvedono più l’amore che ricevono da Dio, perché nonsono abituati a guardare. Certamente rientrano in questosguardo le tradizioni dei propri paesi,ma se non vengono iscritte nella propriavita, con il tempo le tradizioni muoiono.Come aiutate i ragazzi a tener viva la lorofede e a non vergognarsi delle loro radici?Ho imparato negli anni che bisognainnanzitutto stare molto attenti a quello chesuccede e che loro ritengono importante.Per esempio, quando c’è stato il terremotoad Haiti, all’inizio c’era molta confusione:circa cinquanta ragazzi avevano familiariad Haiti. Abbiamo cominciato a lavorare con loro. Anzituttoabbiamo pregato. Poi li abbiamo aiutati a mettersiinsieme. Loro hanno tentato di raggranellare deldenaro: hanno cucinato per altri, hanno venduto deglioggetti. Hanno anche promosso una giornata dedicataalla loro cultura: i canti, le poesie. Alla fine dell’annoabbiamo intrapreso una discussione su quale fosse ilcompito del loro essere insieme. È stato commovente.Uno ha detto: «Il nostro compito è aiutare il mondo, non
BUONAVISIONE>>Together with YouUn film di Chen KaigeCina, Corea del sud 2002durata 116 minIl tredicenne Xiao Chun suona il violino da quando è bambino, forse per compensare la mortedella madre che non ha mai conosciuto. Il padre sogna per lui un grande futuro da musicista: cosìi due si trasferiscono a Pechino, dove il ragazzo incontra maestri duri ed esigenti e anche ilprimo, bruciante amore... Un film intenso sul talento e sulla paternità, con un finale a sorpresa.NOVEMBREfraternitàemissione7Un sacrificio che vale HarvardUna “materia” di cui non si parla mai ascuola, ma che se viene esclusa rende impossibilestudiare e crescere. È il sacrificio.«L’anno scorso ho cominciato a parlare moltofrequentemente del sacrificio», dice JoséMedina. «Il sacrificio è dentro l’amore. Tu lofai perché ami, altrimenti non ti muovi. Faparte dell’educazione della vita. Se tutto diventauna questione di piacere immediato,non c’è possibilità di amare».Puoi fare degli esempi? «Tre anni fa ungruppo di ragazzi e di professori mi hannocomunicato che volevano istituire un corso dimatematica di livello avanzato. Abbiamo tenutoil corso durante l'estate: i ragazzi andavanoa lavorare, e poi, dalle sei alle otto, avevanoil corso e poi gli esami. Sulla base diquell’esperienza, a metà di quest'anno hoproposto ai ragazzi di tentare di viverel’estate pensando a ciò che vogliono fare:studiare, lavorare o fare qualcosa di utile, pernon vivere un tempo morto. La mia propostaha dato l'avvio a frequenti dialoghi su ciòche è giusto fare. Poiché l'Università di Harvardtiene dei corsi estivi in una scuola vicinaa noi, abbiamo mandato lì quasi ottanta ragazzi».E come è andata? «I docenti di Harvardsono colpiti dal loro impegno. Quei ragazzisono là accettando il sacrificio, perchélo vogliono. Hanno voglia di stare là».uestione di vitati di famiglie povere, in prevalenza immigrati dell’Americassione educativa. E la scoperta dell’unità della vita.solo Haiti». Il desiderio di amare le persone non è misuratodalle proprie capacità. Alla fine, i ragazzi non hannoraccolto tanti soldi, ma credo che sia stato un esempio diuna educazione e una apertura alla vita veramente preziose.Una attività molto semplice è il pregare assieme. Abbiamoun momento durante la giornata dedicato alla preghiera.Spesso chiedo: «per che cosa preghi?». È una educazione:è renderli coscienti di come è grande il mondo.Come si svolge questo momento di preghiera?Leggiamo una preghiera, che inseriamo nel bollettinoquotidiano. Poi, liberamente, si dicono le intenzioni cheuno ha nel cuore e poi si recita il Padre nostro, la preghieradi san Francesco... In questi anni ho visto gli studenticambiare. All’inizio si pregava con vergogna, lagente non voleva dire certe cose. Nel tempo, però, lapreghiera è diventata il momento in cui emergono ledifficoltà legate alla famiglia, al rapporto con gli amici,agli esami. C’è un momento della vita, tutti i giorni, incui, semplicemente, si capisce che tutto è importantenel rapporto con Dio.E con i professori che rapporto c’è?Vivo il lavoro con i professori guardandoli, cercandodi capire quali sono le loro passioni. In un certo sensonon ho molto in comune con loro, la fede non è un terrenocondiviso a cui potersi attaccare. Parto allora daldesiderio che vedo in loro, che può essere desiderio dicapire una materia meglio o di aiutare i ragazzi a imparare.Li aiuto in un dialogo e poi a trovare altre personecon cui parlare di queste cose. I cambiamenti più grandiin questi anni sono stati sempre guidati dalle passioniche ho trovato nelle persone.Un altro aspetto riguarda il rapporto degli adulti coni ragazzi. Nei primi tempi, gli adulti sentivano il ragazzocome nemico, come uno che non ha voglia di lavorare.Questo sta cambiando, anche nel modo in cui noi parliamodegli studenti. Ho insistito molto su cosa davveroÈ bello lavorarecon questi ragazzi:la vita è cosìdrammatica cheinvita a qualcosadi più grandeJosé Medina, 42 anni, prete dal2001, con i suoi studenti il giornodella consegna del diploma. Paginaa fianco, skyline di Boston.significhi stare con i ragazzi, parlare con loro e di loro:un’educazione a rispettare la loro alterità. È facileessere contenti di chi ti segue e arrabbiarsi con quelliche non ti ascoltano. Ma questo significa perdere ladimensione misteriosa della persona, e sciupare il rapportocon chi ti sta davanti.Che cosa cambia nella scuola la presenza di un preteche vive la sua fede e la sua vocazione con verità?Il solo essere preti nella scuola è di per sé una cosache non si vede da nessuna parte. Ci sono veramentepochi religiosi negli istituti, ormai. Per i ragazzi, il fattoche ci sia un prete che insegna, e che non insegna religione,ma storia, fisica e matematica, apre una domanda,rompe la divisione che esiste tra la fede e la vita, perchévedono nel sacerdote-professore un chiaro punto diunione. Tutto sta nell’essere là, immersi nella vita deglistudenti, non come un direttore spirituale che ti dicecome dovresti comportarti, ma una persona che fa il suolavoro e testimonia che c’è un modo più bello di vivere.Per me è decisivo pormi di fronte ai ragazzi non per risolverela loro vita, ma per aiutarli a vivere il dramma dellavita. Lasciando le domande aperte, c’è la possibilità cheloro trovino Cristo, attraverso delle conversazioni, attraversodei libri. Il bello del lavorare con questi ragazzi èche la vita è così drammatica che invita a qualcosa di piùgrande. Ai professori dico sempre: non siamo qui per risolverela loro vita. Siamo qui per vivere con loro l’avventuradella vita, sia quel che sia.